Rubaiyyàt

di Fiore di Giada
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Dammi il vino, ché esso è balsamo al mio cuore ferito,
è il compagno di quelli che han perduto la testa per
amore.
Per il mio cuore, la feccia di ogni sorso di vino è migliore
della volta celeste, coppa del teschio del mondo.


La luce della candela, posata su un tavolo, illumina di deboli bagliori la stanza.
Rashid, seduto, scruta il bicchiere, colmo di vermiglio vino.
Di tanto in tanto, singhiozzi scuotono il suo corpo.
Stringe le gambe contro il suo petto e, per alcuni istanti, resta immobile.
Pensa a lei, priva di sepoltura.
E’ morta sola, lontana dal suo paese e dalle sue radici.
Una fredda scatola di metallo è la sua bara.
Perfino lui, amante della tecnologia, si sente straziato davanti a questa realtà.
Tale consapevolezza dilania il cuore di Rashid.
Si sente colpevole di quanto accaduto a lei.
Quanta solitudine ha patito la sua cara amica?
Non ce la faccio… – mormora. Nessuno conosce la sua segreta amarezza.
Per sua volontà, nessuno comprende l’oppressione che stringe il suo cuore.
Prende il vino. Esita.
Poi, beve.
Il nettare vermiglio scorre delle sue vene.
I pensieri si allontanano.
Sorride.
Si sente bene, cullato dal vino.
Presto, l’oblio alcolico si impadronisce di lui.




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