Olympos
Un
rumore attirò la loro attenzione, ed entrambi alzarono lo
sguardo.
Una palla di vetro era caduta a terra e rotolava nella loro
direzione. Si alzarono e le si avvicinarono per raccoglierla.
«Una
Lacryma?» chiese Laxus, riconoscendola.
«Deve
essere a causa di questa che la tua elettricità è
rimasta
intrappolata qui e si è amplificata a tal punto»
realizzò
Priscilla.
«Come
può essere successo?» chiese lui e Priscilla si
corrucciò,
arrivando finalmente alle sue conclusioni. «Credo un'idea di
essermela fatta» disse semplicemente e Laxus non ebbe bisogno
di
chiederle altro, pensando anche lui alla stessa cosa. Non c'era altra
soluzione se non che qualcuno avesse organizzato tutto e l'unico che
sembrava loro tanto viscido e fastidioso da poterlo fare poteva
essere solo il sindaco e quel suo segretario riverente.
«Laxus!
Pricchan!» chiamò Evergreen, raggiungendo i due
insieme a Bickslow
e Fried.
«Ever
aveva ragione!» disse Bickslow. «È stato
il sindaco, ha
organizzato tutto lui. Il mio piccolo è tornato e ci ha
raccontato
tutto» spiegò, indicando uno dei suoi totem.
Laxus
e Priscilla si scambiarono uno sguardo irritato e complice. I loro
fastidiosi sospetti erano perciò fondati: il sindaco aveva
organizzato ogni cosa, a discapito di quella città,
probabilmente
per estorcere qualche soldo a Fairy Tail con la scusa dei danni che
avevano e avrebbero potuto provocare.
Non
dissero una parola, ma si allontanarono torvi in viso, seguiti dal
resto dei Raijinshuu. La loro direzione era ovviamente la casa del
sindaco, dove sarebbero andati per scambiare con lui due
parole.
«Restate
qui» disse però Laxus, non appena furono fuori
dalle fogne.
«Cominciate a cercare una carrozza per tornare a casa, vado
io a
parlare con quel bastardo».
«Eh?»
mormorò Bickslow, chiedendosi perché li stesse
lasciando indietro.
Ma non se ne preoccupò molto, era normale che Laxus volesse
trovarsi
solo faccia a faccia con quell’uomo. D'altra parte un lamento
di
Priscilla diede un’ulteriore motivazione. Evergreen
scattò in
avanti appena in tempo per prenderla per le spalle e aiutarla a
restare in piedi.
«È
stato difficile contenere e manipolare tutta
quell'elettricità»
disse con un sorriso imbarazzato, mentre cercava di rimettersi in
piedi. «Una parte di questa mi ha colpito, ho i muscoli un
po'
rigidi, mi spiace» ridacchiò.
«Va
bene, allora» disse Fried a Laxus, avvicinandosi a Priscilla
per
aiutarla a mettersi a sedere sulla fontana. «Ti aspettiamo
qui».
«Cerca
di non strafare, ok?» disse Priscilla, riuscendo
così a strappargli
ancora una volta un sorriso divertito. Strafare era nello stile di
Fairy Tail, ovviamente avrebbe strafatto e lei lo sapeva bene.
Si
allontanò, lasciando la ragazza nelle mani dei suoi amici
per
aiutarla a riprendersi, e si incamminò verso la casa del
sindaco
portandosi dietro un fiume di potenti e incazzati fulmini che
cadevano dal cielo intorno a lui. Dopo qualche minuto uno di questi
centrò in pieno la casa del sindaco, sfondando il tetto e
disintegrandone gran parte del fianco sinistro. Nello stesso identico
punto altri fulmini caddero, violenti, uno dopo l'altro, fino a
quando un ultimo non esplose a mezz'aria, nel cielo sopra di
loro.
«Alla
fine ha strafatto» ridacchiò Priscilla, seduta sul
bordo della
fontana, intenta a guardare il cielo.
«Tipico
di Laxus» disse Evergreen al suo fianco. Priscilla sorrise,
socchiuse gli occhi e restò immobile per lunghi istanti
mentre
intorno a loro il vento cominciava a soffiare leggermente
più forte.
Le nuvole sopra la loro testa si mossero fino a quando in
più punti
non cominciarono ad aprirsi squarci che lasciavano intravedere
l'azzurro candido dietro di loro. In pochi minuti sparirono tutte,
dissolte, e Priscilla con un sospiro raccoglitore tornò ad
aprire
gli occhi.
«Il
cielo in tempesta a me non dispiace, ma penso che queste persone se
ne siano ormai stancate» disse, spiegando così il
motivo che
l'aveva spinta a far sparire con la magia quelle nuvole senza
permettere a loro di farlo con i propri tempi. E mentre aspettavano
il ritorno di Laxus dalla casa del sindaco una folla li
circondò
lentamente, inneggiando al loro valore e alla loro incredibile forza.
