Nella
sala di controllo della base, i Cavalieri dello Spazio discutevano.
– E
così Nick si è ripreso? – chiese Nemo.
Un
sorriso sollevò le labbra della giovane donna.
– Sì,
ha perfino ripreso gli allenamenti nelle arti marziali. Purtroppo,
dieci giorni fa si è rotto la gamba e, per questo, non è
venuto. – spiegò lei.
– E’
qualcosa di grave? – chiese Balzac.
– No,
ma non può muoversi. Tuttavia, io intendo organizzare una
festa per celebrare la nostra guarigione. E soprattutto la sua. –
affermò la giovane informatica.
– Comandante
Nemo, lei è invitato. – saettò Tina, divertita.
L’uomo
fece per rispondere, ma, ad un tratto, la porta di ingresso della
base si aprì ed entrò un giovane soldato.
Nella
mano stringeva un pacchetto blu, a forma circolare.
– Che
cosa c’è? – domandò il comandante.
– E’
arrivata una lettera dell’esercito al
Cavaliere
dello Spazio Richard Varlause. E sembra che ci sia qualcosa che
riguarda il generale Varlause. – spiegò il milite.
Richard,
sentendo quel nome, sbiancò e, d’istinto, la sua mano
destra si strinse attorno al bracciolo del divano. Gli sembrava una
presa in giro ridicola!
Suo
padre era morto cinque anni prima a seguito di un attacco dei
Venomoidi!
Perché
riaprivano una ferita così dolorosa?
– E’
uno scherzo, vero? – sibilò, gli occhi rossi d’ira.
Le
sue dita si strinsero con maggior vigore attorno al bracciolo del
divano e il suo labbro superiore si sollevò, scoprendo i
denti, in un ringhio di belva.
– No,
non è uno scherzo… – balbettò il milite,
intimorito dall’espressione furente del giovane.
Il
Cavaliere dello Spazio, di scatto, si alzò, si avvicinò
al soldato e prese la lettera.
Poi,
senza alcuna parola, a passo rapido, uscì dalla stanza.
Un
silenzio imbarazzato, per alcuni istanti, coprì l’ambiente.
Nemo
si scosse dal suo stato di torpore e fissò il suo sguardo sul
soldato, che, immobile, attendeva sulla soglia.
– Puoi
andare. – ordinò.
Con
un breve cenno del capo, questi annuì e si allontanò,
lasciandoli soli.
– Signore,
che cosa ne pensa? – domandò Star, stupita. Cinque anni
prima, i Venomoidi avevano attaccato la città natale di Ringo,
causando una catastrofe umanitaria.
Il
loro compagno aveva dovuto vedere il degrado della sua casa natia,
che aveva ceduto ad una donna coraggiosa, che cercava di aiutare dei
ragazzini a non sprofondare nella disperazione.
Certo,
sembrava che quell’evento non lo avesse toccato, ma lei e Nick
si erano accorti dell’indurimento del suo sguardo.
E,
qualche giorno dopo, lei aveva compreso la ragione della sua
chiusura.
Aveva
trovato Ringo nella sua stanza, steso sul letto, mentre accarezzava
la foto di un uomo dai lineamenti duri, circondato da una folta
chioma bionda.
Il
suo sguardo, privo di lacrime, rifletteva un’aspra pena e le
ricordava quello di Nick, durante le sue crisi depressive.
Le
era parso un’altra persona.
Preoccupata,
si era avvicinata a lui e, malgrado la sua iniziale ritrosia, era
riuscita a farsi rivelare il motivo di tanta malinconia.
Suo
padre era morto durante un attacco dei Venomoidi. E lui non aveva
potuto dirgli addio.
Non
aveva pianto, ma la sua voce si colorava di dolore, mentre parlava.
–
Non
so cosa dirti Star. Andrò a parlare con Ringo, ma non
aspettatevi grandi risultati. Sapete come è fatto. –
mormorò Nemo.
Poi,
a passo rapido, attraversò la sala e uscì.
Richard
entrò nella sua stanza e la porta, con un tonfo, si chiuse
alle sue spalle.
Per
alcuni minuti, rimase fermo, le mani strette attorno al pacco, poi lo
aprì e rivelò un piccolo computer portatile grigio,
grosso quanto un libro e di forma rettangolare.
