Valya

di heliodor
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Sei nei guai
 
Il primo istinto fu di aprire il baule e prendere la spada.
La spada, pensò. Devo assicurarmi che sia ancora al suo posto. Qualcuno potrebbe cercare di prenderla. Se ci provassero, dovrei difendermi. Dovrei usarla.
Con Razen aveva funzionato, per un po’. La spada le aveva dato la forza per sovrastarlo, lei che a malapena riusciva a tenere in mano un’arma.
Si inginocchiò davanti al baule, come un penitente davanti alla sua divinità, le mani appoggiate sulla superficie di legno ruvido e macchiato dal tempo e dall’umidità.
Chissà quante cose ha visto, pensò. Quante avventure avrà vissuto, in quanti posti sarà stata, quanti nemici avrà ucciso quella spada?
Respirò a fondo per calmarsi. Le mani le tremavano, non sapeva dire se per la paura, l’emozione o la posizione scomoda.
“Basta, calmati” disse a voce bassa. “Andrà tutto bene. Papà tornerà qui a breve e ce ne andremo. Non avrò bisogno di aprire il baule e prendere la spada.”
Prendere la spada
Prendila.
Ora.
Valya strisciò col sedere sul pavimento e si rannicchiò in un angolo, tra due sacchi pieni di lenzuola e vestiti che avevano portato via dalla forgia.
Che non esisteva più.
Pensa alla forgia, si disse. Pensa ai bei giorni passati a giocare nei boschi con Hagen ed Enye. Tre anni prima avevano esplorato le terre attorno a Cambolt, spingendosi fin quasi al Bosco delle Lacrime.
Era stata una bella avventura e per tutto il viaggio, anche se non era successo niente, aveva immaginato di essere una coraggiosa guerriera che andava ad affrontare il mostro che aveva occupato la foresta.
Quella volta era un mostro e la volta prima una maga o una strega rinnegata o un guerriero che l’aveva sfidata mettendo in dubbio il suo valore.
Quando erano tornati a casa era già buio e suo padre l’aveva sgridata. Per un’intera Luna le aveva impedito di andare al villaggio o vedere i suoi amici e si era persa gran parte della bella stagione.
Ricordava ancora il brivido lungo la schiena quando erano arrivati ai confini delle terre di Cambolt e la foresta si era fatta più fitta.
E minacciosa.
Nei racconti della vecchia Derya c’erano sempre degli elfi cattivi in agguato nelle foreste. Gli elfi catturavano i ragazzi più intraprendenti e ne facevano degli schiavi.
Ma non c’erano solo loro.
Le foreste a volte erano il rifugio di rinegati e briganti che volevano sfuggire alla legge. Tutti al villaggio mettevano in guardia i ragazzi di non allontanarsi troppo e di non inoltrarsi nella foresta.
Quel giorno, con Hagen ed Enye, avevano camminato fino a raggiungere un punto dove avanzare era molto difficile. Gli alberi erano così fitti che non vedevano più il sentiero.
Valya ricordava l’emozione che aveva provato guardando tra gli alberi, quasi desiderando che una fiera o un elfo malvagio li attaccasse.
Se avesse avuto una spada con lei li avrebbe affrontati e sconfitti, perché nella sua fantasia lei trionfava sempre.
Respirò a fondo.
Nella penombra faticò a mettere a fuoco i particolari del carro e delle casse.
Da quanto sono qui? Si chiese allarmata. È quasi buio fuori.
Non uscire, le aveva detto suo padre.
Esitò.
Mi ha anche detto che sarebbe tornato subito e invece è passata quasi mezza giornata, pensò. Deve essergli successo qualcosa.
Qualcosa di brutto.
Già altre volte era andato via di casa dicendole di non aspettarlo alzata e che avrebbe fatto tardi. Di solito tornava entro la sera. Solo una volta, due anni prima, era tornato la mattina dopo.
Lei lo aveva atteso sveglia, indecisa se andare al villaggio e dare l’allarme.
“Se lo avessi fatto” le aveva risposto suo padre. “Mi sarei arrabbiato sul serio.”
“Dove sei andato?”
“È meglio che tu non lo sappia.”
Valya aveva scosso la testa.
“È per il tuo bene.”
Non aveva mai scoperto dove andava quando restava fuori così tanto. Un paio di volte aveva cercato di seguirlo, ma lo aveva perso di vista un paio di miglia dopo aver lasciato Cambolt, quando si inoltrava nelle campagne.
Dovevo andare con lui, si disse scuotendosi dal torpore che l’aveva afferrata. Gli è successo qualcosa di brutto e io me ne sto qui seduta a tremare in un angolo. Margry Mallor non avrebbe mai fatto così. Lei ha affrontato troll e giganti di pietra e ha combattuto contro i Trenta Tiranno sul continente antico. Non ha mai avuto paura e nemmeno io devo averla.
Respirò a fondo e strisciò verso il fondo del carro. Stava per mettere la testa fuori quando ricordò di non aver preso la spada.
E dove volevo andare senza quella? Si chiese divertita.
