Dark Circus

di Lacus Clyne
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PROLOGO◊

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarebbe stato un inverno particolarmente nevoso quello dell’ultimo anno. Non che la neve non mi piacesse, anzi, sin da quand’ero bambina, la attendevo con trepidazione. Coperte in pile e cioccolata bollente con un signor ciuffo di panna montata. La mamma che addobbava il grande albero nel salotto di casa, incerta sull’abbinamento giusto di colori. Rosso o dorato? Magari il blu ci sta anche. No, quest’anno sono solo fiocchi. Bianchi. Era divertente vederla alle prese con scelte di importanza vitale, come le definiva papà. Ed era altrettanto piacevole pensare a quanto mio padre chiudesse ogni rapporto lavorativo con la tecnologia per dedicarsi soltanto alla sua famiglia, durante le feste natalizie. Già, i miei genitori erano sempre stati particolarmente attenti a questo genere di cose. E così, nel corso degli anni, mi ero ritrovata a vivere l’arrivo dell’inverno con la consapevolezza che con esso arrivava quel meraviglioso momento di serenità e condivisione familiare.

Quell’anno, tuttavia, sarebbe stato diverso. Progettavo di tornare a casa una volta concluso il semestre e per questo avrei dovuto attendere ancora qualche mese. Per di più, il mio appartamento era troppo piccolo per ospitare un’intera famiglia e cosa ancora più importante, era già abbastanza popolato. Ma non quella sera. Lucy si era messa in testa di festeggiare la conclusione della mia ultima tranche di esami. A essere più precisi, la mia matta coinquilina e migliore amica (a giorni alterni), aveva ben pensato, assieme al mio (da un anno e mezzo) un po’ meno pazzo fidanzato, Trevor, di trascinarmi fuori casa, di trascorrere la serata – parte prima – a mangiare al sushi bar e – parte seconda – , di aspettare la mezzanotte a suon di shottini.

D’altro canto, dopo un mese di segregazione da studio, pizza e caffè, l’idea di uscire non era affatto male. Un po’ meno gradito era il gelo pungente che Lucy aveva pensato di combattere a suon di Tequila Bum Bum o Jagermeister. Per fortuna, Trevor, per quanto complice di Lucy, aveva raziocinio a sufficienza per impedirci di ubriacarci. E se dopo il primo giro la mia amica era ancora in grado di intendere e di volere, tre giri più tardi, aveva spifferato a Trevor che la prima volta che avevo incrociato il suo sguardo, durante un concerto di Katy Perry, gli avevo dato del maniaco. A distanza.

– E con questo si chiude un’amicizia, Lucinda Garner. – la minacciai, trangugiando velocemente il mio terzo bicchierino lasciando che il calore dell’alcool scendesse in gola.

Pochi secondi e non mi ricordai nemmeno cos’avevo appena detto.

Lucy e io ci scambiammo uno sguardo a occhi sgranati e pupille dilatate. Nei suoi occhi cervoni, bordati da ciglia scurissime, arcuate ed eye-liner verde smeraldo, intravidi i miei color azzurro. La sua espressione era la mia. Sollevammo entrambe la mano sinistra, la sua recante un piccolo tatuaggio floreale in corrispondenza del polso, poi le portammo ai capelli. Quelli di Lucy erano cortissimi e sbarazzini, più neri della pece causa tintura recente. Ci studiammo. Osservai attentamente il modo in cui le dita affusolate carezzavano il ciuffo ribelle che le era sceso appena sulla fronte. Nello stesso momento, le mie dita sfiorarono la ciocca di capelli castano cioccolato leggermente mossi che portavo molto lunghi sin da quand’ero bambina. Lucy aggrottò le sopracciglia. Io feci lo stesso. Con un sospiro di rassegnazione, Trevor aspettava la nostra prossima mossa. Ci capimmo a volo. Con le mani libere, Lucy afferrò la bottiglia di Jagermeister, io il bicchierino vuoto, subito riempito. Lo porsi a Trevor, che alzò le braccia in segno di resa.

