Semper Amemus.

di Longriffiths
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Le ginocchia bruciavano molto più dell'animo appestato, quando si ritrovava in quella posizione innaturale, ogni volta che il padrone reclamava i suoi servigi.
Anche le scie vermiglie del corpo che abitava scottavano sull'epidermide, quando calavano sulla pelle sfregiata dalle copiose cicatrici sanate per miracolo.

In quei momenti, preferiva tacere, perché se avesse aperto bocca avrebbe appellato il suo superiore col nome originario, e non con quello sceltosi dopo essere stato bandito dal Paradiso. Perché era così che voleva ricordarselo lei, come qualcuno che ancora considerasse in qualche modo la sua esistenza, qualcosa di fondamentale.

Non solo un mostro mangiatore di anime, al quale niente importava men che meno della sua persona. Preferiva pensare che l'avesse scelta perché era superiore a tutti gli altri, e perché dall'altro lato gli era stata così affine da essere considerata l'unica degna di fiducia, di riguardo, di stima. 

Ma era un dolore caldo, come le fiamme inestinguibili che avvolgevano l'esterno dell'edificio in cui erano costretti a operare, e l'entrata era gelata, in senso letterale, da un ghiaccio che mai si sarebbe sciolto.
Al contrario di ciò che chiunque potesse pensare, all'interno faceva freddo.

Lo stesso orrore che le deturpava la carne del viso apparentemente prossima alla decomposizione, era lo stesso che presentava il suo spirito. 
Da molti, troppi anni ormai. 
Ma quello, nessuno poteva vederlo.

Si era abituata al sapore del pus che le colava dentro la bocca dalle pustole infette suo segno distintivo, dal quale larve di mosca di cui lei era Signora fuoriuscivano dalle uova che le marcivano sottopelle, rendendo l'aria al suo passaggio pregna di lezzo nauseabondo, che si attaccava alle pareti dell'Inferno.

Era vietato leccarle quelle pareti, poiché gli insetti portatori di morte, sciagure e malattie nati dai suoi tessuti, seguivano quella scia attaccandosi alle mura, e chiunque ci avesse appoggiato la lingua, si sarebbe trovato invaso da essi esattamente come lo era lei. Ma delle loro pelli, se ne sarebbero cibati. 

Quella, era una delle punizioni preferite, che infliggeva a chi disobbediva a un ordine. Era uno dei privilegi dell'essere il braccio destro del capo.
Poteva fare qualsiasi cosa a chiunque volesse secondo il proprio criterio coscienziale e capriccioso, e nessuno avrebbe potuto obiettare.

Alcuni preferivano attraversare quei corridoi solo quando il passaggio era libero, e  non negli orari di punta dal lavoro, preferendo addirittura se necessario, non muoversi dai propri studi, per evitare di essere spintonato dalla massa di demoni o di anime condannate, e finire anche per sbaglio a contatto con quelle bestie.

Lei era una dei massimi esponenti sul quale ricadeva tutto l'odio più profondo dell'inferno. Al suo passaggio sguardi livorosi intrisi di veleno le consumavano le viscere. Lei era simbolo di peccato e ingiustizia per antonomasia.
Lei era il flagello peggiore del demonio in persona.

Nessuno l'avrebbe mai amata. Nessuno le avrebbe mai dedicato un solo pensiero benevolo, o quantomeno, orbo di negatività. 
Suscitava invidia e paura. Un pericolo ambulante, dietro quello sguardo pacato e indifferente. E sorrideva, talvolta. 

Lei, Lord Belzebù, la puttana del diavolo.

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OKAY, io la adoro e non è solo quello che appare dalla presentazione, ma era doveroso mostrarvela da quello che secondo me è il punto di vista degli abitanti degli inferi. Spero apprezziate, comunque.
Alla prossima!




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