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Due Anime -
Siamo
due anime cadute
Mille
milioni di anni fa
[Due
Anime – Max Pezzali]
Sono
insensibile, me lo ripetono tutti, me lo ripetono tutti i giorni, e
forse un po’ è vero, forse no, forse è
solo la mia difesa contro
il mondo, questo posto oscuro dove ci troviamo a dover vivere e
crescere, questo posto dove tutti pretendono che tu sia te stesso, ma
se lo sei troppo non va bene, è proprio frustrante questa
cosa. Sono
antipatico perché non rido, questo mi viene ripetuto mille
volte al
giorno dalla voce sgraziata del Do'hao, nei suoi strepiti vengono
fuori tutte le mie mancanze verso il mondo, ma quelle del mondo verso
di me? Non rido per niente, non so come muovermi, non voglio farmi
coinvolgere, cosa c’è di sbagliato in questo? Non
riesco a capire
questa voglia di tutti di dover avere un sacco di amici, di dover per
forza piacere a tutti, e poi le pressioni, trovati un lavoro alla
fine dell’università, puoi giocare ai sogni solo
fino alla laurea.
Siamo cresciuti, non siamo più i ragazzini dello Shohoku,
siamo
studenti universitari e stiamo arrivando alla data di scadenza,
quella in cui dovremo essere quello che ci impone la
società.
Vogliono i lavoratori delle società, vogliono che tu diventi
uniformato alla massa, che trovi l’amore, che tu sia
socievole. Il
tempo delle follie, il tempo delle risse è finito, anche il
Do'hao
ha trovato la sua dimensione, il suo posto chiassoso, una
società
che si occupa di design, si è scoperto, quando ha smesso di
fare lo
spaccone anche il talento nel disegno di oggetti di arredamento e
design, così per caso quando eravamo al secondo anno, dopo
che i
senpai ci hanno lasciato nelle mani di Miyagi definitivamente il
capitano ci ha imposto, e si è auto imposto
l’obbligo di andare
bene, nessun corso di recupero all’ultimo minuto, non avremmo
avuto
nessuno che avrebbe potuto aiutarci, come quella sera a casa di
Akagi. Abbiamo cominciato a studiare insieme, dopo gli allenamenti,
durante le pause dalle lezioni, ed eccoci tutti e tre ad eccellere a
scuola e nel basket. I miei genitori continuano a dirmi di smettere
di sognare l’NBA non ci andrò mai, loro non lo
permetteranno, non
mi manterranno, che questa università mi servirà
per avere un buon
lavoro. Manca ancora qualche mese alla laurea, io mi sto
specializzando in lingue straniere, alla fine ho preso la sfida
dell’inglese e l’ho portata ai massimi livelli,
dover imparare
più lingue, perché quando ascolto gli altri
sembra sempre di
ascoltare una lingua sconosciuta, una radio mal sintonizzata, che va
a scatti. Qua in Giappone servono le persone che sappiano le lingue
straniere, siamo notoriamente indietro in questo campo, siamo
isolani, e come isolani ci isoliamo, e forse questo è il mio
tratto
più autentico, mi isolo in questo mondo di luci e colori, io
e
Sakuragi studiamo insieme in un’università di
Tokyo ed è tutto a
sua misura, ma non a mia misura, colorato, rumoroso e veloce. Io ho i
miei tempi, e lui, con cui divido anche l’appartamento mi
dice
spesso che dovrei cercare un lavoro, che dovrei smettere di farmi
illusioni, che chi vorrà mai un giapponese secco per giocare
a
basket negli Stati uniti, fosse stata pallavolo e l’Italia
si,
visto che ci sono Ishikawa e Nishida*, ma non ci sono scontri con
centri con il fisico di un armadio a quattro ante, e poi parla lui
che è diventato ancora più muscoloso rispetto
alle superiori? Mi è
tornata la voglia di prenderlo a pugni, la stessa che ho avuto quel
giorno sulla terrazza, quella che mi ha spinto alla rissa per un
anno, poi le cose sono cambiate, per me è nato un sentimento
che lui
non ha mai ricambiato, ma per lui sono diventato l’amico,
quello
strano, quello che lo ha ascoltato per notti intere quando la sua
storia con l’Akagi è andata a rotoli, e tutto
perché innamorarsi
delle illusioni è da ragazzini, ma fa male ugualmente.
Spesso mi
critica perché non mi sono mai aperto con nessuno, che non
ho mai
cercato una ragazza, e rispondo che non sono interessato a nessuno, e
mi illudo di non essermi mai innamorato di lui, di averlo sognato per
notti intere, di averlo ascoltato e consolato perché il solo
saperlo
felice mi rischiarava la giornata. Ma ora anche lui è
diventato un
numero, nonostante il suo fisico non sia conformato al Giappone lui
è
un tipico giapponese, di quelli che presto si sposerà con la
ragazza
giusta e che farà famiglia e che lavorerà in
azienda fino al calare
del sole*. Rimango immobile in questa frustrazione e non so come
venirne fuori, so che dopo la laurea riempirò finalmente la
mia
application per il camp dove sceglieranno i partecipanti alla draft,
non posso fare in nessun altro modo. I miei hanno sempre detto che se
non avessi chiuso con i miei sogni di bambino che vuole calcare
parquet americani mi avrebbero tagliato i fondi, ed io ho cominciato
a lavorare, lavoro la notte, e no non faccio il gigolò come
insinua
sempre Hanamichi, lavoro come barman, in un locale gay, almeno posso
illudermi che ci possa essere qualcuno per me, qualcuno che cerchi me
come compagno. Pagano bene perché il notturno è
sempre il turno più
stressante, e molti se ne vanno dopo pochi mesi. Il capo mi prende in
giro, dice che potrebbe mettermi come statua in un angolo e avrebbe
comunque il pienone solo per vedere i miei occhi.
