Prima
di iniziare a leggere questa storia, vi invito a fare uno sforzo di
immaginazione: immaginate Trunks circa di dieci/undici anni, Goten di
circa dieci, Pan e Bra di cinque e quattro anni.
Grazie
per lo sforzo d’immaginazione, ora potete continuare a
leggere,
avete già sforzato abbastanza il vostro cervello.
Ringrazio
gli autori de il “Meraviglioso Mondo di Gumball”,
da cui è
ispirato l’episodio e, ovviamente, ringrazio voi che avete
aperto
questa storia.
Una
cosa era sicuro: non era sicuro di nulla.
Certo,
lui era il grande principe dei Saiyan, ma a parte il
fatto che
i Saiyan erano rimasti in tre scarsi, più in paio di mezzi,
dai
quali manco ne usciva un intero, – o forse sì? Non
era mai stato
bravo con le frazioni, dannato il suo compagnetto di scuola Arnorld,
che si credeva migliore di lui facendolo arrivare ad odiare la
matematica. Stupido Arnold. -, ma in quel momento, di sicuro, non era
sicuro.
Così
quella mattina, di quel giorno qualsiasi, in una Capsule Corporation
qualsiasi, era sceso le scale con più cautela del solito e
si era
avvicinato in cucina, dove, visto l’orario – almeno
un minimo
decente per gli esseri umani produttivi in quel settore del pianeta,
un odioso sette
e mezzo del
mattino – sostava sua moglie che sorseggiava un
caffè nero, amaro
con la sua anima. La moglie, la dolce moglie dei sogni più
dolci, in
quel momento
gli parve
la moglie dei sogni infranti, mentre beveva il caffè fatto
delle lacrime
amare di suo
marito.
«
Buongiorno, amore »
Tzé,
osava pure salutarlo e
chiamarlo falzamente
per quella cosa che iniziava
per a e finiva per
more. Quanta illusione
in poche parole.
« Tra poco
devo andare a
lavorare, quindi oggi sei solo con i ragazzi »
Lui
si
appoggiò facendo una
faccia schifata - oppure
quella era sempre la sua faccia? -
contro il ripiano della cucina. La vide ancora
sorseggiare altre lacrime di marito ferito. Lei
beveva
gustando di gusto la
bevanda bevandosa,
passandosi, poi, lasciva, la lingua sulle labbra.
Che
mostro.
«
Ti ricordo che stasera passa
Gohan a prendersi sua figlia e a riportare a casa Goten »
Le
sopracciglia precisamente pinzettate
della donna si rivolsero a lui in modo eloquente, mentre lui, come un
gatto permaloso che non riceve abbastanza attenzioni, sculettò
il suo
malessere lontano dal
ripiano, per andare a strusciarsi contro il frigo, in cerca di
attenzioni che avrebbe dovuto comunicare in maniera verbale e
non paraverbale, come
in
quel momento. Ma l’anima di gatto spelacchiato che era
in lui mai si sarebbe abbassata ad un dialogo costruttivo,
interattivo e razionale.
Bulma
lo vide cocciutamente fare finta di nulla, continuandole a darle la
schiena e strusciandosi
sull’elettrodomestico, mentre
sulla superficie del frigorifero
rimavano
attratti i
suoi peli di
vecchio gatto dello spazio. Alzò gli occhi al cielo, quando
sospirò
e fece per aprir bocca, ma quello le soffiò contro
rabbioso, i
capelli da fulmine
ancora più ispidi
del
solito.
«
Se pensi
che questo tuo
atteggiamento possa farmi cambiare idea, ti sbagli » ingiunse
la
donna, « non
mi scuserò con te, Vegeta, perché ho detto solo
la verità »
Gli
occhi strabuzzati del Saiyan cercarono di incenerirla
con uno sguardo di disgusto e disprezzo, ma, visto che uno sguardo
non può incenerire, fecero
solo paura
ad un destinatario
non voluto, il
gatto Scrat,
che fino a quel momento era stato ignaro di avere un altro maschio
alfa
a gironzolare
per la casa. Il
piccoletto
scappò
lontano,
miagolando dal dolore per
il
tradimento fattoglisi
sotto i baffi.
Vegeta,
con le labbra arricciate in
un gesto di
nobile
superiorità, finalmente
parlò.
«
Dovresti farlo. Tu non apprezzi
le mie qualità »
Bulma
lo fissò, dubbiosa, iniziando
a sistemarsi qualche accozzaglia e ninnolo nella borsa.
«
Apprezzo le
tue
qualità, Vegeta » si affrettò a mettere
via il rossetto, « quando
queste sono usate a qualche chilometro di distanza da
casa. Quando, perciò,
non mi ritrovo un
buco nel
soffitto del salotto »
«
Era per vedere le stelle, l’ho fatto per Bra »
rispose l’altro,
con fare ovvio.
«
E quando
hai bruciato il
giardino? »
Vegeta
sbuffò: « Era per dare un tocco di cambiamento all’esterno.
