«Poi
spuntò l’Alba
Ed
era il 25 Aprile»
(G. Colzani)
La notte
era gelida quando Naruto portò il pacchetto di sigarette.
Era l’ultimo che gli
americani avevano lasciato prima di andarsene in Francia a morire,
disse, lo
aveva sempre conservato in attesa del momento giusto.
Nel
vagone
del camion diretto verso Milano sembrava l’occasione giusta.
Sobbalzavano ogni
tre per due, che sembrava che cuore e polmone e fegato schizzassero in
gola a
ogni buca mal asfaltata. Stavano facendo tutte stradine dimenticate da
Dio e a
malapena percorribili per evitare blocchi nazifascisti, anche se
Kakashi aveva
promesso che li avrebbe investiti.
“Anche
se
hanno un carro armato?”
“Soprattutto se hanno un carro
armato” e
poi erano saltati sull’ennesima buca.
Sasuke
aveva gridato a Kakashi di guidare meglio, Sakura aveva fatto il dito
medio e
Naruto aveva tirato fuori le sigarette.
“Potrebbero
essere le ultime”.
Le
avevano
prese a testa con uno sbuffo, fallendo nell’accenderle con i
fiammiferi.
“Guida
come
Cristo comanda, cazzo!”
“Ci
vuoi
venire tu, Sasuke?”
“Magari!”
Ma
Sasuke
aveva sedici anni e nessuno gli aveva insegnato a guidare. Era il
più piccolo
tra loro e il più arrabbiato. Kakashi era quello
più grande ed era stato
professore, per questo tutti in brigata gli portavano rispetto. Sakura
sapeva
usare quella mitragliatrice che avevano portato gli americani e tanto
bastava.
Naruto era scappato da un campo – di cosa, o cosa succedeva
lì dentro, non lo
aveva mai detto – e faceva paura un po’ a tutti.
Finalmente
accesero la prima sigaretta e ne fecero un tiro a testa.
“Questa
è
per Tsunade, la vecchiaccia che ci ha fatto dormire nel
fienile”.
“Ci
ha dato
le bistecche” ricordò Sakura.
“Questo
è
per il Capitano Asuma, mitragliato”.
“Amen”
proclamò Kakashi, l’unico che un po’ a
Dio ancora ci credeva.
“Questa
per
Neji. Impiccato”.
“Nessuno
aveva un cazzo da scambiare” sputò Sasuke, che si
era fatto due passi di
montagna nel tentativo di trovare un fascio da fare cambio.
“Questa
per
Hinata”.
“Chi?”
“Sapeva
il
tedesco” mormorò Sakura, “ci faceva da
staffetta”.
“Che
le è
successo?”
“L’hanno
buttata dall’ultimo piano del comune”.
“Amen”
ancora Kakashi.
“Questa
per…”
“Senti,
dammela e basta” sbottò Sasuke e la
portò rabbioso alla bocca, ingobbito come
un gatto dal pelo arruffato. Quella era per suo fratello e suo cugino,
morti in
un’imboscata.
“Questa
per
Ino, Shikamaru e Choji”.
“Sono
ancora vivi!” lo avvisò Sakura.
“Ma
sono già
a Milano a piazzare armi, no?” ricordò Naruto.
“Magari crepano con noi”.
“O
viviamo
tutti” osò in un bisbiglio.
Kakashi
virò di colpo e rischiarono di rotolare fuori dal camion dal
tetto aperto.
“Cazzo,
attento ai fucili! Li stavamo per perdere”.
La
strada
si era fatta più regolare: non erano più in
montagna o in campagna, la città
era vicina, Milano.
“Liberiamo
anche questa” disse fra i denti Kakashi entrando nella
periferia. “Riprendiamoci
tutto quello che ci hanno tolto”.
Naruto
guardò l’ultima sigaretta rimasta nel pacchetto,
l’osservò ma poi richiuse il
pacchetto e lo rimise in tasca. Quella era per Obito, rimasto al campo
di
concentramento con la sua bella stella a sei punti. Glielo aveva
promesso
quando l’aveva aiutato a scappare, che gli avrebbe fatto
fumare una vera sigaretta
americana, poteva giurarci, perché ne sarebbe uscito anche
lui.
Alzò
gli
occhi e vide c’era luce: era l’alba.
Era il
25
Aprile.
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