Dissolvenza
C'era
solo un modo per porre fine a degli immortali come loro, ancora
legati allo spirito e all'anima del loro creatore. Zeus era
lì,
osservava e vegliava sui suoi figli, ma non faceva la sua mossa,
affiancato da un'altrettanta silenziosa e giudiziosa Athena.
Così
come Ivan aveva da sempre minacciato il suo spirito, la sua
esistenza, così come Ivan aveva insegnato lei il primo
sentimento
che avesse mai imparato, quello della paura, lei ora poteva
insegnarlo a loro. Uccidendo Zeus... loro sarebbero caduti come
burattini senza vita.
Ombre
su di lei, spalancò gli occhi sorpresa e si voltò
a guardarsi le
spalle. Ebe e Eris sbucarono dalla nebbia che Dike aveva fatto
avvicinare silenziosamente alle sue spalle e si prepararono a
colpirla. Un soffio di vento, poté schivarle, ma questo la
spinse a
sporgersi verso Ares alle sue spalle che trovò finalmente
l'occasione per colpirla. La scaraventò via, facendola
rotolare, e
Ebe e Eris caricarono nuovamente, ad armi spianate. Con un urlo Erza
tornò alla carica, piena zeppa di ferite, ma ancora forte e
determinata. Intercettò la lama di Eris, mentre Bisca e
Alzack
riuscirono a sparare contro Ebe. Ares, ora libero e di nuovo carico,
tornò a puntare Priscilla ma un fulmine lo colpì
in pieno
trascinandolo al suolo per almeno un paio di metri. Laxus emerse da
esso, ora di nuovo in piedi, e lo spinse via. Efesto
strisciò
all'interno della sua lava fino a lei e saltò fuori appena
in tempo
per travolgerla, ustionarla e bruciarla col calore del proprio corpo,
ma l'urlo di Natsu anticipò la sua mossa e riuscì
a salvarla,
trascinando via il proprio nemico. Persefone lanciò contro
di lei i
propri spettri, ma Bickslow prese possesso di un paio di loro e li
usò per rivoltarsi contro i suoi compagni.
«Ti
aiuto!» gridò Fried, incidendo delle rune al suolo
che avrebbero
distrutto tutti gli spettri che fossero finiti al suo interno. Hermes
corse verso di lei ma Gray ghiacciò il terreno, lo fece
scivolare e
Jet poté finalmente prenderlo. I soldati di fango di Ilizia
tentarono anche loro il proprio attacco ma Levy, Cana e Lucy
riuscirono a distruggerne un po'. Gajeel colpì la chitarra
di
Dioniso e la distrusse prima che avesse potuto usarla per far loro
esplodere le orecchie dal frastuono che era in grado di produrre, un
suono acuto e terribile in grado di distruggere persino i neuroni.
Wendy usò la propria magia curativa per contrastare
l'effetto della
magia dell’immortale che colpiva l'equilibrio e Romeo diede
al
ragazzino il colpo di grazia colpendolo con il proprio fuoco. Lluvia
riuscì a prendere il controllo dell'umidità della
nebbia di Dike e
così manipolarla per allontanarla, combatté
contro di lei corpo a
corpo, nebbia contro acqua, alla pari ma comunque abbastanza forti
entrambi da restare impegnate. Apollo e Artemide diedero il loro
contributo lanciando frecce, ma i proiettili di Bisca e Alzack le
neutralizzavano tutte. Eirene, Eunomia e Nemesi, ciascuna di loro
provò a modo suo a lanciarsi furiose contro Priscilla ma
vennero
come le altre intercettate e bloccate, impegnate in una lotta furiosa
contro una gilda che colpivano sempre più duramente ma che
non
sembrava aver intenzione di cedere nemmeno di fronte alla morte
stessa.
«Pricchan!»
chiamò Laxus, tornando a tirar pugni furiosi contro l'uomo
più
forte che avesse incontrato fino a quel momento. Prima Ares, poi
Laxus, ciascuno di loro restava ferito e colpito, atterrito, si
rialzava, colpiva di nuovo, sempre più furioso, sempre
più feroce,
facendo vibrare l'aria e il terreno. Priscilla si alzò da
terra e
cominciò a correre verso il suo ultimo e unico obiettivo.
Zeus.
«Fermatela!
Athena!» gridò Ares, guardando la ragazza correre
indisturbata
verso il loro creatore, in mezzo a lotte che non sembravano turbarla
nemmeno un po'. Ciascuno di loro dava il proprio contributo per
proteggerla, aprirle la strada, e Zeus era sempre più vicino.
«È
l'ultimo avvertimento, Ares! Andatevene adesso!»
ruggì Priscilla
avvolgendo il suo intero corpo di vento che l'avrebbe protetta e
avrebbe caricato il suo colpo di una forza necessaria a
uccidere.
«Athena!»
gridò ancora Ares, prima che Laxus gli tirasse un colpo di
testa in
grado di destabilizzarlo.
Con
un urlo Priscilla ingrossò il vento presente sul braccio.
«Vi
spazzerò via tutti e due!» gridò
preparandosi a colpire. Un passo
dopo l'altro, finalmente a pochi centimetri dal suo bersaglio, il
tempo era come rallentato. Zeus alzò di un solo centimetro
da terra
il bastone che usava per camminare e lo sbatte al suolo, con un tocco
secco e deciso... e Priscilla cadde in avanti. Non un alito di vento
le accarezzava più la pelle, né un briciolo di
energia le permise
di muovere anche solo un dito. Zeus la tenne sollevata da terra con
un braccio, sorreggendola come fosse stata una bambola senza vita, e
non si scompose minimamente.
«Pricchan!»
gridò Laxus, terrorizzato nel vederla in quelle condizioni.
«Priscilla-nee!»
gli fece eco Wendy, già con le lacrime agli occhi.
Dioniso,
di fronte a lei, sghignazzò orgoglioso e soddisfatto prima
di dirle:
«Nessuno può avvicinarsi a Padre Zeus, lui
risucchia ogni cosa.
Magia, energia, luce... la vita stessa. Se ne impadronisce,
ciucciandola via dagli altri. Come credi che possa tenersi ancora in
vita e in forma nonostante la fatica di dare un'anima a ben quindici
figli?»
«Risucchia...»
mormorò Wendy, cercando di comprendere appieno
quell'informazione.
«Risucchia
questo allora!» ruggì Natsu, furioso, prima di
gonfiare la propria
pancia e lanciare contro Zeus e Athena il suo Ruggito del Drago. La
palla di fuoco dalle dimensioni imponenti raggiunse rapidamente Zeus,
ma Athena mosse una mano e un enorme libro comparve davanti a loro.
Il colpo di fuoco di Natsu colpì le pagine aperte e vi
entrò, come
se stesse attraversando un portale magico, e ne venne
risucchiato.
«Natsu,
vai ancora!» incalzò Laxus tirando ad Ares
l'ennesimo pugno per
allontanarlo. Si voltò subito dopo e in un istante
gonfiò anche la
propria di pancia, lanciando addosso a Zeus il proprio ruggito di
fulmini. Natsu, da un'altra angolazione ripeté l'attacco e
Gajeel,
da un'altra ancora, non si tirò indietro. Ruggito del Drago
di
Fuoco, del Fulmine, del Ferro, del Cielo con Wendy, e poi i
proiettili di Bisca e Alzack, il fumo di Wakaba, l'ombra di Macao, le
carte di Cana, il ghiaccio di Gray e l'acqua di Lluvia. Un attacco
combinato a distanza, da parte di tutti i membri della gilda, anche a
costo di voltare le spalle al proprio nemico e dar ai membri di
Olympos un vantaggio per colpirli. Decine di libri si aprirono
intorno a Zeus e Athena e assorbirono con facilità ciascuno
di
quegli attacchi, lasciando intaccati i due al centro se non per una
nube di fumo e polvere che la potenza di Fairy Tail aveva scatenato
su di loro. Intoccati, nonostante avessero ricevuto su di loro la
scarica magica di una gilda intera, più di tutti quei due
dimostravano di meritare il ruolo di Master e assistente. Ma proprio
da quel fumo che ora occludeva loro la vista una piccola saetta
bianca sbucò a una velocità incredibile e
imprevista, afferrò
Priscilla per la maglia e la trascinò via, in volo. Priscila
riuscì
ad aprire gli occhi, sentendo l'energia tornarle piano piano man mano
che si allontanava da Zeus, e curiosa di vedersi sollevata da terra
spostò pigramente lo sguardo a colei che la teneva per la
maglia con
le sue piccole e tremanti zampe bianche.
«Charle»
mormorò, vedendola in lacrime.
«Non
azzardarti a morire qui, stupida ragazzina!» la
rimproverò, tirando
su col naso. Priscilla non ebbe nemmeno la forza di rispondere, si
sentiva come se si fosse appena svegliata da un infinito sonno e
dovesse ancora riprendere piena coscienza di sé.