– Scordatevelo. Sono io quello che ha la responsabilità di portarvi a casa incolumi, signorine. E per il bene dei vostri stomaci e delle mie orecchie, sarà meglio che questo sia stato l’ultimo giro. – sentenziò.

Dio, giuro che lo amavo. Sì. Io amavo Trevor Lynch. Nonostante avessi pensato che poteva essere un maniaco. Ma non lo era. Era il ragazzo più dolce e perfetto del mondo. Tranne che quando lasciava i suoi abiti in giro per la stanza dopo aver trascorso la notte insieme. Scoppiai a ridere e posai il bicchierino, poi gli avvolsi le braccia al collo. Ero brilla, il freddo era un lontano ricordo, stavo festeggiando in anticipo l’ultimo Natale al college prima di essere scaraventata nel mondo del lavoro e mentre la mia pazza amica sogghignava, cercavo di focalizzare l’attenzione su quanto, anche a distanza da casa, dalla mia famiglia, fossi felice.

Gli occhi verde scuro di Trevor erano divertiti, a volte sorpresi dalla mia intraprendenza. Sorrisi, avvicinandomi al suo viso. Non si era rasato quel giorno. La ruvidezza della sua guancia a contatto con le mie labbra mi mandò su di giri. Senza pensarci due volte, trovai le sue labbra carnose e ci ritrovammo piuttosto impegnati in un bacio. Per un attimo mi ritrovai a pensare che era un gran peccato essere fuori casa proprio in quel momento. E a giudicare dal modo in cui Trevor aveva risposto doveva star pensando la stessa cosa. Lucy, da parte sua, si limitò a qualche colpetto di tosse per richiamarci all’ordine. Non che stessimo dando spettacolo, considerando che la gente nel locale seguiva la tv o parlottava. A ognuno il suo.

Ci ritrovammo fuori nell’arco di una decina di minuti. Il freddo si era fatto risentire pungente e aveva ricominciato a nevicare. Non che mi dispiacesse, in quel momento preciso, visto che mi era servito a recuperare un po’ di lucidità. L’orologio digitale nella piazzetta squadrata, costellata di alberi innevati e addobbati da luci soffuse, indicava le 00:05 del 22 dicembre.

– Torniamo a casa? – proposi, prendendoli entrambi sottobraccio.

Lucy arricciò le labbra color corallo, rivolgendoci uno sguardo eloquente. Quando faceva così, aveva qualcosa in mente.

– Ah no. Non ho alcuna intenzione di sorbirmi voi due piccioncini. Quindi, Lynch, ora voi due accompagnate me a casa, e ve ne andate da te. Ah, Kate, a proposito. Non svegliarmi di nuovo presto come l’ultima volta. Ricordati le chiavi, eh? – si lamentò.

Ridacchiai, pensando a quante volte ci eravamo ritrovate nella medesima situazione nell’ultimo anno. Trevor, calcando sulla testa bionda e riccia il berretto di lana nero, assentì.

– Ora che non hai altre preoccupazioni potresti passare qualche giorno da me. Che ne dici? – mi chiese.

Sollevai lo sguardo fino a incrociare il suo. Dovevo ammettere che avere un ragazzo che già lavorava e poteva permettersi un appartamento tutto per sé era comodo, ma l’idea di trascorrere qualche giorno di relax sotto le feste assieme alla persona amata era anche migliore. Lucy dopotutto, aveva già preventivato di tornare a casa per Natale, quindi non avrei avuto sensi di colpa da abbandono. Annuii, strappandogli un sorriso entusiasta, trovando anche l’approvazione della mia migliore amica, che mi scoccò un bacio, gelato, sulla guancia. A decisione presa, accompagnammo Lucy a casa, a pochi isolati di distanza dal nostro locale preferito e dopo aver ascoltato le sue raccomandazioni sul non voler diventare zia a soli ventitré anni, ci avviammo verso il condominio in cui viveva Trevor. Era da un po’ che non stavamo da soli, pertanto decidemmo di goderci a pieno il resto di quella notte e i giorni che sarebbero seguiti.

