Lo scambio
Ciao ragazzi. È da tantissimo tempo che non scrivo, ma ho
voluto tentare, forse per liberarmi la testa. Ho provato a scrive
questa storia diverse volte negli anni, ma il tempo passa e si è
evoluta, è cambiata grazie anche alle recensioni che mi hanno
aiutato a capire i punti deboli. Non so se questa è la volta
buona, ma ci provo lo stesso. Non sono nemmeno certa se pubblicare sia
una buona idea, alla fine non mi aspetto che qualcuno la legga, anche
perché i lettori trovano poco interessanti le storie di
questo tipo. Se invece vi va di leggerla, buona lettura! Spero che non risulti troppo banale, ho deciso di ambientarla durante il quinto anno, e cercherò di "salvare il salvabile".
Capitolo 1
Lo scambio
Frank Longbottom avanzò nel corridoio immerso in una sinistra
penombra verde. Si sentiva stordito, estraniato dal suo stesso corpo,
l’aria sembrava così densa da dargli la sensazione di
camminare sott’acqua, ma le sue gambe con una sicurezza
sorprendente lo condussero un passo dopo l’altro fino alla porta
spalancata alla sua destra e alla fonte di quei singhiozzi
strazianti.
Rimase sulla porta, fermo immobile a fissare l’interno della
stanza. L’unica fonte di luce veniva dalla finestra di fronte, il
marchio nero illuminava il cielo notturno. La stanza era devastata, sul
pavimento cassetti rovesciati e oggetti rotti, il fasciatoio era stato
ribaltato così come la culletta. Sulla parete degli scuri e
densi schizzi scintillavano sinistri alla luce che filtrava da fuori.
Infine si prese di coraggio e abbassò lo sguardo su
quell’unica figura rannicchiata a terra.
Si dondolava avanti e indietro, cullando stretto al petto un fagottino inerme.
Lo assalì una pena immensa e soffocante.
-David....-
Non ricevette risposta e non se ne aspettava una.
David rimase in silenzio, scosso da singhiozzi e da tremiti mentre le
lacrime scendevano a bagnare il pagliaccetto macchiato della sua
bambina. La sua bella bambina che lo fissava con gli enormi occhi
azzurri spalancati e vitrei. Le aveva asciugato il sangue ancora fresco
dal viso. Sul volto ancora impressa l’espressione disperata e
contratta del pianto.
Sollevò la manina morbida e candida con due dita tremanti e se
la portò alle labbra baciandola con tenerezza e devozione.
Frank si senti girare la testa. Lui aveva un figlio della stessa
età e cercò con tutto sé stesso di non pensare a
niente, di fermarsi lì e non andare oltre.
-Tra poco arriveranno dal Ministero per portare via i corpi.- disse con voce quanto più possibile ferma.
C’erano quattro corpi dall’altra parte della casa. Quello
del loro collega Johnson e del mangiamorte che avevano affrontato
giacevano nell’ingresso, quello di Mary Margaret nel soggiorno e,
nella cucina invece, quello della madre babbana di Mary, che aveva
ricevuto un trattamento più cruento. Arrivare fin lì,
fino alla stanzetta della piccola Gloria, era stato agghiacciante.
Eppure ci aveva sperato fino all’ultimo, fino a momento in cui
aveva posato gli occhi sulla massiccia sagoma del collega riverso a
terra, che almeno la bambina, almeno lei fosse stata risparmiata, che
fosse scampata a quella barbarica morte. E invece si erano pure
accaniti su quel corpicino, non le avevano scagliato subito
l’anatema che uccide.
Nel vedere David accarezzarle con amorevole delicatezza i capelli
biondi, ancora legati in cima alla nuca, e posarle leggeri baci sulla
fronte, come a volerla rasserenare dopo quella spaventosa esperienza,
Frank realizzò che se fosse capitata a lui una sorte così
crudele sarebbe impazzito dal dolore. Avrebbe preferito morire
piuttosto che sopravvivere a sua moglie e a suo figlio.
D’un tratto David si alzò. Continuava a cullare la bambina
tra le braccia, sussurrandole parole dolci. Frank non sapeva dire
quanto tempo fosse passato, ma si sorprese di vedere David ergersi in
tutta la sua altezza, sollevando con immensa forza tutto il dolore che
portava in sé, e tenere alto, fiero e combattivo lo
sguardo.