Ho anche rubato un elicottero della
polizia e
te l’ho fatto
precipitare tra le aiuole. Non ti piacciono le pale e le lamiere
accatastate? »
Fu Bulma a sbuffare,
‘stavolta.
« Vegeta,
ammettilo: tu non hai
qualità particolari e fare da babysitter a un branco di
ragazzini
non è così difficile. Io lo farei ad occhi chiusi
»
«
Ah!
» il tono
sprezzante le
fece aprire gli occhi, « fare da babysitter ai nostri figli
è una
sfida per il Principe dei Saiyan e solo
io la
so
affrontare
al meglio. Altrimenti perché quel rammollito di Gohan porta
qui la
sua piccola piaga? »
«
Perché abbiamo i soldi, caro,
e un’assicurazione che paga pure gli incidenti sulla Luna
»
«
Oh
»
Bulma
fece un’altra smorfia. « Comunque,
quali
sarebbero le grandi
sfide? Tu combini solo disastri! Come quella volta che hai fatto
giocare Bra e Pan in autostrada
»
Vegeta
si fece offeso, allargando
le
braccia.
« Hanno solo
distrutto un paio di macchine e accatastato qualche guardrail
facendone una palla da basket. Che esagerazione. E poi quel
poliziotto ha avuto un mese di pausa dal lavoro- »
«
Perché è stato piantato un
mese in
ospedale in
ortopedia. Oppure quella volta che
hai
permesso loro
di
distruggere
una
fabbrica nucleare… »
Il
Saiyan si tese in un minuto di silenzio.
«
… tu
sei
solo gelosa perché io, qui, sono il babysitter migliore
»
La
donna, allora,
si avviò
a
passo concitato all’ingresso di casa, pronta per afferrare le
chiavi dell’auto e andare a lavorare in ditta, e
Vegeta le
si fece
alle calcagna, seguendola
ad ogni
passo, convinto
di vincere il battibecco appena iniziato.
Ma,
in fin dei
conti,
la vita di
Vegeta era così:
un pendolo tra il desiderio sfrenato
di vincere e l’illusa
convinzione di potercela fare.
«
Vegeta, dico sul serio, caro. Io sono la presidente della Capsule
Corporation - genio, filantropa, playgirl,i
- scienziata
e
figlia del
fondatore della
Capsule Corporation, il famoso Dott. Brief. Sono solo uno dei
personaggi più importanti della serie, prima amica di Son
Goku, che
ha messo in moto l’intera baracca… potrei gestire
i ragazzi ad
occhi chiusi »
Il
Saiyan si fece paonazzo: questo
era troppo!
« Bene,
allora oggi rimango in
sciopero! Non farò nulla tutto il giorno! »
«
Come se gli altri giorni facessi
qualcosa. Ci
vediamo
pomeriggio
e ti farò vedere quanto io
sono brava con i ragazzi. Ciao,
amore »
Ancora
quella parola con la a. Che
ci trovasse di tanto gustoso in quel a-more
era un mistero.
Detto
questo, la
donna se
ne andò
sbattendo la porta e, con una forte ventata, abbandonò
in casa il marito
che si
ritrovò
con i
capelli, per
via del vento
stranamente
pettinati. Questo
fissò la
porta, portandosi le braccia al petto e corrucciando lo
sguardo.
La
donna si credeva migliore di lui nel gestire i figli?
Bene!
Gliela
avrebbe fatta
vedere: la casa presto si sarebbe trasformata in una casa horror e
Bulma gli sarebbe venuta a chiedere scusa in ginocchio.
Se
quella donna pensava di dargliela
vinta si
sbagliava di grosso,
perché,
Vegeta, non vinceva
mai.
Non
ne aveva la minima idea di cosa voleva dire curare le piccole piaghe
che avevano
come figli. Senza pensare poi alla discendenza di Kakaroth, un piaga
da decubito vera e propria.
In
fondo, si
era sempre preso
cura dei figli, perché
non
riconoscerlo?
Faceva
in modo che i ragazzi mangiassero le verdure – attirandoli
presto la
mattina in giardino
e distribuendo
loro del fieno,
cosicché lo
cercassero
tra i fili d’erba
e al
contempo rasassero
il prato.
Stimolava
la loro creatività e fantasia – lasciando
che il momento del pranzo si trasformasse in una guerra a chi si
aggiudicava il piatto migliore – nel frattanto
faceva le
faccende
domestiche: a
fine pranzo,
infatti,
raccoglieva stoviglie, piatti e ragazzi dentro la tovaglia, li
buttava in lavatrice con uno shampoo delicato e un ammorbidente
–
perché non si rovinassero la pelle – e
voilà, un profumo di
pulito.
Per
non parlare di quando li educava
alla buona musica, invitandoli a fare l’hairbang
sull’heavy
metal, perché si asciugassero più in fretta dopo
la doccia,
potendo così
anche disporre di eventuali pidocchi che cadevano a terra; una veloce
e atletica danza irlandese e voilà,
i pidocchi erano andati.
