Buongiorno,
questa
storia originale si intreccia con una mia storia già scritta
precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta,
riconoscerà
subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT!
Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto
poiché contiene spoiler per questa originale.
INFO:
finalmente TBE inizia ad intrecciarsi con Choices, perciò da
questo
capitolo in avanti – almeno per chi ha avuto modo di leggere
la mia
precedente minilong – ritroverete un volto noto, Taichi
Yagami, e
alcune citazioni e scene prese proprio da Choices.
Ringrazio
con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in
veste di Beta Reader!
Rating
capitolo:
verde
Personaggi
capitolo:
Brent e Taichi
Capitolo
8
Se
per quasi vent'anni della mia vita avevo vissuto in Inghilterra,
secondo regole specifiche, parlando una lingua conosciuta sin dalla
nascita, ora mi ritrovavo dall'oggi al domani a dover intraprendere
un viaggio verso tutto ciò che mi era estraneo, ma che per
metà mi
apparteneva, alla ricerca della felicità. Perché
sì, per me
diventare un pilota era un po' come raggiungere l'apice della
felicità.
Lasciai
alle spalle poche cose a me care, tra cui la casa che per un'intera
vita era stata testimone della mia maturazione, che aveva abbracciato
la morte di mio padre e che aveva condiviso i suoi ampi spazi con me;
Sam che il giorno in cui partii venne a trovarmi in aeroporto
regalandomi un bacio di addio, insieme alla sua maglietta preferita
dei Pantera; l'Inghilterra e le sue usanze, sicuramente meno ferree
di quelle che avrei dovuto adottare in Giappone.
I
miei sogni, però, erano più grandi di qualsiasi
altra cosa
e non avrei concesso nemmeno a me stesso di ostacolarli.
Quando
giunsi per la prima volta in Giappone mi accorsi subito di non essere
altro che un giovane turista spaesato. Non vi era nulla che
richiamasse alla mia Inghilterra, tutto mi era così estraneo
e
diverso. Seppur per metà potessi ritenermi giapponese,
nella
realtà dei fatti non lo ero per nulla. Non sapevo nulla di
questo
magico Paese, se non ciò che avevo potuto curiosare sulle
guide
turistiche riguardanti la sua tradizione solida e stimata in tutto il
mondo, il cibo salutare e ormai commercializzato in tutto il mondo,
l'architettura nota all'estero soprattutto per i suoi santuari
scintoisti e dai templi buddhisti.
Il
mio primo obiettivo era l'aeroporto di Shin Chitose, più
correttamente definito, situato a sud-est della città di
Chitose e
Tomakomai, nell'isola di Hokkaido. Nonostante non ricopra un'area
particolarmente vasta, o per lo meno sicuramente inferiore rispetto
all'aeroporto di Londra, Shin Chitose gode di una notevole estensione
in verticale. Questo aeroporto, infatti, è edificato su ben
cinque
piani, tra cui un piano interrato collegato alla linea ferroviaria
principale di Sapporo tramite treni locali ed espressi.
Quando
approdati finalmente sulla terra ferma, notai subito
un'organizzazione quasi maniacale da parte dei giapponesi.
Tant'è
che non ebbi alcuna difficoltà a raggiungere uno dei quattro
tour
desks
situati al primo piano dell'aeroporto. Avevo bisogno di mangiare. In
volo mi ero limitato a prendere una bottiglietta di acqua e un
sandwitch confezionato veramente terribile, dal sapore quasi
plastificato e la consistenza simil cartone del latte. Tutto
ciò
aveva solo aiutato il mio stomaco ad aprirsi ulteriormente ed ora ero
in completa balia del brontolio della mia pancia. La signorina al
tour
desk
mi disse di dovermi recare all'ufficio informazioni per questo genere
di domande, ma, prima ancora di lasciarmi andare, si guardò
intorno
e mi indicò in fretta e furia la strada da imboccare per
poter
raggiungere uno dei tanti ristoranti presenti all'interno
dell'aeroporto. Quel suo gesto, quasi celato dalla paura, mi
lasciò
perplesso. Era come se il dover infrangere le regole lì
fosse un
reato perseguibile dalla legge.