-Non sono ancora arrivati...- la voce gli uscì flebile e
tremula, e poi lo guardò. -Frank, non dovrai dire a nessuno
quello che stiamo per fare.-
Con ancora la bambina tra le braccia lo guidò davanti ad uno
specchio sulla parete del suo studio. Uno specchio prezioso, antico,
leggermente annerito negli angoli ma che rimandava il riflesso
spettrale della bambina e di loro due pallidi, in piedi l’uno di
fianco all’altro nella luce verdastra che veniva da fuori.
-Due persone entrano, due persone escono.- gli spiegò con estrema fermezza.
Nel suo sguardo c’era una fredda determinazione che fece gelare il sangue a Frank.
-Una volta che sarai tornato indietro, distruggi lo specchio e non una
parola con nessuno. Lei sarà a tutti gli effetti Gloria.-
Frank annuì. Non persero altro tempo, fecero un passo avanti,
verso lo specchio e vi entrarono. Fu come infrangere la superfice
liscia di un lago gelido, un altro passo e si ritrovarono in una stanza
buia dalle alte vetrate.
Non c’era più l’opprimente luce verde. Attraverso le
leggere tende trapelava solo la flebile luce di una luna crescente.
Alle loro spalle uno specchio identico a quello che avevano lasciato
nello studio di David.
Frank passò velocemente in rassegna l’ambiente. A
giudicare dalla grandezza del camino al loro fianco e
dall’altezza del soffitto doveva trattarsi della camera da letto
di un maniero. Al centro della stanza torreggiava un lussuoso letto a
baldacchino, sormontato da drappeggi scusi lasciati aperti. Una sagoma
dormiva rannicchiata sul lato destro. Di fianco distinse chiaramente
una culla.
Senza esitazioni David, con la piccola Gloria tra le braccia, si
avvicinò. Frank lo seguì silenziosamente, i loro passi
attutiti dall’enorme tappeto sul pavimento. Si affacciarono oltre
la sponda della culletta. Lì, immersa in un sereno sonno, una
bambina di appena un anno dai folti capelli scuri dormiva
inconsapevole.
Frank la osservò intensamente cercando di distinguere attraverso
le ombre ciò che aveva davanti con ciò che credeva di
vedere. Rimase a bocca aperta e cercò incredulo lo sguardo
dell’uomo di fronte a lui, inorridito come non pensava di poter
ancora essere dopo tutto quello che aveva già visto quella
notte.
Eppure David ne aveva già parlato tempo addietro con lui e con
Silente, avrebbe dovuto essere preparato, non avrebbe dovuto sentirsi
così sconvolto, eppure lo era.
Un sussulto improvviso e poi una luce dorata sul comodino li illuminò.
La giovane donna nel letto si tirò su, pallida e ansimante di
paura per quella inaspettata invasione notturna. Frank la riconobbe
subito, nonostante fossero passati anni dall’ultima volta in cui
l’aveva vista. Era Lizzie, la sorella minore di David.
I suoi occhi, di un azzurro quasi trasparente, vagarono terrorizzati da
lui al fratello che le dava le spalle, ancora rivolto alla culla.
-David! Per amor del cielo, come hai fatto ad entrare e
perché...- chiese confusa in un soffio, come se la voce le fosse
venuta meno per la paura.
Lizzie scostò le pesanti coperte e si alzò barcollando,
portandosi una mano in un gesto protettivo sul grembo pieno e tondo di
una gravidanza avanzata.
-Che ci fa lui qui?-
David si voltò e gli occhi di Lizzie si dilatarono dalla
sorpresa e dalla gioia quando si posarono sulla bambina che lui teneva
accucciata, nascosta stretta al petto, tanto da mettere in secondo
piano la preoccupazione per quella assurda situazione e non notare i
movimenti anomali dell’estraneo alle spalle del fratello.
