Ceneri e polvere

di Cossiopea
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Ceneri

[Peter Parker]

 

È come svegliarsi.

Come tutti gli altri giorni della mia vita. Come le mattine in cui la sveglia rimbomba nel buio del sonno e il contatto con il silenzio si attenua leggermente.

Un passaggio lento, accompagnato dai pensieri che ricominciano a scorrere, roteando in una girandola di sensi. Dapprima sono solo emozioni, colori, sensazioni... Niente di definito, solo il fantasma di quello che in realtà mi circonda, lo spettro del mio presente.

Il mondo sembra ancora un miraggio, un universo che appartiene al passato, una vita che non pensavo avrei più vissuto. E per un secondo ogni cosa si inverte.

I sogni diventano la realtà e il desiderio ardente di immergermi nuovamente in quell'oblio mi pizzica la coscienza. Ciò che è oltre le palpebre diviene soltanto un gioco di ombre e luce, materia che si mescola in un'illusione in cui non voglio tornare.

Poi il velo di tenebre si dirada. Il contatto col vuoto si interrompe.

Parole e immagini sempre più definite iniziano a vorticare, soffocando i sogni, che sbiadiscono man mano.

I pezzi del mio essere si uniscono, iniziando a prendere forma in qualcosa che dapprima non recepisco. Una figura sfocata, un'entità che credo di ricordare. Forse sono io.

È come svegliarsi.

È questo che fa male.

Sento che qualcosa è diverso ma ancora non lo comprendo e i ricordi sono ottenebrati, come se il mio inconscio mi impedisse di ripescare quelle memorie dal baratro di bugie in cui sono precipitate. Come non volesse rammentare i fatti, preferendo l'ignoto.

Scavo sempre più a fondo, lottando contro me stesso, ciò che sono che prende forma mentre spalanco, una per una, le porte della mia mente.

Cosa è successo?

Perché è come se mancasse qualcosa?

Uno schiocco. Blip.

La cenere. Polvere che si disperde nel vento. Terra che si mescola con le lacrime e col sangue.

Figure che svaniscono sotto i miei occhi spauriti. La mia bocca che si apre e parole che non ricordo che ne escono mentre il mio stesso spirito sembra dibattersi, il mio corpo che ancora combatte contro il volere del fato.

Braccia che mi cingono. È qualcuno che conosco.

Le lacrime lasciano scie sulle guance sporche mentre chiudo gli occhi e singhiozzo più forte.

Non voglio morire...

Morire...

È come svegliarsi. Ma fa più male.

Quando finalmente capisco è come se una freccia ardente mi abbia appena perforato. Un brivido mi attraversa, eppure sto sudando.

Respiro, ma ancora non capisco perché.

I ricordi divengono chiari nella penombra della mia mente.

Signor Stark?

Spalanco gli occhi e una luce scarlatta li trapassa.

Ho i polmoni pieni di pulviscolo, sento i muscoli rigidi, ma il cuore mi batte all'impazzata, il petto che si alza e si abbassa in un ritmo innaturale.

-Signor Stark?- quelle parole fuoriescono rauche dalla mia gola arida, ma c'era speranza in esse, la speranza che qualcuno risponda.

Silenzio.

Aspetto che la sua voce mi raggiunga, che quell'uomo che considero padre mi stringa come prima di abbassare le palpebre, un secondo prima di piombare nel buio.

Mi risponde solo il fischio del vento. Lui non è qui.

Chiudo di nuovo gli occhi e lascio che una lacrima scivoli sotto le palpebre.

-Ragazzino?

Li riapro. Una figura è china su di me.

La osservo per un secondo dietro ad un velo di lacrime. Il suo mantello vermiglio fluttua nel fiato rovente di Titano mentre i suoi rigidi occhi si fissano nei miei.

Poi sorride.

Vedere la sua bocca curvarsi in quel modo fa quasi paura. Sinceramente non credevo ne fosse in grado.

Mi tende una mano.