Abbassò lo sguardo
al suolo, guardando le due gilde ancora impegnate in quell'estenuante
combattimento dove Fairy Tail dava fondo a tutta la sua disperazione
mentre Olympos, per quanto venisse colpita, riusciva sempre a
rialzarsi come se avesse appena cominciato. Ogni attacco, ogni colpo,
ogni speranza sfumava via di fronte all'ennesima ferita che si
rimarginava e a un Master inavvicinabile e intoccabile. Si
corrucciò,
addolorata, quando vide che quell'ultima mossa che aveva permesso a
Charle di aprirsi una breccia e venirla a salvare era costato
così
tanto. I membri di Fairy Tail, per sparare quell'attacco all'unisono,
avevano voltato le spalle ai loro avversari e questo aveva permesso
di dar loro il colpo decisivo. Caddero a terra, distrutti, feriti,
disperati, sfiancati e probabilmente privi di ogni speranza.
Riuscì
a intravedere, nel pigro ondeggiare delle sue braccia, il proprio
simbolo di Fairy Tail stampato sul palmo della mano e
ripensò al suo
significato.
"Il
palmo della mano destra è la prima cosa che si porge a
coloro che si
vuole aiutare"
aprì la mano e l'allungò, delicata e affaticata,
verso terra, verso
i membri di Fairy Tail, come se avesse voluto afferrarli. "Il
simbolo di Fairy Tail puoi stringerlo delicatamente tra le dita,
proteggerlo, curarlo"
e delicatamente strinse le dita, in quell'azione simbolica,
portandosi poi quella stessa mano al petto, all'altezza del cuore.
Dove avrebbe portato per sempre ciascuno di loro.
Charle
cedette improvvisamente, le sue ali scomparvero prima che avessero
potuto raggiungere una distanza di sicurezza, ed entrambe
cominciarono a cadere verso terra.
«Quell'uomo
ha una magia... assurda» commentò Charle, ora
priva di forza e
energia. Solo passargli accanto, per prendere Priscilla e poi
allontanarsi, era bastato per risucchiare la totalità della
sua
magia ed energia nonostante gli fosse stata accanto solo per un
brevissimo istante.
«Charle!»
chiamò preoccupata Priscilla, prendendola al volo e
stringendola al
petto mentre entrambe cadevano verso terra. Si corrucciò e
un
improvviso soffio di vento riuscì a sorprenderle dal basso,
facendole galleggiare per qualche istante e poi atterrare
delicatamente sui propri piedi. Strinse la gatta, che ora respirava
faticosamente, al petto.
«Priscilla»
ansimò lei, sforzando un sorriso. «Possiamo...
ancora vincere,
vero?» chiese, in un ultimo guizzo di speranza e desiderio.
Intorno
a loro, con urla di dolore, uno a uno, tutti i suoi compagni cadevano
per mano di un nemico che era praticamente invincibile. Lacrime,
urla, speranze che non volevano cedere nemmeno di fronte all'ennesima
ferita. Eppure almeno la metà di loro, ora, non riusciva
più
nemmeno ad aprire gli occhi.
«Sì»
strinse i denti Priscilla. La fronte si corrucciò, ma lo
sguardo,
benché invaso di lacrime, era di una sicurezza
indiscutibile.
«Possiamo ancora vincere, Charle».
E
lo credeva davvero.
Poggiò
delicatamente Charle a terra e fece un paio di passi avanti,
distanziandola appena ma restando frapposta tra lei e i nemici, per
proteggerla. Fissò intensamente Zeus e Athena, con uno
sguardo
infuocato di rabbia e ora determinazione.
L'avrebbe
fatto. Non c'era altra scelta.
Sapeva
che quella mossa avrebbe potuto farli vincere, ne era certa,
soprattutto se Zeus era un risucchiatore come aveva appena spiegato.
Quella era la sua unica debolezza, poteva sfruttarla al massimo,
poteva vincere certamente. Eppure... non riusciva a smettere di
tremare.
Athena
aveva il potere della lettura. I libri erano la sua arma, ma la sua
incredibile capacità risiedeva nella lettura. Poteva leggere
qualsiasi cosa, decine, centinaia di libri anche in lingue
sconosciute e perdute da tempo, ma soprattutto poteva leggere le
persone. Passato, presente, futuro, i pensieri e le intenzioni,
chiunque era come un libro da scoprire e da leggere fino in fondo. E
parole uscirono dalla testa di Priscilla, parole che lei
poté
leggere con chiarezza. Spalancò gli occhi e per la prima
volta da
quando l'avevano incontrata abbandonò l'espressione
superiore e
concentrata che aveva in un solo istante.
«Stupida,
se userai quella magia non potrai più tornare
indietro!» ruggì,
lasciandosi sfuggire uno sguardo panico dal viso. Una voce, una
frase, che non riuscì a non attirare l'attenzione
dei
presenti. Chi per il significato di quelle parole, chi
perché
sorpreso e spaventato di vedere proprio su Athena un'espressione
terrorizzata come quella. Che stava succedendo?
«Se
la cosa ti spaventa tanto allora significa che ho ragione... posso
uccidervi con questa ultima mossa» disse Priscilla abbozzando
un
sorriso, benché stesse ancora tremando come una foglia.
Athena
digrignò i denti e non esitò a chiamare a
raccolta alcuni dei suoi
libri, che lanciò violentemente contro di lei. Priscilla
saltò e
volò, schivando i loro colpi. Erano ottimi per difendersi,
come
avevano visto, ma in attacco erano alquanto carenti. Erano lenti e
imprecisi, schivarli era una passeggiata soprattutto per una maga del
vento come lei.
«Il
tuo master ti ha proibito categoricamente di usarla,
ricordi?!»
ruggì ancora Athena, furiosa, leggendo nel suo passato
qualcosa a
cui avrebbe potuto aggrapparsi per fermarla.
«Il...
master?» mormorò Wendy, in ginocchio per
l'ennesimo colpo andato a
vuoto e che aveva permesso a Dioniso di colpirla.
«Una
mossa che il master le ha proibito di usare...»
mormorò Lucy, stesa
al suo fianco, ormai stremata.
«Credi
che questo mi fermerà? Sono pronta a tutto per salvare la
mia gilda,
anche rinunciare al mio corpo!» gridò lei, prima
di spazzare via
quei fastidiosi libri con un colpo di vento.
«Cosa...?»
mormorò Laxus, in ginocchio di fronte a Ares che lo teneva
per la
maglia. Aveva preso pugni in faccia fino a quel momento, ma di fronte
a quelle parole entrambi avevano per un istante abbandonato il loro
istinto belligerante.
«Cosa
significa...?» insisté lui, pallido in viso.
«L'aria
è instabile, le molecole si disperdono, ti sparpaglierai per
tutto
il mondo e per te sarà impossibile tornare indietro. Non
potrai più
ricomporti! Che razza di vittoria è quella in cui non sarai
qui?! Ti
stai sacrificando per una gilda che non rivedrai mai
più!» ruggì
Athena ma lei restò irremovibile. Nonostante le guance umide
di
lacrime, sul volto di Priscilla nacque un sorriso. L'ultimo sorriso.
Era quello il ricordo che era intenzionata a lasciare di sé
nei
membri della sua famiglia. Una Priscilla sorridente, felice di averli
a fianco. Divaricò appena le gambe e incrociò le
braccia a forma di
X tra loro sopra la sua testa, stringendo i pugni.
«A-aspetta
un attimo...» mormorò Laxus, che ancora non capiva
di che razza di
mossa fosse ma non gli importava. Gli bastavano quelle parole per
comprendere che non avrebbe voluto mai nemmeno scoprirlo. «Un
attimo
solo... Pricchan!» balbettò, spingendo via Ares
con una mano e
cominciando a gattonare verso di lei.
«Ragazzi»
disse lei con un tono inquietantemente amorevole e sereno.
«L'aria
che vi circonda, che respirate, di cui vivete...» un
singhiozzò la
interruppe, ma non smise di sorridere. «Anche se non potrete
vedermi... sarò sempre con voi» tremò.
Evergreen si portò le mani
alle labbra, mentre una lacrima le scese dal viso, ma non fu la sola
di cui si udì lamenti e singhiozzi. Ares scattò,
rapido come una
faina, anche senza l'ordine di Zeus. Il volto panico, disperato e
furioso. Superò Laxus, tanto ferito da non essere nemmeno in
grado
di alzarsi in piedi, e corse a pugno teso verso Priscilla. Non disse
una parola ma saltò e spinse il pugno in avanti a piena
forza,
pronto a colpirla con tutta la violenza che aveva dentro. Ma
Priscilla, un attimo prima di essere colpita, allargò le
braccia
sopra di lei, formando un semicerchio le portò rapidamente
in
orizzontale. Spalancò le mani, assumendo una forma come di
un
crocefisso e infine urlò il nome di quella terribile mossa
che
persino suo nonno le aveva sempre proibito di utilizzare.
«Dissolvenza!»
Il
pugno di Ares colpì il vuoto, attraversando solo qualche
immagine
residua di una Priscilla che come farina si sgretolava e si
disperdeva nell'aria circostante.
«P...»
la voce di Wendy, di fronte a una scena tanto assurda che sicuramente
aveva iniziato a pensare fosse solo frutto di un incubo. Pallida, gli
occhi vitrei, le spalle abbandonate a se stesse.
«Priscilla-nee?»
chiamò con un filo di voce, come se da un momento a un altro
lei
fosse potuta apparire da qualche parte e risponderle: «Sono
qui».
Ma niente di ciò accadde, solo il vuoto e un inquietante
silenzio
rotto dal rumore di un vento delicato e caldo che accarezzava loro la
pelle, in un soffio lamentoso.
