fiducia
Ok,
questa è la mia prima storia. Come si può notare, non
è propriamente una storia. E' soltanto una specia di
poesia/cronaca/sclero che ho scritto poco più che 3 mesi fa.
Inizialmente, avrei dovuta pubblicarla esattamente il 18 maggio, per
via di un mesiversario che, purtroppo, non ho potuto festeggiare. La
caura è narrata nel mio componimento. Penso che il contenuto
è intuibilissimo, quindi non c'è bisogno di dare
spiegazioni per quello. E' molto semplice, perfino banale azzarderei,
ma l'ho voluta pubblicare perchè narra una parte della mia vita,
corrispondente a uno dei giorni più tristi per me.
Ora,
ripensando a quello che ho scritto e a quello che ho passato, mi viene
solamente da ridere, perchè penso che sono stata proprio
un'immatura. E dire che sono passati, come ho detto in precendenza,
solamente tre mesi. Comunque, l'animo umano è labile e effimero,
perciò...
Ma
basta!Dopo tutte queste inutili elucubrazioni mentali, vi lascio a
questa cosina indefinibile!Spero che possiate capire il mio stato animo
del periodo e che le mie azioni non vengano giudicate.L'ho messo nella
sezione "drammatico" perchè non sapevo proprio dove ficcarlo!
Ringrazio in anticipo chi leggerà (se qualcuno leggerà!)!
Am_I_a_liar
DICEVI CHE MI
POTEVO FIDARE…
Il mio braccio
sanguina, così come il mio cuore.
Questo dolore
arrendevole e netto non riesce, tuttavia, ad alleviare lo squarcio che si è
aperto nel mio petto.
Il cuore mi fa male.
Tanto.
Il sangue,
che mi scorre lungo
l’avambraccio e lungo il polso, che raggiunge il palmo della mano e le dita per
poi schiantarsi a terra in un tacito rumore,
è ipnotizzante ed è
la mia immagine interna, profonda.
Io sto sanguinando,
dentro.
<>, mi avevi detto un giorno.
Non la ricordi questa
frase? Non ne ricordi il contesto? Non ti dice proprio nulla?
Io non dovevo avere
certezze; io, di te, mi potevo fidare, dicevi.
E ora?
A causa di una TUA
incertezza tu mi hai distrutta.
Hai preso il mio cuore,
lo stesso che ora piange, scalmana e invoca disperato il tuo nome, sperando che
questo sia un incubo e non la cruda realtà,
lo hai coccolato,
scaldato, vezzeggiato, reso tuo.
Non si era mai
sentito così vivo.
Lui era vivo grazie a
te.
Ed ora, sempre grazie
a te, sta morendo lentamente,
spento da colui che
lo aveva fatto sentire amato,
che mi aveva fatto
sentire amata
per la prima volta.
Io mi sentivo
stupenda, insieme a te.
Finalmente, avevo
acquistato un po’ di quella fiducia in me stessa che mi mancava,
quel pizzico di
autocompiacimento che mi rendeva sempre sorridente e soddisfatta.
Adesso, quel barlume
che si era impiantato in me
si è prosciugato totalmente.
E mi chiedo quando si
riaccenderà.
Tuttavia, la mia vita
non finisce con te.
Lo so.
Tu sei stato il
regalo più grande che mi sia stato fatto finora.
Ma anche tu sei
destinato ad essere piano piano dimenticato,
come un qualsiasi
vecchio regalo.
Un’unica cosa mi
chiedo:
quando succederà?
Lo ripeto da ore al
mio cuore: dimentica, dimentica,
DIMENTICA!
Ma non mi vuole
ascoltare e piange.
Piange per quello che
ha perso inesorabilmente,
per i ricordi che
detiene dentro sé
e che tu ti sei
lasciato alle spalle,
insieme a me,
per quello che hai
rappresentato.
Perché tu hai
rappresentato l’Amore.
Quello stesso
sentimento che non avevo mai provato per nessuno
e che, prima di te,
pensavo fosse soltanto uno slancio immaturo
e dettato dalla
pazzia degli ormoni adolescenziali.