Guardo quelle dita mentre ancora il mio sguardo tremula e i ricordi mi assillano. Perché tutto mi sembra così assurdo? Perché è come se un dettaglio fondamentale continuasse a sfuggirmi?

Poi comprendo e qualcosa mi percuote le viscere.

Sono vivo.

Me ne rendo conto solo adesso.

Un altro brivido.

Mi faccio passare la lingua sulle labbra e mentre l'intero universo inizia a rotearmi intorno, mentre tutto ciò che sono crolla in questo amaro presente, afferro quella mano.
 

***
 

Polvere

[Tony Stark]

 

Uno schiocco.

È sempre strano pensare che questo semplice gesto possa aver cambiato l'universo, il corso della storia.

Uno schiocco. Niente di più semplice come due dita che sfregano l'una contro l'altra e l'energia che le attraversa. Una scintilla che piega le regole del cosmo, scombinando le carte che da sempre ho imparato ad accettare. Leggi, regole, formule che dividono il possibile dalla fantasia. La realtà dalla finzione.

È quasi ironico che uno schiocco di dita – come quando batti il tempo di una canzone diletta o un'idea geniale ti illumina la mente – possa rovinare tutto.

Si pensi solo a quei cervelloni che si sono spaccati la testa pur di scrivere quelle regole, numeri o simboli. Un secondo e tutto è andato.

Blip. Fine. Basta.

L'universo si inchina davanti a quelle due dita che schioccano. Ogni preghiera o speranza svanisce.

Polvere che viene dispersa. Ciò che un istante prima credevi tuo figlio – perché nonostante tutto lui lo era, mio figlio; lo è sempre stato – quello dopo non c'è più. Solo vento sporco di fuliggine.

È successo tutto troppo in fretta.

Se lancio uno sguardo indietro buona parte della mia vita sembra solo un miraggio, un sogno interrotto a metà.

Dopo lo schiocco ogni cosa si confonde con il buio, tenebre che spingono per irrompere nella mia mente esausta.

Sono stanco. La sola cosa che voglio è chiudere gli occhi e prendere per mano le ombre, l'oscurità che preme da oltre il confine della mia coscienza.

Ci sono secondi di vuoto.

Figure che si muovono, grida, lacrime che gocciolano. Forse sono le mie.

La vista si fissa sul ragazzo, poco prima che ogni cosa finisca.

I miei occhi sfiorano i suoi e il desiderio di dirgli qualcosa – qualsiasi cosa – mi riempie il cuore. Anche solo un addio, soltanto un modo per andarmene senza che si senta tropo in colpa. Voglio che sappia che sono fiero di lui.

Vorrei dirgli tante cose, parole che però sono bloccate in gola, che lottano per uscire. Ma sono cristallizzate lì, e se ne andranno con me.

Lui dice qualcosa, ma le orecchie mi fischiano troppo e non lo sento. Non mi sono mai sentito così male, ma allo stesso tempo in pace con me stesso. Una quiete che non sperimentavo da tempo, che forse non c'è mai stata.

Il mio nome gli sfugge tra i singhiozzi. Stranamente quello lo sento con chiarezza.

Non signor Stark, non signore... ma Tony.

Una morsa mi stringe il cuore.

Peter... Ma il suo nome non esce.

Potevamo essere una famiglia, ma è andata diversamente.

Tento di prenderla con leggerezza, ma i suoi occhi d'improvviso diventano così nitidi, il mio viso che si riflette in quello sguardo fradicio di lacrime.

I ruoli si invertirono e i ricordi, senza che io possa fermarli, scivolano a cinque anni fa. Le mie mani che si stringono sul nulla, il tempo che si blocca, la vita che si divide.

Ma ora, nonostante tutto, è diverso.

È tutto finito.

Deglutisco a vuoto e per un secondo i miei occhi si chiudono. Per un secondo ho la tentazione di tenerli chiusi, di lasciarmi andare, ma poi li riapro.

Peter non c'è più, ma la sua voce ancora risuona nel silenzio.





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