Urlavano il nome di Fairy Tail, chiamavano con entusiasmo i nomi dei
membri lì presenti, salutavano e ringraziavano, e quando
Laxus fu di
nuovo insieme a loro vennero accompagnati con la stessa euforia sino
al confine della città, dove trovarono solo lì
una carrozza
disposta a riportarli indietro. Apparteneva a uno dei cittadini di
Borwatt che per tutto quel tempo l'aveva tenuta chiusa, al sicuro,
insieme agli animali che la trainavano. Finalmente poteva tornare a
fare il suo lavoro, senza più temere i fulmini, e il modo
migliore
che aveva per ringraziarli era quello di riportarli a Magnolia
evitando loro la strada a piedi. Laxus ebbe ovviamente bisogno della
magia di Priscilla per evitare di star troppo male e di nuovo si
appoggiò con la testa sulle sue gambe, mentre lei tenendogli
una
mano sulla tempia usava il suo potere per aiutarlo. Come spesso
accadeva, finì con l'addormentarsi in quella rilassata
posizione, e
stanchi per la missione appena compiuta anche gli altri Raijinshuu
finirono pian piano con l'addormentarsi. La stessa Priscilla cadde
nel sonno, smettendo così di utilizzare la sua magia sul
centro
dell'equilibrio di Laxus, ma dormendo anche lui difficilmente si
sarebbe accorto del cambiamento.
Nessuno
di loro seppe perciò avere idea alla strada che
stavano
percorrendo, non sapevano quanto tempo fosse passato né di
dove
fossero quando improvvisamente vennero svegliati da una vera e
propria esplosione. La carrozza venne sbalzata via, con loro
all'interno, e schiantandosi contro rocce e alberi finì in
frantumi.
«Che
succede?» ringhiò Fried. Spostò un asse
di legno della carrozza
esplosa e cominciò a rialzarsi, guardandosi attorno confuso.
Non
troppo lontano anche Bickslow e Evergreen si stavano lentamente
rialzando, doloranti e con lo sguardo corrucciato. Dall'altra parte
sentì altre macerie che venivano spostate e anche Laxus
uscì
indenne da sotto un pezzo di carrozza. La terra tremò e
sentirono
l'urlo di Priscilla, a pochi metri da loro. Un ruggito tanto potente
da scuotere gli alberi con le loro stesse radici, e dal bosco che li
circondava un gigantesco mostro emerse sfondando almeno una decina di
alberi. La testa di un facocero, camminava a quattro zampe ma poteva
benissimo alzarsi su due. Il corpo massiccio, ricoperto di muscoli e
artigli alle zampe che usava per raspare il terreno. Correva furioso,
lanciando bava in giro, dritto verso Priscilla che nell'esplosione
era finita incastrata con una gamba sotto a un albero, sbalzato e
atterrata proprio su di lei.
Laxus
tese i muscoli, pronto a correrle incontro. Bickslow e Fried erano
già pronti a mettersi in piedi per seguirlo, diretti contro
l'enorme
bestia, mentre Evergreen sarebbe corsa ad aiutare Priscilla a
liberarsi. La ragazza stessa aveva già alzato le braccia,
pronta a
usare il suo potere per difendersi come poteva. Ma nessuno di quei
gesti venne portato a compimento.
Con
un grugnito spaventato e dolorante il facocero interruppe la sua
corsa, come se fosse stato tirato da qualcosa dietro di sé.
Si voltò
e vide la causa del suo blocco: un uomo. Un singolo uomo dagli occhi
rossi, i capelli scuri, un tatuaggio intorno all'occhio sinistro, il
petto nudo, scalzo, vestito di solo un paio di pantaloni scuri,
anonimi. L'aveva afferrato per una zampa e nonostante la differenza
di stazza fosse di almeno cento volte la sua sola forza fisica si
rivelò abbastanza da trattenerlo. L'uomo ghignò e
piantò un piede
meglio a terra con tale forza che ne scavò un solco.
Iniziò a
tirare, irrigidendo ogni singolo muscolo delle sue massicce spalle e
braccia, e il mostro grugnì per lo spavento sentendosi
tirare
all'indietro. Era un microbo, al confronto suo, un insetto minuscolo
eppure aveva una forza tale in grado non solo di contrastare la sua
corsa ma anche trascinarlo indietro.
Priscilla,
come il resto dei suoi compagni, restò talmente scioccata
che smise
di muoversi. Sentì, in quel frangente di tempo in cui si era
paralizzata, il terreno sotto di lei farsi più morbido e
viscoso.
All'improvviso si mosse, come fango che veniva manipolato sul momento
da una forza invisibile, circondarono la sua gamba incastrata sotto
l'albero e si allungò verso l'alto, spingendo via il
tronco.
Arretrò,
terrorizzata benché il terreno ora fangoso l'avesse in
realtà
appena salvata, ma non andò troppo lontano. Alle sue spalle
il
terreno si sollevò come vicino alla sua gamba, ma questa
volta da
esso prese forma e consistenza una testa e un mezzo busto che si
piazzò alle sue spalle e contro cui si scontrò.
Spaventata si voltò
a guardare chi fosse e scoprì una -mezza- donna fusa col
terreno
sotto di sé. Aveva la pelle dello stesso colore del fango,
scura,
gli occhi neri erano protetti da un paio di occhiali da lavoro, di
quelli che aderiscono alla pelle ed evitano che ci possa entrare
qualcosa. I capelli verdi, corti, macchiati ancora di fango che
però
scivolava giù con un'inusuale facilità
lasciandola pulita.
«Niente
di rotto?» chiese semplicemente, senza nessun tipo di
emozione sul
volto se non forse addirittura una velata noia. Il mostro davanti a
loro urlò e grugnì ancora, dimenandosi nel
tentativo ora di
liberarsi e riprendere a correre, ma l'uomo, anche in mezzo al
polverone delle sue zampe, riusciva a tenerlo ben fermo dov'era.
«Eris!»
gridò con voce roca e spazientita.