Per strada, abbracciati l’uno all’altra, mentre la neve continuava a cadere e gli irriducibili della notte se la spassavano, ci ritrovammo a progettare di future vacanze una volta conseguita la laurea. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto vedere tutta la East Coast, mentre Trevor avanzò proposte per l’Europa. Nessuno di noi due ci era stato. A pensarci non sarebbe stato male, ma dal momento che il mio traguardo era più vicino delle sue ferie, avrei potuto spuntarla più facilmente. Passeggiavamo osservando luci e vetrine, in pieno centro. Poi la sua attenzione venne catturata dalla locandina di un circo che sarebbe venuto in città per il Capodanno.

– Ti andrebbe di farci un salto? – chiese, indicando la figura ammantata che a occhio e croce doveva rappresentare un mago nero stampata sulla locandina.

Mi strinsi più forte nel suo abbraccio. Il circo in realtà mi aveva sempre messa a disagio. Sin da quand’ero bambina. Mi ci avevano portata una volta, ma l’odore dei fumi colorati misto a quello degli animali, mi infastidiva. E la vita da nomadi dei circensi mi faceva un po’ impressione. Era come se fossero quelle persone di cui non potersi fidare. Preferivo di gran lunga la stabilità.

– No, non mi interessa. – tagliai corto, sperando che non insistesse. Non mi andava di spiegargli che razza di pensieri sicuramente irrazionali, ma che di certo mi provocavano sensazioni di profondo disagio, stavano attraversando la mia mente in quel momento.

Trevor assentì, facendo spallucce. – Ok, ci ho provato. – rispose con un sorrisetto sbilenco, prima di baciarmi.

Il contatto con le sue labbra fredde mi fece rabbrividire e gli proposi di affrettarci a rientrare, quando il suo cellulare squillò. Un’imprecazione sottovoce mi fece sorridere più del dovuto, soprattutto quando realizzò che si trattava di Lucy.

– Perché non ha chiamato te? – domandò, mentre si apprestava a rispondere.

Svelta, controllai il mio telefono, colpevolmente scarico. Eravamo vicini alla via di casa di Trevor, piuttosto trafficata, tanto che si dovette allontanare di qualche passo protestando perché non riusciva a capire cosa stesse dicendo Lucy. Infilai le mani nel montgomery, in attesa, e mossi i piedi per scaldarmi. Nell’aria notturna, il fiato non era vaporizzato, ma decisamente congelato. Mi voltai un paio di volte verso Trevor, notando la sua figura alta e slanciata, chiusa nel Peuterey blu scuro, mentre agitava il braccio a mezz’aria. Chissà che voleva Lucy. Sospirai ancora, rivolgendo lo sguardo alle persone che continuavano a camminare in ogni direzione. La città non dormiva mai. Al contrario, io cominciavo ad aver sonno. Nel mezzo di uno sbadiglio, mi accorsi di un particolare stonato. Un’ombra scura, al di là della strada, qualcosa di rosso che catturò la mia attenzione. Non feci in tempo a insospettirmi, che ebbi un sussulto al cuore. L’ombra stava trascinando qualcosa con sé. Dannazione, nessuno se ne accorge? pensai, sentendo il respiro insolitamente accelerato scandire attimi preziosi. Non mi voltai ad avvertire Trevor né ascoltai la voce del buonsenso che da qualche parte avrebbe detto che avevo preso un abbaglio e che comunque, avrei dovuto pensare ai fatti miei e attraversai. Mi feci largo attraverso gente ignota. Nella testa il pensiero di dover far presto. Nel cuore il terrore. I passi diventarono più veloci, quando raggiunsi la traversa scarsamente illuminata. Tremavo, per il freddo, per una paura che non riuscivo a spiegarmi. Avevo studiato diversi casi di psicologia criminale, per il mio ultimo esame. Voci di corridoio avevano parlato di rapimenti di bambini e di ritrovamenti atroci da parte delle forze dell’ordine. Ma potevo sempre sbagliarmi. In realtà lo volevo. Dovevo essermi confusa, non potevo certo ritrovarmi alle prese con qualcosa del genere, in un giorno che era stato così felice. Non vidi granché, all’inizio. Dalla strada principale, arrivava soltanto rumore.

