Schiavo
Siamo
tutti schiavi, figli delle tenebre, condannati al mondo delle favole.
“Se
appartiene alla nostra famiglia, adesso, allora lo rivendico io. In
fondo glielo devo, quando ero io lo schiavo, mi ha liberato”.
In preda alla febbre quello che ha detto quando ti ha acquistato ti
risuona nelle orecchie. Tra i gemiti di dolore e il tuo ingoiare aria a
fatica, quelle parole si ripetono di continuo nella tua mente.
Si
sono stampate a fuoco nella pelle, scolpite nel tuo cervello.
Non
riesci a focalizzare nessun’altra frase dopo quella. Non
c’è stato niente che non fosse solo un atto
dovuto. Come un cane a cui si dà da mangiare, ma mai un
gesto d’affetto.
Da
lui nulla che possa ricordare un qualche sentimento. Non una parola
dolce, non un gesto caritatevole.
Quella
stessa frase l’ha detta con lo stesso tono con cui si
chiederebbe un etto di prosciutto.
Tu
non sei tuo fratello. Nessuno può davvero amarti.
Non
sei Giotto il perfetto. Non sei Giotto il buono, il pacifico, il
più potente. Giotto il venerato.
Cerchi
di concentrarti sulla sensazione di morbido che deriva dal letto in cui
sei coricato. Ignori i dolori dovuti alle frustate, la sofferenza
dovuta alla metà del tuo corpo bruciata. Unguenti e pozioni
magiche diminuiscono appena quella pena.
Lui
si sta occupando di te. Quelle premure non trasudano dolcezza. Sembrano
quelle di un infermiere costretto a prendersi cura di un malato.
Probabilmente G lo fa solo per la fedeltà verso tuo fratello
maggiore.
In
fondo un padrone non è obbligato ad essere gentile con uno
schiavo, come non lo è il medico col paziente.
Lui
ti rinfaccia di non essere il tuo vero amore. In fondo è
stato una seconda scelta a tutti gli effetti. Non dicendolo
apertamente, questo no.
Anzi,
apparentemente è il tuo salvatore. Un santo che ora ti
cambia i bendaggi, che non fa smorfie davanti al tuo corpo puzzolente e
mutilato. Che non inorridisce davanti alla tua malattia mentale.
Qualsiasi
cosa tu dica, nella tua vita, da prima di venir fatto prigioniero dagli
Atlantidesi, da quello stato che sembra più
l’ennesima associazione a delinquere mafiosa, è
sempre e solo un delirio.
Che
poi G sia tuo marito sembra quasi irrilevante. Che abbiate dei figli
una quisquiglia da niente.
Non
te li fa vedere, non te li fa toccare. Ora sei uno schiavo, non la
madre di quei bambini.
Non
sei in condizioni, in fondo. Sei solo uno schiavo, non hai
più tue proprietà.
Il
collare non è visibile, ma un incantesimo delle fiamme della
luce.
Ti
rimbocca le coperte, con fare distaccato. Piangi, ma nemmeno questo lo
scuote. Non riesci a parlare, la bocca troppo mal ridotta anche per
supplicare.
In
compenso quelle lacrime ti fanno bruciare ancor di più la
pelle martoriata.
Ti
controlla la temperatura. Tra le lacrime e la vista annebbiata dalla
febbre vedi quella noia implacabile sul suo viso. Sei comunque un peso.
“Stai
buono, Skull” ti dice.
Ti
hanno privato anche del tuo nome. Uno schiavo non può averne
uno veramente.
Ti
ha chiamato come la cosa che più ama al mondo: i teschi.
Potrebbe sembrare un atto di dolcezza da fuori. Per chi non sapesse che
la tua condanna è proprio
l’impossibilità di morire,
un’immortalità legata a una profonda depressione.
Quante
volte hai provato ad ucciderti?
In
fondo ti hanno sempre privato di tutto. Costretto da un anello magico a
diventare una donna, ad essere ‘Sebastiana’. Anche
quando ti chiamano al maschile, ti umiliano chiamandoti in quel modo
‘italianizzato’, senza il tuo amato accento
francese.
A
dimostrare la tua nuova condizione di schiavo un piercing, collegato
con una catenella ad un orecchino. Un oggetto di metallo, quasi di
moda, che in realtà è magico, colmo di sigilli.
G
sospira.
“Giotto
a quest’ora mi starà cercando. Ora ti do un
sedativo. Tornerò stasera per cambiarti i bendaggi e starti
un altro po’ vicino”.
Ancora
una volta non c’è dolcezza in quelle parole, solo
un dato di fatto. Sei un ostacolo per l’unica cosa che conta
davvero: Giotto Vongola.
Sia
mai che debba fare qualcosa da solo. Che per qualche minuto la smetta
di fingersi un bambino scemo!
No…
Non sarai mai come tuo fratello. Persino ora tu sei nella polvere e lui
eccelle. Lui è il diletto amato, tu quello che veniva
gettato nelle pozzanghere.
Gridi
di dolore, ma presto la tua voce si spegne. L’ago con il
sedativo è in vena e tutto ciò che viene fatto da
uno Scoglio fa effetto in pochi minuti.
Tu,
in fondo, eri già schiavo prima di esserlo.
Non
sei mai stato libero. Non sei mai stato felice.
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