Dépaysé
Non c’è
niente, al mondo, che lo faccia sentire più sicuro e stabile
dell’instabilità ed il ciondolare lento di una nave;
nessuna litania dolce quanto il suono delle onde, nessun conforto
quanto quello del vento salmastro, sempre uguale ovunque navighi,
quanto lontano si spinga.
È notte, e la luna veglia su di lui come la più gelida
delle madri, e l’oceano infinito e vuoto sembra appartenergli.
Mani fredde scivolano sul suo petto, subito seguite dal calore
soffice di un lenzuolo ed il battito di un cuore, attraverso un petto
nudo, che si posa contro la sua schiena. Arthur non ama essere
toccato, ma quello di Francis è più di un abbraccio: è
una morsa tiepida, una consenziente trappola. Si lascia catturare
perché sa esattamente come sfuggirvi; vi rimane dentro perché
è lui a desiderarlo.
Anche la voce di
Francis è una trappola, una melodia che si sofferma sulle
vocali in una maniera che è a lui del tutto estranea. «
Dormono tutti come cuccioli. », dichiara, le labbra che
sfiorano il suo orecchio. Arthur nota il luccichio nella sua mano
destra, la rifrazione della luce lunare sul vetro della boccetta di
sonnifero.
« Spero
non ti abbiano strapazzato troppo. »
Francis ride. «
Lo hanno fatto. », ammette; il suo abbraccio scivola dal corpo
di Arthur: gli gira attorno, mostrandosi a lui. Il suo profilo è
delicato quanto la sua espressione, che Arthur non sa leggere –
malinconica, ma mai seria. Lo conosce da un tempo che precede la
consapevolezza di sé, eppure non lo ha mai compreso. Lui
sembra notare che qualcosa lo turba: posa un dito sulla sua guancia,
costringendo un angolo della sua bocca a sollevarsi in una smorfia. «
Cancella quel cipiglio cupo dalla faccia, chère. Ci
vuole ben più di qualche rude mano umana per farmi del male,
dovresti saperlo. »
La sua voce è
leggera, ma le parole – per quanto l’intento sia quello
di rassicurarlo – non fanno che agitarlo ulteriormente. Afferra
il suo polso e lo allontana da sé, consapevole di star
compiendo un gesto poco caratteristico – a confermare quel suo
timore sono gli occhi azzurri di Francis, sgranati in un’espressione
di sorpresa. Ha un livido sul volto, già in via di guarigione,
e molti altri sul corpo. Arthur aggrotta le sopracciglia.
« Perché
continui a farlo? », domanda. Francis non impiega che qualche
istante a ritrovare la sua espressione abituale, il suo sorriso
triste. La mano sostenuta da Arthur si chiude a pugno.
« Perché
è l’unico modo in cui possiamo stare assieme. »,
spiega, ignorando la natura retorica della sua domanda. Ama
stuzzicarlo, farlo sentire un idiota esprimendo a voce tutto ciò
che pensa e che sa. Lo ha sempre amato. « Perché è
divertente continuare a scappare e ricatturarsi, ripetere la stessa
tragedia come attori da palcoscenico. Dovresti saperne qualcosa, di
teatro, giusto? Il destino ti ha graziato con uno dei migliori
drammaturghi della storia, se non erro. »
Arthur lo lascia
andare; non che sia mai stato in grado di fermarlo, di fermare il
fiume di parole che straripa dalla sua bocca, quelle lame invisibili
che sono la sua arma più forte. I suoi occhi si posano sulle
sue labbra ed il pensiero corre a scene che ora gli sembrano lontane
e distanti nel tempo e nello spazio – le innumerevoli volte in
cui lo ha attirato a sé e baciato fino a perdere il fiato, le
parti di lui che quella bocca ha divorato e adorato. Non è
un’arma, in quei momenti, ma una panacea per ogni genere di
dolore del corpo e dell’anima; quella duplice forma,
quell’instabilità, lo spaventa.
Francis lascia
scivolare sul ponte il lenzuolo che copre le sue spalle. Metà
dei suoi abiti giacciono nel letto di Arthur, e lui dubita che si
darà il disturbo di recuperarli; sospetta persino che li
abbandoni apposta, ogni volta che gli inglesi riescono a mettere le
mani su di lui, perché il profumo di cui sono intrisi tormenti
Arthur fino al successivo incontro. « Eccoli, sono arrivati. »,
constata, sollevando una mano per guardare meglio all’orizzonte.
Sull’albero maestro del vascello in avvicinamento sventolano
fiere la bandiera con i gigli dorati ed il vessillo di un bucaniere
sconosciuto; Francis afferra una cima vicina e, assicuratosi della
sua stabilità, sale sul parapetto della nave.
È bello,
Arthur lo realizza solo in quell’istante. Nel suo profilo, in
cui il contrasto tra luce e buio è netto e ben definito, c’è
qualcosa di estremamente umano e vero – e vi sono poche cose al
mondo che quelli come loro amino più degli uomini. Lo
osserva sbracciarsi, tenendosi alla cima, sbilanciarsi
pericolosamente nel vuoto.
Infine si volta,
si china senza dire una parola. Non lo chiama, ma Arthur lo raggiunge
comunque; è attirato a lui con la promessa di qualcosa che non
riesce ad ottenere mai, e che non si stanca mai di inseguire. «
Allora ti dico addio. », mormora; la mano di Francis afferra il
suo viso come se gli appartenesse di diritto.
« Non è
un addio. », sussurra. « Solo un arrivederci. »
Ma quando lo
bacia contraddice se stesso; Arthur sente il suo fiato mozzato dal
dolce scontro delle loro labbra, percepisce la sua rabbia e la sua
paura – malcelate dietro una sicurezza che possiede quanto lui.
Trema, e non è il freddo, né il vento che graffia la
sua pelle, né il dolore del corpo affaticato dalla prigionia.
Arthur non apre gli occhi, quando Francis lo lascia andare: gode
della sensazione spettrale della sua presenza al suo fianco, si
sottrae ad ogni possibilità di esporre la sua espressione ed i
pensieri che lo tormentano. Si concede quella libertà solo
quando l’ombra che neppure si era reso conto oscurarlo alla
luce della luna svanisce, accecandolo.
Il vascello è
così vicino che i pirati francesi potrebbero affrondare la sua
nave, se volessero – ma non lo fanno mai, su stretto ordine di
Francis. Arthur sente i loro canti di gioia, le pacche sulla schiena
di Francis. Cerca la forma familiare del pugnale legato al fianco e
recide la cima con pochi, rapidi gesti decisi.
La nave vira la
propria rotta, allontanandosi da quella inglese – che rimane
sola con il vento, e con il mare, e con la luna. C’è un
silenzio particolare, là fuori, che sulla terra è
impossibile trovare: Arthur poggia le braccia al parapetto e chiude
gli occhi, ascoltandolo.
Il profumo di
Francis è tutto ciò che gli rimane, fino alla prossima
volta.
Questa
storia è
stata
scritta su commissione. I più
sentiti
ringraziamenti al committente, Livia! Le commissioni verrano
riaperte a breve, se interessati vi prego di dare un'occhiata alla
mia pagina Facebook (JoiningJoice Writing). Ricordo che potete anche
contattarmi su EFP!
Vi
ringrazio per l’attenzione, alla prossima!
-Joice
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