La più grande meraviglia

di fiore di girasole
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C'era una volta un piccolo e pacifico regno, caduto sempre più in disgrazia da quando si era ritrovato isolato. I regni vicini, più grandi e sontuosi, erano stati occupati e sconfitti, gli abitanti schiavizzati e ridotti in miseria, finché le rivolte popolari non avevano contribuito a spazzare via tutto. Il piccolo regno però non interessava a nessuno. Sono i grandi territori a costituire una fortuna, non i pugnetti di terra.
E così, dopo numerosi anni di isolamento dal resto del mondo, la gente tirava avanti solo perché non aveva mai conosciuto gli orrori di sanguinose battaglie, la loro indole pacifica non era stata messa a dura prova e potevano permettersi l'unico lusso negato ad altri luoghi, quello dell'ingenuità e del buon cuore. Pareva quasi che quel regno fosse chiuso in un sogno collettivo di serenità, gioia, spensieratezza.
Tutto ciò fin quando il vecchio re non si ammalò. Gli restava poco da vivere, la moglie non l'aveva mai abbandonato, né lo faceva sentire vecchio, eppure si sentiva gravato di una grande preoccupazione. Sul serio egli era l'unico a rendersi conto che il suo regno rischiava la rovina totale?

Chiamò il suo consigliere, l'unica persona di cui potesse fidarsi ciecamente. Era ora che qualcuno lo aiutasse a trasformare il principe in un vero uomo.
«Mio carissimo amico, se Dio vorrà vivrò ancora per qualche mese ma non me ne andrò in pace se sarò costretto a cedere il trono a quel figlio indegno.»
«Non parlate in questo modo, Sire. Vostro figlio non è il cavaliere più valoroso che poteste avere, ma il suo cuore è grande, il suo animo è puro a ama il popolo almeno quanto Voi. La sua fedeltà a Voi e al regno è assoluta e sincera.»
«Mi auguro tanto che sia come dici. Si allena in combattimento come un bambino.»
«È L'entusiasmo giovanile a muoverlo, Sire.»
«Non guarda le femmine, eppure ne abbiamo di bellissime.»
«Si concentra sul combattimento. Semmai qualcuno volesse far del male al nostro popolo lui rischierebbe la vita per primo.»
«La verità è che quell'idiota non ha ancora capito che cosa vuol dire essere adulti, e allo stesso modo non ha ancora capito che differenza c'è tra maschi e femmine e perché la distinzione è importante. Chiamalo, portamelo qui. Gli farò una proposta. Non posso più rimandare. Ho necessità di sapere che alla mia scomparsa il mio regno sarà in buone mani.»

Pochi minuti dopo, il principe Eusebio varcò la soglia della stanza regale del padre, gli rivolse un mezzo inchino e, in modo rispettoso, si appropinquò fermandosi però a metà strada.
«Padre, mi avete chiamato.»
«Vieni qui, figliolo, fatti guardare bene,» disse, e gli fece segno di avvicinarsi. Eusebio obbedì. Il re si accorse che il figlio d'un tratto aveva assunto un'espressione rattristata.
«Sei diventato grande e muscoloso. Sono fiero di vedere che il tuo impegno ti ha forgiato nel corpo. Per me invece la sorte è diversa. Oramai manca poco alla mia dipartita, serve che t'impegni a forgiarti anche nel carattere. Quando non ci sarò più...» Un improvviso colpo di tosse impedì al re di terminare la frase. Eusebio si inginocchiò accanto al vecchio, gli strinse una mano tra le sue quindi gli baciò una guancia.
«Quando non ci sarete più questo regno avrà ancora la sua regina. E Dio mi è testimone che non esistono regnanti più meritevoli di voi due.»
«Lei mi è troppo legata, mi seguirà nella tomba. Sei la nostra unica speranza, Eusebio. Sarai tu a dare lustro alla nostra stirpe, a dimostrare che il tuo nome è degno di te. Ricordi il suo significato, vero?»
«All'incirca Colui che fa le cose per bene
Il re annuì.
«Ti affido una missione, figliolo. Hai tempo finché sarò in vita. Dimostrami il tuo valore. Partirai oggi stesso e il nostro fedele consigliere ti accompagnerà nel viaggio, seguendo le indicazioni che tu stesso gli darai. Voglio che tu veda le più grandi meraviglie del mondo, che scopra qual è la tua e che la porti qui davanti a me. Se riuscirai nell'impresa tu sarai re e io potrò morire in pace, se fallirai il nostro regno sarà spacciato.»
«Non fallirò, padre. Conosco le dodici meraviglie del mondo.»
Il consigliere credette di aver compreso male, per rispetto del galateo non poteva intervenire senza essere interpellato.
«Dodici?!» chiese il re, anch'egli per avere conferma di quanto udito. «E le ricordi tutte? Rammenta che sarai tu a guidare in viaggio il consigliere, il quale avrà il compito di appuntare ogni tuo traguardo ma ti sarà unicamente di sostegno. Egli avrà il divieto di consigliarti, ciò vuol dire che ogni decisione spetterà a te.»
«Certo, padre. Le ricordo tutte. Sono quelle di Ercole, nevvero? Troverò le dodici meraviglie, porterò a compimento ogni impresa, infine tornerò qui da voi a riferire personalmente della più grande meraviglia che possa esistere. Ho già chiaro in mente quale sarà il programma del grande viaggio.»

Rimasto solo, il re non poté che ribadire quanto aveva sempre temuto: «Che imbecille!»




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