Sottovoce
«Per
quanto tempo è per sempre?»
«A
volte, solo un secondo.»
Pioggia.
Scende copiosa lungo le gote, scava la pelle e brucia le ossa.
È salata come l'acqua di mare.
C'è
un profumo di arancia che aleggia nell'aria. È dolce,
inconfondibile. È
il suo.
Si
mischia all'odore delle lacrime e a quello del rimpianto.
La
facciata della palestra del liceo Karasuno, prima tanto brillante e
tiepida, s'è fatta cupa all'improvviso, ghiacciata. Pare
quasi spettrale, mentre si riflette tristemente sulla superficie
tremolante delle pozzanghere.
«Non
dovresti essere qui» sussurra Hinata all'improvviso,
sottovoce, rivolgendogli uno sguardo severo e al contempo malinconico.
È pallido, ha le guance scavate e le occhiaie praticamente
nere.
«Nemmeno
tu.»
«Ma
io sono morto. Tu, per
fortuna, ancora no.»
«Ma
che hai?» sbotta Kageyama, sorreggendolo mentre
inciampa per la quinta volta.
«Non
è niente» risponde l'altro sbrigativo, tentando di
rimettersi dritto sulle proprie gambe. Kageyama gli getta
un'occhiata preoccupata. Da giorni Hinata ha quel tremendo mal di
testa. Le sue prestazioni fisiche sono calate drasticamente, spesso
vomita in bagno, e perde l'equilibrio. Non appena Takeda-sensei lo
vede barcollante dirigersi verso lo spogliatoio, con la nuca inclinata
verso destra, i piedi strascicanti e le labbra serrate dal dolore, lo
blocca.
«Devi
andare in ospedale, Hinata» asserisce morbido, ma con
un cipiglio severo, grave. «Non appena ti diranno cos'hai, e
dopo esserti curato, potrai tornare sul campo ad allenarti.»
Hinata dapprima
spalanca la bocca per protestare, ma poi la richiude l'istante
seguente, arrendevole come Kageyama non l'ha mai visto.
«Va
bene. Chiamo mia mamma e mi faccio venire a prendere»
sussurra, e Takeda-sensei gli sorride incoraggiante.
«Ci vediamo domani!»
Ma
Hinata non è più tornato. Né il giorno dopo, né quello dopo ancora.
«Kageyama.»
Kageyama
è disteso sul proprio letto, gli occhi puntati verso il
soffitto. La vernice è tanto bianca da risultare quasi
fastidiosa.
«Kageyama.»
Forse
dovrebbe tinteggiarla di un altro colore, magari più scuro.
L'angolo a sinistra, a ben guardarlo, è anche un po'
ammuffito.
«Kageyama.»
«Che
vuoi?» sbotta, voltandosi. Hinata è seduto per
terra a gambe incrociate, i piedi scalzi che tamburellano agitati sul
pavimento in legno. Appare smunto, ancor più malinconico
rispetto al solito.
«Kageyama,
che numero porti?» domanda Hinata, sfilandosi la
scarpa.
«Quaranta
e mezzo, tu?»
L'altro
esala un sospiro frustrato, scuotendo la zazzera
scompigliata. «Trentanove!»
«Ha!»
esulta dunque, soddisfatto. «Ho vinto
io!»
«Dammi
qualche anno e vedrai che i miei piedi diventeranno il doppio dei
tuoi!»
«Non
succederà mai» risponde Kageyama, beffardo. Poi
però arrossisce, non appena Hinata gli
balza addosso, aggrappandosi a lui come un koala e
posandogli fugace un bacio sul collo.
«Voglio starti appiccicato tutto il giorno!»
«Voglio
che mi lasci andare.»
Kageyama
s'acciglia, e il petto riprende a far male. Ha come la sensazione che
sia successo qualcosa di agghiacciante, ma non riesce, non
vuole,
ricordare.
«Non
capisco che stai dicendo, Hinata.»
Hinata
sospira stancamente. La sua voce si fa sempre più sottile,
ogni giorno che passa. Somiglia al cinguettio di un passerotto con
l'ala rotta. Infine si alza in piedi e s'avvicina, poggiandogli la nuca
contro il petto. Sembra fragile come cristallo, vulnerabile come
polvere nel vento. Una lacrima brilla, incastrata fra le ciglia color
carota. Kageyama tenta di strofinarla via con il pollice, ma
è solo aria quella che accarezza.
Il
suo è un sussurro udibile a malapena. «Non puoi
continuare così per
sempre.»
