Fuoco.
Un
cerchio di fiamme circonda il letto.
Riempie
l’aria di fumo nero e lugubri crepitii.
Il
piccolo Erron è immobile, steso sul letto.
Un
peso opprime il suo esile corpo.
Delle
serpi nere, i piccoli occhi gialli luccicanti di cattiveria, ad un
tratto, strisciano sul letto.
Si
avvolgono attorno alle sue braccia e alle sue gambe. Saettano la sua
lingua sulla pelle nuda.
Due
occhi verdi, di forma triangolare, si aprono nell’aria satura.
Qualsiasi
velleità di fuga di Erron svanisce.
Non
può fuggire. Lo sa.
E
le fiamme lo consumano in un sinistro rogo.
Con
un urlo, Erron Black spalancò gli occhi e si alzò a
sedere sul letto.
Per
alcuni istanti, restò immobile, il cuore palpitante contro le
costole e il volto umido di sudore. In quei brevi, seppur eterni
istanti d’angoscia, era ritornato bambino.
La
durezza di un’infanzia crudele era riemersa dalle nebbie dei
suoi ricordi.
Certo,
c’erano molti elementi simbolici, ma la sua mente aveva
collegato un elemento reale ad uno figurato.
Con
un gesto sprezzante della testa, allontanò i ricordi dalla sua
mente. Non era più l’impotente ed esile ragazzino,
costretto a soggiacere agli ordini dei più forti.
Nessuno
più si sarebbe preso gioco di lui.
Era
riuscito a impadronirsi della forza e a sopravvivere al mondo crudele
degli Stati Uniti del diciannovesimo secolo.
Il
suo volto, dai lineamenti scavati e duri, portava le tracce di quel
tempo crudele, privo di lussi e di comodità.
Con
le sue pistole, si era guadagnato un nome e lo stregone Shang Tsung
lo aveva assoldato.
– Cazzo…
– brontolò. Quelle considerazioni, pur giuste, non
placavano il suo senso di angoscia.
Un
senso di amarezza, simile ad un fluido acido, corrodeva il suo cuore.
Si
passò una mano tra i capelli castani e si alzò dal
letto. In quel momento, aveva bisogno di uscire dalla sua abitazione.
Ne
era sicuro, se fosse rimasto, sarebbe soffocato.
Conosceva
l’origine di quel senso di disgusto, ma non voleva pensarci.
Camminò
un poco, poi si distese sul terreno e fissò il cielo notturno
di Outworld, ingombro di nubi grigiastre.
Accennò
ad un sorriso ironico. Perché ricordare simili eventi?
Non
aveva senso lasciarsi controllare da vecchie storie, che si perdevano
in un’epoca scomparsa.
Le
sue pistole gli avevano dato la libertà, da lui bramata.
Grazie
alla sua abilità, aveva potuto porre fine alle angherie subite
da bambino.
Lui
era vivo, mentre il suo carnefice era polvere.
Nessuno
conosceva il suo nome.
– Buon
compleanno, papà. –
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