«Ecco,
arrivo» sbuffò una ragazza alle spalle dei
Raijinshuu. «Che palle»
aggiunse, facendo scoppiare fuori dalle labbra la bolla di una gomma
da masticare. Capelli corti, rosa con sfumature viola e bianche,
aveva sul viso un trucco pesante nero e viola intorno agli occhi e un
rossetto rosso acceso. Giacca in pelle, top bianco e giallo, una
collana borchiata, pantaloncini strappati praticamente inguinali, una
calza parigina rossa e l'altra nera e un paio di guanti gialli. Non
c'era niente di sensato in quel look, sembrava essere saltata
nell'armadio di un membro di un gruppo punk ed esserne uscita con le
prime cose che aveva trovato, senza abbinarle troppo. Stringeva nella
mano destra un'enorme spada dall'aspetto inusuale, probabilmente
più
lunga di quanto lei fosse alta, nera all'interno, gialla nella parte
esterna della lama. La fece roteare al suo fianco, spostando con quel
semplice gesto un enorme quantitativo d'aria, e infine corse verso il
mostro trascinando la lama che con la punta poggiata a terra
lasciò
un solco al suo passaggio. Urlò, saltò e
atterrò
sull'articolazione dell'arto anteriore del mostro. Saltò di
nuovo,
come uno stambecco, atterrando ora sulla spalla, poi sulla zanna, poi
sul naso e con un ultimo salto arrivò sopra la sua testa.
Alzò
l'elsa della spada sopra di questa, indirizzando la punta dritto tra
gli occhi del mostro all'interno del quale penetrò. Con un
ultimo
ruggito il mostro scosse la testa, dilaniato dal dolore del colpo che
l'aveva centrato in testa. Eris rimase aggrappata all'elsa della
propria arma e venne sballonzolata per un po', prima che il mostro
infine privo di vita non si accasciasse a terra. L'uomo lo
lasciò
andare e con un sospiro si asciugò il sudore della fronte
con dorso
della mano. Eris, anche quando riuscì a disincastrare la
propria
spada dal cranio del mostro, ci restò sopra sedendosi in
quello
stesso punto. A gambe divaricate, in una posa sciatta e volgare,
tornò a masticare rumorosamente la propria gomma mentre
guardava il
mondo da lassù.
La
donna fango alle spalle di Priscilla si allungò verso
l'alto, dando
forma a un corpo completo che si staccò dalla terra.
Tirò su
Priscilla in quel gesto, permettendo anche lei di mettersi in piedi.
Le diede un paio di pacche sulle spalle, le tolse la polvere dai
vestiti, una foglia dai capelli e infine annuì soddisfatta
guardandola compiaciuta per essere riuscita a ripulirla e rimetterla
in ordine.
«Tutto
a posto, mocciosa?» chiese Eris, guardando Priscilla rigida e
ancora
sotto shock di fronte alla donna dalla pelle scura.
«Eris,
sii educata» la rimproverò l'uomo con tono
annoiato e apatico,
sintomo che era sicuramente qualcosa che le ripeteva talmente spesso
da aver perso le speranze di vederla cambiare.
«Non
rompere» rispose lei a tono, facendo scoppiare un'altra bolla
fuori
dalle labbra. L'uomo superò le zampe posteriori del mostro
appena
atterrato e si avvicinò a Priscilla, ancora assistita dalla
sua
silenziosa, inquietante e invadente compagna. Ma non appena
riuscì a
intravedere il suo volto si paralizzò, sgranando gli occhi,
e restò
per qualche secondo a fissarla esterrefatto. «Aspetta...
aspetta un
attimo...» balbettò.
«Ehy...
che ti prende?» chiese Eris, curiosa e stranita nel vedere il
proprio compagno così sbigottito.
«Lei...
lei...» balbettò, senza riuscire a concludere la
frase.
«Athena
aveva ragione» disse la donna dalla pelle scura,
allontanandosi da
Priscilla di un passo con fare solenne.
«Athena?»
mormorò Priscilla, cercando di capire cosa stesse accadendo.
«Pricchan!»
chiamarono in coro i tre Raijinshuu. Le corsero incontro trafelati e
subito la presero d'assalto, esaminando ogni centimetro della sua
pelle e del viso.
«Stai
bene? Sei ferita?» chiese Evergreen prendendole il viso tra
le mani
con tale irruenza da schiacciarle le guance.
«Mi
fai male, Ever» bofonchiò Priscilla a labbra
strette, incapace di
parlare decentemente con la donna che la stringeva in quel
modo.
«Che
diamine era quel coso?» chiese Bickslow, guardando il mostro
a
terra.
«Dobbiamo
ringraziarvi» disse Fried avvicinandosi alla donna dalla
pelle
scura. «Ci avete salvati da quella bestia» ma la
donna parve non
ascoltarlo nemmeno e continuò a tenere gli occhi, ora liberi
dagli
occhialini da lavoro poggiati sulla testa, su Priscilla che veniva
ancora maneggiata e studiata da un iper apprensiva Evergreen.
«Pricchan»
mormorò Eris, storcendo il naso e cercando di esaminare
probabilmente dei ricordi. Infine si illuminò e spalancando
bocca e
occhi gridò: «Per la miseria! Tu sei
Priscilla!»
Saltò
in piedi e cominciò a correre sgraziatamente giù
dal mostro,
inciampando e arrancando sui peli e sulla pelle granulosa del suo
naso.