Kageyama
esita un istante, ma poi incurva le labbra in un sorriso che di felice
non ha niente. Continuare così è proprio quello
che invece ha intenzione di fare. È fermamente determinato a
conoscere quel
per sempre che gli hanno strappato via troppo presto.
Pioviccica.
Piano, sottovoce. L'acqua gli accarezza la fronte e le braccia nude.
Anche questa volta è salata, amara come la medicina per la
tosse che non voleva prendere da bambino. È stupefacente,
disarmante, come d'improvviso tutto appaia tanto piccolo e stupido.
Grigio. Vuoto. La palestra ora sembra per davvero uno spettro, un
mostro gigantesco chinato su di lui, pronto a ingoiarlo.
«Sei
ancora qui.» Hinata diviene sempre più flebile,
evanescente. Sfarfalla, e il suo corpo non si riflette sull'asfalto
bagnato.
Ma
da quanto tempo è che non lo vede ridere?
«Kageyama,
per
favore.»
«No»
sibila feroce, scoprendo i denti in un ringhio.
Non
gli importa più di niente. Non importa se sia un'illusione,
non gli permetterà di andare via.
Non
lo perderà.
Non
un'altra volta.
«Sugawara-san
e Daichi-san ti hanno invitato al cinema. Perché non ci
vai?»
Kageyama
si rigira il pallone fra le dita. «Non ho voglia.»
Il
soffitto è comunque troppo bianco, e le iridi iniziano a
bruciare.
«Ma
ti divertiresti!»
''Preferisco
restare qui con te'', pensa,
aggrovigliandosi le lenzuola fra i piedi.
«Ma
io non ci sono» dice Hinata, con le labbra tremolanti. Il suo
sguardo, un tempo così vivido e caldo, è
diventato buio, supplichevole.
A
Kageyama non piace affatto.
«Sciocchezze»
sbotta, poggiando la palla sul pavimento. Tende il braccio e flette le
dita, provando a sfiorargli la guancia lentigginosa, che lui ricorda
così soffice e tiepida.
Ma
percepisce solo aria, sotto i polpastrelli.
Kageyama
si lascia sfuggire un sospiro, che assomiglia a un singhiozzo.
«Perché
non posso più toccarti, Hinata?»
«Te
l'ho detto» risponde l'altro, sottovoce.
«Perché sono...»
«Non
dirlo.»
«Morto.»
«Sciocchezze»
ribatte Kageyama, mentre il petto inizia a dolergli di nuovo.
«Sei qui.»
Hinata
gli getta uno sguardo apprensivo, che stona terribilmente con
l'espressione gioiosa su cui è abituato a posare gli occhi e
le labbra.
«Ti
stai lasciando andare.»
«Non
è vero.»
«Sì,
invece.»
Piove
forte, un'altra volta. Forse non ha mai smesso. Le gocce s'infrangono
con furia sull'epidermide spoglia, intrufolandosi come vermi sotto il
colletto della maglia, e Kageyama rabbrividisce.
«Così
ti verrà un malanno.»
«Non
m'importa.»
«Invece
dovrebbe!»
Hinata
balza davanti a lui, un barlume di rabbia che gli lampeggia nelle iridi
un tempo ambrate, piene di vita. «La squadra ha bisogno di
te!»
''Anche
io avevo bisogno di te'', pensa
Kageyama, mordendosi le labbra. ''Però
tu sei...''
«Morto!»
conclude Hinata con uno strillo, i pugni serrati in una morsa
disperata. «Devi ammetterlo, Kageyama! Devi riconoscerlo, o
non riuscirai più ad andare avanti!»
Perché
questo incubo sta durando da così tanto tempo? Quando
finisce?
L'odore
del sale, delle lacrime, copre quello d'arancia. La gola gli brucia, lo
stomaco è incandescente. È senz'altro finito
all'inferno.
«Non
voglio» risponde allora, con un sussurro che però
infine s'incrina, si spezza. «Non voglio, perché appena
proverò ad andare avanti, tu scomparirai di nuovo.»
«Kageyama.»
Hinata s'avvicina, le sopracciglia incurvate in un'espressione dolce,
buona. Per la prima volta dopo mesi, c'è un sorriso
accennato sulle sue labbra. «Le persone che ci amano non ci
lasciano mai
veramente.»
Infine
gli poggia una mano sul petto, proprio all'altezza del cuore. Adesso
Kageyama riesce a percepirla, la forma delle sue dita minute che
premono sulla stoffa.
Kageyama
si strofina il naso, lasciando che le lacrime si mischino alla pioggia.