Certo,
il bagno rimaneva sempre tutto appiccicaticcio e schiumoso, ma se si
evitava di scivolare a terra non era mica un problema: a parte quella
volta che
era effettivamente
scivolato a
terra
e la sua faccia era rimasta appiccicata a terra per due ore,
finché
il suo corpo, girovagando alla cieca, non erano riuscito a rimettersi
la faccia in faccia.
Già, Bulma
tendeva proprio a
sottovalutarlo, ma questa sarebbe stata l’ultima volta!
Si
rilassò in un sorriso malvagio e rimase qualche secondo a
godersi la
sensazione di autocompiacimento che tanto gli piaceva. Fino a quando
non si rese conto di stare fissando la porta d’ingresso da
venti
minuti, tanto che, pure la porta era stufa di trovarselo
davanti.
Erano
le otto del
mattino
e Vegeta si appostò fuori casa, comodamente seduto su una
sedia,
deciso, per quel giorno di
fare lo sciopero del babysitter.
Appena
Bulma parcheggiò l’auto, si stiracchiò
dolcemente il collo,
soddisfatta e indolenzita dalla giornata economicamente vantaggiosa
per il suo portafoglio e
brillante per la scienza: era
una soddisfazione riuscire a clonare un dinosauro del Cretacico,
mandare una sonda su Plutone per la consegna di pizza a domicilio,
scoprire che l’acqua potesse essere usata al posto della
benzina e
fare affari con un misterioso cyborg nero con disturbi d’asma
proveniente
da
un’altra galassia che richiedeva dei piani per una specie di
stazione spaziale super
potente con
un nome alquanto
bizzarro e poco nefando come “Morte
Nera”.ii
Sospirò,
sorridendosi allo
specchietto retrovisore: un’altra bella giornata.
Quando
scese dalla macchina, trovò
il marito disteso sulla sdraio davanti all’uscio di casa,
mentre
prendeva il sole – o quanto meno, si bruciava gli occhi
fissando
direttamente il sole. Alzò gli occhi al cielo: probabilmente
il suo
ego gli aveva suggerito di sfidare il sole perché aveva
una massa più densa di lui,
e il Principe dei
Saiyan lo
aveva sfidato ad una gara a chi distoglieva prima lo sguardo. Inutile
dire che pareva
avesse gli occhi vacui dell’indovino Tiresia mentre ammoniva
Ulisse.
Si
frappose tra Vegeta e il sole, interrompendo la sfida: vide Vegeta
riacquisire un vago senso del sé, finché non assunse
un’aria dapprima stupita e poi compiaciuta.
« Sei
compiaciuto perché non
hai fatto nulla? »
Vegeta
ghignò, spaparanzandosi meglio sulla sdraio. « No,
sono compiaciuto
perché adesso
potrai vedere
che io ho avuto
ragione. Entra pure in casa, cerca di addomesticare
i
nostri figli e poi fammi sapere se sei ancora viva »
Gongolò di
malcelata
soddisfazione, chiudendo gli occhi e rilassandosi sul lettino, la
faccia mangiata dal sole che friggeva per le scottature.
Bulma solo allora
portò lo
sguardo verso l’ingresso e, a parte uno striscione che
pendeva
dalla cupola, tutto pareva intatto. Non c’erano allarmi di
sottofondo, né sirene della polizia, né sirene
per rifugiarsi nel
rifugio anti-atomico.
Alzò ancora
gli occhi al cielo:
come sempre suo marito si era rivelato inutile e tronfio di
sé. Non
c’era nulla che non andava.
Fece per avviarsi in
casa per
confermare le sue attese, quando si soffermò a leggere lo
striscione.
«
Non sei la denvenuta…
»
Di
sicuro suo marito voleva fare il simpatico. «
Perché la b
di benvenuta
è scritta al contrario? »
«
Perché
non ho ancora
imparato bene a scrivere in terrestre »
« Non te
l’aveva insegnato
Bra? »
« Alle volte
mi confondo »
Con
un sospiro, la donna entrò in casa, lasciando il marito sul
lettino,
ancora con
un’aria compiaciuta.
Appena
varcò la porta di casa e appoggiò la giacca
all’appendiabiti,
questo crollò sotto il suo peso. Bulma strabuzzò
gli occhi, ma
presto si rese conto che anche il resto dell’ingresso e del
salotto
di casa aveva ben
poche
cose rimaste integre.
Il
salotto era un campo di battaglia, su
cui erano disseminati quelli che parevano i corpi dei loro robot
domestici e – oh mio Kami
– sperò con tutto il cuore che quella gamba
abbandonata a terra e
cosparsa di sangue fosse quella di un manichino rubato dal
laboratorio e condito con il ketchup. Qualsiasi senso logico
avesse avuto
questo
pensiero.
Il tavolino di vetro
che tanto
bellamente aveva adornato il salotto adesso era conficcato nel muro,
mentre le schegge di vetro avevano intrappolato, stile lanciatore di
coltelli, quello che riconobbe come uno dei suoi impiegati, svenuto e
appeso a penzoloni contro il mobile. L’impianto stereo, la TV
e la
radio erano in fiamme e parte del soffitto pareva aver subito la
stessa sorte perché avvolto da un nero cupo, come il
caffè che
aveva bevuto con grazia quel mattino.
