Con
passo rapido, Noal entrò nella casa.
Il
pavimento era ricoperto di vetri, che scricchiolavano ad ogni suo
passo, le tende, di preziosa seta celeste, pendevano inerti, come
corpi di impiccati, mentre gli armadi, i tavoli e le sedie giacevano
capovolti.
Sui
muri, neri e rossi di vernice, campeggiavano diverse scritte
ingiuriose.
Il
giovane, sopraffatto dall'emozione, si fermò e si appoggiò
al muro. Nulla era rimasto della splendida villa dei Varlause.
Il
giardino di rose e gigli, tanto amato da sua madre, era un intrico
confuso di piante infestanti.
Colto
da un accesso di rabbia, sferrò un pugno al muro.
Spesso,
gli esseri umani sapevano essere ben più pericolosi di Darkon
e dei Radam...
Avevano
distrutto una città meravigliosa, pur di compiacere la loro
ottusa brama di distruzione.
– Possibile
che dobbiamo combattere per delle creature simili? – si chiese.
Un tempo, aveva veduto in Blade un pericolo per la Terra.
Quanto
era stato sciocco...
Blade,
malgrado l'oscurità del suo passato e il suo carattere
instabile, era dotato d'un cuore puro, lontano da qualsiasi
ipocrisia.
Era
meglio di tanti sepolcri imbiancati, eppure si servivano di lui come
di un'arma, incuranti delle sue emozioni umane.
Inebriati
dallo stato di tensione, gli sciacalli distruggevano, violentavano,
uccidevano, certi della loro impunità.
Un'amara
risata risuonò sulle sue labbra.
Con
uno scatto d'orgoglio, si drizzò e proseguì il suo
cammino. Ne era certo, avrebbe sofferto ancora.
Eppure,
aveva bisogno di rivedere la sua casa, prima di dirle addio per
sempre.
Cauto,
aprì una porta ed entrò in una stanza ampia, di forma
rettangolare.
L’ambiente
era dominato da un’ampia scrivania di ciliegio, su cui erano
sparpagliati libri, privi di pagine, penne e ninnoli di vetro rotti.
Un
ampio armadio era stato abbattuto e altri volumi era sparso sul
pavimento, ingombro di frammenti di vetro.
Sfiduciato,
il giovane si sedette sulla sedia e, per alcuni istanti, rimase
immobile, la testa tra le mani.
La
sua sicurezza, in quel momento, si disfaceva.
Certo,
da tempo aveva abbandonato suo padre, ma quel senso di violazione
persisteva.
Gli
pareva di avere perduto qualcosa.
Di
scatto, aprì un cassetto della scrivania e, con stupore, vi
scorse una busta.
Per
alcuni istanti, esitò, poi la prese e la aprì.
– A
mio figlio… – lesse il giovane, sgomento. Suo padre
aveva lasciato una lettera?
Eppure,
il legame tra loro si era distrutto, da quando aveva abbandonato
l’esercito.
Lui,
Charles Varlause, l’aveva rinnegato.
Non
aveva compreso la sua scelta di seguire gli ideali dei Cavalieri
dello Spazio.
E
questo suo biasimo aveva aperto nel suo cuore una ferita mai
veramente rimarginata.
Strinse
il foglio e, per alcuni istanti, esitò, le mani scosse da un
forte tremito.
Poi,
lento, cominciò a leggere.
Noal,
Non
sono ancora morto, ma non mi illudo. Presto, la Morte raggiungerà
anche me.
Sono
un soldato e non ho paura di morire, ma un’angoscia crudele mi
opprime. E, purtroppo, conosco la ragione di questo mio malessere,
troppo a lungo celato.
Temo
di lasciare troppe cose irrisolte, soprattutto con te, figlio mio.
Non
merito di chiamarti figlio, mi dico. Tu sei un eroe, nobile e
coraggioso, ma non è certo mio il merito di questo miracolo.
Come
potrebbe essere, data la mia stupidità?
Non
ho saputo vedere la mia vera missione di padre.
Dovevo
permettere alla tua personalità di svilupparsi rigogliosa e
darti gli strumenti per compiere scelte consapevoli.
Questo
era il mio dovere e si è aggravato con la morte della mamma.
Invece,
intontito dalla sofferenza, ho scambiato il mio bene con il tuo.
Ho
preteso da te un contegno assurdo, bambino mio, e non ho pensato al
dolore del tuo piccolo cuore.
Lei
ti è stata sottratta troppo presto, ma io non mi sono curato
della tua pena.
Nella
mia mente, tu eri già un soldato, pronto a prendere il mio
posto e a guidare i suoi sottoposti verso la vittoria.
E,
quando hai voluto abbandonare l’esercito, ti ho rinnegato.
Ti
ho trattato come un delinquente, perché avevi osato dubitare
dei miei insegnamenti e della santità dell’esercito.