Al
secondo piano trovai moltissimi negozi in cui poter far shopping, ma,
vista la motivazione che mi aveva spinto a raggiungere il Giappone,
oltrepassai quei locali per giungere al terzo piano dedicato
all’area
ristoro. In Inghilterra non tutto il cibo take
away
era così prelibato come in Giappone. Mi ritrovai ad amare il
pesce
crudo, cosa che non avrei mai immaginato in vita mia. Mi sono sempre
definito una persona fortemente carnivora. Tra una bella costata al
sangue ed un trancio di salmone, ho sempre preferito la carne.
Eppure, sarà stato il cambio di clima, il cambio di luogo,
di
cultura, ma avevo riscoperto un amore per determinate pietanze che
non sapevo neanche di avere. Mi ritrovai a pranzare con un mucchietto
di riso in bianco avvolto in un foglietto scuro di non so cosa.
Scoprii solo successivamente che mi ero cibato con delle alghe.
Guardai
il mio orologio e mi affrettai a raggiungere l'esterno di quel
palazzo a mezza luna, per poi cercare un modo per raggiungere
l'accademia.
Mi
documentai nel frattempo in internet e scoprii che l'aeroporto di
Shin Chitose aveva aperto nel 1991 in sostituzione dell'adiacente
aeroporto di Chitose. Quest'ultimo divenne
poi esclusivo per le forze di autodifesa giapponesi, nonostante
tuttora fosse ancora collegato
fisicamente allo scalo civile.
Ecco,
Chitose era il mio obiettivo prossimo.
Dovetti
chiamare un taxi per poter raggiungere la Chitose Air Base. Meno di
dieci minuti di viaggio ed eccomi lì, innanzi a quello che
speravo
essere il mio futuro.
Appena
varcai le porte della base aerospaziale, venni accolto molto
calorosamente dal medesimo personaggio con il quale avevo parlato la
settimana precedente al telefono. Uno dei tanti, visto il giro di
chiamate che dovetti fare.
Il
colonnello Itou si presentò molto cordialmente, con il
tipico saluto
giapponese, chinando lievemente corpo e capo in avanti. Io rimasi per
un istante confuso sul da farsi, ma poi realizzai di essere un
semplice ospite in uno dei paesi più tradizionalisti del
mondo.
Perciò imitai il mio futuro superiore per poi fronteggiarlo.
-È
un piacere averti qui, Brent Smith- mi disse il colonnello allungando
la mano verso di me e stringendola forte nella sua.
Sorrisi
per quel gesto. Fu proprio in quella movenza che ritrovai una certa
familiarità e un tocco di ospitalità
internazionale.
-Smith,
ho controllato le tue carte prima di convocarti qui per l'ammissione
e non ho potuto fare a meno di notare, con piacere, che sei nato a
Tokyo.
Dico bene?- mi domandò l'uomo mentre mi invitava a seguirlo
all'interno
dell'edificio.
La
struttura era in cemento grezzo, completamente priva di ogni
possibile decorazione o rifinitura. Adiacente ad essa vi erano
diversi capannoni piuttosto grandi che si reggevano in altezza per
poter accogliere al loro interno velivoli militari di svariate forme
e dimensioni.
-Sì,
purtroppo non so molto altro sulle mie origini asiatiche- risposi
vago guardandomi attorno e ammirando la struttura internamente.
-Hai
mai vissuto in Giappone?- mi domandò proseguendo il suo
cammino
verso un corridoio che appariva infinito.
-Che
io sappia solo per pochi mesi, ma giusto quand'ero ancora in fasce-
risposi cercando di captare eventuali note negative sul suo volto.
Ma
quell'uomo appariva così risoluto e inespressivo, che non mi
diede
modo di interpretare la sua espressione.
-Eccoci-
disse ad un tratto dopo aver raggiunto un portone piuttosto pesante
ed invitandomi ad entrare -il generale ti sta aspettando-.
Presi
un respiro ed oltrepassai l'uscio del suo ufficio, per poi ritrovarmi
faccia a faccia con un uomo distinto, vestito solo della sua migliore
uniforme.
Mi
salutò anch'egli inchinando il capo in avanti ed io dovetti
fare
altrettanto.
-Accomodati-
mi disse con scarso entusiasmo -colonnello, lei invece può
congedarsi-.
Doveva
sicuramente trattarsi di un suo superiore visto il tono utilizzato
per invitarlo ad uscire dalla stanza.