-È la mia nipotina!- chiese eccitata avvicinandosi ulteriormente. -Mi hai portato Gloria!-
Ma avvicinandosi iniziò a notare che c’era qualcosa che
non andava nel braccino abbandonato in un’angolatura innaturale
che pendeva inerte, nel pagliaccetto stranamente macchiato, nella sua
immobilità... l’attimo dopo cacciò un urlo
agghiacciante e ricadde riversa sul letto, tremando da capo a piedi,
riuscendo a stento a reggersi a sedere.
I suoi occhi dardeggiavano sempre più trasparenti e inorriditi
sul corpicino della bambina e sul fratello. Farfugliava sconvolta,
incapace di formulare anche una sola parola, più pallida della
sua stessa camicia da notte, piangendo senza controllo e soffocando i
gemiti dietro la gracile mano tremante.
-Questo è il risultato delle tue sciocche azioni.- disse David
avanzando verso di lei, torreggiando spietatamente su quella debole
donna. -L’hai detto ai nostri genitori e guarda!- e sembrò
come se improvvisamente l’espressione disperata congelata sul
volto della bambina fosse l’unica cosa visibile in quella stanza.
-I suoi seguaci l’hanno torturata, seviziata. Hanno fatto in modo
che soffrisse prima di ucciderla!-
Frank tremava da capo a piedi. Lizzie scuoteva la testa negando disperatamente.
-Lui non lo avrebbe mai... mai...-
-Taci, sciocca. Non parlare, non dire più niente....-
Non c’era rabbia nella sua voce, non c’era biasimo,
tristezza o cattiveria. Non c’era niente perché più
niente era rimasto in David con la morte della sua famiglia. Ed era
stato forse col suo ultimo sprazzo di umanità che aveva deciso
di risparmiare quell’unica piccola anima innocente che Frank
aveva tolto dalla culla e che ora teneva stretta a sé, a riparo
sotto il mantello.
Frank indietreggiò, ma Lizzie finalmente si accorse di lui e cercò di mettersi in piedi.
-Cosa stai facendo con mia figlia!?- urlò con voce graffiata,
barcollando goffamente e reggendosi febbrilmente al baldacchino del
letto.
Frank abbassò lo sguardo e attraversò a passo di marcia
la grande stanza verso lo specchio dal quale erano venuti.
-Dove la vuoi portare!?- in preda alla disperazione e, non riuscendo a
muovere ulteriormente un passo, si rivolse al fratello che ora invece
le dava le spalle, chino sulla culla vuota. -Ti prego David non mi fare
questo! Cosa vuoi fare ad Anastasia?! È innocente!-
-Anche Gloria lo era.- le rispose impassibile posando il corpicino
della figlia con cura nella culla e chiudendole gli occhi con
un’ultima carezza. -Non ti preoccupare per lei, mia stupida
sorella. Anastasia sarà l’unica della nostra famiglia che
stanotte non morirà.-
Le gambe le cedettero e un gemito sofferto trafisse il cuore già provato di Frank.
Si voltò un’ultima volta verso quella stanza, alle sue
spalle lo specchio. La bambina di Lizzie tra le braccia. L'anima
dilaniata da quella notte costellata di morti, dalla disperazione di
quella donna incinta e dal destino infausto che si era abbattuto su
quelle persone.
-Ti prego David, ti prego!- continuò a supplicarlo scossa da violenti tremori lei oramai a terra.
David posò un bacio sulla fronte fredda della sua bambina e le
sussurrò rassicuranti parole d’addio. Infine di
alzò, aveva sfoderato la bacchetta, e con un gesto secco le
finestre si chiusero di botto, e per tutto il maniero echeggiò
un susseguirsi di rumori lontani e lugubri.
-David, ti scongiuro!- urlò con un piagnucolio sempre più
patetico stringendosi le mani sul grembo. -Sono incinta!-
David non si mosse, continuava a tenere stretta tra le dita la manina
della figlia e ad osservarla come se non ci fosse cosa al mondo
più bella di lei.
-Lo so, e so anche che è un maschio.- rispose distrattamente. -Proprio per questo non ho altra scelta.-
Frank fece un passo indietro.
Due persone entrano, due persone escono.
Sprofondò nella superficie liscia e fredda dello specchio,
proprio mentre davanti ai suoi occhi esplodeva feroce la maledizione
che avrebbe distrutto tutto, che non avrebbe lasciato nulla,
nient’altro che morte e cenere.