Quando
mi sono diplomato mia madre ha pianto di felicità, quando ha
capito
che sarei potuto andare all’università mi
è sembrata
ringiovanita, ha ritrovato la sua giovane età, quella che
aveva
perso quando avevo perso la mia strada. La nostra famiglia è
sempre
stata quella di due bambini che sono cresciuti insieme, e non siamo
riusciti insieme a mantenere la via. Lei era al liceo quando si
è
accorta di aspettare me, non ero in programma, e non aveva un
fidanzato, era successo qualcosa ad una festa, ma lei non ha mai
saputo raccontarlo, adesso ne parla come il suo miracolo, lei era
poco più che bambina, un’anima ardente come la mia
e abbiamo
imparato che questo mondo fa schifo, purtroppo l’ambiente in
cui
siamo cresciuti insieme, quando io a sedici anni ho perso la bussola
lei ne aveva una trentina, ma non i trenta di chi ha avuto una
famiglia che la guida nell’imparare a giostrarsi nel mondo, i
trenta di chi ha combattuto contro il mondo giorno dopo giorno, e io
come lei sono un guerriero, dalle mille guerre. Lo so che mi ha
sempre amato, e quando mi sono perso lo ha fatto anche lei, anche per
lei è stato un periodo pessimo, un compagno pessimo, che era
di un
giro ben peggiore del mio, e poi quel giorno ho deciso di far
chiudere il club di basket, e devo ringraziare di averlo fatto, quel
giorno ho incontrato la mia chiave per scardinare questo mondo, ho
trovato le mie armi, ho trovato una guerra ben più facile.
Il
ginocchio che non funzionava, e quell’eccitazione per i
ragazzi,
quell’infatuazione per Kogure, io che lo sognavo ogni volta,
e dopo
siamo stati insieme per un po’, fino al diploma, e poi lui
è
andato dall’altra parte del Giappone a studiare, ed io ero a
studiare e giocare a basket come se fosse il mio pane, e per questo
che adesso questo sport sta pagando le mie bollette. Dopo una laurea
attinente alla meccanica, sono stato preso in uno studio di
progettazione di motori, e gioco in una squadra di Tokyo, il mio capo
vorrebbe che lasciassi il basket, ma non posso, andrei di nuovo alla
deriva, sono da solo, ora che la mamma ha trovato la sua strada e un
fantastico compagno. Lei si è risposata prima del campionato
invernale del mio terzo anno allo Shohoku, con un mio professore,
quello che più mi ha aiutato a riprendere in mano la mia
vita, e
adesso hanno tre figli, una villetta, tre cani e due gatti, sono il
benvenuto da loro, ma sono come una nota distorta in una bella
musica, non faccio parte della loro canzone, posso passare come un
jingle alla TV ma non posso rimanere. Non ci comprendiamo
più con
mamma, siamo due pianeti opposti, ora lei vorrebbe che io fossi come
tutti gli altri, calmo, tranquillo, un impiegato, e non uno che si
barcamena tra un lavoro e il gioco professionistico. Parliamo lingue
diverse pur parlando Giapponese, non riesce più ad essere
quella
bambina che ha cresciuto un bambino, ora è una donna che
crede di
aver a che fare con un adolescente, la sua anima ardente si
è
quietata, la mia si è infiammata, devo avere tutto il
pacchetto,
amore, lavoro, passione, e deve essere con un uomo degno di questo
appellativo uno con le palle di seguire i suoi sogni, uno la cui
anima non sia grigia come quella di questi impiegatucci, tutti presi
dalla loro routine nasci, studi, lavori, fai una famiglia, vai in
pensione e dopo un po’ muori, ma non fai il lavoro che ami,
ti
accontenti di diventare l’impiegato dell’azienda x,
un numero tra
i numeri, una macchia in giacca e cravatta tra macchie uguali a te,
no non mi avranno mai, farò le cose alle mie condizioni, non
voglio
perdere di nuovo la mia anima dietro a cose che non fanno per me.
Tetsuo, ride di me, lui ha la sua officina, un ritrovo per
motociclisti ormai famoso per tutta la nazione, dice che sono rimasto
l’animaletto selvatico che ha raccolto una notte in strada, e
che
mi capisce, e che lui ha trovato la sua metà, la donna
più assurda
che abbia mai incontrato, una donna che smonta una moto con una mano
e la rimonta con l’altra, uno spirito libero, sono contento,
loro
si sono trovati e vorrei qualcuno affine a me che non sia banale, che
non sia povero di contenuti, che non abbia paura ad alzarsi in piedi
e dire io farò quello che mi farà felice.