-Sono
Kobayashi, generale di brigata aerea dell'aeronautica giapponese-
disse afferrando alcuni documenti posti sulla sua scrivania ed
iniziando a sfogliarli proprio davanti a me.
Mi
ritrovavo davanti al primo, in ordine gerarchico crescente, tra i
gradi degli ufficiali generali. Incredibile, in quel momento mi
sentii minuscolo ed insulso quanto un moscerino.
-Brent
Smith, nato a Tokyo da donna ignota. Tuo padre è un medico
ing...-
iniziò leggendo la mia storia personale prima di venir
interrotto da
me.
-Era-
lo corressi.
-Mi
scusi?- domandò non capendo la mia correzione.
-Mio
padre era
un medico- mi spiegai meglio.
Il
generale non accennò neanche per un istante ad una reazione
empatica
nei miei confronti. Si schiarì la voce e proseguì
la mia
introduzione -vedo che hai sempre vissuto in Inghilterra, che non
parli giapponese e non hai mai vissuto qui in Giappone-.
Il
modo con cui lesse la mia scheda personale mi fece quasi venire i
brividi.
-Non
mi pare tu abbia tratti asiatici- mi disse alludendo alla forma dei
miei occhi, decisamente più occidentale della sua.
-Ecco,
io...- avrei voluto rispondere a quell'accusa, ma la verità
era che
non sapevo nulla circa il mio concepimento e la mia madre biologica.
-In
ogni caso il certificato non lascia dubbi, sei giapponese, seppure
per metà- dichiarò infine rimarcando questa frase
quasi con tono
accusatorio, per poi proseguire di getto -noto con piacere che,
rispetto a molti nostri cadetti della tua età, hai
già avuto
esperienze in mimetica. Sei stato in una scuola a stampo militare ed
hai frequentato per un breve periodo un'accademia di aviazione-.
-Sissignore-
dissi sentendomi quasi in dovere di impettirmi innanzi ad un
personaggio del suo calibro.
L'uomo
si alzò dalla scrivania per poi soffermarsi davanti alla
finestra
del suo studio
e guardare esternamente -devi sapere Brent, che al contrario di
quanto si possa percepire
dai film esteri, non siamo un popolo particolarmente chiuso nelle
proprie mura-.
Alzai
un sopracciglio non capendo perfettamente il discorso da lui
iniziato.
-Noi
non abbiamo come obiettivo quello di arruolare soldati da macello,
noi non puntiamo a fare la guerra. Il nostro esercito è
stato
redatto solo per poter difendere il nostro paese e per poter aiutare
i nostri alleati in missioni di salvataggio, recupero o umanitarie.
Per questo non arruoliamo uomini basandoci solo sul loro curriculum o
sul loro aspetto- nonostante il suo discorso potesse apparire
piuttosto glorioso, continuavo a non capire dove volesse andare a
parare.
-Voglio
conoscere il vero Brent Smith, quello che ha fatto miglia e miglia
pur di poter diventare un pilota, quello che ha abbandonato la sua
patria per poter inseguire un sogno- si voltò verso di me
sorridendomi -voglio conoscere la persona che si cela dietro queste
carte, perché il mio sesto senso non si smentisce mai e in
questo
momento mi sta invitando a prendere seriamente in considerazione
l'idea di arruolarti nel mio esercito. Un esercito che io stesso ho
scelto di persona, soldato per soldato, senza eccezioni-.
Sentii
il cuore salirmi fino in gola e pulsare talmente forte da farmi
credere per un istante di sentire il terremoto sotto i miei piedi.
-Sei
pronto Brent Smith a raccontarmi tutto di te?- mi domandò
allungano
una mano in mia direzione ed invitandomi a stringerla nella mia.
-Prontissimo!-
risposi senza alcun indugio alzandomi dalla mia sedia e raccogliendo
la sua sfida.
Trascorsi
quasi tre ore intere raccontando ogni singolo dettaglio della mia
vita, mettendo da parte l'imbarazzo e cercando di non tralasciare
nessun particolare. Gli raccontai dell'incontro piuttosto bizzarro
dei miei genitori, del mio rapporto con mio padre e di quanto io
abbia patito la mancanza di una figura materna. Decisi di aprirmi
completamente a quello sconosciuto perché, mal
che sarebbe andato, mi
avrebbe negato l'accesso in accademia e sarei tornato dall'altra
parte del mondo senza doverlo più rivedere.