«Pricchan!»
l'urlo disperato di Laxus fece tremare quello stesso vento da cui
erano circondati. Una voce imponente, una voce straziata, una voce
strappata dal supplizio e dal rancore di non essere riuscito a essere
tanto forte da impedirle quell'ultimo folle gesto. Tremò e
tentò di
gattonare in avanti, per raggiungere il punto dove lei era scomparsa,
ma le ferite, il dolore e la disperazione gli obnubilavano la
testa. Arrancò e non riuscì che a strisciare.
Intorno a lui, per
qualche strano maleficio, il mondo intero sembrava come congelato.
Non un fiato respirava, solo lamenti da chi era più emotivo,
sussurri di incredulità, il vuoto che era crollato sulle
loro teste.
Persino i membri di Olympos si erano paralizzati, confusi,
spaventati, chiedendosi probabilmente cosa sarebbe successo a
ciascuno di loro.
«Ares?»
la voce di Eris, un sibilo, mentre lei avanzava di un passo verso il
suo compagno immobile. Una goccia di sudore freddo le
scivolò giù
dalla tempia e pallida, come se la vita l'avesse già
abbandonata da
un pezzo, allungò una mano verso di lui. «Ehy...
Ares... fa'
qualcosa, no?»
«Noi...
non possiamo morire, giusto? Ares, è vero?» chiese
anche Ebe con la
stessa voce rotta dal terrore, ma a rispondere a quel quesito fu lo
stesso Zeus. Un lamento gutturale, si portò straziato una
mano
tremante al petto. Perse la presa sul proprio bastone e si
accasciò,
in ginocchio, respirando faticosamente ad ampie boccate. Athena al
suo fianco lo guardò, senza muovere un dito, non facendo che
tremare. Si interrogava, interrogava le sue infinite conoscenze, su
un modo per riuscire a difendersi da tutto quello, ma non c'era
risposta. Priscilla era diventata l'aria stessa, era penetrata nei
tessuti di loro padre, ogni respiro era un accesso libero per lei
all'interno del suo corpo e da lì lo stava distruggendo.
L'unico
modo per impedirle di proseguire era privare padre Zeus della stessa
aria che lo circondava, ma anche quello voleva dire ucciderlo.
«Padre
Zeus!» gridò Dike, terrorizzata.
«Padre!»
gli fece eco Eirene e insieme a Eunomia, Efesto, Dioniso e Hermes, lo
circondarono. Cercarono di tenerlo sollevato, lo guardavano e lo
studiavano, ma nessuna risposta arrivava alla loro mente. Athena, al
suo fianco, fece un passo indietro. Si portò le mani al
volto e negò
debolmente con la testa, fissando suo padre che ai suoi piedi cadeva
a terra. L’anziano tossì, sputò sangue,
mentre le molecole di
Priscilla dentro di lui distruggevano ogni organo e chiudevano ogni
vena.
«Athena!»
chiamò in lacrime Ebe. «Che
facciamo?»
«Ares!»
chiamò Eris, puntando all'unico punto di riferimento che
avesse, ma
lui continuava a restare immobile. Spalle abbandonate, testa china in
avanti, gli occhi non erano più rossi. Aveva perso ogni
istinto
combattivo.
«Ares...
ti prego» singhiozzò Afrodite, ora inginocchiata a
terra.
«Padre
Zeus!» l'urlo disperato di Dike, che tenendolo tra le
braccia, lo
sentì spirare l'ultima volta. «Padre
Zeus!» chiamò ancora e un
lieve lamento nacque tra di loro, sempre più forte. Dioniso
cadde in
ginocchio, in lacrime, Hermes subito dopo lo imitò. Ebe,
Dike,
Nemesi, Persefone... Eunomia prese tra le braccia i due gemelli e li
strinse entrambi forti al petto, Ilizia si avvicinò a Eris,
ora
seduta per terra, e le mise una semplice mano sulla spalla. Afrodite
cominciò a singhiozzare, coprendosi il volto con le mani,
Efesto si
lasciò cadere steso a terra, stanco per la battaglia, decise
di
dedicare quegli ultimi istanti di vita che gli rimanevano per
ammirare il cielo.
«Athena
l'aveva detto» mormorò Eris, abbandonata si
appoggiava alla sua
spada conficcata a terra, ormai rassegnata. «Averla come
nemica è
stato un errore».
«Eunomia-nee»
mormorò Apollo, confuso, ancora troppo piccolo per
comprendere.
«Perché piangete tutti?»
«Hanno
vinto loro, Eunomia-nee?» chiese Artemide, altrettanto
confusa.
«Vinto»
mormorò Ares e lentamente spostò gli occhi di
fianco a sé.
Respirando faticosamente, più per il dolore che per la
stanchezza,
Laxus si era trascinato fino a lì. Dalla gola serrata
continuavano a
uscire lamenti mentre una guancia si inumidiva di una lacrima che
persino un uomo orgoglioso e virile come lui non era riuscito a
trattenere. Si aggrappò, con le dita tremanti e rigide,
all'unica
cosa che restava di Priscilla... i suoi vestiti, abbandonati a terra.
Singhiozzando e lamentandosi, se li avvicinò al viso e ci
affondò
il volto, chiudendo gli occhi. Poteva ancora sentire il suo odore,
non solo su di essi, ma tutto intorno a sé. Poteva sentire
la sua
voce chiamarlo, in quel leggero soffio di vento che gli fischiava
nelle orecchie. Poteva sentirla ridere, divertita, in un eco caotico
dei loro compagni di gilda mentre si azzuffavano. Non voleva alzare
gli occhi, non voleva alzarsi da terra e rendersi conto che tutto
ciò
che aveva sempre avuto in un solo istante l'aveva perso. Era stato
lui a voltarle le spalle per ben due volte, a prendere le distanze,
era stato sempre lui quello che decideva di andarsene perché
dentro
sé sapeva, egoisticamente, che quando voleva tornare
indietro
l'avrebbe sempre ritrovata. L’aveva sempre data per scontata,
convinto che lei sarebbe sempre stata lì per lui. Una casa
allegra,
una casa accogliente, il calore di un sorriso, di un abbraccio, di
una parola gentile... sapeva che mai avrebbe perso tutto quello e
appoggiarsi a quella realtà l'aveva da sempre spinto a
temporeggiare, a voltarsi dall'altra parte, a non guardare. Adagiato
a una quotidiana presenza, al desiderio di lasciare tutto com'era,
era rimasto immobile anche quando la realtà andava ben
oltre, sempre
più avanti, e solo ora che sentiva di averla persa per
sempre si
rendeva conto di quanto fosse stato sciocco. La sua presenza,
costante ed eterna, l'aveva da sempre rassicurato così
tanto. Ma
ora... quando avrebbe voluto tornare a casa, dove sarebbe andato?
Quale posto era degno di chiamarsi casa, se a riceverlo non c'erano i
suoi sorrisi? Persino quando l'aveva allontanata, all'alba dei suoi
diciotto anni, aveva avuto bisogno di lei. Era stata una presenza
fissa, eterna, a cui si era sempre appoggiato. Tutto ciò di
cui
aveva davvero avuto bisogno. E ciò che faceva più
male... era che
non glielo aveva mai detto. Che non le aveva mai risposto, che aveva
sempre eliminato dai ricordi un bacio che lei gli aveva
coraggiosamente rubato o il sussurro di una supplica che da sempre
gli rivolgeva quando pensava che lui non potesse sentirla. Lei lo
amava e lui aveva sempre fatto finta che non fosse vero, di non
vederlo, per paura di quello che poi ne sarebbe stato di loro.
Convinto, stupidamente, che se l'avesse negato tutto sarebbe rimasto
immutato per l'eternità e lei avrebbe per sempre condito
ogni suo
ricordo con quel suo candore primaverile. Come se non fosse mai
potuta sparire, come se avessero potuto entrambi vivere per sempre
nella semplicità di quella felicità genuina e
quotidiana.
Ma
ora... non restavano che degli abiti vuoti e un'aria tanto dolce e
tiepida a tormentarlo, perché sapeva che quelle erano le sue
carezze, i suoi abbracci, i suoi sussurri d'amore, ma lui non poteva
più sentirli. Ormai lui non avrebbe più potuto
sentirla sussurrare
nella notte, speranzosa di non essere sentita, di tenerla sempre con
sé.
«C'è
davvero un vincitore?» mormorò Ares, guardando
Laxus a terra che
tremava e piangeva nascosto negli abiti abbandonati di Priscilla. Il
vento gli scompigliò i capelli, facendo svolazzare il lembo
dei suoi
pantaloni, e lui alzò il naso verso il cielo, socchiudendo
gli
occhi. Ne assaporò il tocco e un amaro sorriso infine gli
adornò il
volto.