Stava per girarsi e tornare indietro quando il velo che chiudeva l’entrata si mosse e dietro di esso apparve il viso di un uomo.
Valya trasalì e scattò all’indietro, lasciandosi sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
L’uomo si guardò attorno allarmato. La pelle del viso era lucida e tirata sulle ossa, il mento e gli zigomi pronunciati e un velo di barba ispida e nera gli copriva le guance scavate.
“Non gridare, non gridare per piacere” disse facendole un gesto rapido con la mano.
“Che vuoi?” gli chiese Valya tirandosi indietro.
L’uomo fece per tirarsi su ed entrò nel carro. “Non credevo ci fosse qualcuno qui dentro. Stavo girando qui attorno e ho visto il carro. Credevo fosse stato abbandonato così ho deciso di dare un’occhiata.”
Il suo sguardo cadde su uno dei sacchi allineati contro la parete del carro. “Posso prenderne uno?”
Valya si accigliò.
“C’è dentro da mangiare? Monete per caso?”
Scosse la testa. “Lenzuola. E vestiti. Vecchi, per lo più.”
L’uomo ridacchiò. “Lenzuola.” Allungò una mano dalle dita scheletriche e afferrò il sacco. “Prendo solo questo, va bene? Tu però non devi urlare. Ora esco e sparirò e non mi vedrai mai più.” Mentre parlava tremava e si guardava attorno. “È che mi servono delle monete per pagare un debito o i ragazzi di Marden mi appenderanno a testa in giù. Hanno fatto lo stesso con Juk una Luna fa e lui aveva un debito più piccolo del mio.”
Valya ebbe l’impressione che stesse per mettersi a piangere.
“Ti pare giusto che uno debba essere appeso a testa in giù per un debito di qualche moneta? Non è giusto” disse scuotendo la testa. “Non è giusto” ripeté, gli occhi fissi nel vuoto come se stesse ricordando qualcosa.
Valya deglutì a vuoto. Voleva gettarsi sul baule e prendere la spada, ma non riusciva a muovere le gambe e le braccia. Ogni volta che immaginava la scena, terminava con lei che veniva picchiata o accoltellata da quel tizio.
Ripensò alle parole del padre.
A volte scoppiano risse.
Che si concludono con qualche pugnalata.
Quell’uomo sarebbe capace di attaccarmi? Si chiese. Se avessi la spada con me. Io…
L’uomo sembrò scuotersi dal torpore che lo aveva immobilizzato. “È meglio che vada ora. O potrei mettermi nei guai.”
“Ci sei già nei guai.”
Il tizio volò all’indietro, come se una forza misteriosa lo avesse afferrato e tirato via. Valya lo vide spalancare gli occhi per la sorpresa e poi sparire oltre il velo che chiudeva il carro.
Dopo l’iniziale sorpresa strisciò fino all’entrata e scostò il velo, mettendo la testa fuori.
Il tizio che era entrato nel carro giaceva in ginocchio, la gola stretta dalla mano di suo padre, che le rivolse un’occhiata furiosa. “Rimani dentro al carro.”
Valya aprì la bocca per dire qualcosa.
“Ubbidisci” gridò suo padre.
“No” fece lei e saltò giù.
Una piccola folla si era radunata attorno al carro e osservava suo padre tenere il tizio per la gola.
“Che ci facevi lì dentro?” gli ringhiò contro. “Che volevi fare?”
Il tizio balbettò qualcosa.
“Parla” gli intimò suo padre.
“Debito” riuscì a dire il tizio. “Aria.”
Suo padre dovette allentare la presa perché il tizio inspirò rantolando.
“Potevi spezzarmi il collo” si lamentò l’uomo.
“Chi ti dice che non lo farò? Dimmi che ci facevi lì dentro.”
L’uomo esitò.
Suo padre afferrò il sacco con le lenzuola e lo agitò perché la folla potesse vederlo. “Stavi rubando le mie cose?”
“No” disse l’uomo con vigore. “No, te lo giuro.”
Il pugno di Simm Keltel si abbatté sul volto dell’uomo.
Valya sussultò vedendolo crollare a terra. Suo padre lo afferrò per i capelli raddrizzandolo. Il viso dell’uomo era imbrattato di sangue, il labbro che pendeva da un lato.
“Non giurare” gli intimò suo padre.
“Aspetta” fece per dire l’uomo.
Suo padre lo colpì al mento mandandolo di nuovo a mordere la terra. Come prima lo sollevò tenendolo per i capelli.
Quando si girò verso di lei, trasalì alla vista degli occhi iniettati di sangue del padre. “Ti ha fatto qualcosa?”
Valya scosse la testa con vigore.
“Ha preso solo questa sacca?”
“Sì” fece lei, gli occhi puntati sul viso devastato del tizio.
Suo padre lo lasciò andare. “È il tuo giorno fortunato.”
“Aspetta a dirlo” fece una voce proveniente dalla folla. Tra le fila si mosse qualcuno, formando un varco per lasciar passare un uomo basso e muscoloso dai capelli neri. Al suo fianco, due ragazzi si guardavano attorno lanciando occhiate ostili verso quelli che si accalcavano attorno al nuovo venuto.