Ma non è così.
Se fosse così, ora
dai miei occhi non sgorgherebbero lacrime,
dalla mia bocca non
uscirebbero singhiozzi sommessi che devo nascondere ai miei genitori,
la mia anime
smetterebbe di urlare
e questa lama non
affonderebbe nel mio braccio.
E non mi sentirei
nemmeno così…vuota e tradita.
Lo ribadisco, però:
la mia vita, per quanto da me non molto amata sia, non termina con te.
Il tuo era solo uno
dei tanti capitoli scritti da qualcuno nella mia biografia.
Continua e continuerà
fino a che troverà qualcuno che la sosterrà.
Questa non è la fine
della mia esistenza,
né del mio avvenire.
È solo la fine della
favola più bella che abbia vissuto fino ad adesso.
Ed è la fine peggiore
che mi aspettassi,
ma pur sempre la fine
sconvolgente di una storia vissuta
con tutto il cuore.
Almeno, per quel che
mi riguarda.
Forse, ho atteso
troppo a dirti quelle parole che tu aspettavi ma che il mio orgoglio teneva
prigioniere.
E questo mi fa
ridere, perché proprio ora, proprio nel momento in cui ho trovato il coraggio
di pronunciarle ad alta voce di fronte a te,
tu mi distruggi.
È incredibile…
E mentre scrivo
questa stupidissima cronaca, il mio braccio continua a sanguinare
ed il mio cuore con
lui.
Buffo, non trovi?
Mi sento patetica e
sempre a causa tua.
Ora, non ne conosco
il motivo, ma mi sta ronzando in testa un verso della forse più celebre e
scontata poesia di Catullo: “Dammi mille baci, e ancora cento, poi altri mille,
e altri cento ancora, e mille e cento e non fermarti mai…”. È dedicata a
Lesbia, la sua amante amata che lo ha fatto dannare e che lo ha portato ad
odiarla.
Un uomo malato
d’amore per una donna che non amava lui, ma l’amore.
Pensa…
Avrei voluto
pronunciarla al tuo orecchio, languidamente,
posando la mia bocca
sulla tua,
prendendo per una
volta quell’iniziativa che mi è sempre mancata
quando ero con te.
Ma ora continuerò
solamente a sognare il momento in cui uscirà finalmente
dalle mie labbra,
pronunciata
all’orecchio della persona che il destino ha in serbo per me.
Sia essa uomo o
donna, non mi interessa.
L’importante sarà
solamente il sentimento che proverò, uguale a quello che sentivo per te.
Basta.
Questo è quello che
in faccia non avrò mai il coraggio di dirti,
non per codardia, ma
per orgoglio.
Non voglio sembrare
una debole ragazza distrutta dal dolore, come in realtà sono,
ma una ragazza forte
che è in grado di risorgere.
È questo che il mio
orgoglio mi sta imponendo, ma ancora non ci riesco.
È troppo presto.
E, credimi, è
frustante sentire di dipendere così tanto da una persona,
anzi da un ricordo,
inoltre doloroso.
E resto in silenzio,
immobile,
mentre la tua
immagine diventa sempre più sfocata a causa delle lacrime e del dolore
straziante che la mia anima sta sopportando,
che cerca di
sopportare,
in ogni modo che
conosce.
Lo so, ormai devo
farmene una ragione, ma non ci riesco.
Perché tu sei ancora
lì, rinchiuso dietro le sbarre del mio cuore
che è ancora
aggrappato a quelle tue ultime parole.
Esse sono fumo, una
scusa che hai pronunciato per non dire quell’addio così pesante.
E io mi ci aggrappo
perché la speranza, per quanto labile ed astratta, è sempre l’ultima a morire.
Mi permetti di
sperare?
O è meglio se
zittisco ora il grido di strazio del mio cuore,
dicendogli una volta
per tutte che non c’è più niente per cui aspettare?
Ormai, io so già cosa
succederà…
Ma come il mio
braccio, la mia anima e il mio cuore non possono smettere di sanguinare.
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