Luce
perduta
“Sei tu
l’artefice del tuo destino, ma non perdere mai la tua strada
e, soprattutto, il tuo obbiettivo.” Le sagge parole che
recitavo con frequenza a me stesso riecheggiavano nella mia testa, ma
era ormai troppo tardi.
Tutto iniziò con il suono di un carillon, una dolce melodia
che mi spinse a chiudere gli occhi e immergermi in un profondo sogno.
Persino in quest’ultimo il suono del carillon non cessava,
decidendomi così di seguire quelle misteriose note. Non
sentivo i miei passi, il suono era più forte di qualsiasi
altra cosa. Il luogo era distorto, il buio pesto regnava. Gocce di
sudore si erano ora liberate, costringendomi ad asciugarmi con le mani
tremanti. Le ginocchia cedettero, un attacco di panico. Desideravo
sentire qualcosa contro i miei passi timorosi, ma l’ignoto e
l’oscurità mi stavano inghiottendo, sentendoli
quasi godere dal piacere. “Un’ottima preda, il buio
lo terrorizza a tal punto?”, sicuramente sarebbe quello che
avrei sentito, mi sentii ridicolo e indifeso, ma cosa potevo farci?
Persi i sensi, ma lo considerai un sollievo, i miei muscoli si
rilassarono.
Sperai di svegliarmi completamente, difatti al mio risveglio il
carillon aveva cessato di suonare, sentendo ora i passi di persone che
scansavano il mio corpo inerme, ancora paralizzato per terra. La luce
del sole era inesistente, ma il buio non era più lo scenario
maestro.
Rivolsi lo sguardo al cielo cinereo, alzandomi con
difficoltà e barcollando verso quella che appariva essere
una tenda da campeggio, la vista ancora offuscata. Ad accogliermi fu un
maestoso corvo accompagnato da una cupa figura, il volto ed il corpo
esile completamente avvolti da un nero mantello. Il buio regnava
nuovamente, solo della foca luminosità proveniva dagli occhi
della misteriosa figura al mio cospetto, come se pretendesse
l’incontro dei nostri sguardi. Lo accontentai, non volevo
sprofondare nell’oscurità ancora una volta.
“Dimmi, sperduto agnello”, pronunciò con
tono freddo e costante, quasi stesse recitando, “cosa brami
con tanta impotenza? Speranza, o forse desideri abbandonarti alla
genuina pace? Quest’ultima è la scelta
più richiesta, perciò afferra pure la luce
più luminosa che vedi”.
Le sue parole riecheggiavano nella mia testa, ed il carillon riprese a
suonare con tenacia. Volevo andare via, il buio mi spaventava e
quell’individuo non stava migliorando la situazione. Mi
voltai cercando l’uscita, ma più camminavo e
più mi inoltrai nell’oscurità
più profonda. Con affanno accelerai il passo, la mia paura
era il nutrimento del buio. Smarrii la cognizione del tempo,
così come i miei obbiettivi, i miei ideali, me stesso. Mi
dissi che forse, se avessi risposto a quello strano individuo, sarei
finito in un posto migliore. Volevo solo tornare a casa, ciò
accecò i miei pensieri. Con mia sorpresa l’oscura
figura si presentò nuovamente al mio cospetto – lo
riconobbi dai suoi occhi luminosi. Lo guardai provando quasi invidia,
anch’io avrei voluto un po’ di quella luce.
Sì, la bramavo, la desideravo con tutto me stesso. Oh, se
solo avessi potuto prenderne un po’ in prestito. Giusto un
po’, e tutto sarebbe andato bene.
Le mie mani sudate si gettarono sull’oscuro volto, prendendo
possesso dei suoi occhi tanto scintillanti. Li estirpai con forza
all’unisono, adesso non c’era tempo da perdere,
avevo già vinto. Il mio trofeo non aspettava altro se non di
essere esposto. In fretta spinsi i bulbi luminosi nella mia gola,
inghiottendo con impazienza.
“Ti ho offerto tranquillità e speranza, ma hai
rifiutato. Sperduto agnello, che tu sia maledetto! La scelta corretta
non esiste, ma da oggi esisterà la risposta errata. Il buio
da oggi sarà la tua dimora, e lo sarà per
sempre.”
Con intensità le fiamme crepitavano, avvolgendo il mio
corpo. Un urlo disperato, la pelle bruciava. Bruciava, bruciava da
matti. Con ferocia aggrappai ogni parte del mio corpo e lo graffiai,
fino a strappare dei tasselli di pelle rimasta. Tirai con forza, la
carne bruciata ai miei piedi; niente rimase di me se non cenere.
Mi abbandonai a me stesso, chiudendo gli occhi ancora una volta al
buio.
Al mio risveglio sentii nuovamente il malinconico suono del carillon
bensì più lentamente, quasi si stesse scaricando;
il buio attorno a me prese il sopravvento.
La paura si presentò senza indugiare, e caddi nuovamente
nell’abisso più profondo.
E d’un tratto ero all’interno di quella tenda, il
corvo e la figura dagli occhi scintillanti dinanzi a me.
“Dimmi, sperduto agnello”, pronunciò
ancora una volta la medesima frase del primo incontro, “cosa
brami con tanta impotenza? Speranza, o forse desideri abbandonarti alla
genuina pace? Quest’ultima è la scelta
più richiesta, perciò afferra pure la luce
più luminosa che vedi”.
Rimasi fermo, quasi volessi mettere in pausa quel momento per pensare,
ma la mia mente risiedeva ancora all’interno
dell’oscurità, e intendeva rimanerci.
“Non esiste luce più luminosa dei vostri
occhi”, annunciai con determinazione. Era vero, il buio
regnava da quando ne avevo memoria. Non volevo pace, non volevo
speranza: bramavo ciò che non possedevo, ciò che
invidiavo. D’un tratto, come se il vento avesse smesso di
soffiare, aprii il palmo della mia mano: il carillon rotto al tocco
rovente delle mie dita, fin troppo potente per custodire un oggetto
tanto delicato.
“È troppo tardi per recuperare la vostra
luce”, fu l’ultima frase che mi rivolse, prima di
svanire nell’oscurità. Il corvo volò in
mia direzione, donandomi gli occhi luminosi che scatenarono tutto
ciò. Li desiderai all’istante, ne presi possesso e
li inghiottii. Il fuoco si presentò nuovamente in me, ma il
dolore non mi apparteneva più. La tenda prese fuoco, tutto
prese fuoco – bensì non riuscii a vedere
esattamente cosa. Attorno a me solo fiamme roventi, il calore di casa.
Finalmente avevo trovato la luce, la mia luce.