Perciò tanto valeva
fare un tentativo.
Gli
raccontai persino del sergente Gamble, della seconda
possibilità che
mi era stata concessa e dell'influenza positiva che quell'uomo aveva
avuto nei miei confronti. Parlai persino di Sam, tralasciando
ovviamente qualsiasi scampagnata avvenuta sotto coperta.
Comprendetemi.
Quando
mi domandò perché proprio l'aviazione, io
intrapresi un lungo
discorso sulla mia passione infantile, raccontandogli della favola di
Peter Pan e della farfalla monarca. Gli mostrai persino il mio
tatuaggio e lì intravidi un'espressione che probabilmente
non avrei
mai potuto dimenticare. Mi aspettavo di venir preso per pazzo, strano
o comunque che il mio discorso lo avrebbe fatto desistere
dall'ammettermi in accademia. Ed invece, con mia grande sorpresa, si
tolse la giacca, per poi sfoderare un tatuaggio molto simile al mio.
-Chou-
mi disse ricomponendosi subito e non dandomi eccessivo tempo di
ammirare il suo tatuaggio -mia figlia-.
Sospirò
poggiandosi una mano sul petto e socchiudendo gli occhi quasi a voler
ricrearsi la figura della figlia nella mente.
-Sai
che cosa sono i bambini farfalla, Brent?- mi domandò allora
il
comandante tornando a sedersi dietro alla sua scrivania.
Scossi
il capo non comprendendo la serietà di quel discorso.
-Chou
è nata con una grave malattia della pelle. La sua epidermide
era
talmente delicata da avere continue bolle e lesioni, sangue ed
infezioni. Bambini farfalla proprio per questo motivo,
perché la
loro pelle è delicata proprio come le ali delle farfalle-.
-Chou
significa farfalla- disse indicandosi il petto, esattamente dove
giaceva il tatuaggio di una splendida farfalla monarca -Chou
è morta
poche ore dopo il parto-.
Mi
sentii la gola arida, incapace di proferire parola innanzi ad una
rivelazione simile. Il mio sguardo confuso fece intendere tutto e il
comandante tornò a sorridermi per poi aggiungere -abbiamo
entrambi
perso una persona a noi cara, siamo legati da una farfalla monarca e
ci piace volare. Tu credi nelle coincidenze, Brent?-.
Alzai
lo sguardo verso la sua imponente figura. Solo in quel frangente
notai con mio grandissimo stupore che quell'uomo era persino
più
alto di me. Eppure avevo sentito dire che gli asiatici erano tutti
bassi. Dicerie, come sempre.
Lo
guardai dritto negli occhi
e, prima
ancora di formulare una qualsiasi risposta a senso compiuto,
intravidi nei suoi occhi quelli del sergente Gamble. E fu allora che
sorrisi di cuore.
-Non
credo nelle coincidenze, signore- risposi schiettamente.
-Neanche
io, figliolo- rispose lui alzandosi dalla scrivania e battendo le
mani tra di loro -benvenuto in accademia, Brent Smith-.
Lo
guardai con stupore e con lo sguardo di chi davvero non si sarebbe
mai aspettato un inserimento tanto immediato.
Ecco,
quella fu la svolta di cui avevo bisogno. La svolta che mi
portò sin
qui.
Quel
giorno il comandante in carica si mise una mano sul cuore e mi
introdusse in accademia, facendomi saltare persino al gradino
successivo, evitandomi così ogni incombenza noiosa e
umiliante
tipica del novellino.
***
Negli
ultimi due anni ho imparato la lingua giapponese e ho affinato le mie
conoscenze in ambito militare. Ho imparato a pilotare e, modestia a
parte, sono un talento nato.
Ho
chiesto di venir collocato nel gruppo adibito al soccorso estero,
perciò trascorro mesi interi fuori dal Giappone per poter
portare a
termine alcune tra le più ardue missioni. Al di fuori di
tutto ciò,
vivo la vita come viene, senza ostacoli o limiti imposti da nessuno.
Sono finalmente il pieno artefice del mio destino e questa sensazione
di onnipotenza nei miei stessi confronti è indescrivibile.