«Adesso
riesco a capirlo» mormorò, prima di aggiungere in
uno sforzo
improvviso: «Priscilla...». Il dolore gli
accecò la vista, poté
sentirlo all'altezza del petto che parve stritolargli il cuore. La
vista si oscurò, la mente si annebbiò, i muscoli
persero
improvvisamente tutta la loro forza. Cadde in ginocchio e respirando
affannosamente si portò una mano al petto. Vide con la coda
dell'occhio metà dei suoi compagni già stesi a
terra, immobili,
mentre altri stavano subendo la sua stessa sorte. Padre Zeus era
morto, i suoi organi collassati per mano di Priscilla che sfruttando
l'aria era penetrata dentro lui e l'aveva distrutto dall'interno. La
magia difensiva di Athena era stata inutile, ogni magia era inutile,
persino il suo risucchio non l'avrebbe salvato ma anzi aveva
accellerato il processo risucchiando dentro sé sempre
più molecole
magiche di una Priscilla ormai dissolta e dispersa per l'intero
mondo. E con la morte della loro unica fonte di vita, anche loro, uno
dopo l'altro, esaurivano la scorta di vita che gli restava e cadevano
a terra. Olympos stava morendo, la gilda degli immortali era stata
uccisa e con quell'ultimo atto, solo in quei brevi attimi, avevano
finalmente vissuto e l'avevano fatto liberi. Solo pochi istanti,
brevi minuti, eppure anche se per così poco loro erano stati
liberi
e avevano compreso cosa significasse vivere in un mondo come quello.
Avevano compreso la vita... attraverso il sentimento della paura.
«Ares»
fu l'ultimo respiro di Eris, stesa a terra vicino alla sua spada, con
la mano allungata verso il fratello maggiore. Una preghiera, una
supplica, che lui colse appieno. Lo stava pregando di salvarla, i
suoi occhi spalancati, anche se ora vuoti, erano umidi di lacrime.
Sua sorella, nell'ultimo istante, aveva rivolto a lui la sua unica
speranza perché sapeva, sentiva, che lui poteva salvarli.
Ingenuamente, lo credeva. Ares si era sempre occupato di tutti loro,
fin dalla loro nascita, Eris era certa che poteva farlo ancora. Ma
quella certezza, lui lo sapeva, era mal riposta. Non poteva
salvarla, non poteva salvare nessuno di loro. Tutti i suoi fratelli,
che tanto aveva desiderato avere a fianco, di cui si era occupato con
tutto l'impegno che aveva avuto fin dal primo giorno della loro vita,
tutti i fratelli che quando avevano bisogno sapevano che potevano
chiamare il suo nome... tutti loro, ora, giacevano a terra senza
vita. E la colpa era solo sua.
Ares
cadde a terra, primo della sua generazione, ultimo nella sua
cessazione, seguito dalla prima lacrima che fosse mai stato in grado
di versare.
Così
moriva la gilda degli immortali.
Così
iniziava a vivere Olympos.
Dioniso
fu il primo a tirare un grosso respiro, come se fosse appena riemerso
da una terribile apnea. Hermes tossì e poco dopo anche lui
riprese a
respirare, Ilizia dopo di lui e poi Ebe, Eunomia, Eirene, Afrodite, i
gemelli ed Eris. Uno a uno, chi prima e chi dopo, tornava a respirare
e a riaprire gli occhi. Confusi, increduli, neanche avevano la forza
di chiedere cosa stesse accadendo e se magari Athena o Ares fossero
stati in grado di fare qualcosa. Si guardavano attorno, constatando
che anche gli altri fratelli uno a uno si tiravano nuovamente su, in
ginocchio, seduti, tornando a respirare e vivere.
Wendy,
pochi passi da Dioniso, infine crollò a terra e venne
sostenuta da
Cana vicino a lei. Sudata fradicia, ormai priva di forze, si
lasciò
andare a un meritato riposo ansimando un soddisfatto: «Ci
sono
riuscita... appena in tempo».
«Wendy...
stai bene?» si avvicinò Happy, preoccupato,
mettendole una zampa
amichevole su un ginocchio. Lei annuì, nonostante non avesse
nemmeno
le forze di tenersi in piedi. «Da quando Priscilla-nee mi ha
detto
che la mia magia forse avrebbe potuto liberarla e darle la vita,
insieme a Polushka-san abbiamo studiato molto su questo aspetto. Non
ero sicura di poterlo fare, ma visto che in alternativa sarebbero
morti... ci ho voluto provare» spiegò.
«È stato molto più
difficile del previsto» ammise, per giustificare la sua
stanchezza.
I
membri di Olympos, sentita la spiegazione di Wendy, cominciarono a
lanciarsi silenziosi sguardi di vario tipo. Chi sorpreso, chi ancora
confuso, chi cominciava invece a manifestare la prima vergogna. Il
nemico, coloro che avevano insultato e cercato di uccidere fino a un
attimo prima, proprio quello stesso nemico aveva loro salvato la
vita.
«Però...»
mormorò poi Wendy, spostando gli occhi poco più
avanti. Nonostante
tutto quello che era successo, nonostante Zeus fosse stato sconfitto
e Olympos liberata, nonostante fossero quasi morti... nonostante
tutto quello che stava ancora accadendo, Laxus non si era mosso
nemmeno per alzare gli occhi e guardarsi attorno. Ancora accasciato a
terra, i muscoli tesi, i lamenti che ancora gli uscivano dalla gola,
versava lacrime su quegli abiti che ancora stringeva tra le dita
tanto che avrebbe potuto strapparli. «Non sono riuscita a
riportarla
indietro» mormorò Wendy, abbassando lo sguardo per
nascondere un
singhiozzo. «Ho usato tutto il mio potere per salvare i
membri di
Olympos, non ho forza di cercarla. A quest'ora sarà
sparpagliata per
tutto il continente» singhiozzò ancora, portandosi
poi le mani al
volto e lamentando un supplichevole:
«Priscilla-nee».
E
per quanto anche i più duri cercassero di restare calmi,
persino
membri del calibro di Elfman o Gray non riuscirono a trattenere una
lacrima. Levy si strinse contro il petto di Gajeel, soffocando su di
lui i propri lamenti, Lucy stesa a terra non trovò la forza
di
alzarsi e Lluvia, stringendosi in se stessa, si asciugava inutilmente
una guancia.
«È
colpa nostra» la voce rotta di Dioniso diede un suono a
ciò che
macerava dentro i petti di tutti i suoi compagni. Abbassavano lo
sguardo, lacerati dai sensi di colpa, ma solo lui aveva avuto il
coraggio di esprimere a parole ciò che realmente sentivano.
Hermes,
che era un'anima pura e spontanea come lui, lo seguì poco
dopo
mettendosi a piangere e tirando su col naso.
«Mi
dispiace tanto essermela preso con voi» singhiozzò
il rosso.
«Non
pensavamo fosse sbagliato» singhiozzò Dioniso,
vicino a lui.
«Non
volevamo che Onee-san morisse o soffrisse» insisté
Hermes.
«Volevamo solo che restasse con noi».
«Non
sapevamo cosa volevamo» mormorò Eris, tirandosi su
con le braccia a
mettendosi a sedere. «Facevamo solo quello che ci veniva
detto».
«Ci
siamo legati molto a Priscilla perché lei, a differenza
nostra, era
riuscita a liberarsi e sembrava sapere perfettamente cosa
significasse stare al mondo. Abbiamo insistito per averla con
noi»
disse Ilizia, vicino all'amica. «Athena ha fatto in modo di
convincere Padre Zeus che lei fosse necessaria».
«Desideravate
che vi insegnaste, che vi aiutaste... ed è quello che ha
fatto» la
voce di Makarov, seppur rotta dalla stanchezza, arrivò non
troppo
lontana da loro.
«Master!»
chiamò Lisanna, sorpresa e felice di vederlo sveglio. Al suo
fianco
sedeva Apollo, con in mano una fiala vuota e uno sguardo colpevole,
mentre Afrodite dietro di lui gli accarezzava la testa sussurrandogli
quanto fosse stato bravo a conservare l'antidoto.
«Athena
ha detto di portarlo» confessò Apollo e pian piano
la matassa
sembrava sbrigliarsi. Erano perfetti soldatini, macchine progettate
per uccidere, obbedienti avrebbero seguito il loro master fino
all'inferno, ma dentro loro già da tempo aveva cominciato a
macerare
il bruciante desiderio di avere qualcosa di più di un
semplice
percorso precostruito da seguire. Il bruciante desiderio di camminare
con i propri piedi, verso luoghi diversi da quelli che gli erano
stati ordinati. Il desiderio di libertà, di vita e amore,
che Athena
aveva silenziosamente accudito di nascosto. Costretta a seguire suo
padre, aveva nell'ombra cercato di portare i propri fratelli sempre
più vicini alla realizzazione di quel sogno di cui forse
erano
persino inconsapevoli. Uccidere delle persone non era mai stato la
loro reale indole, per questo Athena aveva spinto Apollo a portare
con sé l'antidoto che avrebbe potuto salvare il loro
master.
Makarov
sospirò, cercando di nascondere in quel gesto di
rassegnazione e
fatica il dolore di scoprire che la sua amata nipote gli aveva
disobbedito, usando una mossa che l'avrebbe condannata per
sempre.
«Priscilla
porge sempre la mano destra verso chi chiede aiuto. È
qualcosa
contro cui non posso combattere» mormorò.
«Ha provato a stimolare
i vostri sentimenti, perché è da essi che nasce
la magia, ma
eravate troppo accecati da vostro padre per ascoltarla.