Una
nottata al lavoro come tutte le altre, questi uomini in giacca e
cravatta che cercano uno svago proibito, nonostante questa nazione
sia uscita dal medioevo, nonostante adesso uno possa essere
pubblicamente omosessuale molti si nascondono, quante fedi brillanti
vedo alle dita di questi impiegati, quanti vedo sparire nel
privé
con ragazzi che si vendono per pochi soldi, oppure con i loro veri
amori, nascosti, sposati, mi fanno arrabbiare, non riescono a dire la
verità nemmeno a se stessi, non riescono ad urlare
“Io esito, io
sono gay” io l’ho fatto un giorno a quattordici
anni a casa
durante un pranzo delle feste con tutto il parentado, quando una
delle zie mi fa “allora Kaechan la fidanzatina?” io
mi sono
alzato di scatto e ho detto con tutta la voce che avevo in gola
“Basta, non avrò mai la fidanzata, sono
gay”, per me che amo il
silenzio è stato uno dei pranzi più piacevoli
della mia vita,
nessuno è riuscito a parlare per la mezz’ora
successiva, non si
sentiva nemmeno il suono delle bacchette e questo mi ha permesso di
finire di mangiare e congedarmi da loro prima che passasse lo shock.
Sono poi stato vittima di tentativi di riconversione
all’eterosessualità e altre cose aberranti del
genere, con loro
non ho mai avuto un gran rapporto, sono sempre stato indipendente, e
per mia fortuna la mia indipendenza mi ha salvato dalla loro
mentalità retrograda. Se continuare con il basket prevede il
taglio
ai fondi, l’avere un compagno prevede l’essere
diseredato, ma che
si fottano, che si tengano la loro azienda, la loro fabbrica di
impiegati tutti uguali. Che parlino tra loro di cose che capiscono
solo loro, io vivrò in un mondo diverso, e forse sono troppo
romantico, perché credo al mio sogno, penso di essere
abbastanza
forte per riuscirci, penso di essere abbastanza pazzo da poter
dividere la mia vita con qualcuno che come me ami quello che fa o
vole fare. Sono voltato di spalle quando sento una voce, una voce che
sa di casa, che sa di Kanagawa, ma non so perché associo le
due
cose, non ho mai sentito Kanagawa la mia casa. “Scusi vorrei
un
Long Island*” mi volto e rimaniamo entrambi immobili come se
il
mondo si fosse fermato, conosco quest’uomo sono quasi sei
anni che
non ci vediamo, lui ha evitato le varie rimpatriate che ci sono state
dopo il suo diploma, e io ho evitato di uscire a bere qualcosa con
gli amici del rosso, loro sono amici, lo vedo in lui, vedo
l’anima
ardente, vedo ancora quel ragazzino ribelle, e non è solo
perché
indossa un paio di jeans skinny e una camicia con tre bottoni
slacciati e un giacchetto di pelle che lo fa sembrare una
divinità
scesa dall’olimpo del metal, non è per i suoi
capelli che
incorniciano disordinatamente la sua testa, non è per il
profumo che
emana la sua pelle, o sono io che ho deciso di associare un odore a
lui, non lo so, il mio cuore ha cominciato a battere ad una
velocità
diversa, ho come la sensazione di aver ritrovato le chiavi di casa.
La sensazione piacevole, quando in mezzo a qualche libro ritrovi un
tuo pensiero, come se quelle parole fossero state scritte solo per
te, magari le ha scritte una donna nell’ottocento
dall’altra
parte del mondo, o forse un poeta in una lingua che non parla
più
nessuno o quell’haiku che hai sempre ignorato e che poi ti
fulmina
appena sveglio, o come le parole di quella canzone che ami tanto e
che credi che siano le tue, personali e non dell’autore, del
cantante o del pubblico, solo tue. Abbiamo smesso di trasgredire, di
infrangere le regole, io mi sento stupido a farlo, ma è
giusto così
si cresce anche per questo, per seguire alcune regole, ma forse
è il
momento di fregarsene. Veniamo interrotti da un altro cliente
“Cocco”
la voce quattro ottave troppo alta per essere vera “Posso
avere un
appletini?” odio quel cocktail e adesso ho un motivo in
più. Lui
si siede al bancone e io riprendo a respirare, riprendo a lavorare,
faccio il cocktail alla mela per la diva del locale, cercando di
non far tremare le mani, e poi mi occupo del Long Island*, dopo aver
messo il bicchiere con il ghiaccio davanti a questo giovane uomo che
mi sta scrutando dentro, parto tagliando la fettina di limone, me ne
servono tre per farne uscire una bene, il suo deve essere perfetto, e
poi 1/10 di succo di limone e giù 2/10 di Gin, Vodka, Triple
sec e
Rum e poi vai di shaker, e stavolta niente giochini, nessuna
acrobazia, non riesco a tenere ferme le mani, farei solo una brutta
figura, mi sento come se fossi nudo davanti a lui, e se ci ripenso lo
sono stato in altri momenti, e non mi son sentito così. Gli
servo la
bibita, decoro il bicchiere aggiungo la coca cola e metto le
cannucce. Sento i suoi occhi su di me, ed è come se questo
posto
fosse silenzioso, come se ci fossimo solo io e lui, ma ci sono questi
fastidiosi clienti che richiamano la mia attenzione. Una ragazza mi
chiede un invisibile e io le chiedo il documento, e quando lei, che
si trova proprio a fianco di Mitsui me lo porge sento una mano grande
e calda sfiorare la mia, e avvampo come una dodicenne quando vede la
sua pop idol preferita. Restituisco il documento e mi metto a fare il
cocktail, e vengo interrotto dall’arrivo del capo
“Kitsune” mi
richiama e io roteo gli occhi al cielo facendo ridere l’anima
ardente “La gente paga anche perché tu faccia bene
il tuo lavoro”
sbuffo creando ancora più ilarità nel mio ex
compagno di squadra.