Traccie
di benzina cospargevano la stanza e avevano ridotto il divano tale
e quale al cugino che la settimana precedente avevano
abbandonato in discarica: seguì, boccheggiante, le strisce
di
benzina fino alla cucina, che trovò neanche messa
così male. Il
frigorifero era rivolto a terra e il lavandino, la cui acqua sgorgava
a terra creando
un fiume d’acqua, era la vasca da bagno di quello che
– AAAAAHHH!
- riconobbe
come una specie di
gremlin con i codini
azzurri.
Urlò con
tutto il fiato che
aveva in gola, cercando di scacciare il mostriciattolo che era sceso
dal lavandino e ora si stava arrampicando sulla cucina per arrivare
al lampadario.
« Scendi
subito di lì! Brutto
mostro! » gridò, isterica, « Vegeta!
»
Scatenò il
suo urlo a pieni
polmoni, ma il mostriciattolo non pareva intento ad andarsene, fino a
quando il lampadario non crollò sotto il suo peso e il
mostro scappò
via veloce, dirigendosi verso le scale e sparendo al piano superiore.
Bulma
uscì scossa dalla cucina, tenendo stretta tra le mani la
scarpa con
il tacco dodici con cui aveva tentato di scacciare il mostro. Si
guardò attorno, terrorizzata. Le finestre del piccolo vano
che
portano dal salotto alla cucina erano state tutte distrutte da pietre
e sul soffitto c’erano traccie di neve miste a sabbia.
Com’era
possibile?
Stava per dirigersi
più
terrorizzata che curiosa verso l’esterno per chiedere
spiegazioni
al marito, quando sentì un rumore di vetri infranti ed una
risatina
innaturale provenire da in cima le scale.
Si
avvicinò cauta, finché non notò in
cima alle scale un altro
mostriciattolo, ‘stavolta accompagnato da dei capelli ispidi
di
colore nero caffè fare capolino dalla tromba delle scale. Il
piccolo
mostro, che le sorrise con i suoi dentini affilati in maniera poco
rassicurante,
stava cercando
di buttare giù dalla scalinata la vecchia credenza di sua
madre che,
antico cimelio di famiglia, era
stato regalato loro
da parte
della bisprozia della nipote della moglie del fratello del cugino
acquisito. Da parte di mamma, s’intende.iii
Bulma
si strozzò nel suo respiro: « Fermo! Quel mobile
sarà pure
orrendo, ma non puoi buttarlo giù per le scale! »
Neanche il tempo di
finire la
frase che, dalla credenza, sgusciò fuori un altro terribile
mostriciattolo che, ‘stavolta con in testa una bizzarra
chioma
glicine, la fissò con occhietti spiritati e
sguainò le fauci, come
pronto per addentarla.
Prima
che Bulma potesse urlare, il mobile venne scaraventato giù
per le
scale dai due demonietti che, subito
scapparono, volando al piano di sopra e
andando a rifugiarsi in uno dei bagni: la donna, nonostante la paura,
superò con un salto atletico l’antica credenza che
finì a fare
compagnia al divano sventrato in salotto, e seguì le tracce
dei
mostri fino al bagno.
Appena
aprì la porta, uno sciame di api uscì dalla porta
e la rincorse per
tutte le scale, fino a che non scappò in salotto, uscendo
in giardino attraverso la portafinestra che – uh,
non l’aveva notato era stata
scaraventata in giardino, lasciando un vuoto incolmabile
tra giardino e salotto. Be’,
la
cosa positiva era che il buco sul soffitto che aveva creato suo
marito, in maniera artistica per
far vedere le stelline alla figlia minore,
almeno
era
rimasto tappato. Peccato per il resto delle mura che pareva stesse
per crollare da un momento all’altro.
Raggiunse
a grandi falcate il marito che, ancora, se ne stava al sole come una
lucertola e la fissò,
quando la vide,
con aria compiaciuta. Si portò davanti a lui con la schiuma
alla
bocca.
« Chi sono
quei demoni?! »
« Loro son-
»
«
Lascia stare! Risolverò la situazione da me! » e
sparì nuovamente
dentro la casa, pestando i piedi sul terreno e
creando
delle voragini sul pavimento. Vegeta osservò il suo adorato
fondoschiena sparire dentro casa e fece spallucce, tornando a sfidare
il sole. Ancora non voleva dargliela vinta a
quella bastarda di stella.
La
scienziata non si
arrese
e, con un urlo di guerra,
salì
di corsa le scale fino ad arrivare alle camere: notò con
orrore la
cameretta di Bra che era una strage di peluche e bambole decapitate e
squartate sul pavimento, mentre il letto aveva preso fuoco ed era,
al tempo stesso,
ricoperto di schiuma. La
stanza di Trunks, invece,
era sottosopra, nel senso che, in qualche modo, tutti i mobili e il
letto pendevano dal soffitto, attaccati con quella che, o era colla,
o non voleva sapere che sbobba fosse. Non si sa mai i teenagers che
possono combinare quando sono in preda agli attacchi ormonali.