Nella sua testa ancora rimbombava il ruggito delle fiamme e
l’urlo acuto e dilaniante di Lizzie. Gli occhi lentamente si
riabituarono alla penombra verdastra, e si ritrovò a fissare il
proprio riflesso in apnea. Pallido, il viso contratto e, come a
volergli ricordare la sua presenza, la bambina che teneva ancora
stretta, nascosta sotto il mantello, si mosse sommessamente nel sonno.
Frank scostò con timore il mantello e la osservò. Il viso
tondo, i folti capelli scuri scompigliati, le lunghe ciglia scuse
calate sugli occhi e la boccuccia schiusa tra le guance rosee.
Raggomitolata contro il suo petto sembra non essersi accorta di niente.
Frank tiro un grosso sospiro. Era una bella bimba, pensò con
sollievo, una bimba normale. Con una mano le scostò il braccino
paffuto e le accarezzò il piccolo pugno chiuso col pollice,
senza osare toccare il marchio presso a fuoco sulla pelle delicata.
Sembrava risplende con forza e prepotenza, la deturpava in modo
ignobile e segnava l’assoluta proprietà al signore
Oscuro.
Ma David nella disgrazia aveva deciso di salvare il salvabile, di
salvare lei. Aveva deciso di cedere il posto di sua figlia, ormai
perduta per sempre, a lei, la figlia del mostro a capo di quella
assurda guerra.
Aveva avuto pietà David, consapevole che la nipote, la piccola e
innocente Anastasia, non era nient'altro che l'ennesima vittima
innocente.
Frank era certo che se si fosse trattato di un maschio David lo avrebbe
lasciato morire tra le fiamme con loro. Non per via dello scambio, ma
perché l’erede maschio era ciò a qui stava puntando
da tempo colui-che-non-deve-essere-nominato.
Frank alzò lo sguardo sul suo riflesso. Allungò la mano
timoroso e ne sfiorò la superficie dello specchio. Era
incandescente.
Levò la bacchetta e con un unico colpo deciso lo mandò in frantumi.
Sentì dei rumori provenire dal giardino, qualcuno doveva essersi
appena materializzato, e poi diverse voci concitate. Erano gli altri
auror del Ministero.
Avvertì l’urgenza di muoversi. Doveva parlare con Silente, doveva farlo immediatamente.
Tornò a proteggere la bambina sotto il mantello e si
avviò verso l’ingresso per accogliere i colleghi.
Doveva portarla immediatamente al sicuro dal padre di Mary Margaret
così come gli aveva spiegato David, lontano da occhi indiscreti.
L’uomo era babbano, nella società non magica sarebbe stata
al sicuro, sarebbe stata nascosta e protetta nell’identità
di Gloria Weston.
La tenue luce dell’alba baluginò fredda attraverso la
vallata silenziosa, illuminando i resti fumanti dell’antico
maniero. L’ardemonio nel giro di una notte ne aveva divorato
famelico la bellezza e lo splendore, e ciò che ne restava ora
era solo la pietra viva e annerita della struttura portante.
Il fumo aveva impregnato l’aria dell’intera valle, non era
rimasto un solo animale e non un cinguettio accolse l’inizio di
quel nuovo, freddo giorno.
L'unico segno di vita sembrava provenire proprio dal centro di
quell’incendio. Attorno alla grossa sagoma crepitante, che fino
al giorno prima era stata una splendida e ricca magione, si aggiravano
irrequiete figure avvolte in pesanti mantelli neri.
Avevano passato le ore prima dell’alba a cercare invano di domare
l’immenso mostro di fuoco. Alcuni di loro erano anche morti nel
tentativo, ma solo l’intervento del loro signore, apparso quando
il cielo aveva iniziato a rischiararsi ad est, era riuscito a placare e
a spegnere definitivamente l’incendio.
La sua silente ira si propagava più malsana e tossica del fumo
stesso. L’aria era irrespirabile e nessuno dei suoi seguaci osava
emettere un fiato.
Senza attendere oltre entrò ed attraversò gli ambienti
devastati, i pavimenti scricchiolavano minacciosi al passaggio suo e
dell’esiguo capannello di seguaci.