“Ok capo” cerco di far smettere di tremare le mie
mani, e
comincio con un po’ di giochini acrobatici per i cocktail che
mi
vengono chiesti, mentre la guardia della squadra di Tokyo mi continua
a ridere in faccia, cosa che mi fa riprendere la mia solita calma
interiore. “Che ridi anima ardente?” gli chiedo
mentre lui si
nasconde dietro la cannuccia bevendo il liquido dal colore del te
freddo. Consegno qualche cocktail prima di ricevere una risposta
“Kitsune? Non te ne sei sbarazzato?” scuoto la
testa “Ne del
soprannome ne dell’autore” vedo
l’ilarità del suo volto
scemare, mentre prende il portafoglio, non capisco che stia
succedendo ma sembra che lui voglia andarsene, lo blocco.
“Offro
io” e proprio mentre lo dico con la mano su quella di lui,
arriva
quella disgrazia del mio coinquilino con la sua ragazza vestita da
Drag King*. “Micchi” interpella il nostro ex
compagno di squadra
che lo guarda male perché è mano nella mano a
quello che sembra un
ragazzino. “Kit, il solito” dice Sumire in arte
Hiro, che così
conciata sembra proprio suo fratello al liceo. Vedo la confusione sul
volto di Mitsui “Koshino?” chiede e lei comincia a
ridere una
risata femminile e sonora “Si Koshino Sumire” si
presenta dopo
essersi inchinata non lasciando la mano del rosso, che ora lo
è
anche in volto. “Baciapiselli” un’uscita
del genere in un
locale del genere la poteva avere solo il Do'hao “la mia
ragazza,
il mio ragazzo, è che…” non riesce a
spiegarsi, e sarebbe una
scena comica, ma non riesco a ridere di lui che si è
uniformato, ma
ha trovato una persona che di giorno è la classica impiegata
con la
crocchia e menate simili e la notte si trasforma in Hiro, uno
spogliarellista. “Ma… cioè”
ora sono in due a non riuscire a
parlare. “Tra cinque minuti stacco” annuncio dopo
aver servito i
due nuovi arrivati. Quando esco da dietro il bancone sento nuovamente
gli occhi di Mitsui su di me, la divisa lascia poco
all’immaginazione, non mi ha mai dato fastidio, sono
allenato, il
mio fisico è quello di un giocatore di basket, ma adesso mi
sento
come quel ragazzino con un accenno di muscoli che giocava alle scuole
medie e aveva appena capito che gli piacessero i ragazzi. La
sensazione di essere inadeguato è riapparso con un solo
sguardo su
di me. Sumire prende le redini della conversazione. “Bene
ragazzi
andiamo al mio tavolo riservato” ci incita a seguirla
“Anche tu
ragazzo di cui non so il nome, ma che conosce il mio
Sakuchan”
l’anima ardente si gira verso di me “L’ha
appena chiamato
scimmiotto?” annuisco, sono ancora allibito da quella coppia,
e
soprattutto a volte sono oltre il livello massimo di sopportazione,
visto che entrambi sono i miei coinquilini, e sono una di quelle
coppie che litigano e poi fanno pace facendo sesso, e non voglio
soffermarmi su questo pensiero. Ci sediamo ad un tavolo, loro si sono
portati i drink, mentre io non ho niente da bere, la figlia del
padrone fa un cenno ad un cameriere ancora meno vestito di me
“Un
long island” e lo congeda con un gesto. “Sono
confuso” la voce
di Hisashi è diventata ancora più bella nel
tempo, calda come una
coperta d’inverno, quella che ti riscalda il cuore, la tua
preferita, potrei ascoltarlo per ore e non annoiarmi.