Io,
nel mio sconfinato egoismo, ho visto in te un’estensione di me
stesso, non un individuo, col suo unico carico di sentimenti, ideali
e pensieri.
Quando
hai voluto scegliere da solo, mi sono sentito tradito.
In
quelle tue parole di ribellione, colme d’amarezza, ho avvertito
il biasimo verso di me e non l’ho accettato
Solo
ora, mentre la neve cade, mi rendo conto dell’errore enorme che
ho fatto con te, figlio mio.
Tu
sei un eroe, anche se hai scelto una via differente dalla mia.
Preferisci
la morte ad una vita di servitù e, per questo, sono molto
fiero di te.
Mi
dispiace di essermi accorto solo ora delle tue luminose qualità.
Credimi,
me ne rammarico profondamente, ma non ho il coraggio di parlarti
personalmente.
Ho
paura dei tuoi occhi cerulei, così simili a quelli di tua
madre, colmi di biasimo e odio.
Io,
il generale Varlause, ho paura dello sguardo di mio figlio!
Ma
devo accettarlo. E’ la conseguenza delle mie scelte
scriteriate.
Ciascuno
è artefice del suo destino, dicevano gli antichi romani, e io
accetterò le conseguenze delle mie decisioni, anche se sono
dolorose.
L’uomo,
se sbaglia, deve essere coerente e io non mi sottrarrò a
questo imperativo morale.
Figlio
mio… Mi manchi tanto, ma non posso importi una riconciliazione
non voluta.
Posso
solo lasciarti andare e osservarti mentre ti allontani sulla strada
della vita, finalmente libero dal dolore.
Sii
felice in questo tuo nuovo cammino e non piangere per la mia morte.
Non
si piange per chi muore nell’adempimento del proprio dovere.
Ti
voglio bene
Tuo
papà
Con
un gemito, Noal si piegò sulle ginocchia, la lettera stretta
contro il petto.
Le
lacrime rigarono le sue guance e deboli singhiozzi morirono sulle sue
labbra.
– Perché?
Perché ora? – balbettò il giovane. La
separazione tra lui e suo padre era stata dolorosa e si era portata
il peso di parole non dette.
Nessuno
di loro aveva avuto il coraggio di andare oltre la barriera dei
ricordi e delle accuse silenziose.
E
cosa restava del loro legame?
La
morte aveva annientato qualsiasi possibilità di ricostruzione.
– Tu…
Tu mi hai voluto bene… – singhiozzò. Tutto, in
quel momento, gli pareva privo di logica.
Suo
padre era orgoglioso di lui, ma, frenato dal suo senso di colpa, non
era riuscito a parlargli.
E,
con la sua morte, era svanita qualsiasi possibilità di
ricomposizione del loro legame.
Suo
padre, pur non volendolo, con la sua morte, aveva lasciato tante cose
in sospeso.
E
questa situazione irrisolta dilaniava il suo cuore.
Il
tempo non avrebbe dato soluzione a quei nodi troppo stretti, che, da
tanto, troppo tempo, lo soffocavano.
Una
mano, ad un tratto, si posò sulla sua spalla e il giovane,
colto di sorpresa, si girò.
I
suoi occhi cerulei si rifletterono nelle iridi smeraldine di Blade,
rilucenti di preoccupazione.
– Che
cosa hai? – domandò il giovane Teknoman, il tono
gentile. Quando erano giunti in quella città, lo spirito di
Noal si era spento e il suo sguardo, di solito così vivo, si
era incupito.
E
questa sua malinconia turbava anche lui.
Quando
era entrato nella tenuta dei Varlause, lo aveva seguito, desideroso
di comprendere la ragione di un umore così lugubre.
Con
un movimento deciso, Noal si alzò e, con apparente noncuranza,
lasciò cadere la lettera.
Il
foglio volteggiò nell’aria, disegnando brevi spirali,
poi cadde sul pavimento, senza alcun rumore.
– Niente.
E’ stato un attimo di debolezza. – dichiarò, la
voce incrinata.
Si
girò e, a passo rapido, si avviò verso la porta.
La
mano di Nick, ad un tratto, si posò di nuovo sulla sua spalla
e il pilota, sorpreso, si fermò.
– Cosa
c’è? – chiese.
– Noal,
io desidero aiutarti. Non dimenticarlo mai. – lo rassicurò
Blade. Comprendeva la ritrosia di Noal.
Lui,
così forte, provava vergogna per quel suo momento di
tristezza.
Ma
non era così.
E’
normale l’emozione, quando si ritorna nella casa natia. Non
avrebbe mai osato biasimare Noal per il suo cedimento.
Anzi,
ammirava ancora di più la sua forza, che lo aveva condotto a
ripercorrere gli ambienti della sua infanzia.
Noal
accennò ad un sorriso e i suoi occhi cerulei brillarono di
lacrime di commozione.
– Grazie,
Blade. –
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