E’ davvero tardi
quando tu, Martina, riesci, finalmente, a
spegnere il PC. Un virus apparso dal nulla ti ha costretta a
trattenerti al
lavoro ben più del dovuto, può una multinazionale
con centinaia di dipendenti
avere un solo responsabile informatico? Certo che può.
Spilorci.
Senza contare che sei
praticamente sicura che la colpa sia di quel deficiente
di Bitta e dei siti porno di dubbio gusto che è solito
frequentare. Il perché
la direzione non abbia ancora accolto la tua proposta di utilizzare un
proxy apposito
per bloccare certi tipi di accessi decisamente ti sfugge.
Ma
sì,
chi
se ne frega!
Ti dici mentre
stiracchi le braccia e inarchi la schiena. Alla fine non è
un
tuo problema, gli straordinari saranno pagati, ma di sicuro non vedi
l’ora che
sia l’indomani per goderti la scena di quando Paolo
accenderà il suo di PC e
troverà il regalo che gli hai lasciato. Sorridi, sadica, e
ti alzi,
preparandoti ad uscire.
Infili la giacca di jeans e
ti avvii per i corridoi, le luci sono praticamente
tutte spente, tutte tranne una: la Corte è ancora nel suo
ufficio.
Ma quanto può
essere Stakanov quella donna?
Te lo chiedi mentre stai per
chiamare l’ascensore ma, invece di premere il
pulsante, ti volti e riprendi a camminare verso quella luce. Non sai
nemmeno
cosa le dirai quando te la troverai di fronte ma, intanto, vai avanti
lo
stesso. Ti dici che lo stai facendo perché
un’occhiata ad
un
bell’ottantacinque, prima di andare a casa, non
si disdegna mai ma non ci
credi nemmeno tu, in fin dei conti non ha importanza, ormai sei
lì.
Sfiori appena lo stipite
della porta, lasciata aperta, per palesare la tua
presenza ma il “Dottoressa” che stai per
pronunciare ti muore in gola, quando la
vedi scompostamente accasciata sulla scrivania. Allarmata, pensi ad un
malore e
le sei subito al fianco per soccorrerla, quando ti accorgi che sta
semplicemente dormendo.
Quindi anche la dea, ogni
tanto, crolla come fanno i comuni mortali.
Lo pensi mentre un
sorriso divertito nasce spontaneo sulle tue labbra. Sempre
la prima ad arrivare, sempre l’ultima ad andare via, prima o
poi il corpo
molla, è fisiologico.
La guardi: i
capelli biondi hanno perso la piega del mattino e ora le cadono
scomposti sul capo adagiato sul braccio disteso lungo la scrivania,
l’immancabile tablet stretto nella mano, se non fosse una
cosa da fantascienza
potresti credere che, ormai, sia direttamente innestato nella sua carne.
Ti focalizzi più
del dovuto sulle sue gambe lunge, accostate, leggermente
piegate che spariscono sotto ad un’elegante gonna scura e
aderente. Rialzi lo
sguardo, la posizione in cui riposa lascia che la scollatura della
camicietta
che indossa sia un po’ più profonda del
solito.
E’ pizzo nero,
quello che spunta là sotto?
Chissà
perché l’immagini sempre in intimo bianco quando,
fra le mura di casa
tua, il suo ricordo sa accendere in te quel desiderio bruciante che non
puoi
fare a meno di appagare.
Hai capito la Corte? Che
dietro a quei capelli biondi e occhi da serafino si nasconda, in
realtà, un demone passionale fra le lenzuola?
Sbuffi, per quanto ti
piacerebbe scoprirlo sei convinta che nella sua vita non
ci sia spazio nemmeno per il sesso: solo lavoro, lavoro,
lavoro…
Ti avvicini, così
noti che sta dormendo con le labbra leggermente aperte e un
sottile filo di bava le cola dall’angolo sinistro della
bocca. Sai benissimo
che se ci fosse stata Beatrice al tuo posto, l’avrebbe
già immortalata con il
suo cellulare e, il giorno dopo, quella foto sarebbe stata su tutti i
computer
dell’ufficio. Ma tu non sei lei, se decidessi di rubare quel
momento lo
terresti per te, costudiresti quello scatto come un segreto solo tuo.
