Il diario di Madotsuki

di Biblioteca
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Affacciata al balcone che dava sulla città, osservando il cielo stellato, Madotsuki ripensò alla sua vecchia città.
C’era un luogo, che alla sera, sembrava trasformarsi in una specie di “altro mondo”. Si trattava del vecchio molo.
Costruito interamente in legno, illuminato ancora con le lanterne di un tempo (il comune ancora pagava un lampionaio per accendere le fiamme ogni sera e spegnerle ogni mattina), era considerato un pezzo di storia, meta dei rari turisti di passaggio in città e sede di qualche festività tradizionale della cittadina.
I pescherecci e le altre barche attraccavano al molo moderno, due chilometri più avanti.
Quello era uno dei pochi posti dove, stranamente, a Madotsuki era permesso andare anche senza Monoko.
Forse anche perché Monoko aveva paura dell’acqua.
Madotsuki, quando era in cerca di pace, andava al molo. Ogni volta che ci riusciva restava lì a fissare il mare che gradualmente si anneriva fino a diventare tutt’uno con la notte. Allora sì che il molo faceva paura, ma era l’unico modo per stare sola, quindi si faceva forza e rimaneva lì.
Nonostante il freddo, nonostante il buio era lì che lei voleva stare.
Un giorno si rese conto di non essere la sola ad amare il molo. Vedeva spesso un’altra figura, su una banchina poco distante dalla sua preferita, arrivare sempre quando faceva buio.
Non aveva mai capito se fosse una ragazza o un ragazzo, anche perché era talmente magra che risultava semplicemente filiforme. Una specie di “stickman” vivente. Molto inquietante.
Questa figura vestina con giubbetti di salvataggio dai colori sgargianti, in piedi passava il suo tempo a mangiare selvaggiamente qualcosa, arrivando talvolta a vomitare nel male per poi riprendere a ingozzarsi. A Madotsuki, la cui magrezza della figura aveva sempre fatto una certa impressione, era venuto, ai tempi, l’ingenuo sospetto che quella persona mangiasse tanto perché voleva diventare grassa.
Madotsuki pensò ancora alle parole del padre.
Non era affatto grassa, ma le capitava a volte quando mangiava molto di avere la pancia così piena da sentirsi grassa.
Anche per questo, in quel momento, sul balcone, stava mangiando a più non posso le merendine che si era nascosta in camera.
Non voleva diventare come quell’essere filiforme del vecchio porto.
Voleva solo essere piena da scoppiare, in modo da potersi finalmente sentire completa. E dormire in pace.

 
(Note dell’autore: Se andate ai “Docks” passando per il labirinto rosso, troverete una figura chiamata Strober che si illumina di vari colori, tutti molto accesi, mentre sembra intenta a mangiare qualcosa. Se interagite vi darà l’effetto “fat”. Ho pensato che quella figura fosse un riferimento alla bulimia o all’anoressia, ma è forse l’unico accenno – insieme ai fantasmi “vomitanti”  nel bosco – all’argomento. Ho provato così a razionalizzarlo e a raccontarlo in questo modo. Spiegando anche quali sensazioni può aver suscitato a Madotsuki. L’effetto fat è praticamente inutile e dal verso che emette Madotsuki quando è sotto l’effetto, con le bollicine che escono dalla bocca, lascia intendere un senso di pienezza, qualcosa comunque di positivo. Alcuni lo associano a una possibile gravidanza della ragazza, ma per quella ci sono altri indizi sparsi nella storia, che ho intenzione di analizzare più avanti)




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