-Chi c’era di turno ieri notte?-
La gelida voce risuonò minacciosa tra le pareti annerite mentre si dirigevano verso l’ala est.
-Volkov e Spopovich, mio Signore.- rispose prontamente il giovane Rosier.
-E dove sono ora?-
-Morti ore fa, l’ardemonio li ha catturati e trascinati dentro.... -
Lord Voldemort era sempre più furente. Né Volkov e ancor
meno Spopovich potevano essere stati in combutta con quel traditore di
Weston, nessuno dei due lo avrebbe lasciato avvicinare alla tenuta,
figurarsi lasciarlo entrare.
Ma la questione principalmente non era capire come avesse fatto Weston
ad aggirare la sua sorveglianza e la sua magia ed introdursi in quella
dimora, ma capire perché diavolo non era stato ucciso come lui
aveva ordinato. Aveva dato un ordine ben preciso, semplice: uccidere lo
sporco traditore del suo sangue David Weston. Ciò non era stato
fatto ed ora anni di lavoro e di ricerche erano andati letteralmente in
fumo.
Aveva mandato la sua più devota a scovare i responsabili e
presto glieli avrebbe portati. Aveva un accecante bisogno di uccidere,
di punire e distruggere. Qualcuno doveva pagare per tutto questo.
Arrivò nella stanza della donna nel silenzio totale.
Gli occhi rossi dardeggiarono furiosi nell’ambiente constatando
l’ovvio. Era andato tutto perduto. Tutto! I suoi sforzi, gli anni
di studio, di ricerche, il logorante e umiliante lavoro fatto su quella
sciocca ragazza. Era arrivato a tanto così dall’ottenere
finalmente ciò che voleva e quella dannatissima, stupida donna
aveva preso fuoco con ancora dentro il suo erede maschio!
Il corpo carbonizzato della ragazza venne sbalzato di diversi metri
finendo contro la parete, sgretolandosi come una vecchia bambola di
cartapesta.
Si avvicinò ai resti di quella che doveva essere la culla. Non
si diede il disturbo di osservare il corpicino carbonizzato di quello
che era stato il primo, deludente tentativo di ottenere ciò che
desiderava. Si concentrò invece sul corpo carbonizzato
rannicchiato al suo fianco, guardandolo dall’alto con disgusto e
odio. Era chiaramente quello di Weston.
Sinceramente non pensava che sarebbe stato capace di uccidere la
sorella. Magari i genitori nella stanza di fianco sì, senza
indugio, ma la sua ingenua, innocente, sciocca
sorellina....
David Weston era stato furbo, molto, aveva capito che la scelta non era
ricaduta su di lei per puro caso, ma che rispondeva a una rarissima
combinazione di determinate caratteristiche che gli avrebbero permesso
di generare senza difficoltà. Non che fosse stato uno dei suoi
principali obbiettivi, in fondo quello era solo un esperimento, ma
l’incapacità dei suoi seguaci... questo lo mandava in
bestia!
Quell’uomo avrebbe dovuto essere morto! Quell’uomo non sarebbe dovuto riuscire ad introdursi in quella casa!
Uno schioppo alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si
voltò verso la nuova arrivata, Bellatrix. Si era appena
materializzata al centro della stanza portando con sé un
tremante Marcus Spungen che cadde in ginocchio, pallido e madito di
sudore, evidentemente provato dal trattamento già ricevuto della
donna.
-Spinks a quanto pare è morto nel conflitto con quel lurido
traditore di Weston.- spiego lei, gli occhi scintillavano indignati e
furenti quasi quanto quelli del padrone. I mangiamorte rimasti sulla
soglia si sentirono ulteriormente schiacciati da quella nuova
irrequieta presenza.
-Lui invece è scappato, il codardo, appena Spinks è
morto.- così dicendo diede un calcio all’uomo per farlo
avanzare ancora più pateticamente ai piedi del suo signore.
Spungen tremando da capo a piedi si tirò su in ginocchio, gli
occhi sbarrati dal terrore incollati al pavimento. Dalle sue labbra
uscivano solo suppliche appena farfugliate.