«Eris,
piano!» cercò di dirle l'uomo, vedendola cadere di
faccia a terra
non appena fu giù dal mostro. Ma la ragazza lo
ignorò e corse a
perdifiato verso Priscilla, senza neanche alzarsi del tutto,
procedendo in un primo momento a quattro zampe.
«Fuori
dai piedi!» ruggì una volta raggiunta Priscilla e
lanciando in
avanti entrambi i pugni colpì sia Evergreen che Bickslow,
scaraventando entrambi a terra. Prese Priscilla per le spalle e se la
tirò contro, per guardarla meglio in volto, ma il suo
trattamento
irruento durò ben poco.
«Ilizia,
per favore» sospirò l'uomo, mentre lentamente li
raggiungeva. La
donna dalla pelle scura si fece di nuovo malleabile e
allungò il
proprio corpo come fosse fatto di plastilina. Si attorcigliò
intorno
a Eris, la intrappolò e le chiuse la bocca, per poi tirarla
via.
Eris provò a ribellarsi, si dimenò e
urlò, ma Ilizia la teneva ben
serrata nel suo corpo di gomma come fosse un serpente che stringeva
la propria preda e le impediva di far sentire troppo la sua voce.
L'uomo si avvicinò a Evergreen e Bickslow, stesi a terra, e
porse
loro la propria mano per aiutarli ad alzarsi.
«Perdonate
mia sorella. A volte le ci vorrebbe la museruola» disse
ignorando la
voce di Eris che alle sue spalle si fece più forte e potente
nei
suoi lamenti.
«Oh,
non è successo niente, è solo una ragazza
esuberante» disse
Evergreen alzandosi da terra come se niente fosse appena successo, e
benché avesse ancora la guancia rossa e gonfia per il colpo
si
strinse nelle spalle con fare femminile e cominciò a
sventolarsi
civettuola. Era ovvio che non fosse rimasta indifferente al corpo
scultoreo dell'uomo.
«Che
direbbe Elfman se ti vedesse adesso» le disse Priscilla,
colpendola
nel profondo e facendola sussultare. «Che c'entra Elfman
adesso?»
ruggì Evergreen, cercando di difendersi
inutilmente.
«E
così conoscete la nostra piccola stella, eh?»
ridacchiò Bickslow
mettendo un gomito sulla testa di Priscilla per appoggiarsi e in
qualche modo marchiarne anche il territorio. «L'avete vista
ai
Grandi Giochi? Un vero spettacolo, non è
così?»
«Beh...»
mormorò l'uomo, spostando gli occhi ora diventati neri e non
più
rossi su Priscilla. La guardò dritta negli occhi
così a lungo e
così intensamente che lei, anche se non ne capì
il motivo, finì
con l'arrossire. «Sì, l'abbiamo vista ai
Giochi».
«È
davvero notevole» mormorò Laxus, avvicinandosi a
loro e guardando
il mostro a terra morto. «Non è facile uccidere un
mostro del
genere. Siete maghi anche voi, devo pensare» disse, guardando
poi
Ilizia che ancora teneva prigioniera Eris nel suo corpo
deformato.
«Già»
annuì l'uomo, prima di guardare il mostro. «Da
queste parti siamo
abituati, bestiacce come lui non sono rare, anche se di solito se ne
stanno volentieri per i fatti loro. Probabilmente il passaggio della
vostra carrozza deve averlo disturbato».
«A
proposito!» sussultò Priscilla.
«Dov'è l'uomo che la guidava?»
chiese preoccupata, guardandosi attorno.
«Siamo
molto lontani dalla strada per Magnolia, come siamo finiti
qui?» si
chiese poco dopo Fried, studiando l'ambiente circostante.
«Probabilmente
è colpa della magia del sonno di quegli uomini se non vi
siete
accorti di niente» commentò l'uomo.
«Accorti?»
chiese Priscilla.
«Magia
del sonno?» chiese anche Evergreen.
«Una
gilda di ladri, hanno sede non troppo lontano da qui e sono una vera
piaga. Sono anni che gli diamo la caccia. Vi hanno addormentati,
compreso l'uomo alla guida, e hanno preso possesso della vostra
carrozza portandovi su questa strada. Athena, nostra sorella, ha un
potere simile ad Archive. Questa è la sua zona e riesce a
vedere
tutto quello che accade, vi ha visti e ci ha mandati per aiutarvi.
L'incidente col facocero non era previsto, ma non è niente
che non
abbiamo già affrontato. Probabilmente vi hanno seguiti
dall'uscita
di Borwatt, volevano appropriarsi della ricompensa per la missione
svolta» spiegò.
«Come
sapete della nostra missione a Borwatt?» chiese Laxus
corrucciandosi
appena e l'uomo si grattò la nuca, imbarazzato, mormorando
un
preliminare: «Oh, beh...» ma una voce infantile lo
interruppe
gridando: «Athena sapeva anche questo!»
L'uomo
parve paralizzarsi nel sentirla ma sul suo volto sorpreso si dipinse
immediatamente un'espressione furiosa, mentre una seconda voce di un
ragazzino gridava con la stessa enfasi: «Athena sa sempre
ogni cosa,
è fighissima!»
«Ti
stava cercando, Priscilla!» disse il primo, poi il secondo
subito
dopo: «Guarda, Ares! Abbiamo preso i cattivi!»