Il
giovane la accese e, sullo schermo, davanti ai suoi occhi
nereggiarono lettere, che si composero in frasi e periodi.
Il
giovane, sgomento, sbarrò gli occhi e un pallore livido si
distese sul suo viso.
– No…
No… No… – balbettò. Quello che aveva letto
era assurdo…
Eppure,
era firmato dall’esercito...
D’istinto,
fece un passo indietro e lasciò cadere sul pavimento il
portatile, che impattò con un tonfo secco.
La
stanza, ad un tratto, cominciò a perdere i suoi contorni
netti, come se si stesse sciogliendo, e a vorticare attorno ai suoi
occhi.
Sopraffatto
da una violenta vertigine, arretrò e appoggiò la mano
destra sul muro, il petto scosso da ansiti d’affanno. La testa,
in quel momento, gli girava e, se non avesse cercato un punto di
appoggio, sarebbe crollato privo di sensi sul pavimento.
Non
poteva essere vero!
La
realtà, che forniva un senso alla sua esistenza, si sgretolava
in centinaia di aguzzi frammenti…
Tutto
era menzogna!
– Non
riesco a crederci… – mormorò. Suo padre non era
morto, come aveva creduto per cinque, lunghissimi anni.
Era
stato ferito gravemente in un attacco dei Venomoidi, ma tale notizia
era stata tenuta nascosta, a causa del suo alto grado militare.
Le
lacrime salirono ai suoi occhi, annebbiandogli la vita, ma lui, con
un gesto nervoso, le allontanò. Aveva perduto già sua
madre, a causa di un terribile cancro al seno, e quella lettera
distruggeva quello che rimaneva della sua famiglia.
E
i militari chiedevano a lui di porre termine alla sua vita.
– Non
posso… Non posso… – balbettò, la voce
tremante. Suo padre non era morto, ma il suo stato era peggiore della
morte.
Solo
le macchine tenevano in vita un corpo che, in altri tempi, si sarebbe
spento.
E
i militari chiedevano a lui, in quanto suo figlio, di prendere una
decisione crudele.
Doveva
scegliere se tenerlo in vita o staccare le macchine a cui la sua
esistenza era legata.
Un
moto d’ira incendiò il suo cuore. Suo padre era stato un
militare rispettato e, grazie al suo carattere volitivo, doveva
essersi guadagnato rispetto e considerazione.
Capiva
la necessità di celare la notizia della sua morte al tempo
della guerra, per non scoraggiare i soldati, ma, in nome del
cameratismo, al termine di questa, dovevano rispettare la sua scelta.
Eppure,
avevano lasciato che continuasse a giacere in un sonno privo di
risveglio.
Il
suo amato genitore era stato condannato a cinque anni di esistenza
vegetale.
Si
massaggiò le tempie, cercando di placare la pressione dei
pensieri. Il suo amato genitore non avrebbe mai tollerato una simile,
indefinita agonia, e i suoi compagni d’arme dovevano essere a
conoscenza delle sue volontà.
Eppure,
non prendevano una decisione definitiva, rispettosa delle sue scelte
e del suo temperamento.
Perché
scaricavano sulle sue spalle un tale, orribile peso?
Con
uno scatto metallico, la porta si aprì ed entrò Nemo.
Il
giovane soldato si scosse dai suoi pensieri e fissò uno
sguardo vitreo sul più anziano militare.
– Ringo,
che cosa succede? – chiese
l’uomo, il tono apparentemente calmo. Quando avevano parlato di
suo padre, il suo umore era repentinamente mutato.
Si
era allontanato, il cuore oppresso dall’angoscia.
E,
in quel momento, i
suoi occhi azzurri portavano la traccia di lacrime, malamente
represse.
Non
riusciva a trovare un nesso a questi eventi.
Il
pilota si chinò, raccolse il portatile e lo consegnò al
militare più anziano.
Questi
lo accese e, rapido, lesse la missiva.
– Capisco.
– mormorò, dispiaciuto. I militari, nella loro consueta
vigliaccheria, avevano scaricato sulle sue spalle una responsabilità
crudele.
Anche
a Ringo toccava la stessa sorte di Nick, seppur per motivazioni
differenti.
I
soldati desideravano servirsi di lui come di uno strumento, pur di
non sporcarsi le mani.