Sentì
poi, d’improvviso,
una nenia lugubre provenire da quella che, era sicura, fosse la
stanza matrimoniale che condividevano lei e suo marito – o
ex-marito,
se presto non fosse venuto ad aiutarla invece di friggersi il
cervello al sole. Si avvicinò lenta,
schivando e superando di cadaveri di robot domestici che giacevano
per terra, assieme a residui di cibo e... lamiere di metallo? Avevano
distrutto pure i condotti dell’aria?
La
nenia, si rese poi
conto, si era
trasformata
in un party wild che, inaspettatamente, si stava svolgendo in camera
da letto: con tutto il coraggio che aveva in corpo, sfondò
la porta
e
si trovò davanti una schiera di fantasmi e demoni
dell’aldilà che
stavano facendo un party sul letto e sul pavimento, dipingendo la
stanza di variopinti colori di morte e putrefazione.
Boccheggiò
qualche istante e poi urlò.
«
Fuori di qui! » esclamò con furia, facendo voltare
tutti i demoni
ballerini verso di lei, i quali, resisi conto di avere davanti un
demone peggiore di loro, se la diedero a gambe, sparendo in una
nuvola di fumo. Urlò,
quando vide
due
mostriciattoli sul letto, quello con i capelli glicine e quella che
pareva una femminuccia con i capelli scuri a ciotolina, che stavano
per baciarsi. Senza contare il fatto che il demone con i capelli a
scodella indossava il suo abito di matrimonio.
« Viaaa!
» urlò indignata,
inseguendo i mostri per tutta la stanza, mentre questi
sghignazzavano, inquietanti, fin fuori il corridoio.
Si
apprestò a seguirli, fino a che non si trovò
davanti tutti e
quattro i demonietti che le ostacolavano la via di fuga. Afferrò
alla cieca un pezzo
di lamiera che giaceva a terra, pronta per difendersi dai mostri,
anche se, constatò con orrore, loro erano in quattro e lei era
sola.
Il
demonietto più
piccolo
con i codini blu pareva quello più sveglio e si
apprestò a morderla
ad una gamba, ma Bulma si difese con il bastone e
cercò di difendersi. Colpì con un colpo secco il
mostriciattolo che
aveva buttato da basso la terribile credenza della bisprozia, ma
l’altro demonietto, con i capelli tremendamente simili a suo
figlio, bloccò il bastone tra le mascelle
e lo tagliò tra le affilate fauci.
Bulma gridò
di terrore e cercò
di farsi strada, colpendo a casaccio i piccoli demoni che,
più che
essere spaventati dalla donna, si erano arrampicati sul soffitto del
corridoio e la fissavano a testa in giù, con la saliva che
scendeva
lentamente a terra dalla loro boccuccia deforme.
Quando
uno dei demoni girò la testa per fissarla meglio negli
occhi,
storcendo terribilmente il collo di 360° gradi, il suo coraggio
venne meno e mai fece così in fretta a correre
per raggiungere
l’ingresso della casa, dove soggiornavano Vegeta e la sua
sfida.
Quando
comparve sua
moglie gli
parve più pallida di un lenzuolo, ma non ne era sicuro, il
sole gli
aveva bruciacchiato le retine e lui
aveva iniziato a vedere degli unicorni saltellare
in giardino.
La donna si
voltò, tremante,
verso di lui. « M-ma… chi sono quei mostri?
»
Vegeta
parlò,
sempre
mantenendo
la sua espressione compiaciuta: «
Quelli sono i nostri figli quando non sono custoditi »
« C-come?
» balbettò Bulma,
arretrando barcollando.
Vegeta sorrise ancora,
anche se
guardò per qualche secondo il vuoto. Dannazione, non ci
vedeva
proprio, stupide retine, dove diamine si era messa la donna?
Quando
individuò la sua voce e
si orientò nello spazio-tempo, continuò.
« Hai sentito bene…
allora, pensi ancora che il mio lavoro sia inutile? »
Bulma emise un altro
gemito al
sentire un’esplosione provenire dal piano di sopra. Si
voltò,
arrabbiata, verso il marito che ancora faceva fatica a mettere a
fuoco i dintorni. Che ironia, a guardare troppo il fuoco, ora non
metteva più a fuoco.
«
Perché non fai nulla e te ne
stai qui?! » gli urlò, piccata.
«
Perché esigo le tue scuse »
La donna
sbuffò, portandosi una
mano al ciuffo di capelli che era scivolato dal cerchietto, e si
lisciò l’abito, o quello che ne rimaneva, visto
che sembrava una
scappata da Vietnam. Incrociarono entrambi le braccia al petto e
fecero il muso. Lei si rifiutò di guardarlo in faccia,
mentre lui,
ancora, non la vedeva la sua faccia.