«Cercando?»
mormorò Priscilla, mentre l'uomo, che scoprirono in quel
momento
chiamarsi Ares, si voltava verso i due ragazzini che si erano
intromessi nella discussione. Non avevano sicuramente più di
quattordici anni, uno aveva capelli rossi, ricci, spettinati a tal
punto da sembrare un vero e proprio cespuglio. Un sorriso sdentato,
lentiggini sul viso, vestito come un campagnolo dal rango
estremamente povero e completamente ricoperto di macchie e sporco
vario. Il secondo era un pochino più alto del primo, con i
capelli
rasati sui due lati e un accenno di cresta sulla testa.
L'abbigliamento era meno da contadino del primo, ma comunque restava
strappato e sporco in più punti, con addirittura un buco
nelle
scarpe. Nessuno dei due emanava un odore gradevole, chissà
da quanto
tempo non si lavavano o in quale fogna erano andati a nascondersi, ma
avevano comunque in tutto e per tutto l'aspetto di due incivili. I
tipici ragazzini a cui piaceva far scherzi, far rumore e cacciarsi
nei guai. Tenevano sollevati sopra la testa due uomini fuori
combattimento, svenuti e reduci sicuramente da un violento
combattimento viste le innumerevoli ferite che avevano addosso.
Nonostante fossero ben più grossi di loro, li tenevano
sollevati
sopra la testa come due trofei e li sventolarono allegri di fronte ad
Ares che pareva ora ingrossarsi e gonfiare di più i propri
muscoli.
«Voi
due...» ringhiò con voce roca e questo
bastò a far terrorizzare i
due ragazzini. Urlarono, lasciarono andare i corpi dei due uomini che
avevano catturato e si voltarono pronti a scappare ma Ares fu
più
veloce e li prese entrambi per la testa. Li sollevò da
terra, mentre
loro urlavano, sgambettavano e inutilmente cercavano di liberarsi
dalla presa stritolatrice di Ares.
«Non
vi avevo forse detto di restare alla gilda insieme a nostro padre e
ai gemelli?» ruggì Ares.
«E'
stata Athena a mandarci qui!»
«Ci
annoiavamo!»
«Papà
sta benissimo, poteva stare da solo pochi minuti!»
«C'era
Ebe con loro».
«E
Dike!»
«Volevamo
solo aiutarvi!»
«Siamo
grandi abbastanza da andare anche noi in missione, ora!»
«Volevamo
conoscere Priscilla!»
«Athena
diceva che era qua!»
«Alla
fine abbiamo preso noi i cattivi, tu non hai fatto niente!» e
urlarono maggiormente sotto la stretta sempre più furiosa di
Ares
che pareva volergli sfondare il cranio da un momento a un
altro.
«Conoscere...
me?» mormorò Priscilla, sempre più
confusa. Quella gente parlava
di lei come di una diva, di un sogno a cui sembravano aver ambito da
chissà quanto tempo. Aveva partecipato ai Giochi, non c'era
da
stupirsi se era conosciuta, ma il loro modo di parlare e di fare
sembravano andare ben oltre la semplice ammirazione.
«Siete
parte di una gilda?» chiese Fried, chiedendosi con
curiosità quale
gilda si trovasse nella zona. Ares lasciò andare i due
ragazzini
solo al sentire quella domanda, convinto probabilmente di averli
puniti abbastanza anche se avrebbe volentieri preso ancora a calci
entrambi. La loro disobbedienza era incredibile, lo facevano
diventare matto. Si indicò un bicipite, mostrando
così un simbolo a
forma di montagna aguzza, circondata da nuvole, e disse con orgoglio:
«Olympos».
«La
casa degli Dei!» esclamò il ragazzino con la
cresta, sporgendosi
oltre Ares per guardare Priscilla.
«Siamo
la gilda degli immortali!» gli fece eco il rosso, sbucando al
suo
fianco, e Ares fu costretto a fare un passo di lato per permettere a
entrambi di guardarla senza doverlo usare come pilastro per
nascondersi dietro.
«I-immortali?»
balbettò Evergreen, turbata e confusa. I due ragazzini
lanciarono
uno sguardo corrucciato ad Ares, prima di bofonchiare contrariati:
«Non glielo hai ancora detto?»
«Non
c'è ancora stato modo» disse Ares, imbarazzato.
Eris, incastrata
tra le spire di Ilizia, tornò a bofonchiare qualcosa e
Ilizia la
guardò come se stesse capendo ciò che diceva. Poi
sospirò e disse
timidamente: «È complicato».
«Noi
siamo come te!» esclamò invece con esuberanza il
ragazzino con la
cresta e al suo fianco il rosso disse, altrettanto rapido:
«Guarda!»
Estrasse
un coltellino dalla tasca e con una velocità tale da essere
praticamente invisibile pugnalò l'amico dritto al petto. Il
ragazzino con la cresta aprì la bocca, sputando sangue e
cercando
invano dell'aria, sorpreso in quell'attacco improvviso. Si
accasciò
a terra, sotto lo sguardo attonito e le urla spaventate e preoccupate
dei membri di Fairy Tail. Ma loro furono gli unici a spaventarsi
tanto. Ares tirò un calcio al rosso, stendendola a terra, e
gridò
furioso: «Idiota!»
Prese
il ragazzino con la cresta per il collo della maglia, lo
sollevò da
terra e gli tolse il coltello dal petto. Iniziò poi a tirare
calci
dietro la nuca del rosso, ruggendo sempre più furioso:
«Quante
volte devo dirvi che non dovete fare questi stupidi giochi!»