“Piacere sono
Hiro il Drag King, faccio due spettacoli a notte, e sono la figlia
del proprietario, sono fidanzata con questo pesce lesso che ha perso
la facoltà di parola e adesso sembra assomigliare al suo
migliore
amico, il mio scimmiotto del cuore non riesce a parlare di me a
quelli della sua vita a Kanagawa. Ma sono così come sono un
po’
Sumire un po’ Hiro.” Sono seduto accanto
all’anima ardente che
fa un profondo sospiro, come prima di uno dei suoi tiri da tre,
quelli perfetti quelli che a malapena sfiorano la retina tanto son
precisi “Quando hai detto che non ti sei sbarazzato del
soprannome
e del rosso pensavo…” lo interrompo
“Quando ti sei diplomato
siamo diventati amici, e quando siamo stati ammessi alla stessa
università abbiamo deciso di dividere un
appartamento” si è
voltato a guardarmi in faccia, e avvampo di nuovo, quegli occhi
scurissimi riescono a farmi sentire sotto sopra, senza un vero
motivo. “Il capo è il padre di lei”
indico col mento il
ragazzino che abbiamo di fronte “quindi il soprannome
è passato
dall’essere il modo fastidioso in cui mi chiama lui, al mio
nome
d’arte.” lui ride e io non posso fare a meno di
sorridere
“Ricordati ti è andata bene, mi chiama
baciapiselli”. Il rosso
si è rilassato “E dai Micchi, è un
soprannome che ti ho dato
prima che sapessi che ti piace il pisello” la sua ragazza lo
prende
per un braccio. “Andiamo a casa che domattina devo andare a
lavoro,
e tu all’università e non possiamo fare
tardi” ci salutano
mentre arriva il mio drink. “Long Island?” mi
chiede e io
annuisco “A fine serata mi rilassa, e così arrivo
a c…” non
riesco a finire la frase mi ritrovo le labbra di questa statua greca
contro le mie, e ricambio come se fosse una cosa naturale, il posto
è
protetto, non è una strada, è un posto per quelli
non proprio a
posto con la società. Mi siedo sulle sue gambe, le sue cosce
tornite
mi fanno da cuscino perfetto e riprendo a baciarlo, e lui mette le
mani sul retro delle mie anche mentre la mia mano destra va sulla sua
guancia e con la sinistra mi puntello al divanetto per non crollargli
addosso. Sono stordito dalle emozioni che mi passano dentro, non ho
mai permesso a nessuno di trovarmi niente meno che indifferente, ma
è
bastato qualche secondo per crollare una costruzione protettiva
durata anni e anni, che mi ha salvato spesso dal soffrire. Sento come
se lo avessi ritrovato, come se io e lui fossimo legati da sempre,
eppure ci siamo rivisti dopo sei anni di silenzio. Le emozioni che
riempono il mio cuore sono sconosciute, e contemporaneamente
così
familiari, come se in un altro tempo le avessi già provate,
forse
eravamo uniti in un’altra vita.
Il
locale dove ho incontrato Rukawa sta chiudendo, e veniamo invitati ad
uscire, e lo facciamo, insieme, come se non lo avessi baciato mentre
parlava perché il mio corpo fremeva e la mia mente
continuava ad
urlarmi di baciare quelle labbra, siamo cresciuti, e il tempo con lui
è stato scultore, ha cesellato ancora i suoi lineamenti, li
ha resi
mascolini e perfetti nello stesso tempo, e lui ha capito di dover
cambiare parrucchiere, ora ha un taglio che mette ancora più
in
risalto il mare blu dei suoi occhi, il naso perfetto, le labbra che
urlano di baciarle mentre lui è in silenzio. Quando
l’ho visto al
bancone ho come avuto una scossa, come nei film quando usano le
piastre per rianimare le persone, quando passa la corrente il corpo
si scuote da solo, e la sua vista ha fatto lo stesso con me, nel mio
corpo è passata una scarica elettrica e il mio sguardo
è rimasto
incollato a lui, e mi sono sentito come quelle ragazzine che al liceo
avevano fondato il suo fan club, quelle ragazzine adoranti me lo
hanno fatto odiare, il campione di basket, e sempre il basket a cui
non potevo giocare, e il luogo dove avevo conosciuto Kogure, quello
che Kimi credeva la sua salvezza dalla mediocrità, alla fine
è
diventato un mediocre impiegato nell’azienda di suo padre,
con una
moglie e due figli, abbiamo ventiquattro anni non mille e lui
è già
l’uomo di casa, non si è goduto la vita al primo
anno di
università era fidanzato con me e al secondo era sposato con
lei, la
ragazza che i suoi hanno scelto per lui. Ora con la bocca di Kaede
sulla mia è come se avessi trovato il mio posto nel mondo,
quello
che sto inseguendo da anni, come sentire una canzone che suona
perfetta e struggente, e la consapevolezza di non voler cambiare e di
aver trovato qualcuno che non vorrei cambiare, so che sarà
un uomo
spigoloso, si ha solo ventuno anni ma siamo dei sopravvissuti, lo
vedo nei suoi occhi, in realtà l’ho visto anche
quel giorno quando
è svenuto sotto un colpo a tradimento. Lui pensa di essere
impassibile, ma non può celare il suo mondo, quel mondo che
passa a
colori nei suoi occhi, li guardi e vieni travolto da emozioni, e sai
che sono le sue. Sarò folle ma vorrei entrare nel suo mondo,
ma sarà
difficile, siamo come gatti randagi, diffidenti sempre sulla
difensiva, anche se stasera ci siamo buttati in area, abbiamo provato
quel canestro impossibile, quello sul filo della sirena, quello che
capovolgerà il risultato, che porterà alla
vittoria, quello in cui
non credi nemmeno tu, lo fai per istinto, ed è stato come
una
scossa, è andato. Il canestro è entrato, ho solo
una paura, lui
deve finire l’università e poi? Poi si
omologherà anche lui?