Come può
quella donna perfetta – bella, intelligente, lavorativamente
iper realizzata –
invidiare quel
cesso a pedali
che è venuta a trovarla nel pomeriggio,
ancora non te ne capaciti.
«Martina, non
vorrebbe un domani essere come me?» ti aveva chiesto e tu
avevi
risposto un frettoloso «Beh, sì» ma
quello che avresti voluto dire, in realtà,
era «Vorrei essere con te»
Torni a concentrarti sul suo
viso, non scherzavi, davvero saresti in grado di
tappezzare di sue foto la tua officina, se mai decidessi di
intraprendere la
carriera di meccanico.
Quanto cavolo sono sexy
quelle lentiggini che le colorano il volto? Chissà
se ne ha anche in altre parti del corpo…
Pensi, mordendoti
istintivamente le labbra.
Ormai
vicinissima, ti chini per guardarla meglio ma sei incauta, la treccia
ti
scivola lungo la spalla e cade a solleticarle il viso. E’ un
attimo, quello che
ti basta per riprendere una distanza più consona, i suoi
occhi – di quel colore
così unico che non sai se sia verde od azzurro - si aprono.
Non ti mette a
fuoco subito ma pronuncia il tuo nome quando lo fa
«Martina…»
quasi balbetta, schizzando in piedi: in un attimo sistema la gonna e i
capelli,
quando riparla è di nuovo la dea «Che cosa ci fa
qui?»
«Niente…»
le dici con fare disinteressato «Ho finito di sistemare i
problemi
sui PC. Stavo per andare a casa ma ho visto che era ancora qui,
così guardavo
se avesse avuto bisogno di qualcosa»
Sei
praticamente sicura dell’assoluta impassibilità
della tua faccia da poker e
che lei non possa leggerti nella mente, per cui non può
sapere che – in quel
momento – stai pensando a cosa potresti farle, proprio
lì, su quella scrivania.
Lei,
però, è una donna intelligente e, forse, hai
indugiato un po’ troppo sul
reggiseno che ancora spunta dalla sua camicietta,
tant’è che rapida porta una
mano a risistemare quel bottone fuori posto e, se possibile, il suo
imbarazzo
aumenta «Non ho bisogno di nulla, grazie»
Un
po’ perché vuoi distrarla dalla conclusione a cui
è arrivata, un po’ perché
vederla a disagio ti fa impazzire, ti porti un dito
all’angolo della bocca e
mimi l’atto di grattare via qualcosa «Dottoressa,
ha un po’ di…»
Questa volta
letteralmente avvampa, hai centrato il tuo obiettivo. Si pulisce
direttamente con la mano, non ha il tempo di cercare un fazzoletto:
fortunatamente il rossetto è già sparito,
mangiato dalla tensione della
giornata, e non fa macelli.
Decidi che
l’hai torturata anche troppo, perciò rilassi
l’espressione del viso «Non
si preoccupi…» le dici «Non
dirò a nessuno di quello che ho visto stasera»
Il sorriso le
parte prima dagli occhi, solo dopo le arriva alle labbra
«Grazie»
ti risponde sincera.
E’ in
quell’attimo, in cui torna umana per un momento, che ti
accorgi che,
forse, non la desideri e basta, forse, un po’ la ami.
Butti
definitivamente la tua maschera da dura e da cinica e le sorridi anche
tu
«Buona notte, Dottoressa Corte»
«Buona
notte, Martina. In orario domattina, mi raccomando» ti
ammonisce.
«Certo»
le rispondi, dopo aver tirato un leggero sospiro, che ti aspettavi? Che
ti dicesse di fare con calma visto l’assurdo orario in cui
stai uscendo? Non
sarebbe da lei, lo sai benissimo anche tu. Perciò rinsaldi
la presa sul tuo
casco e, questa volta, esci per davvero.
In sella alla
tua moto, sulla strada verso casa, non puoi fare a meno di
pensare che, molto probabilmente, quella notte la sognerai.
Istintivamente
stringi maggiormente le cosce sulla sella, la vibrazione dei rombi del
motore
ti regala una sensazione che accogli con piacere, sorridi sotto alla
visiera e
sfrecci via fra le luci della città.
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