«Fa
male» pianse il ragazzino con la cresta afferrandosi la
ferita che
ancora grondava sangue.
«Certo
che fa male! Cosa credevi?! Essere immortali non significa che non
potete farvi del male, cretini che non siete altro!»
insisté Ares,
continuando a colpire il ragazzino a terra.
«Ehy...
un attimo...» balbettò Bickslow, il primo che
sembrò cominciare a
riprendersi da quello shock.
«Non
stanno scherzando, vero?» sibilò Evergreen,
pallida in volto.
«Sono...»
mormorò Fried, ma il fiato sembrò sparire
improvvisamente e non
riuscì a concludere la frase. Laxus, al suo fianco, d'altro
canto
sembrava aver già smesso di respirare da un pezzo,
probabilmente già
da quando avevano accennato alla gilda degli immortali e al fatto che
volessero conoscere Priscilla. Priscilla si portò le mani
tremanti
al volto, coprendosi le labbra dalla quale ora usciva un fiato
spezzato, rotto dal dolore di un pianto che avrebbe potuto iniziare
in qualsiasi momento, visti anche gli occhi lucidi.
«Sono...»
sibilò, lievemente, e il ragazzino con la ferita al petto
sorrise
allegro notando la sua espressione. Si alzò la maglietta e
le mostrò
il taglio che aveva appena smesso di grondare sangue. Una luce
sottile, azzurra, usciva dall'interno del suo corpo e da quella
stessa luce la pelle pian piano si andava allungandosi e
rinchiudendosi. «Sono come me».
Ilizia
lasciò andare infine Eris, che parve ora calma e tranquilla.
Ares
cessò di colpire il rosso ai suoi piedi e rimise a terra
l'altro
ragazzino, che stava pian piano guarendo dal colpo e aveva
già
smesso di lamentarsi. Si voltarono tutti verso Priscilla e le
concessero solo un amichevole sorriso, uno di quelli dolci e
rassicuranti, il sorriso di chi dava il benvenuto a un fratello tanto
mancato.
«So
che siete in viaggio per tornare a casa, ma vorrei tanto che
accettaste la nostra ospitalità anche solo per questa
notte» disse
Ares. «Nostro padre sarebbe felicissimo di conoscerti, e
anche il
resto della gilda».
«Il
resto...» balbettò Bickslow. «Aspetta,
siete tutti...?» cercò di
chiedere, non sapendo bene come formulare la domanda, ma Ares
riuscì
comunque a cogliere la sua curiosità. Annuì prima
di spiegare:
«Nostro padre è il Master di Olympos, ha dato vita
alla gilda
mettendo al mondo noi figli. Purtroppo non siamo ancora una gilda
ufficiale, anche se non facciamo del male a nessuno rientriamo ancora
nel rango delle gilde oscure per il semplice motivo che il Concilio
non ha molta simpatia per quelli come noi. Un'intera gilda formata da
immortali non li entusiasma molto, ci stanno dando un po' di
grattacapi ma papà ci sta lavorando molto».
«Un'intera
gilda... quanti siete?» chiese Fried, ancora sotto shock.
«Dunque...
con l'arrivo dei gemelli, tre mesi fa, direi che siamo più o
meno
una quindicina di persone» provò a ragionare Ares.
«Quindici?!»
sussultò Evergreen.
«Una
sola persona che riesce a tenere in vita tutti voi?»
mormorò Fried
e Ares annuì imbarazzato, confessando:
«Sì, nostro padre è un
uomo molto potente. Vi posso raccontare tutto per la via, possiamo
anche farla a piedi, la gilda non è molto lontana da
qui» disse
Ares, invitandoli ancora a seguirli. Laxus e i Raijinshuu esitarono
di fronte a quella richiesta, voltandosi verso l'unica che avrebbe
dovuto dire qualcosa in merito. Priscilla era pallida, sconvolta, e
ancora non riusciva né a respirare né a
parlare.
«Pricchan...»
mormorò Fried, chiedendole in quel semplice richiamo cosa
avesse
voluto fare. Lei deglutì e tremando ancora, semplicemente
annuì.
«Fantastico!»
si illuminò Ares, lasciando che l'emozione gli sfuggisse non
solo
dagli occhi ma anche dalla voce. «Fantastico!»
ripeté voltandosi a
cercare i due ragazzini che aveva malmenato fino a quel momento.
«Hermes! Dioniso! Andate avanti, veloci. Avvertite tutti
quanti.
Preparate dei letti, per tutti e cinque, e un banchetto! Uno ricco e
abbondante».
«Un
banchetto?» storse il naso il ragazzino con la cresta,
Dioniso.
«Che
diamine è un banchetto?» gli fece eco Hermes, il
ragazzino dai
capelli rossi.
«Un
banchetti, imbecilli! Cibo! Cibo umano! E da bere! Acqua, vino,
birra... chiedete ad Athena, saprà sicuramente cosa
fare» disse
Ares.
«Oh,
beh! Salta in groppa, socio!» disse Hermes, cominciando a
correre
sul posto per riscaldare le gambe. Si abbassò e Dioniso gli
saltò
sulle spalle, urlando entusiasta poco prima che Hermes partisse
correndo a una velocità incredibile, lasciandosi alle spalle
un gran
polverone e sparendo dalla vista nel giro di mezzo secondo.
«Che
velocità!» esclamò Evergreen, notando
come fossero già spariti.