Ad una certa,
finalmente, rimise
a fuoco il mondo e la guardò, ancora con fare compiaciuto.
Probabilmente a fine giornata il ghigno strafottente tenuto per ore
gli avrebbe fatto venire un ascesso alla faccia.
Un improvviso boato li
fece
girare verso la casa e seguì qualche secondo di silenzio di
troppo.
Poi, un fischio assordante attirò la loro attenzione,
portandola al
cielo, e Bulma spalancò gli occhi al vedere una palla di
lamiere che
si stava dirigendo a tutta velocità verso di loro.
La palla si
sfracellò al suolo
dietro di loro e distrusse l’unica parte del giardino che era
rimasta integra dalla devastazione, ossia il vialetto davanti casa e
il marciapiede comunale.
E anche la Gravity
Room aveva
tratto il suo ultimo respiro.
Il Saiyan
boccheggiò come un
pesce fuor d’acqua a vedere la devastazione del suo
giocattolo
preferito e si portò una mano al petto, sentendosi il fiato
corto,
incerto se fosse il principio di un infarto o le costolette di maiale
che ancora aveva sullo stomaco.
A tirar fuori entrambi
dall’imbarazzo di dover parlare per primi per spiegare il
perché i
Saiyan cuccioli fossero la versione miniaturizzata di satana, si
presentò con un bel sorriso Gohan che, come sempre alle
cinque del
pomeriggio, arrivava per portare a casa la sua adorata Pan e il suo
meno adorato fratellino Goten con cui, da circa dieci anni, doveva
condividere la quota ereditaria.
«
Buongiorno… » sussurrò al
vento, visto che gli occhidella coppia stavano ancora osservando i
resti fumanti della stanza gravitazionale. « Wow…
» bisbigliò,
poi, osservando la desolazione che regnava tutt’intorno. Non
che
non vi fosse abituato, ma almeno l’assicurazione di casa
Brief
copriva tutti i danni. « Wow, è un unicorno
quello? »
« Ora basta!
» si animò,
invece, il Principe dei Saiyan, « quei demoni hanno superato
il
limite! »
I tre fecero comunella
in una
piccola riunione improvvisata, per tirare fuori una strategia
d’azione, ma, presto, dovettero fare i conti con la
realtà: la
situazione era peggiore del previsto. Probabilmente due dei
mostriciattoli gozzovigliavano al piano di sopra, ma gli altri due
avevano raggiunto il giardino posteriore e, se non li avessero
fermati, la signora Brief avrebbe dovuto dire addio alla sua
collezione di petunie, e tutto volevano, tranne che procurare un
dispiacere alla signora Brief.
« Faremo
così » iniziò,
strategico Vegeta, nominato improvvisamente genitore esperto
e
responsabile. Un ruolo estremo e difficile da avere sulle
spalle,
ne erano consapevoli, ma nelle situazioni di emergenza, come quella
che stavano vivendo in quel momento, avevano poca scelta.
« Entreremo
in casa e saliremo
cauti al piano superiore: una volta lì, io
placherò le due bestie,
addormentandole. Poi scenderemo in giardino, per avere a che fare con
le altre due »
« Non ci
sarà il rischio che le
altre due, sentendo il nostro odore, ci raggiungano in casa,
abbandonando il giardino? » domandò cauto Gohan,
sistemandosi gli
occhiali sul volto con fare impegnato ed intelligente.
« Questo
potrebbe risultare a
nostro favore, così non toccheranno le petunie. Nel caso ci
circondassero, lasciate fare a me! »
Deciso il piano e
acquisito un
poco di coraggio, entrarono in casa.
La visione del salotto
si
presentò loro peggio di quanto Bulma ricordasse: il divano
aveva
stranamente smesso di bruciare, ma la credenza della bisprozia aveva
un aspetto orribile. Anche se, a dire il vero, lo aveva sempre avuto.
Cercando di non
respirare i fumi
tossici che uscivano dalla cucina, salirono quatti quatti le scale,
Vegeta davanti a dirigere il gruppo, Bulma in mezzo, mentre stringeva
con agitazione il braccio del marito e Gohan in fondo, che scrutava
attento i dintorni, alla ricerca di qualche minaccia come sua figlia
o suo fratello. Dai, che magari era la volta buona che ereditasse
tutta l’eredità.
Arrivati in corridoio,
si
fermarono davanti allo scricchiolio tenebroso della camera
matrimoniale che si apriva, cigolando. Il nero che ne
fuoriuscì non
faceva sperare nulla di buono, soprattutto per il fatto che accendere
la luce di giorno, quando fuori c’era il sole, era uno spreco
fastidioso e poco rispettoso verso l’ambiente. E poi la luce
naturale del sole faceva bene alla vista e alla pelle. Vegeta poteva
confermarlo.
Il gruppetto si
fermò immobile
al centro del corridoio, proprio al davanti alla porta e i
combattenti assunsero la posa d’attacco: Vegeta con il
bastone del
mocio tra le mani, Bulma con due ciabatte pronte a colpire e Gohan
con il tubo per l’aspirapolvere acceso.