Rimangono immobili, mentre la palestra della Karasuno veglia su di
loro, custodendo
per sempre le voci
di due ragazzi che ridono e che bisticciano giocando a pallavolo.
Il
loro primo incontro, la loro prima veloce, il loro primo bacio.
È sempre stata la palestra della Karasuno a testimoniare la
rivalità, l'amicizia, e quel qualcosa
in più che
entrambi si sono rifiutati di chiamare per nome.
«Mi
alzi la palla?»
Hinata
appare più brillante, più simile al ragazzo che
era in passato, quello che gli ha cambiato la vita dentro e fuori dal
campo, con le guance arrossate e le lentiggini spruzzate sulle labbra.
Ma
così fa molto più male.
Kageyama
afferra un pallone dalla cesta, inspira, si mette in posizione e lo
spinge in aria. Hinata tende i muscoli delle cosce, eccitato come un
bambino, poi spicca il volo librandosi in alto, ancora
più in alto, e infine
schiaccia forte al di là della rete.
Per
un istante, Kageyama sorride. È fiero di tutti i progressi
che ha fatto, che hanno fatto insieme. Crede fermamente che Hinata
diventerà un ottimo giocatore, riesce persino a
immaginarselo e non sta nella pelle all'idea di confrontarsi con lui come avversario, da pari a pari,
non appena saranno più grandi.
Poi
però ricorda: Hinata
non c'è più, Hinata è...
E
allora Kageyama crolla, si frantuma in mille pezzi come ceramica, le
ginocchia sul pavimento gelato. Lascia che i singhiozzi lo scuotano con
violenza, mentre la disperazione s'impossessa del suo corpo.
Perché
Hinata non può, Hinata non può essere morto.
«Alzamene
un'altra, Kageyama! Un'altra ancora!»
Kageyama
solleva il viso, la vista offuscata dal pianto. Lui è in
piedi, e lo sta aspettando.
«È
ora, Kageyama.»
Oramai
la cesta è vuota, i palloni sono sparsi lungo tutta la
palestra. Hinata s'avvicina, e gli afferra la mano. È
morbida e tiepida, proprio come la ricordava.
Kageyama
vorrebbe urlargli di non andare, non importa che sia uno spirito, o il
frutto della propria immaginazione.
Eppure
serra i denti e si costringe a rimanere in silenzio.
«Contiamo
fino a dieci, vuoi?»
Uno,
due, tre...
Kageyama
lo avvolge forte fra le braccia e gli affonda il viso nei capelli
arruffati: odorano di shampoo per bambini alla gomma da masticare.
Vorrebbe solamente che il tempo si dilatasse come una bolla di sapone,
che si fermasse, proprio in quell'istante.
Quattro,
cinque, sei...
Tuttavia
i secondi scorrono impietosi. Mentre l'altro gli strofina il naso
contro il collo, Kageyama prova una rabbia tanto intensa da bruciargli
le vene. Perché proprio a Hinata?
Sette,
otto...
Hinata
lo bacia. Si poggia leggero sulle sue labbra, e Kageyama ne percepisce
la dolcezza sporcata dal sale delle lacrime.
Infine
si tira indietro, e lo guarda dritto negli occhi.
«Ci
arriverai, vero?» gli domanda, le iridi ambrate ed eccitate,
stillanti fame e voglia di vincere.
Sulla
cima del mondo.
«Ci
puoi giurare.»
Hinata allora
sorride, mentre diviene sempre più sfarfallante e
trasparente.
«Nove.»
«E
dieci.»
Fino
alla fine. Per
sempre.
Quando
Kageyama riapre gli occhi, si ritrova sdraiato sul freddo pavimento
della palestra. Ha le guance ancora appiccicate di lacrime, ma
c'è un profumo di arancia che aleggia nell'aria.
È
dolce, inconfondibile. È
il suo.
Kageyama
si sente più disperato e solo che mai.
Eppure inspira, si rialza, ordina la palestra, e un passo dopo
l'altro, va
avanti.
Note d'autrice
Sono
una persona semplice: esce la notizia che Haikyuu la settimana prossima
finirà definitivamente, allora scrivo cose tristi.
Comunque,
è la mia prima storia angst/deprimente, abbiate
pietà, è uscita veramente a cazz-ehm, di getto.
Sì.
Vabbè,
grazie a tutti di cuore per la lettura! ♥ Dimenticavo, la frase iniziale in corsivo è una citazione presa dal libro 'Alice nel Paese delle Meraviglie'.
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