«Seguitemi,
da questa parte» indicò Ares e cominciò
a camminare. Priscilla gli
andò subito dietro, affiancandolo, seguita poi dai
Raijinshuu e da
Laxus. Ilizia e Eris semplicemente restarono qualche passo indietro,
ma li seguirono anche se più pigramente.
«Cibo
umano...» mormorò Laxus. «Voi non
mangiate?»
«Priscilla
sì?» chiese Ares di rimando, voltandosi curioso
verso la ragazza
che ancora muta annuì. «Oh, capisco»
sorrise Ares, per niente
sorpreso. «Sei cresciuta in mezzo agli umani, hai assunto le
loro
abitudini. Quindi immagino che dormi anche».
«Il
sonno mi aiuta a recuperare le forze» disse lei,
semplicemente.
«Sì,
capisco. Anche i gemelli dormono, loro sono ancora bambini non hanno
imparato a recuperare gradualmente e volontariamente. Non
ancora».
«Volontariamente?»
chiese Fried.
«Quando
usiamo troppa magia, magari per svolgere qualche lavoro, il nostro
corpo va ovviamente in una specie di risparmio energetico. I
più
inesperti si lasciano travolgere da questa sensazione e si
abbandonano al sonno per il recupero, chi ha un po' più
consapevolezza di sé riesce invece a evitarlo. Basta non
fare
sprechi, starsene buoni seduti a riposare, prendersi del tempo,
magari aiutare con un po' di meditazione e tutto passa. Lo stesso
vale per il cibo, il nostro corpo anche se biologicamente funzionante
non ha bisogno perché si nutre di Ethernano che si trova
nell'aria,
intorno a noi».
«Pricchan
mangia più di tutti noi, è un po' diversa su
questo» rise
Bickslow, trovando divertente quella piccola e particolare
caratteristica della ragazza.
«Sono
stata abituata a farlo» rispose semplicemente Priscilla,
ricordandosi con dolore le innumerevoli volte che suo padre l'aveva
sgridata perché doveva somigliare a un umano e come tale,
perciò,
dormire e nutrirsi. Una risposta che zittì i suoi amici, ma
che
ancora di più portò Laxus a corrucciarsi e avere
quell'orrenda
sensazione in petto. Quelle persone erano così diverse da
loro,
rendersi conto che Priscilla fosse più simile a loro che a
lui lo
portava a dover sopportare un fastidioso dolore. Erano cresciuti
insieme, l'aveva sempre chiamata sorella, qualunque fosse la
verità
non era mai stato in grado di vederla come un essere diverso da
ciò
che era lui. Pricchan era semplicemente Pricchan, aveva incredibili
capacità, ma era parte della loro famiglia, era esattamente
come
loro. Niente di diverso da un umano... ma ora gli veniva invece
buttata in faccia una realtà totalmente differente. Una
realtà che
addirittura lo spaventava. Una realtà che avrebbe potuto
farla
persino allontanare.
«È
naturale, è stata cresciuta come un umano. Nostro padre,
benché sia
un umano, ci ha da subito fatto conoscere e accettare la nostra vera
natura e per questo non siamo abituati a dormire o mangiare, anche se
lui lo faceva» continuò a spiegare Ares.
«Un'intera
gilda di immortali nati dalla stessa magia di Pricchan»
rifletté
Fried. «Perché non ne siamo mai venuti a
conoscenza? Dicevi che la
stavate cercando».
«Perché
non sapevamo dove fosse, non prima di qualche settimana fa. Vedete,
io sono stato il primo a nascere e sono venuto al mondo circa sette
anni fa, poco prima che spariste tutti con l'isola Tenroujima. Mi ero
già messo in viaggio per venire a Magnolia e cercarti, mio
padre ti
conosceva, mi ha parlato molto di te. Ma quando sono arrivato scoprii
della tragedia dell'isola e perciò semplicemente me ne sono
tornato
a casa con la coda tra le gambe. Mio padre mise al mondo Athena, dopo
di me, concentrando la sua capacità magica sull'intelligenza
e su
Archive. Sperava che lei sarebbe stata in grado di trovarvi, ma
così
non è mai stato. Intanto papà ha
scoperto il piacere di avere
intorno dei figli e ha cominciato a nutrire il desiderio di allargare
la famiglia. È sempre stato un uomo molto solo,
perciò quando ha
iniziato a scoprire il piacere di averci intorno ha provato a darci
dei fratelli... per noi è meraviglioso poter avere qualcuno
con cui
condividere la nostra natura, una famiglia, un'appartenenza e lui ci
amava così tanto che, anche se questo è sempre
andato a discapito
della sua magia e forza vitale, ha continuato a dar vita ad altri
fratelli per non farci sentire soli. Senza nemmeno rendercene conto
abbiamo infine formato una gilda. Gli ultimi ad essere nati sono i
gemelli, Apollo e Artemide, hanno solo tre mesi di vita anche se le
sembianze di bambini di cinque anni».
«Capisco
i timori del Concilio, in soli sette anni vi siete allargati a
macchia d'olio» mormorò Fried, pensieroso.
«Noi...»
mormorò Ares, abbassando lo sguardo abbattuto.
«Non facciamo niente
di male».
«Credi
che siamo pericolosi solo perché non siamo umani?»
ringhiò Eris,
affiancando Fried e lanciadogli un'occhiataccia traversa.
«No,
assolutamente!» sussultò lui, preoccupato per
essere stato
frainteso.