L’urlo di
una delle creatura
gelò l’aria e subito uscirono dal buio della
caverna due
demonietti, uno con i capelli glicine e l’altra con i capelli
a
ciotola neri: il gruppetto dei Ghostbusters
tenne loro testa, cercando di resistere ai morsi dei dentini affilati
dei mocciosi e Gohan aspirò con convinzione la faccia dei
mostri
dentro l’aspirapolvere, sperando di catturare lo spirito
malefico
che li stava assediando.
Ad un certo punto,
però, non si
rese conto di stare avvicinandosi troppo ai due mostri che, prima che
Vegeta o Bulma potessero avvisarlo, lo afferrarono per le gambe e lo
scaraventarono a terra e, come risucchiato da una voragine, venne
trascinato verso il buio della stanza da letto, risucchiato dalle
spire nere della luce spenta.
La coppia
poté solo assistere,
indifesa, alla scomparsa del loro amico dentro la camera,
finché la
porta non si chiuse dietro di lui, cigolando.
« Oh mio Kami,
Vegeta!
Hanno preso Gohan! Cosa facciamo? »
s’impanicò Bulma,
stringendosi a Vegeta, che la teneva stretta per la vita e impugnava
una delle due ciabatte in mano, come un eroe con la sua spada
insanguinata.
«
Be’, non che sia una grande
perdita »
Lo sguardo corrucciato
di Bulma
gli fece cambiare idea. Sbuffò: «
D’accordo, andiamo in giardino!
»
Scesero di corsa le
scale ed
uscirono dalla porta posteriore nel giardino.
Si dovettero
nascondere ancora
una volta, e optarono per rifugiarsi dietro la carcassa di uno degli
alberi che i mocciosi, ‘stavolta tutti e quattro, avevano
sradicato
e gettato alla rinfusa vicino alle aiuole. La cosa positiva era che
le petunie ancora stavano bene, ma non per molto, pensò,
ansioso,
Vegeta.
Entrambi guardarono
meglio la
scena dei mostricciattoli che urlavano e strepitavano ad un paio di
metri da loro e notarono con orrore che, dai resti della GR, avevano
costruito un razzo a propulsione sul quale, vi era legato ed
imbavagliato Gohan che, con il tubo dell’aspirapolvere ancora
in
mano, cercava, invano, di liberarsi. Un enorme countdown in cima al
razzo segnava i minuti che separavano il razzo dal lancio verso la
Luna.
Probabilmente tutto
quello era
opera di Bra: la scienziata alzò gli occhi al cielo.
« Vedi che
succede a viziare tua
figlia? » bisbigliò rabbiosa, contro il marito
« che crea i razzi
spaziali! Te l’avevo detto di non regalarle quel libro
sull’astrofisica applicata e tu che fai? Glielo regali! La
stai
viziando troppo! »
«
D’accordo, Lascia che ci
pensi io, tu seguimi, ma lascia parlare me! » rispose,
invece,
Vegeta, non facendo caso al tono astioso della compagna. «
Ricordati
solo alcune regole importanti. Dobbiamo seguirle alla lettera,
altrimenti non saremo in grado di addomesticarli! »
Bulma
annuì, ansiosa di
liberarsi dalla situazione il prima possibile.
« Prima
regola, guardali dritti
negli occhi, così capiranno che sei tu il capobranco.
Seconda
regola, non alzare la voce, penseranno che tu possa piegarti alla
loro volontà. Terza regola, non voltare mai loro le spalle,
penseranno che tu sia debole! »
« Dove hai
imparato queste
regole? » chiese, stupita la donna.
« Da questo
libro! »
« Ma questa
è la guida pratica
per l’addestramento dei cani! »
« Be’,
è uguale »
Quando si avvicinarono
al branco
dei mostricciattoli che ballava e girava attorno alla preda che
avevano catturato, i demonietti si misero sulla difensiva e
iniziarono a ringhiare loro contro, ma Vegeta non tentennò
un
secondo e continuò ad avanzare cautamente in avanti, tenendo
le
braccia distese e le mani aperte e cercando di bilanciare i movimenti
del gruppo, perché questo non uscisse dalla sua zona di
controllo.
« Stai
calmo, Trunks » affermò
con tono deciso il Saiyan, avanzando passo per passo, con la moglie
dietro la schiena.
La forma indemoniata e
non
custodita di Trunks ringhiò e ruggì di rimando,
cercando di
acquistare terreno, ma senza successo. Il piccolo e poco adorabile
Goten – almeno in quel momento – che stava dietro
di lui, si aprì
in un sorriso di dentini affilati e cercò di fare lo stesso
di
Trunks, tentando di mordere il principe.
« No, Goten,
cattivo! » gridò
Bulma, ma Vegeta l’interruppe subito, allarmato.