Perciò si è
aggrappata al sentimento primordiale, quello che ha provato anche lei
prima di tutti gli altri... la paura. Ha cercato di insegnarvi il
significato della vita, ha stimolato il vostro cuore e con l'aiuto
della magia di Wendy è riuscita infine a liberarvi, salvando
al
contempo anche la sua amata gilda. Di fronte all'aspettativa di poter
salvare tutti quanti, il sacrificio del suo corpo era ciò
che le
interessava meno. È questo il prezzo... che ora dobbiamo
pagare»
terminò Makarov, lanciando uno sguardo straziato al nipote
che
ancora inginocchiato a terra, con la testa poggiata al suolo,
sembrava non si sarebbe mai ripreso.
«Ares!»
la voce imperativa di Athena si alzò insieme a lei, mentre
tornava
ad assumere una posa piena di orgoglio e superiorità. L'uomo
a
terra, che seduto guardava silenzioso ciò che gli stava
accadendo
intorno, si voltò curioso verso la sorella ma non
proferì parola.
«Terminiamo ciò che abbiamo iniziato»
ordinò, lasciando persino
Ares stesso sorpreso. Dopo tutto quello che era successo, dopo tutto
ciò che avevano passato, proprio lei non si arrendeva?
«Uccidili»
continuò Athena. «Uccidi Fairy Tail».
«Aspetta...»
mormorò Ilizia, sconvolta.
«Athena,
solo...» fece un passo avanti Afrodite, ma uno spettro le
nacque da
sotto i piedi e la bloccò. Persefone prese timidamente forma
da esso
e alzando le mani sussurrò con la sua solita sottile e
timida voce:
«Aspettate, per favore. Solo un attimo... per
favore» si strinse
nelle spalle, vergognandosi probabilmente di quell'atto di coraggio
che era stato parlare a voce alta e mettersi contro i suoi stessi
fratelli. Ma proprio quello fece capire che c'era qualcosa sotto... e
li convinse a stare semplicemente a guardare.
Ares
si alzò in piedi e si sgranchì il collo, si
schioccò le dita, e si
avvicinò infine a Laxus. Si fermò a un passo da
lui e alzando il
mento sogghignò.
«Patetico»
disse e sentire anche solo la sua voce ebbe un primo effetto. Piccole
scosse elettriche cominciarono a schioccare intorno ai muscoli di
Laxus. «Si è sacrificata per cercare di ucciderci
e guarda... siamo
ancora tutti qua. Inutile e patetico. Cosa sperava di ottenere?
Sperava che bastasse questo a spingerci a cambiare idea? Spaventarci,
credeva sarebbe bastato per cominciare a provare ridicoli sentimenti
e magari convincerci a lasciarvi in pace... debole e patetica. Vi
ucciderò, e lo farò mentre lei non
potrà fare niente per fermarci,
sotto al suo sguardo» sghignazzò e
guardò dall'alto al basso Laxus
che reagiva alla sua provocazione esattamente come aveva sperato.
Alzò finalmente gli occhi da terra, accecati da una rabbia
folle,
tanto che i denti serrati avrebbero potuto rompersi da quanto erano
stretti dalla mascella. Avrebbe persino cominciato a sbavare come un
cane rabbioso da un momento all'altro, probabilmente l'avrebbe fatto
davvero. E l'elettricità intorno al suo corpo aumentava di
scariche
e intensità.
«Guarda
un po'» sogghignò Ares, sempre più
provocatorio, e sorrise
malignamente. «Tante belle parole, biondino, eppure non sei
ancora
riuscito a proteggerla come promesso. Tu sei anche più
patetico di
lei».
Con
un urlo furioso Laxus si sollevò da terra e tirò
ad Ares un
cazzotto avvolto dal proprio potere dei fulmini. Ares riuscì
a
pararlo, anche se dovette indietreggiare di un paio di passi e questo
gli costò una bella bruciatura sul braccio sinistro.
Parò un altro
colpo e contrattaccò, riprendendo così con lui la
lotta esattamente
da dove avevano lasciato... con un’unica differenza: Ares non
aveva
gli occhi rossi, ma scuri. Il suo intento non era uccidere,
né tanto
meno combattere.
«Sei
la sua condanna, non è ciò che ti ho
già detto? E non sei nemmeno
riuscito a sentire da subito che la Priscilla che ti ha
riaccompagnato a casa non era lei» insisté Ares e
più parlava, più
l'elettricità intorno a Laxus aumentava, segno della sua
rabbia che
cresceva, del suo potere che veniva sprigionato nonostante fosse al
limite già da tempo. «Pretendi di amarla, ma ti
fai fregare così
sotto al naso. Tante belle parole, solo tante belle parole e poi non
sei che una delusione, una palla al piede! E ora vi
uccideremo...»
continuò, tirandogli una testata. «Così
tutti i suoi sforzi
saranno stati vani» ridacchiò e in un ultimo
accecante atto di
follia Laxus urlò di rabbia, si caricò con la
restante elettricità
che aveva in corpo e tirò ad Ares un potente pugno in pieno
viso.
Lui non provò nemmeno a difendersi. Venne lanciato via di
qualche
metro e restò seduto a terra, massaggiandosi il volto
colpito, e
guardando ciò che stava accadendo. Non aveva idea del
perché Athena
gli avesse chiesto di continuare, aveva intuito che doveva aver a che
fare con Laxus visto che aveva indicato lui, ma si fidava di sua
sorella e anche se non sapeva cosa nascondeva l'aveva assecondata. Fu
una sorpresa anche per lui quando vide una sagoma azzurra prendere
sempre più forma proprio davanti a Laxus, in ginocchio di
nuovo per
la fatica, ma ancora avvolto dall'elettricità per la rabbia
accecante di cui non riusciva a liberarsi. Un pulviscolo azzurro si
radunava sempre più, si accumulava di fronte a lui, fino a
prendere
una sembianza vagamente umana . E più i fulmini di Laxus
schioccavano più rapidamente il pulviscolo riusciva a
radunarsi e
condensarsi. Quando Laxus si accorse della figura che aveva di
fronte, Priscilla era ormai quasi del tutto riformata. Aggrappata al
suo collo, stretta come se avesse paura di sparire di nuovo, ansimava
per la fatica ed era madida di sudore. Terminò finalmente di
ricomporsi e si abbandonò sulla sua spalla, senza avere
persino le
forze di tenersi sulle ginocchia. Laxus dovette afferrarla a
stringersela contro per evitare che cadesse a terra. La nebbia di
Dike li avvolse immediatamente e quando lei vi emerse si
affrettò a
poggiare sulle spalle nude della ragazza la giacca di Laxus, raccolta
da terra non troppo lontano. Si allontanò poi lentamente, a
testa
bassa, lasciando ai due il loro spazio e sottolineando così
la sua
intenzione di non interferire se non per coprirla.
«Grazie...
Athena...» ansimò Priscilla con un filo di voce,
troppo stanca
persino per restare sveglia. Quella era stata la magia più
sfiancante e straziante che avesse mai provato prima di allora,
sentire il proprio corpo andare in frantumi aveva toccato un livello
nella scala del dolore che mai prima di allora aveva anche solo
sfiorato. Ma più di tutti era stato quasi impossibile
riuscire a
ricomporsi. Il vento, ribelle e irrequieto, l'aveva in poco tempo
sparpagliata ovunque. Una parte di lei era rimasta lì, ad
occuparsi
di Zeus, ma il resto di sé era subito stato pronto ad
allontanarsi e
raggiungere luoghi infinitamente più lontani. Si era arresa
al
destino nell'istante in cui aveva deciso di usare quella magia,
quando l'aveva attuata l'aveva fatto con la consapevolezza che quello
sarebbe stato il loro ultimo addio, ma poi qualcosa di incredibile
era successo e a quell'effimera speranza si era aggrappata
disperatamente.
«Persefone
mi ha detto che ha visto la tua anima lottare con tutte le tue forze
per restare aggrappata a lui» disse Athena, abbandonando la
sua posa
colma di superiorità e avvicinandosi al resto dei suoi
compagni.
Artemide le corse in contro e lei si inginocchiò per
prenderla in
braccio a stringerla, rassicurarla. «Era
l'elettricità dunque, come
avevo intuito. L'elettricità della sua magia ha creato un
campo
elettromagnetico che si è rivelato particolarmente
attrattivo nei
confronti delle tue molecole. Hai usato ciò che restava
della tua
magia per aumentare questa forza attrattiva e restare almeno nei
paraggi, ma bisognava che questa aumentasse per permettere a tutte le
parti di te di radunarsi nuovamente e permetterti di ricomporti
definitivamente. Probabilmente la forza attrattiva è dovuta
al fatto
che tu sei stata creata su misura per quella magia. Ares non
è
delicato, ma sapevo che avrebbe saputo toccare i tasti giusti per
stimolare quell'uomo a dare fondo a tutto ciò che aveva e
permetterti di riuscire nel tuo disperato intento».
«E
io che speravo che tu volessi che lo uccidessi davvero»
ridacchiò
maligno Ares, benché fosse ormai palese che stesse solo
scherzando
per stuzzicare Laxus, cosa che ancora non aveva smesso di
divertirlo.
«Spero
così di aver ripagato il nostro debito»
confessò Athena,
stringendo la piccola Artemide al petto. «Non vi chiediamo di
perdonarci, ma spero che almeno così non ci riserverete
rancore»
aggiunse e tolse dai capelli della bambina dei pulviscoli causati dal
combattimento di poco prima. Parole forti, colme di una vergogna che
tutti provavano e di cui lei si era fatta portavoce. Sapevano che
niente avrebbe potuto perdonare quel loro attacco insensato, avevano
messo a repentaglio troppe vite, non gli interessava nemmeno la
redenzione. Ma era giusto che loro potessero andare avanti con le
loro vite senza ripercussioni, dimenticandoli se necessario.