“Indietro” stata dicendo uno dei due. Indossava un’armatura di cuoio e al fianco portava legata una spada dalla lama ricurva.
L’altro era più alto di una spanna e aveva lunghi capelli grigi legati in una traccia. Nonostante il colore che poteva farlo passare per anziano, il suo viso era quello di un giovane che non poteva avere più di venti anni.
“Fate passare” disse quello con l’armatura. “Lasciate spazio al governatore di Vecchie Pietre.”
Governatore? Si chiese Valya. Questo posto ha anche un governatore?
Il nuovo arrivato marciò deciso verso suo padre. “Che succede qui?” chiese ad alta voce, come se volesse farsi sentire da tutti.
Suo padre grugnì qualcosa prima di dire: “Niente. Solo un malinteso.”
Il governatore gettò un’occhiata al tizio sanguinante. “Tu sei Bolk?” chiese accigliato.
L’uomo annuì.
“Che hai combinato stavolta?”
Bolk tacque.
“Tu che hai da dire?” chiese il governatore a suo padre.
“Te l’ho detto. È stato un malinteso.”
“Sai chi sono io?”
La mascella di Simm Keltel si serrò. “Sei Fas Marden.”
L’altro annuì solenne. “Lo sai che abbiamo delle regole, qui a Vecchie Pietre? Le persone che vedi non sono selvagge e sono tenute a rispettarle se vogliono restare qui.”
“Ci sono regole contro i malintesi?”
“No” rispose Marden severo. “Ma contro le risse e le aggressioni, sì. Stavi aggredendo quest’uomo?”
Simm Keltel scosse la testa. Valya notò che si stava muovendo verso il carro, mettendosi tra questo e il governatore.
Nel frattempo, il ragazzo con il corpetto di cuoio e quello con i capelli grigi si erano mossi di qualche passo affiancando Marden.
“Allora stavate discutendo? Posso sapere per cosa? E per quale motivo hai ridotto in quel modo la faccia del povero Bolk?”
Suo padre gli mostrò la sacca con le lenzuola. “Mia figlia l’ha fatta cadere dal carro e quello lì l’ha raccolta” disse indicando Bolk ancora inginocchiato ai suoi piedi. “Gliela voleva restituire, ma io ho pensato che la stesse prendendo e l’ho afferrato per il collo. Lui ha cercato di divincolarsi senza darmi il tempo di spiegare e senza volere devo averlo colpito al volto.”
Marden annuì grave. “Capisco. In effetti mi sembra tutto chiaro. Perry” disse alzando una mano.
Il ragazzo con i capelli grigi fece un passo avanti.
“Dai una mano a Bolk a rialzarsi.”
Perry annuì e afferrò l’uomo per un braccio rimettendolo in piedi.
Marden lo fissò con sguardo annoiato. “Hai dato problemi fin dal giorno in cui sei arrivato.”
Bolk, gli occhi bassi, tirò su col naso. “Mi spiace, Fas. Lo straniero dice il vero, è stato un malinteso. Un errore.”
“L’errore l’ho fatto io” disse Marden. Guardò Perry. “Sai cosa fare.”
Perry annuì e lasciò andare Bolk, che barcollò per un paio di passi. Il ragazzo dai capelli grigi estrasse la spada ricurva e con un rapido movimento del polso aprì uno squarcio nella gola di Bolk.
Valya sussultò alla vista dell’uomo che crollava in ginocchio boccheggiante, le mani strette attorno alla gola. Il sangue eruppe dalla ferita mentre cercava di arrestare l’emorragia.
Marden lo fissò severo. “Nessuno ruba a Vecchie Pietre” disse rivolto alla folla mentre Bolk emetteva un ultimo rantolo prima di crollare ai suoi piedi.
Valya trattenne il fiato.
Aveva già visto morire qualcuno, giù al villaggio. Era accaduto due anni prima, quando la signora Erlin era stata travolta da un cavallo imbizzarrito. Era accaduto proprio davanti al mercato e lei aveva colto il momento in cui la povera donna era stata colpita e poi calpestata dall’animale.
La folla che si era raccolta per soccorrerla aveva coperto il resto e lei non aveva assistito all’agonia della Erlin, ma aveva udito i suoi lamenti finché non si erano affievoliti e poi spenti.
Ma quello era diverso.
Bolk non era morto per un incidente. Era stato ucciso proprio davanti a lei.
Assassinato, le venne in mente.
Cercò conforto nello sguardo di suo padre, ma lui era voltato verso Marden e lo fissava con sguardo accigliato.
“Non era necessario” disse.
Marden fece una smorfia. “La gente di Vecchie Pietre mi ha nominato governatore perché faccio rispettare le regole. Forse tu sei rimasto ancora ai tempi in cui governava Terrin, ma quello è il passato.” Lanciò un’occhiata al carro. “Ora tua e tua figlia dovete andare via. Aveva portato già troppo scompiglio a Vecchie Pietre.”
Suo padre sembrò sul punto di fare un passo avanti, ma voltò le spalle a Marden. “Stavamo andando via lo stesso.”

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