– C’è nessuno?! – urlai, con la voce che mi sembrò quasi estranea, nelle mie stesse orecchie. Terrore. Misto a dannato bisogno di saperne di più. Mossi un paio di passi sul selciato appena coperto dalla neve che si era posata. Prestai orecchio, cercando di isolare i rumori da eventuali suoni che potessero risultarmi utili. E di certo, il galoppo del mio cuore non lo era. Chiusi per un attimo gli occhi, imponendo a me stessa di concentrarmi. E sentii. Il suono di qualcosa che armeggiava, che veniva strappato, forse. Rantolii. Respiro concitato. Il mio? No, non era il mio. Un gorgoglio strozzato. Riaprii gli occhi, abituatisi alla poca luce. Vidi l’ombra scura sollevarsi, imponente, a pochi metri da me. Un po’ come quella del mago stampato sulla locandina pubblicitaria del circo. Deglutii senza saliva. Il mio corpo era diventato mostruosamente rigido. Intravidi il brillio di una lama, probabilmente. Un taglierino, forse. Non sapevo stabilirlo. Sollevò a mezz’aria il braccio. Un’ombra nera. Totalmente impenetrabile. Portò la mano libera al volto, che portava in parte coperto. Ebbi la sinistra sensazione che stesse sorridendo. Il diavolo sorrideva?

– C-Che cos’hai fatto?! – urlai.

Mi rivolse un inchino, prima di scostarsi.

Sgranai gli occhi, sentendomi mancare, quando vidi un corpicino a terra. Il respiro mi si mozzò in gola. – Mio Dio… – feci appena in tempo a sussurrare, mentre lo shock si impadroniva del resto del mio corpo. Non mi resi nemmeno del rischio che stavo correndo. Ricoprii quei pochi metri in un attimo, ritrovandomi a fissare con orrore quel corpicino la cui vita stava sfiorendo velocemente. Una bambina. Tre anni circa. Il cappottino rosso era aperto e si intonava bene con i lunghi codini scuri ormai sfatti. Mi sentivo mancare. Perché? Perché lei? Una bambina, Dio. Una bambina innocente. Crollai sulle ginocchia, cercando di richiamare alla mente anche solo una qualsiasi conoscenza base di primo soccorso. Ferite, ovunque. Sangue, tutto intorno. E il suo visino pallido stava per cristallizzarsi per sempre. Raccolsi la manina gelata, ancor di più della mia, stringendola forte.

– Ti prego… ti prego, non morire… non morire… resta con me, piccola… – continuavo a ripetere, nonostante fossi perfettamente cosciente che non sarebbe stato possibile, in ogni caso. Il diavolo alle mie spalle avrebbe potuto tranquillamente rivolgere la sua arma anche contro di me. Ma non lo fece. Al contrario, sentii un sussurro roco, proprio nel mio orecchio, così cantilenante e osceno da farmi quasi venire voglia di vomitare.

– Buon Natale. –

Scomparve così, nell’oscurità, lasciandomi sola con una bambina ormai morta, totalmente distrutta, a urlare nella notte che cambiò per sempre la mia vita.

 

 

 

 

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NDA: Salve a tutti! Eccomi tornata dopo un bel po' di anni su EFP, con una storia originale. Dark Circus, che cercherò di pubblicare a cadenza regolare, è una storia a cui sono molto legata e che ha significato il cimentarmi con un genere differente dal fantasy, per certi versi molto più maturo rispetto ad Underworld, il cui rating è decisamente T. Attraverso gli occhi e i pensieri di Kate, spero che questa storia entri nel cuore di chi la leggerà così come lo è nel mio, dal primo momento in cui ho cominciato a scrivere. Invito a lasciare qualche pensiero, se vi va e... buona lettura a tutti.

 

Edit: Come per Underworld, anche per Dark Circus ho disegnato i personaggi, sebbene soltanto Kate e Alexander (poca ispirazione XD). Spero possano aiutare a visualizzare meglio.  

 

 

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