Mirajane, finalmente sveglia, si avvicinò a lei a passi
lenti e
delicati. Le si inginocchiò di fronte e diede una tenera
carezza
alla testa di Artemide, sorridendo amorevole ad Athena.
«È
sempre difficile occuparsi di tutti, vero? Però è
divertente
poterli avere attorno, anche se ogni tanto esagerano» disse
con una
leggerezza che la colpì profondamente. Non c'era traccia di
odio né
tantomeno di rancore in quegli occhi.
«Accidenti,
piccoletto, sei veramente un fulmine!» esclamò
Jet, avvicinandosi a
Hermes e guardandolo con le braccia conserte e un allegro sorriso in
volto.
«Hai
tenuto a bada da solo due Dragon Slayer e sei così giovane.
Mi fai
quasi invidia, lo sai?» disse Droy, inginocchiandosi di
fronte a
Dioniso.
«Ci
riusciva solo perché ci faceva venire il mal di
mare!» ruggì
Gajeel, offeso del fatto che lui e Wendy fossero stati messi alle
strette da un moccioso come quello. Dioniso tirò su col naso
e
guardò con uno strano fascino il pacchetto di patatine da
cui Droy
si stava abbuffando -e chissà dove da dove aveva preso.
«Cosa
sono?» chiese timido, ma affascinato. Era stato l'unico che
dopo la
cena che avevano fatto insieme a Priscilla e i membri di Fairy Tail
era rimasto veramente affascinato dal sapore del cibo. Almeno la
metà
di loro aveva finto, solo per sembrare simpatici verso Priscilla, ma
lui aveva scoperto un vero e proprio paradiso terrestre. Il cibo era
vita!
«Patatine!
Vuoi assaggiare?» chiese Droy porgendogli il pacchetto e
Dioniso
annuendo timidamente allungò una mano, prese una manciata di
patatine e iniziò ad abbuffarsi selvaggiamente.
«Ehy,
piano! Così le finisci!» sussultò Droy,
contrariato dal fatto che
un atto di gentilezza si fosse tramutato in un vero e proprio furto.
«E
così hai bisogno di trasformarti in altre donne per sedurre
un
uomo?» chiese Evergreen provocatoria verso Afrodite, che in
tutta
risposta si trasformò in lei... ma senza vestiti.
«Posso fare anche
tante altre cose» disse Afrodite, per niente timida della sua
nudità
-anche perché era quella di Evergreen. Elfman
lanciò un urlo nel
vederla per poi diventare tutto rosso e assumere un'espressione per
niente innocente. Evergreen, quella vera, reagì cominciando
a
colpire l'uomo con tutta la furia e la vergogna che aveva addosso.
Bickslow scoppiò a ridere di fronte a quella scena, senza
risparmiarsi nel tornare a sottolineare come tra i due ci fosse del
tenero sicuramente, e anche lui si beccò qualche insulto
dall'amica.
Nascosta dietro Fried, che ora raggiungeva il compagno,
sbucò la
timida faccia di Persefone che lanciò lunghi e intensi
sguardi a
Bickslow, perfettamente visibile nonostante avesse cercato di
nascondersi dietro l'amico. Non appena Bickslow la vide
provò ancora
a salutarla, visto che la prima volta era andata male, ma lei ancora
reagì lanciando piccoli urletti di imbarazzo e si
rannicchiò
maggiormente dietro Fried decisa a restare lì tutto il
giorno. Erza
si sedette vicino a Eris, che si voltò dall'altro lato
apparentemente astiosa e per niente intenzionata a socializzare, ma
poi lei le mostrò una delle sue spade e il fascino della
lama attirò
l'attenzione dell'immortale tanto da farle dimenticare tutti i
rancori. Efesto e Natsu iniziarono a scherzare tra loro senza neanche
il bisogno di sforzarsi, cominciando una sfida a chi dei due fosse
stato in grado di raggiungere temperature più elevate.
Chiesero a
Lucy di fare da giudice ma la ragazza si rifiutò
categoricamente.
Cana si avvicinò a Nemesi, Lisanna al piccolo Apollo e al
Master che
ancora aveva bisogno di riposare e riprendersi dagli effetti del
veleno, Lluvia a Dike, Ebe e Ilizia e infine anche Eirene... tutti,
senza bisogno di chiederlo apertamente, vennero coinvolti in qualche
discorso o gioco come fosse una normale rimpatriata tra amici, come
se non ci fosse stato tra loro nessuno scontro mortale fino a poco
prima.
E
Priscilla, finalmente salva e a casa, poté piano piano
riprendere le
forze tra le braccia dell'uomo che inconsapevolmente le aveva salvato
la vita. Lo sentì, che ancora tremava, scosso da quanto era
successo
poco prima. Nascondeva il volto sul suo collo, la stringeva tanto da
farle male, si copriva con i suoi capelli come se si vergognasse, e
in quell'antro tanto familiare poté sfogare del tutto la
propria
frustrazione e la propria felicità, mentre non poco lontano
da loro
il resto della sua famiglia riempiva quel luogo, che fino a poco
prima era stato avvolto dalla morte, di gioia e vita.
«Laxus...»
mormorò Priscilla con quel poco di voce che aveva. Quella
voce...
sentire quella voce pronunciare il suo nome, aveva temuto che non
sarebbe più accaduto. La strinse ancora di più,
lasciando che un
lamento gli uscisse dalla gola, e questo la intenerì
immensamente.
Era la prima volta in tutta la sua vita che lo vedeva così
debole,
così fragile. E per quanto desiderasse proteggerlo, evitare
che
potesse sprofondare nella vergogna per aver fatto scappare un lato di
sé come quello, sentirlo così aggrappato a lei,
sentirlo così
disperato per lei, le portava al petto un'intesa gioia
egoista.
"Se
io morissi... almeno in quell'occasione, verseresti una lacrima?"
«Laxus,
stai piangendo... per me?» chiese amorevole e
riuscì ad alzare una
mano per potergli accarezzare la nuca. Sapeva che il suo orgoglio
l'avrebbe portato a rispondere in un certo modo, perciò si
preparò
a sentirlo sbraitare o brontolare, accennando un sorriso divertito di
fronte a quell'evenienza. Ma si sorprese molto quando invece Laxus
reagì stringendola ancora di più e con voce
lamentosa le disse,
imperativo: «Non azzardarti mai più a morire senza
di me».
"Perché
sai, io penso che se tu morissi... sì, io credo che vorrei
morire
insieme a te".
Il
cuore prese a batterle nel petto tanto forte che faticò a
tenere
sotto controllo il respiro. Era sciocco e forse era colpa dei suoi
sentimenti, ma quelle semplici parole ebbero lo stesso effetto che
avrebbe potuto avere una vera dichiarazione d'amore. Li legava, li
legava indissolubilmente, li rendeva una cosa sola, li costringeva a
stringere le dita le une nelle altre e non lasciarsi mai più
andare.
Il suo desiderio più grande, il suo sogno di averlo per
sempre
accanto a sé, era esattamente lì. Tra le sue
dita... ed era lui
stesso che glielo stava offrendo.
«Ok...»
mormorò lei, con le guance arrossate per l'emozione.
«Va bene»
balbettò non sapendo come altro rispondere, e
semplicemente si
beò della dolce sensazione di poterlo stringere a
sé in tutta
quella bontà e in tutto quell'amore che aveva solo per
lei.
«Onee-san!»
l'urlo simultaneo sia di Apollo che Artemide fu la freccia che ruppe
definitivamente quella bolla in cui si erano rifugiati. Si voltarono
entrambi a guardare i due bambini che gli correvano incontro,
rincorsi da Lucy e Evergreen che imploravano loro di fermarsi e
lasciarli stare. Inutilmente.
Apollo
e Artemide saltarono tra le braccia di Priscilla e l'abbracciarono,
scoppiando in lacrime e chiedendole scusa per non essere stati bravi.
La loro interruzione permise a Laxus di staccare la testa da
quell'oblio in cui sembrava caduto, tornare alla normalità e
anche
ripulirsi il viso dalle lacrime che aveva smesso solo allora di
versare. Tornare normale... in un certo senso gli fu grato. Gli
permise di ricomporsi.
Priscilla
strinse entrambi i bambini, accarezzò loro le teste e li
rassicurò,
amorevolmente. Nessuno di loro, nessuno di Fairy Tail, portava
rancore nei loro confronti. Sapevano benissimo cosa significava avere
un padre manipolatore e viscido.
Li
consolò per un po', per poi spostare infine lo sguardo
sull'unico,
di tutta la gilda Olympos, che ancora non avesse accennato nemmeno a
un sorriso o a una parola amichevole. Ares se ne stava da solo,
ancora seduto a terra dopo l'ultimo colpo subito da Laxus, a pochi
metri da loro. Con lo sguardo torvo, silenzioso, non faceva che
guardare la sua famiglia che stringeva amicizia con coloro che
avevano tentato di uccidere fino a quel momento. Non c'era bisogno
certo di conoscerlo bene per capire e leggere sul suo volto che tra
tutti lui fosse quello più turbato. In fondo era stato il
capostipite di quella generazione, era stato lui l'inizio di ogni
cosa, era stato lui a crescerli, a guidarli e infine era stato lui a
vederli morire fino all'ultimo. Quella lacrima che aveva versato un
istante prima del suo ultimo respiro non poteva dimenticarla.