-Quindi è te che devo ringraziare per tutto questo.-
pronunciò in un sibililo d'ira. -Eppure era un compito semplice,
uccidere Weston.-
La stanza si riempì di versi sempre più deboli pietosi. Aveva smesso di supplicare.
L’unica cosa che Voldemort in quel momento riusciva a pensare
erano le ore sprecate, perse a lavorare quell’insopportabile
donnetta mielosa, per poi ottenere nient’altro che cenere!
Senza neanche accorgersene scagliò l’anatema su
quell’inutile ammasso di carne, e Spungen crollò sul
pavimento morto. Finalmente nella stanza tornò il
silenzio.
Lord Voldemort girò su sé stesso, passando in rassegna la
stanza per poi tornare ancora una volta sul corpo carbonizzato di
Weston accanto alla culla.
-Quello che non mi spiego è come abbia fatto ad entrare....- sussurrò tra sé.
I mangiamorte raggruppati sull’ingresso si mossero a disagio e
trattennero il fiato mentre lo sguardo indagatore del loro signore li
attraversava uno per uno.
-Fuori!-
L’ordine arrivò secco e imperioso e nel giro di pochi secondi si volatilizzarono lasciandolo solo.
Era rimasta solo Bellatrix ora, si aggirava silenziosa per la stanza,
studiando ogni dettaglio, quasi cercando di fiutare una traccia, un
qualsiasi indizio che potesse portare ad una risposta.
Aggirò Il cadavere di Spungen, abbandonato sul tappeto bruciato
al centro della stanza, e iniziò a vagare intorno alle finestre,
al camino, osservò con sospetto il proprio riflesso opaco nel
grande specchio annerito, avvicinandosi tanto da vedere solo i suoi
stessi occhi scuri scrutarla di rimando. Poi si girò e raggiunse
la culla, calciando via i resti carbonizzati di Weston.
Osservò dall’alto il cadavere carbonizzato
dell’inutile primogenita del suo signore. Le labbra piegate in
una smorfia di puro sdegno. Lei stessa aveva impegnato tutte le sue
energie nella ricerca di una soluzione che permettesse al suo padrone
di ottenere il degno erede da lui desiderato.
-Mio signore, sono dispiaciuta...-
-Oh, so benissimo per cosa sei dispiaciuta, Bellatrix!-
La risposta fu volutamente maligna, ma Bellatrix si volse verso di lui a testa alta e il petto gonfio d’orgoglio.
-Mio Signore, non ho motivo di negare, se fossi stata in grado io...
sarebbe stato l’onore più grande darle io stessa la
discendenza che desiderava....-
La mise a tacere con un pigro cenno della mano, mentre percorreva il
perimetro della stanza prestando più attenzioni alle pareti che
a lei.
-Non ha importanza oramai, mi pare ovvio! Questo era solo uno dei miei
tanti esperimenti, solo una curiosità.- disse concentrandosi su
una porzione di muro, accarezzandolo con le lunghe dita ossute. Non
c’era traccia di magia! Oltre la collera per quella immensa
perdita, ciò che lo faceva ulteriormente innervosire era il non
riuscire a comprendere come David Weston fosse riuscito ad arrivare fin
lì.
-Io non ho bisogno di un erede o di una discendenza diretta- continuo
duro -sai che ho già preso misure per proteggermi dalla morte e
ti è già stato concesso uno dei più grandi onori
che si potessero ricevere. Sono rari i maghi degni di tanta fiducia da
parte mia.-
-Indubbiamente, mio Signore!- si infervorò ulteriormente la
donna per poi continuare a studiare con attenzione i resti del tappeto
bruciato alla ricerca di tracce.
Niente, a Voldemort fu chiaro che tutto questo era solo una futile
perdita di tempo. Aveva affari ben più urgenti da portare
avanti.
-Ora, mia cara, io andrei.- il suo tono divenne mellifluo. Ci fu un
fugace scambio di sguardi, i suoi occhi rossi scintillarono famelici
quanto quelli neri della sua allieva, che ricambiò con un ghigno
sadico. -Ho un appuntamento con un certo topo di fogna per sistemare
quella ridicola faccenda della profezia.-
E con un pop appena percettibile, scomparve.
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