Perderà questo suo essere selvatico, trasformandosi in un
docile e
domestico cagnolino? I cani sono carini, ti aspettano a casa
scodinzolando, venerando il loro umano, non fanno per me, danno amore
per amore, danno amore anche se non gli dai amore, e non mi piace
questo squilibrio, ho sofferto fin troppo per aver amato senza essere
realmente ricambiato. Non capisco questo mondo, non sono adatto a
viverci, gli altri sono felici con i loro paraocchi, nella loro noia,
nei loro abiti eleganti, nei loro uffici gabbie. Cosa sogna la notte
Kaede, io stanotte sognerò le sue labbra sognerò
questo suo
profumo, ha un retrogusto di bergamotto, non yuzu, è diverso
speziato, un ricordo d’estate, un viaggio che uno dei primi
fidanzati di mamma ci ha fatto fare, per me lui era vecchio, ma
avrò
avuto una decina d’anni, ci ha portati al mare, al sole, e la
gente
prendeva il sole in costume per avere la pelle più scura,
sono
rimasto shockato e poi ci ha portato nel suo agrumeto e ci ha fatto
annusare diversi frutti, e adesso lui sa di momenti felici, sa
d’estate, di mare e di risate. Volevo bene a
quell’uomo è stato
quello più vicino ad un padre, ma da un giorno
all’altro è
sparito senza una parola, senza un saluto, e io ora non voglio questo
con questo giovane uomo, con il barman che mi ha fatto uno dei
migliori cocktail di Tokyo. Mi stacco dalle sue labbra e socchiudo
gli occhi e la visione che ho è quella che vorrei avere per
sempre,
lui con le guance rosse e un sorriso che gli increspa quelle labbra
peccaminose. Sto per dire qualcosa ma è lui che per primo
“Voglio
rivederti, per bene” il fiato corto, gli occhi lucidi, se
qualcuno
mi chiedesse di spiegare la bellezza descriverei quello che ho appena
visto, l’anima legata alla mia dall’inizio dei
tempi racchiusa in
un corpo umano, con gli occhi lucidi d’eccitazione le labbra
gonfie
di baci e le guance arrossate, la bellezza è il suo profumo
di
bergamotto e di qualcosa di avvolgente. Quella sensazione che mi
trasmette, calma e frenesia, qualcuno con cui il silenzio non
è solo
silenzio, ma tempo ben speso, tempo di battiti di cuori, tempo di
mani che parlano e di occhi che ridono. “Ti aspetto da
sempre”
riesco a dire, non riesco a dargli una risposta coerente, ma penso
che la mia coerenza sia scappata quando sono entrato qua dentro,
così
come il buon senso. Lui mi bacia nuovamente, ma adesso non
c’è
quella passione travolgente di prima, l’urgenza, come se ne
andasse
del nostro respiro, c’è una dolcezza che non
penseresti di trovare
in uno che ha fatto dell’indifferenza la propria corazza, un
bacio
lento ad occhi chiusi, una mano sulla mia guancia e l’altra
dietro
la nuca, quando si stacca poggia la testa sulla mia spalla tiene
ancora la sua mano sulla mia guancia, e solo ora mi rendo conto di
quanto stia tremando, lui non perde la calma, domina il suo corpo e i
nervi. Un suo collega gli batte sulla spalla “Kitsune, su
andate”.
Non gli risponde, alza la testa gli fa un cenno, e poi si stacca da
me e sento freddo, mi sento sbagliato, sento come se le pretese del
mondo possano colpirmi, ma lui mi salva di nuovo, con fare quasi
casuale prende il mio indice e il medio nella sua mano e
delicatamente mi guida fuori dal locale, siamo di nuovo alla luce
impazzita dei neon, che viene affievolita dall’alba che da
est
rischiara il cielo. “Vieni” mi dice, e io sembro
docile alla sua
richiesta, lo seguo e mi porta in una caffetteria in stile
occidentale con un dehor che da verso est, ci sediamo
all’esterno e
lui si siede a fianco a me poggiando la testa sulla mia spalla come
se tra noi ci fosse qualcosa da sempre. “dove andiamo per
l’appuntamento che mi hai chiesto prima” gli
rispondo a scoppio
ritardato, e lui con entrambe le mani mi prende il volto e mi fissa
“Davvero?” chiede ed è incredulo anche
nel tono e io annuisco e
colmo la distanza con le sue labbra, ma siamo fuori e siamo due
uomini e non so cosa pensa, ma lui risponde al bacio con naturalezza.
Qua
in Giappone i fuochi d’artificio sono una tradizione per
festeggiare che risale a secoli or sono, e sento come se fossero
appena esplosi per me, come se il fatto che Hisashi abbia accettato
un appuntamento mi avesse spedito in orbita, l’ho dovuto
guardare
in volto, quel viso che porta ancora la cicatrice del suo passato, ma
le nostre cicatrici le portiamo appuntate sul nostro cuore, come
medaglie al valore, come se il dolore fosse un premio. Un paio di
anziane signore sbuffa al nostro bacio, e un ragazzo che
avrà la
nostra età ci addita “Ah froci di merda”
questo mondo fa schifo
e sono tutti omologati in
basso, omologati alla mediocrità e
all’inutilità, nonostante
studi lingue non li capisco, come se parlassero una lingua diversa da
me, una lingua arcaica fatta di cose monotone e noiose. Lui si sta
scaldando, e io lo fermo, col tempo ho imparato che le parole fanno
più male dei pugni, che se dovessero essere utili so ancora
tirare
con precisione, sono io quello che va a giro con il faccino da bravo
ragazzo, quello che piace alle donne, alle ragazze ed anche alle
nonne, che aria da bravo ragazzo, e non sono riuscito nemmeno alle
superiori a sembrare qualcosa di diverso del bravo e bello, che
spesso viene accostato al debole. “Problemi?”