«Stai
calma, Eris. Non c'è bisogno di arrabbiarsi»
provò a
tranquillizzarla Ares, ma lei disse offesa: «Ci ha dato dei
criminali!»
«Non
mi pare proprio che abbia detto una cosa del genere»
sospirò Ares,
rassegnato all'idea che Eris non perdesse occasione per attaccare
briga con qualcuno.
«Scommetto
che pensi che siamo dei mostri, non è
così?!» si corrucciò
maggiormente Eris e Fried cominciò a sudare freddo, ma per
fortuna
gli venne di nuovo in soccorso Ares dicendo: «Sono la
famiglia di
Priscilla, come credi che possa anche solo pensare una cosa simile?!
Lascialo in pace, smettila di fraintendere volontariamente».
«Non
sto fraintendendo volontariamente!» disse Eris, offesa.
«Sì,
invece, perché vuoi solo litigare con qualcuno! Piantala,
adesso»
la rimproverò, prima di sospirare ancora.
«Perdonala, ha un tale
caratteraccio».
«No,
ok, va bene così. È colpa mia, non dovevo dire
quelle cose» disse
Fried imbarazzato.
«L'evidenza
della morte è qualcosa a cui siete molto legati»
proseguì Ares,
cupo in volto. «Poter uccidere qualcuno è qualcosa
che vi
rassicura. Se una persona è nemico, basta ucciderlo e tutto
si
risolve. Con noi questo ragionamento non è applicabile,
capisco i
timori del Concilio e di voi umani di fronte a una gilda come la
nostra. Non vi biasimo».
«Ma
questo non è totalmente vero!» esclamò
Evergreen. «Priscilla ha
rischiato la vita un sacco di volte, ci sono cose che possono
uccidervi».
«E
comunque possono sempre imprigionare i delinquenti, non per forza
bisogna ricorrere alla morte» le diede corda Bickslow.
«I
ragionamenti del Concilio sono assurdi e illogici»
annuì
Evergreen.
«Ciò
non toglie che chi non comprende a fondo la nostra natura,
può
rimanerne spaventato. È molto complesso in
realtà. Penso che
Priscilla sia stata solo molto fortunata, è cresciuta come
fosse una
di voi e questo ha facilitato la sua accettazione» disse per
poi
lasciarsi sfuggire un verso di dissenso e aggiungere:
«Scusate, sono
stato indelicato».
«No,
capiamo. State lottando da molto per farvi accettare, è
normale che
pensiate di essere discriminati» disse Fried e Ares,
sentendosi
appoggiato, si sentì libero di aggiungere: «Gli
umani ci temono, o
ci vedono come un esperimento, un oggetto. È difficile per
loro
comprendere che siamo esseri viventi anche noi, per questo ci siamo
chiusi tra questi boschi e non facciamo molto parlare di noi. Ci
siamo un po' isolati, probabilmente per questo motivo abbiamo
scoperto che eravate ancora vivi e in circolazione solo quando siete
apparsi ai Grandi Giochi. Abbiamo da allora pensato più
volte di
tornare a Magnolia, venirci a presentare, ma confesso che siamo
sempre stati frenati da un certo timore. Sai, non potevamo aprire le
porte della vostra gilda e presentarci con un semplice "ehy,
siamo immortali, creati con la magia anche noi". Abbiamo
titubato un po', ma alla fine il destino ci ha fatti comunque
incontrare qui. È... eccezionale» sorrise,
emozionato.
«Sette
anni fa...» mormorò Fried, sempre pensieroso e
sorpreso.
«Già!
Abbiamo fatto ricerche, pare che siamo gli unici ad essere
così. Per
questo volevamo conoscere Priscilla... lei è stata la
prima».
«Ed
è nata da un padre diverso! Insomma, volevamo vedere
com'era»
aggiunse Eris.
«Nostro
padre ti conosceva già da molto tempo, è per
questo che ha voluto
provare anche lui. In qualche modo siamo venuti al mondo grazie a te.
Capisci il nostro entusiasmo?» chiese Ares con timidezza,
volgendo
lo sguardo a Priscilla.
«Sei
l'origine di ogni cosa! La capostipite di una nuova razza!»
saltellò
Eris, guardando Priscilla con gli occhi che luccicavano.
«Io...»
mormorò lei. «Io sono solo Pricchan»
disse ancora annebbiata e
confusa. Un tocco sulla propria testa, delicato ma ben presente, una
carezza che conosceva ormai fin troppo bene. Alzò lo
sguardo, in
quel mondo confuso e assurdo, terrificante e del tutto nuovo, ma in
mezzo al caos e alla paura trovò una luce familiare e
confortante.
Laxus le si era avvicinato, per quanto non avesse parlato molto, era
ben deciso comunque a farle sentire la sua presenza. Le aveva
accarezzato la testa, in quel suo solito modo di fare affettuoso, e
solo questo era bastato a riportarla con i piedi per terra.
Incrociare i suoi occhi, gentili e amorevoli, lo sguardo di chi le
sarebbe stato a fianco di fronte a qualsiasi cosa, le avevano infine
acceso una luce di tranquillità e fiducia. Un semplice
gesto, era
bastato per sentirsi meglio, meno sola e terrorizzata. Con un solo
sospiro riuscì a far uscire tutta l'angoscia che l'aveva
strozzata
fino a quel momento. Finché Laxus era con lei, niente
avrebbe potuto
atterrirla.
|