« Ferma,
Bulma, così farai il
loro gioco! Va’ a liberare Gohan! »
Mentre la moglie era
indaffarata
nel cercare di liberare il figlio del Son, Vegeta portò sul
sguardo
sui tre demonietti che gli stavano davanti. Trunks ancora cercava di
avanzare ed era il più coraggioso del gruppo, anche se,
davanti al
suo passo deciso, stava iniziando a tentennare; Goten era un poco
più
incauto, ma meno resiliente e dopo un altro tentativo di assaggiare
la sua gamba, era rimasto indietro, quasi con la coda tra le gambe.
Pan, invece, poco più in là, aveva abbandonato la
noce di cocco che
stava sgranocchiando e si era concentrata sui suoi movimenti decisi e
più che arrabbiata, pareva curiosa, ma, per fortuna, troppo
cauta
per avvicinarsi.
« Calmo,
Trunks » riferì
ancora una volta, cercando di calmare il più forte dei tre,
quando
si rese conto che… uno… due…
tre… dov’era il quarto?
«
Dov’è vostra sorella? »
Alla sua destra, due
occhietti
azzurro ghiaccio accompagnati da un basso e famelico ringhio lo
fecero guardare nella siepe accanto. A quanto pare Bra aveva scelto
la posizione più nascosta e comoda per attaccare.
« Bambina
perspicace… »
sogghignò.
Il demonietto azzurro
uscì con
un balzo dalla siepe e si posizionò davanti al gruppo che,
al
completo, parve assumere di nuovo forza e si oppose con più
coraggio
al suo controllo, facendolo arretrare verso Bulma e Gohan, ancora
legato come un salame al razzo, del cui countdown a quanto pare,
tutti se ne stavano fregando.
« Vegeta!
» gridò, spaventata
la donna. Vegeta, vedendo che la situazione gli stava sfuggendo dalle
mani, prese, allora, una decisione estrema.
« Non vi
permetterò di lanciare
Gohan sulla Luna! » affermò deciso verso il branco
che ancora
ringhiava, rabbioso, verso di loro.
«
Sarà solo uno di voi a
farlo »
« Cosa!?
» esclamò Bulma.
« Hmmph!?
» esclamò Gohan che,
aspirapolvere alla mano, era ancora imbavagliato e legato al razzo
per la Luna.
Anche i demonietti si
erano
fermati alle sue parole e lo guardarono con fare curioso.
« E
lascerò che siate voi a
deciderlo, lottando tra di voi » concluse, infine, il Saiyan,
portandosi le braccia al petto.
Passò
qualche secondo di
silenzio in cui risuonò solo il countdown del razzo,
finché i
quattro demoni non si osservarono tra di loro e, guardandosi
improvvisamente in cagnesco, iniziarono a ringhiarsi l’uno
contro
l’altro. In poco tempo, il branco si dissolse in una lotta
intestina, in cui ognuna delle parti lottava per avere la supremazia
sull’altra.
Bulma lo raggiunse con
passo
incerto, osservando incredula la scena.
« Sei sicuro
che funzionerà? »
« Ma certo,
stai a guardare » e
fece nuovamente la conta: « tre…
due… uno… »
Come allo scoccare
delle lancette
dell’orologio che segna la mezzanotte, i quattro demonietti
improvvisamente avevano smesso di lottare e, accasciati a terra
l’uno
sull’altra, dopo aver ripreso le loro sembianze umane,
Trunks,
Goten, Pan e Bra, dormivano dolcemente, sfiniti dalla lotta.
« Dovevo
solo far terminare loro
le energie e presto si sarebbero addormentati come angioletti
» fece
il Saiyan, allargando le braccia e il sorriso.
A Bulma brillarono gli
occhi e si
gettò tra le braccia del marito, travolgendolo in un bacio
focoso,
anche se, probabilmente, Vegeta ne aveva abbastanza di fuochi quel
giorno.
Il loro bacio focoso e
romantico
li distrasse, però, da un piccolo dettaglio importante e il
countdown del razzo finì e il boato del razzo li travolse.
Si ritrovarono,
così, a fissare
il cielo, in cui la scia bianca del razzo verso la Luna strisciava
perpendicolare, per raggiungere le somme vette dell’atmosfera
e
andare a precipitare sul satellite.
Ops.
Sarebbero dovuti
andare a
recuperare Gohan, ma almeno la loro assicurazione copriva anche gli
incidenti sulla Luna.
The End
Angolo
dell’autrice
Non
avevo propriamente in
mente di tornare con una Sbavatura, ma avevo troppa voglia di
scrivere qualche scemenza. Spero che questa storiellina possa
rallegrare la quarantena di tutti voi :)
Purtroppo
ultimamente
bazzico poco per questi lidi e ci sono un sacco di storie belle che
ho da recuperare, quindi spero di farmi sentire al più
presto!
Intanto,
vi ringrazio se
siete arrivati fino a qui e se mi farete sapere che ne pensate,
grazie mille! Un abbraccio forte forte, a due metri di distanza!
A
presto,
Zappa
iGrazie
all’ego di Tony Stark
iiGrazie
a Darth Vader, per la gentile comparsa
iiiCit.
Le Follie dell’Imperatore
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