Ho
fatto un discreto salto di qualità nell'ultimo periodo. Con
l'imminente aumento di grado, ho persino avuto il privilegio di poter
pilotare uno dei pochi prototipi in circolazione di Lockheed Martin
F-35 Lightning II, da noi definito anche JSF-F35. Si tratta di un
caccia multiruolo monoposto di quinta generazione, a singolo
propulsore, con ala trapezoidale a caratteristiche strealth, ovvero
completamente invisibile ai radar o a qualsiasi dispositivo di
localizzazione moderno. Insomma, un gioiellino niente male che
l'aeronautica militare ha deciso di affidare proprio a me. Vi parlo
di circa 14 miliardi di yen di velivolo, non so se mi spiego.
Inoltre,
visto che nella vita non ho avuto eccessiva fortuna in quanto
amicizie e buone compagnie da frequentare, vivo la maggior parte
delle mie missioni in solitaria. Beh, vivevo
a dirla tutta. Nell'ultimo mese mi è stato affiancato un
nuovo
cadetto, un certo Taichi Yagami. Non l'ho ancora ben inquadrato, ma
ha un trascorso recente piuttosto doloroso con il quale fatica a
convivere. Per ora ci limitiamo a parlare di aerei e di tutto
ciò
che concerne l'aviazione, senza mai sforare l'argomento.
Un
mese effettivamente è troppo poco per poter dire di
conoscere
veramente una persona. Eppure mi sono legato a questo ragazzo sin da
subito. È terrorizzato e spaventato da ciò che
sta facendo. Si vede
che la scelta fatta non è stata sua. In realtà
non gli è neanche
stata imposta. Diciamo che per una serie di motivi, ha optato per la
carriera militare.
Sapete,
circa un paio di anni prima ha perso il padre e vista la situazione
economica familiare piuttosto precaria, ha ben pensato di arruolarsi
così da poter sostituire l'introito del padre.
Ebbene
sì, è una cosa che abbiamo in comune. Una delle
tante, in realtà.
Lui è un po' come me. È un ragazzo estremamente
coraggio e
impulsivo, vive ogni istante della sua vita dando tutto sé
stesso e
ragionando con il cuore e non troppo con la mente. Il che non sempre
lo porta a prendere decisioni giuste. Ma chi meglio di me
può
capirlo.
Nonostante
sia solo un mese che lavoriamo a stretto contatto, in lui ho trovato
un fratello d'armi, una persona su cui contare e che possa guardarmi
le spalle anche sul campo. Cosa che non potrei dire circa i miei
commilitoni.
Anni
prima ebbi alle spalle un uomo che diede sé stesso per me. E
no, non
mi riferisco a mio padre, bensì al sergente Gamble. Un uomo
che è
riuscito a guardare al di là di me come ragazzino,
con
gli ormoni a palla e con il malumore perenne. Lui ha riposto in me la
fiducia di cui avevo bisogno, spronandomi a diventare una persona
migliore. Ed è ciò che credo e spero di essere
diventato. Ecco
perché Taichi mi piace, perché in parte mi
ricorda la transizione
che ho subito. E lui, proprio come me, merita di essere spalleggiato
da una persona che creda in lui e che possa aiutarlo a superare le
difficoltà che sta vivendo, dandogli una seconda
opportunità di
riscattarsi.
Ed
io vorrei proprio essere quella persona.
Nonostante
Taichi abbia paura di ciò che lo attende all'estero,
è piuttosto
elettrizzato all'idea di allontanarsi dal Giappone. Dice che spesso i
ricordi lo divorano nel sonno.
-Sono
convinto che una volta in Russia riuscirò a trovare la pace
interiore- mi dice un giorno nell'interfono mentre sorvoliamo la
punta più a Est della Cina diretti in Siberia.
-Non
ci giurerei molto- gli rispondo guardando fuori dal mio finestrino
-la Russia può essere un posto abbastanza inospitale-.
-Che
ti è successo veramente, Taichi?- gli domando cercando di
non
perdere il controllo del mio velivolo -c'è un addensamento
qui
avanti, fa attenzione-.
Scorgo
il suo velivolo fluttuare leggermente su e giù, ma senza mai
deviare
la propria rotta.