chiedo e lui
inveisce ancora “invertiti di merda” lo guardo
dall’alto in
basso “ho un problema con te, vuoi sindacare sulla mia vita,
ma io
non posso dire niente di te, solo che sei mediocre e privo di ogni
attrattiva, forse perché ti senti solo vieni a sindacare su
chi solo
non lo è più” boccheggia, e le due
anziane stanno guardando come
farebbero con la loro soap opera preferita. Quello che pretendeva di
fare il bullo si trova privo di una risposta e boccheggiante, non mi
risponde e perde di importanza, e non ne aveva, ma aveva fatto
perdere la pazienza a Mitsui, la sua anima ardente è calda
avvolgente e sono lieto di potergli stare vicino almeno una volta
ancora. “Comincia qua l’appuntamento?” Mi
chiede rido
leggermente, “Si comincia qua, considerati rapito”
aggiungo, ho
imparato che delle volte bisogna esprimere la propria opinione,
facciamo una colazione leggera e poi lo trascino in un
piccolo garage dove tengo la mia macchina, e lo faccio salire,
comincio a guidare in testa ho solo un posto, metto della musica
dall’autoradio, in realtà è una
compilation che mi sono fatto,
musica rock, partendo dai The Gazzette, a passare dai Radiohead, per
mischiarci le sonorità più psichedeliche dei Pink
Floyd, ci sono le
sonorità dei Sum 41 che si mischiano con i Queen, che si
intrecciano
in una folle accozzaglia con i Led Zeppelin, e cose del genere,
sembra apprezzare i miei gusti musicali, alcune canzoni le canta
insieme ai cantanti, di alcune segue solo il ritmo con le dita sul
finestrino, io sono concentrato sulla guida quando sento la sua mano
sulla mia coscia. “Penso di sapere dove mi stai
portando” mi dice
e io sorrido “Lo spero, è una cosa che mi
è passata per la testa
quando ti ho visto al bancone” dico, per poi prendere a
cantare a
mia volta, non sono eccelso, ma non faccio nemmeno piovere, invece
lui è proprio bravo, cantiamo insieme, e lui non sposta la
mano e
per cambiare marcia devo toccare il suo braccio
e questo mi da i brividi, quelli piacevoli, quella pelle
d’oca
eccitante. Dopo un’oretta di viaggio arriviamo alla spiaggia,
quella vicino allo Shohoku, quella che ho costeggiato in bici un
milione di volte, è la prima volta che torno a casa da
quando sono
partito quattro anni fa per l’università, e solo
perché sono con
lui, qua non ho niente di speciale ad aspettarmi, solo la
mediocrità
di quelli che son stati compagni di squadra, di quelli che sono stati
avversari. La folla di bambolotti tutti uguali, manovrati da un solo
bambino malefico che fa fare a tutti la solita cosa. Scendiamo
dalla mia utilitaria scassata, quasi quanto la mia bici del liceo e
lui non può fare a meno di non notarlo “Ti
addormenti anche quando
guidi questa?” mi chiede e scuoto la testa,
“l’ho presa da uno
che voleva mandarla in disfattura”. Lui riesce a farmi
parlare di
mia volontà come se sentissi il bisogno di essere
trasparente con
lui, come a dargli il permesso di scardinare la mia corazza. Mi
prende per mano, come ho fatto prima io solo l’indice e il
medio, e
adesso è lui che mi guida, mi porta in spiaggia, in un posto
isolato
che ho visto un sacco di volte, ma che non ho mai esplorato. “La
prima volta che ti ho visto ero nascosto qua, stavo giocando con i
miei amici in spiaggia ai pirati. Avevo
dodici anni, tu eri con un ragazzo più grande e stavate
facendo
volare un aquilone, in quel momento ho sentito qualcosa di strano, ma
non sapevo il tuo nome, non sapevo niente di te.” Sgrano gli
occhi
ricordo anch’io quel giorno, quel giorno è stato
l’ultimo in cui
ho visto mio fratello maggiore, nato da un precedente matrimonio di
mio padre mi ha portato a giocare con l’aquilone,
perché anche lui
sarebbe volato via, a seguire i suoi sogni, e mi ha promesso di
scrivermi spesso, ma non lo ha mai fatto, o almeno l’ho
pensato per
anni. Lui è volato in Europa a studiare moda, e solo dopo
molti anni
ho rivisto il suo volto ad una sfilata, il suo volto così
simile al
mio ma con gli occhi verdi. Durante
l’estate della seconda superiore sono andato in soffitta a
cercare
un vecchio libro che mi sarebbe servito per studiare e ho trovato una
scatola, una scatola con un centinaio di lettere, una per ogni
settimana di lontananza, una arrivata due giorni prima, e là
il filo
che teneva ancora in piedi il mio rispetto per i miei genitori si
è
spezzato completamente. Il rispetto per mia madre l’ho perso
presto, lei non mi ha mai voluto, mi ha sempre fatto sentire piccolo
e indesiderato, e folle nel voler seguire il mio sogno, per mio padre
ancora avevo un minimo di rispetto, ancora non aveva cominciato a
fare pressioni. Ho passato giorni a leggerle tutte e alla fine ho
scritto a mio fratello, ci siamo ritrovati nonostante la distanza.