Priscilla si alzò da terra, coprendosi con il cappotto di
Laxus, e
si avvicinò a lui. Benché potesse comunque
vederla e sapesse
perfettamente di averla a fianco non le rivolse minimamente la sua
attenzione.
«Quel
pugno...» disse Priscilla, anche se ancora non ebbe da parte
sua un
minimo di considerazione. «Quello che hai cercato di darmi
quando ho
fatto la dissolvenza... non me l'hai dato per impedirmi di uccidervi,
vero?» ma lui ancora non rispose. «Volevi impedirmi
di sparire per
sempre, non è così?» insisté
ma ancora nessuna risposta. Lei
sorrise, capendo che quel silenzio, quel mutismo frustrato, era solo
la conferma di quanto lei stesse dicendo.
Non
era molto diverso da Laxus, in fondo.
«Le
cose che mi hai detto erano vere, nonostante tutto»
continuò,
volgendo lo sguardo alle proprie rispettive gilde che in quel momento
ridevano e scherzavano. «Lo so bene, anche se vuoi farmi
credere che
erano tutta una finzione. Eri sincero. Ti senti un'ombra, una
distorsione, senti che è tutto sbagliato... ti sei sentito
solo così
tanto che quando Athena ed Efesto sono venuti al mondo hai iniziato a
dubitare del reale significato che avesse la tua vita. Ti importava
solo proteggerli e crescerli... e proprio per questo hai continuato
ad assecondare i desideri di Padre Zeus, purché lui avesse
continuato a darti dei fratelli. Questa guerra non ti è mai
interessata... avevi solo bisogno di avere qualcosa da chiamare casa.
È la stessa cosa che provavano tutti i tuoi fratelli, ma
loro ne
erano inconsapevoli a differenza tua. Perché tu sei il
più forte...
e sapendo che a te si sono sempre appoggiati, sentendo sulle tue
spalle la responsabilità di tutte le loro vite, hai lottato
fino
alla fine contro le tue volontà sperando così di
proteggerli»
disse lei e Ares, che fino a quel momento era stato in silenzio,
assorto, apparentemente arrabbiato, si sciolse in un sorriso.
«Adesso
lo capisci, Ares?» chiese ancora lei, dolcemente.
«La forza del
legame, il calore dell'amore, il desiderio di salvare una
vita...»
«Comincio
a capirlo» confessò Ares, prima di abbozzare un
sorriso divertito.
«Sei una pazza spericolata. Ti sei spinta a tanto solo per
darci una
lezione».
«In
realtà ho pensato veramente che sarebbe stata la fine per
me! E non
avevo idea che vi sareste salvati, ho solo pregato che Wendy ci
riuscisse e tutto andasse per il meglio. Che fortuna, eh?»
ridacchiò
e Ares sbarrò gli occhi, sussultando con un: «Stai
scherzando,
vero?!».
Sospirò,
ignorando quanto appena successo, e tornò a guardare i
membri delle
due gilde che familiarizzavano amichevolmente tra loro. Assunse
un'aria meno orgogliosa, più debole e preoccupata, svelando
così il
suo reale animo.
«Che
ne sarà ora di noi?» chiese. «Non
abbiamo più né una guida né
un posto dove andare, non sappiamo più nemmeno chi e cosa
siamo».
«Ma
che stai dicendo?» ridacchiò Priscilla, voltandosi
e guardando Ares
con un enorme sorriso. «Non è cambiato
assolutamente niente. Avete
una casa non troppo lontana da qui, lo scopo di diventare una gilda
ufficiale, avete un nome e un'identità, potete usare il
vostro
incredibile potenziale per fare del bene e potete cominciare ad
esplorare il mondo... le vostre vite sono appena iniziate, ci sono
così tante cose da fare e scoprire. Ma
soprattutto...» e si voltò,
per poi porgergli una mano e aiutarlo ad alzarsi da terra. Un
simbolico gesto di amicizia, di fraternità, ma soprattutto
di
sostegno. Tutti i suoi fratelli si erano rialzati, ora doveva farlo
anche lui. Soprattutto lui. «Loro hanno ancora una
guida» gli
sorrise, facendogli capire che fosse lui il soggetto della sua frase.
Era stato il primo a nascere, era quello con maggiore esperienza, era
stato lui a desiderarli e soprattutto era stato lui a crescerli. Eris
ed Ebe erano diventate forti grazie ai suoi allenamenti, Dioniso ed
Hermes avevano la testa sulle spalle grazie ai suoi rimproveri,
Athena si rivolgeva sempre a lui per primo quando aveva bisogno di un
confronto e qualcuno di affidabile a cui dare qualche incarico, era
lui che tirava fuori dai guai Efesto, era lui che si occupava della
crescita dei gemelli, era lui che aiutava, che indicava, che
spiegava, che teneva tutti sotto controllo... era lui che
guidava.
«Non
sono tanto diverso da loro» sorrise Ares, divertito, ma
nonostante
l'apparente rifiuto non disdegnò la sua mano.
L'afferrò e si
rialzò, aiutato. «Sarebbe meglio se a guidarci
fosse qualcuno che
ha già percorso questi passi» le disse, senza
lasciar andare la sua
mano.
«Ancora
ci provi» inarcò un sopracciglio lei, divertita.
«Non
ho proprio speranze di convincerti a venire con noi, vero?»
ridacchiò lui, arrendevole.
«Ares»
sospirò lei, intenerita da quella sua titubanza che
dimostrava solo
la sua fragilità. Aveva paura di quello che sarebbe
successo, una
simile responsabilità lo terrorizzava, ma era pronto a
prendersela
per amore della sua famiglia. «Hanno chiamato te»
sottolineò
Priscilla e fu proprio quell'affermazione a dissolvere ogni suo
dubbio. Un istante prima di morire, di fronte alla novità di
quel
terrore, con il loro ultimo respiro loro avevano chiamato il nome di
Ares. Non di Priscilla e nemmeno Padre Zeus... loro avevano bisogno
solo di Ares.
«Ho
capito» sospirò e sorrise. Era pronto, pronto ad
affrontare quella
nuova vita e soprattutto pronto a farlo insieme alla sua famiglia, le
persone che più amava al mondo... perché adesso
sapeva bene cosa
significasse amare.
«Forse
è meglio così» aggiunse poi, alzando le
spalle e abbozzando un
sorriso malandrino. «Se fossi venuta con noi mi sarebbe
toccato
avere intorno quel fulminato biondastro e certo non ho voglia di
vedere ancora il suo brutto muso» provocò ed ebbe
effetto, visto
che Laxus reagì ingrugnendosi e lanciandogli occhiatacce
furiose.
L'antipatia sicuramente era ricambiata. Potevano essere entrati in
pace, ogni ostilità era cessata, ma non cambiava la
situazione tra
loro... quel tizio gli dava sui nervi. E la cosa era sicuramente
reciproca.
«Ciò
non toglie che ci mancherai, piccoletta» aggiunse poi
suadente,
guardando Priscilla. Fece un passo verso di lei, usò la mano
che
ancora stringeva per tirarla più vicino a sé e
sfruttando la sua
forza a suo vantaggio e l'effetto sorpresa la prese per la nuca e se
la portò al volto. Le proprie labbra intrappolarono le sue
con una
tale rapidità che lei riuscì a comprendere che
quello si trattava
di un bacio solo qualche secondo dopo, quando addirittura lui stava
già allontanandosi soddisfatto del furto. Aprì
gli occhi
guardandola divertito, ma pochi istanti dopo volse lo sguardo a colui
che veramente gli interessava stuzzicare. Sogghignando
lanciò a
Laxus, alle spalle di Priscilla, l'occhiata più maligna che
avesse
sfoderato fino a quel momento facendo ben intuire che quel gesto
aveva forse più l'intenzione di provocarlo e punzecchiarlo
ancora
piuttosto che dimostrare i propri sentimenti verso Priscilla. Una
risatina diabolica gli uscì dalla gola quando lo vide livido
in
volto, a pugni stretti, la mascella serrata, tanto furioso che
tremava dalla voglia di scattare in avanti e ammazzarlo di
botte.
Priscilla
restò ancora paralizzata qualche secondo, persa in
chissà quale
mondo incantato, con le guance leggermente arrossate... e poi
urlò.
Si voltò di spalle e si portò le dita alle labbra
profanate,
piagnucolò e tremolò come una foglia, agitata e
sconvolta come
poche volte lo era stata.
«Come
hai potuto?!» pianse, piena di vergogna. «Quello
era il mio primo
bacio... me l'hai rubato così» sibilò,
sotto shock, e la fronte di
Laxus si corrucciò ancora di più mentre alla sua
mente
esplodeva come una bomba l'immagine della loro prima nottata a Crocus
dove lei ubriaca l'aveva baciato un attimo prima di
addormentarsi.
«Non
è esattamente così»
sussurrò, imbarazzato e ora altrettanto
agitato di fronte a quella confessione: se Ares era arrivato dopo di
lui e lei sosteneva di non aver mai baciato nessun altro prima,
allora il famigerato primo bacio l'aveva dato proprio a lui... e ne
diventava consapevole solo in quel momento. Era come un masso che gli
cadeva sulle spalle.