Sopraffatto
dalla disperazione, il giovane si lasciò cadere seduto sulla
brandina, la testa tra le mani e il respiro affannoso.
Il
comandante, preoccupato, gli si avvicinò e gli appoggiò
una mano sulla spalla.
– Non
sei obbligato ad obbedire ai loro ordini. – cercò di
rassicurarlo Nemo.
Ringo
non meritava di soffrire ulteriormente.
E
non doveva alcun riguardo agli ordini stupidi dei militari.
Un
triste sorriso sollevò le
labbra del giovane uomo. Nonostante la sua intelligenza, il
comandante Nemo non vedeva l’interezza della questione, ma non
gliene faceva una colpa.
– Signore,
non sono obbligato da un punto di vista legale, è vero, ma…
– mormorò.
La
voce gli si spense in un gemito amareggiato e il giovane, con più
forza, si strinse la testa tra le mani.
Sono
un idiota., imprecò
Nemo
tra sé. I militari avevano intrappolato Ringo in una
situazione dolorosa e si erano serviti del suo amore filiale.
Avevano
sfruttato l’affetto e il rispetto da lui nutriti per il suo
genitore perduto, incuranti della pena a cui lo stavano condannando.
E
questa era una trappola ben più soffocante delle leggi.
Richard
si alzò dalla branda e, per alcuni istanti, strinse i pugni,
il corpo rigido come un blocco di marmo.
– Hai
già deciso cosa fare? – domandò, cauto, Nemo.
Il
giovane uomo provò a parlare, ma la sua voce si spense in un
debole e lamentoso singhiozzo.
– Mi
perdoni… Ma mi sembra tutto così assurdo… Vorrei
che fosse un incubo, ma è la realtà… –
mormorò,
la voce incrinata dalla disperazione.
Le
labbra di Nemo si sollevarono in un sorriso e il suo sguardo, di
solito fermo, scintillò d’una luce bonaria. Lui cercava
di mantenere una maschera di forza e di contegno e questo suo
comportamento era encomiabile, degno di un abile e coraggioso
soldato.
Ma
il suo cuore di figlio era dilaniato dal dolore e tale sentimento era
naturale.
Se
fosse crollato, soverchiato dalla pena, nessuno avrebbe potuto
biasimarlo.
– Comandante,
le devo chiedere un grosso favore… – cominciò,
atono.
– Quale?
– chiese Nemo.
– Star
vuole festeggiare la rinascita di Nick, dopo cinque lunghi anni di
cure… Può
dire che non mi sento bene e non potrò venire alla festa?
Nessuno deve sapere nulla… –
domandò.
Per
alcuni istanti, Nemo rimase silenzioso. La decisione di Ringo era
assai dolorosa, ma ne comprendeva le ragioni.
Aveva
posto le esigenze dei suoi compagni davanti alle proprie.
Voleva
dare ai suoi amici la possibilità di trascorrere una giornata
gioiosa e non desiderava angustiarli con le sue pene.
Il
suo pensiero era rivolto soprattutto a Nick, appena uscito da un
lungo e doloroso periodo di cure psicofisiche.
Come
un fratello maggiore, bramava proteggerlo.
Sei
un uomo generoso, Richard.,
pensò il comandante. Era stato un soldato coraggioso, malgrado
l’animo intemperante.
Pur
di non angosciare i suoi compagni, era deciso ad affrontare da solo
una pena tanto dolorosa.
Ma
quanto avrebbe sopportato quel greve peso?
Tuttavia,
non poteva costringerlo a parlare.
– Sì.
Rispetterò la tua scelta. –
1)
prima fic su Teknoman… Sto facendo un rewatch e devo dire una
serie carina (con molte scemenze, ahimé).
Ringo
è il mio preferito e mi dispiace che non gli sia data
l’introspezione che merita, per dare spazio a Brando. (non lo
odio, anzi, ma in certi momenti sembra che ruoti tutto attorno a lui,
con conseguente culto della minchiata). Qui ho deciso di sfruttare la
carica di angst inespressa e di ribaltare alcuni cliché.
Penso
sarà una fic di cinque capitoli.
Preciso,
uso i nomi del doppiaggio italiano, li sento più legati alla
mia adolescenza (quindi Levin qui è una donna e si chiama
Maggie Matheson).
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