-Mio
padre è morto, questo già lo sai- mi dice
facendomi annuire -solo
dopo la sua morte ho scoperto che la mia famiglia aveva dei debiti
insoluti e io sono l'unico uomo di casa-.
Sorrido
a quel pensiero così tradizionalista. Ancora una volta la
mia mente
fluttua a Yoshiko ricordandomi delle sue lettere e di quanto fosse
costante in lei e nella sua cultura il dover dipendere da un uomo.
-Capisco...-
gli rispondo senza voler entrare nel merito dell'argomento.
-Non
è come pensi tu- mi rimprovera. Sento che il suo tono
è cambiato,
quasi mi rimprovera per i miei pensieri accusatori.
-E
cosa penso?- gli domando fingendomi vago.
-Che
è una mentalità arretrata la mia, che dovrei
permettere a mia madre
di lavorare e che non dovrei tarparmi le ali facendo un lavoro che
non mi piace- mi risponde con fermezza.
Seppur
io non stia condividendo il mio velivolo con lui, mi ritrovo a
strabuzzare gli occhi, non immaginandomi davvero di poter essere
anticipato in quel modo.
-Già,
lo sapevo- aggiunge poi, quando non riceve alcuna mia risposta.
Sorrido.
Taichi
Yagami, che personaggio.
-E
allora com'è andata veramente?- gli domando in tono forse
troppo
saccente.
-Mia
madre non ha mai lavorato in vita sua e sicuramente alla sua
età non
l'avrebbe assunta nessuno. Rischiavamo lo sfratto e mia sorella
è
ancora minorenne. Il che significa che gli assistenti sociali
avrebbero potuto affidarla ad una famiglia temporanea. A meno che io
non fossi stato in grado di trovare un buon lavoro- mi spiega lui
iniziando a perdere quota.
Lo
affianco con il mio aereo e gli faccio cenno di scendere meno
precipitosamente -ti sei sacrificato per loro-.
-
È una domanda?- mi chiede sghignazzando.
-Un'affermazione,
piuttosto- gli rispondo.
-Credevo
di sì. Il primo anno è stato uno schifo. Ci credi
se ti dico che mi
hanno persino fatto pulire i cessi con lo spazzolino?- mi dice
ridacchiando.
-Scherzi?
Ancora con queste usanze così barbare?- domando io
ringraziando di
aver saltato quel rito di passaggio.
-Ho
seriamente creduto di dovermi sacrificare per loro, che questa era
necessariamente la strada più giusta da intraprendere- mi
spiega con
quel tono di chi ha ancora qualcosa da dire.
Segue
una lunga pausa nella quale io percepisco quasi il bisogno di una sua
ulteriore confidenza. Quel chiacchierare con lui e quel brusio nelle
orecchie, che aveva preso il posto del silenzio tombale a cui ero
generalmente abituato, mi rendono felice.
Un
amico, ecco di cosa avevo veramente bisogno.
-Mi
piace volare, mi fa sentire libero- aggiunge ad un tratto.
-Capisco
cosa intendi dire- gli rispondo sentendomi quasi invadere dalla gioia
di poter condividere con lui una passione tanto grande e radicata in
me.
-Ma
ora portiamo i nostri culi a terra e andiamoci a bere una bella
bottiglia di vodka- dico io in fase di atterraggio -ti ci vuole una
bella bevuta per far scivolare via ogni pensiero-.
Dal
finestrino lo vedo alzare un pollice in alto, vittorioso e pronto
alla sua prima vera avventura.
Sapete
quel detto che dice chi
trova un amico, trova un tesoro?
Ebbene sì, il bimbo sperduto che è in me, ha
appena raggiunto il
tanto e ambito traguardo di sempre: il tesoro dei pirati. Peccato che
in questo caso nella mia cassa vi è un qualcosa che va ben
oltre il
tangibile. Il mio tesoro è proprio lui, Taichi Yagami.
Quel
giorno abbiamo sancito un'amicizia importante mediante una sana
bevuta alcoolica che, ahimè, non è propriamente
finita bene. Solo
più tardi ho scoperto che Taichi non aveva mai bevuto in
vita sua.
Ebbene sì, serata dalle prime esperienze, primo viaggio
aereo in
solitaria, primo volo all'estero, prima bottiglia di vodka e prima
simpaticissima ed indimenticabile lavanda gastrica.
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