«Il
primo, eh?» si leccò le labbra Ares, e sempre
più divertito e
provocante si accostò a lei, per sussurrarle. «Se
vuoi posso
regalarti altri primi momenti altrettanto emozionanti, sai?»
Priscilla
rabbrividì e la faccia le prese letteralmente fuoco di
fronte a
quella che era una vera e propria proposta sessuale senza troppi
veli. Si coprì il volto completamente rosso con le dita
tremanti e
lanciò un altro urlo pieno di imbarazzo e vergogna, quando
Laxus
intervenne mandando al diavolo ogni cenno di orgoglio. Strinse
Priscilla al petto, protettivo, e sporgendosi da un lato
piantò
violentemente la propria fronte contro quella di Ares.
«Che
intenzioni avresti, sentiamo un po', stupida montagna?»
ruggì
furioso, spingendo Ares con la fronte per dimostrare la propria
forza.
«Hai
i criceti nel cervello, fulminato? C'è bisogno che sia
più
esplicito di così perché altrimenti non ci
arrivi?» ringhiò Ares
con altrettanta furia, respingendo Laxus dal suo lato.
«Non
azzardarti più nemmeno a guardarla»
ricambiò ancora Laxus,
contrastando la sua forza e tornando a spingerlo lontano con la sola
forza della testa.
«Qual
è il tuo problema? Sei suo fratello, mica il suo ragazzo,
no?» una
palese provocazione, visto che ormai era ovvio persino ai loro occhi
cosa ci fosse tra quei due. Laxus continuò a rispondere e
Ares
rispondeva a sua volta, spingendosi a vicenda con solo la fronte,
tanto da farsele diventare rosse per lo sforzo a cui erano
sottoposte. E nel frattempo Priscilla, stretta nell’abbraccio
protettivo di Laxus, continuava a lamentarsi e cercare riparo
all’interno delle sue stesse mani, nascondendo il volto color
peperone.
«Che
succede tra quei due?» chiese Evergreen, notandoli pochi
secondi
dopo.
«Hanno
capito che abbiamo finito di lottare?» si sporse Lucy,
curiosa.
«Santo
cielo» sospirò invece Afrodite.
«Quando
Ares si fissa con qualcuno non c'è verso di
tenerlo» disse Eris,
avvicinandosi alla sorella.
«Ha
odiato il biondino dal primo istante in cui l'ha visto»
annuì
Afrodite. «È come un bimbo, farà sempre
i capricci per potergli
tirare due cazzotti».
«Forse
è il caso di andarcene» disse Athena avvicinandosi
alle due sorelle
e i due gemelli sembrarono essere della sua stessa idea, visto che si
avvicinarono ad Ares per chiamarlo. Lo strattonarono per il pantalone
per attirare le sua attenzione e sbadigliando e stropicciandosi un
occhio chiesero, pigramente: «Ares... possiamo andare a casa,
ora?»
A
casa...
Ares
sorrise e finalmente lasciò in pace Laxus e Priscilla,
ammorbidendosi di fronte alla tenera richiesta del piccolo della
famiglia. Un semplice gesto, una frase innocente, ma che gli
riportava alla mente e al cuore quanto sarebbe successo da
lì in
poi. Le parole di Priscilla... loro avevano ancora una casa, un luogo
dove tornare, una vita da vivere e lo facevano aggrappandosi a lui.
Apollo e Artemide si erano avvicinati a lui, per chiedere il permesso
di poter tornare, per quanto sembrasse banale lo riportava con i
piedi nelle proprie scarpe. Avrebbe preso sulle spalle ciascuno di
loro e li avrebbe guidati, come aveva sempre fatto e forse anche con
più amore di prima. Ares sarebbe stato il secondo Master di
Olympos
e avrebbe accettato quel ruolo con responsabilità e
orgoglio.
Si
piegò e prese in braccio entrambi. Questo permise ai due
bambini di
appoggiarsi alle sue spalle e poter cominciare a riposare. Eris,
Afrodite, Athena e poi anche Efesto, Dike, Dioniso e tutti gli altri
pian piano gli si avvicinarono, lo circondarono e volgevano a lui i
loro sguardi speranzosi. L'avrebbero seguito ovunque e sempre,
qualsiasi cosa avesse deciso di fare.
«Sì»
annuì verso il piccolo Apollo, per poi guardare tutti gli
altri.
«Torniamo a casa».
Inaspettatamente
ci fu gioia nella loro voce, mentre esultavano e cominciavano a
progettare come avrebbero impiegato il resto della giornata. Alcuni
volevano provare a dormire, Dioniso voleva andare a comprare del cibo
in paese, Eris e Ilizia progettavano di andare ad esplorare le
montagne a nord, Athena avrebbe liberato lo studio... per riempirlo
con libri nuovi. Si incamminarono, parlando tra loro, felici, quando
Efesto si avvicinò ad Ares che guardava ancora immobile il
resto
della sua famiglia che lo precedeva.
«Che
facciamo con lui?» chiese con voce bassa, volgendo uno
sguardo al
cadavere di Padre Zeus. Ares lo guardò qualche istante,
pensieroso,
per poi spostare lo sguardo su Priscilla. Era stata lei a ucciderlo,
e probabilmente era anche la prima volta che uccideva qualcuno, ma
nonostante tutto non c'era rimorso nei suoi occhi. Senza Padre Zeus
Olympos avrebbe potuto vivere realmente la sua vita e non riusciva a
pentirsi di una cosa come quella. Lei aveva donato a quelle persone
speranza e futuro.
«Ai
membri di una gilda ufficiale non è permesso uccidere
nessuno,
nemmeno se questo si trattasse di un nemico» disse,
ricordando anche
a lei la regola a cui avrebbe dovuto sottostare. Se il Concilio
avesse scoperto ciò che era successo con ogni
probabilità l'avrebbe
arrestata. Priscilla non tentennò, dimostrando di essere
pronta a
prendersi persino una responsabilità come quella.
«Ma
una gilda oscura non è costretta a sottostare alle stesse
regole»
aggiunse poi Ares, voltandosi verso Efesto che semplicemente
annuì,
comprendendo. Si avvicinò al corpo di Zeus, lo raccolse da
terra e
si incamminò portandoselo via.
«Non
vi permetteranno mai di diventare una gilda ufficiale se vi
prenderete la responsabilità di un omicidio! Ares,
aspetta...»
disse Priscilla, facendo un passo verso di lui. «Sono pronta
a
prendermi la mia responsabilità, non fate
sciocchezze!»
«No,
non è vero che sei pronta» sogghignò
Ares, lanciando uno sguardo a
Laxus e poi al resto di Fairy Tail. «Devi restare qui, con
loro. Per
noi non farà molta differenza, ci odiavano già
prima».
«Ma...»
insisté lei, ma Ares la interruppe: «Vedila come
una forma di
ringraziamento. Il nostro modo di ricambiare il favore. Ti dobbiamo
la vita... Pricchan» quel soprannome.
Proprio
quel pomeriggio, all'ingresso del bosco, Ares aveva rifiutato
categoricamente di chiamarla in quel modo. Era il soprannome che le
aveva dato la sua famiglia, che le avevano dato gli umani, non si
sarebbe mai abbassato a pronunciarlo perché lei non era come
loro. O
almeno questo aveva sostenuto, fino alla fine non aveva fatto che
ripetere ostinato che lei appartenesse a Olympos e non agli umani, ma
ora con quel semplice soprannome ammetteva di voler fare un passo
indietro. Priscilla non era Priscilla e basta, Priscilla apparteneva
agli umani, era come loro... e per questo meritava di restare
lì.
Era questo che quel semplice soprannome stava a significare. Lei non
era Priscilla l'immortale, lei era Pricchan... Pricchan e basta. Maga
di Fairy Tail, sorella di un umano, forse umana lei stessa anche se
con qualche potenziale in più. Non avrebbe mai permesso che
un loro
errore le avrebbe negato tutto quello. E lei, di fronte a quell'atto
di ammissione, di coraggio e soprattutto di gentilezza non
potè che
chinare la testa e accettare le loro condizioni.
«Grazie»
mormorò semplicemente, tornando di fianco a Laxus che,
nonostante
tutto, non aveva ancora smesso di essere così protettivo e
possessivo nei suoi confronti da voler togliere il braccio dalle sue
spalle. Se la strinse vicino e guardò infine anche Ares, con
i
gemelli in braccio, e Efesto che teneva il corpo di Zeus allontanarsi
e seguire il resto della loro famiglia.
«A
presto» sussurrò ancora Priscilla, abbozzando un
sorriso
malinconico nel vederli andar via.
«Tornate
a trovarci!» urlò Lucy per prima, alzando una mano
per salutarli, e
subito la seguirono anche il resto di Fairy Tail urlando saluti,
sbracciandosi, augurando loro il meglio per il futuro. Apollo e
Artemide furono i primi a ricambiare, allungandosi oltre le spalle di
Ares per alzare le mani e salutare gioiosi. Davanti a loro anche il
resto di Olympos si voltarono per salutarli, alzando una mano,
saltando dall'allegria come nel caso di Dioniso e Hermes o
semplicemente gridando con felicità una promessa che
avrebbero
volentieri mantenuto.
«A
presto!»
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