Quel giorno in cui lui mi ha scritto ero ancora innocente, ero ancora
ottimista. “Era Katsuya mio fratello, fa lo stilista in
Europa”
gli dico “ero felice” il mio accompagnatore
sospira, “lo so,
quando ho visto il tuo sorriso ho capito che non avrei visto niente
più bello”. Sono sconvolto dalle sue parole e lui
mi sorride “Ma
avevo dodici anni e non capivo un cazzo, e non ho collegato i
puntini.” Sto per dire qualcosa “lo so che sei un
animaletto
curioso, vieni con me” mi dice, non mi ha mai lasciato la
mano, ma
la mia è scivolata in meglio nella sua e abbiamo intrecciato
le
dita. Ci troviamo quasi sotto il molo, spesso mi son ritrovato a
pensare e a guardare il mare qua, c’è uno scoglio
comodo, il
sedere sta perfettamente su quello basso e quello alto è il
perfetto
schienale, sono stato spesso qua, fino a finire le lacrime che potrei
versare nella mia vita. “Avevo appena iniziato la mia vita da
teppista, ero là sotto a fumare con quelli della banda, a
progettare
qualcosa di illegale e uno dei miei compagni fa - guarda che
porcellana – e ti ha indicato e il mio sguardo si
è incatenato al
tuo profilo, ho imparato che non ero il solo a soffrire che qualcuno
poteva soffrire come me e forse più intensamente, ho
scoperto che le
lacrime non ti rendono debole, ma non ne ho più versate per
molto
tempo, e avevo quindi anni ed ero ancora più stupido, i miei
compagni mi hanno lasciato sotto il pontile del molo, non li ho
nemmeno sentiti salutarmi, ero completamente in balia del tuo sguardo
verso il mare, del tuo dolore, e mi sono dimenticato del mio, del mio
ginocchio.” prende fiato e non so che dire. “ho
sempre saputo che
era successo qualcosa, che tra noi c’era una connessione che
avrei
dovuto estirpare. Testuo dice che sono stupido, la mia anima ardente
era stata accesa da qualcuno, che però non ho mai
cercato.”
L’unica cosa che riesco a fare è poggiare la mia
testa sulla sua
spalla, siamo a fianco e ci teniamo per mano, e potrei stare ad
ascoltarlo per ore. “Vieni” mi dice ancora la
stretta forte sulle
mie dita, forte ma non prepotente, le dita sono callose ma trovo
piacevole il contatto con lui, io rifuggo il contatto fisico, forse
perché non lo conosco bene, mia madre me lo ha sempre
negato.
Lasciamo la spiaggia e mi porta nella strada principale, dove si
trovano i negozi, e siamo davanti alla vetrina di un negozio di
televisori, per la precisione sul marciapiedi opposto “Ero
con mia
madre, avrò avuto otto anni, e ho capito che avrei giocato a
basket
un pomeriggio assolato, davanti a quella televisione grande
c’era
un bambino dai capelli neri e setosi che ha detto
“Farò quello da
grande” risoluto nonostante la vocetta da scuola materna e
nonostante lo schiaffo che ha preso dalla madre, una donna che era
lontana almeno…” lo interrompo “almeno
un metro, se non due, si
avvicinava solo per gli schiaffi” lui sgrana quei pozzi
profondi
che gli altri chiamano occhi “Eri ancora tu?”
annuisco “Si,
farò quello da grande, e lo farò l’ho
giurato tempo dopo al
bambino che sono stato” davanti a quel negozio che ha visto
parte
della violenza subdola di mia madre quest’uomo dalle braccia
forti
mi stringe al suo petto e mi bacia con dolcezza, un bacio lento di
quelli che fanno volare le farfalle nello stomaco. L’ho
portato qua, perché mi sono sentito a casa alla sua vista e
si è
trasformato in un tour delle volte che le nostre vite si sono
intrecciate prima che ci conoscessimo. Riprendiamo a camminare e
arriviamo davanti alla nostra vecchia scuola “Qua ti ho visto
i
primi giorni di scuola, con tutte le tue gallinelle intorno e ti ho
reputato la peggior persona della scuola, pieno di te, egoista, uno
che odia parlare ma con un talento straordinario, e volevo
distruggere te, Ryota e tutto il club di basket, e poi la rissa, tu
che svieni e io che sento le ginocchia cedere, finisco inginocchiato,
e con l’aiuto delle parole di Kogure sono riuscito a mettere
in
ordine le cose.” mi batte fortissimo il cuore, con la mano
libera
cerco la sua mano libera e l’appoggio sul mio petto.
“Poi siamo
andati ad Hiroshima e sei andato in nazionale, e poi sei tornato
più
maturo, e hai cominciato a collaborare, sei diventato mentre
concentrato solo su te, ma parte della squadra. Non hai imparato a
ridere alle battute sceme, ma ti sei ritagliato pezzetti di affetto
da parte di tutta la squadra.” Lo trascino sotto un acero che
si
trova nel giardino della scuola, è giorno scolastico,
speriamo non
ci buttino fuori “Il mio nome ha come significato Acero, e io
da
qua ti ho osservato più volte e non ho mai capito
perché, non
capivo come il mio albero guida mi facesse puntare lo sguardo proprio
sull’anima ardente, sul fuoco puro, un pezzo unico,
nonostante la
divisa scolastica, nonostante tutti tendessero ad omologarsi, come
sempre, tu sei sempre stato tu. Sei stato per tempo la mia nota
stonata. Ero innamorato del rosso, ma sentivo come un acufene, un
suono ad una certa frequenza che disturbava i miei desideri. Ora ho
capito, le nostre anime si sono scelte prima che noi ci conoscessimo,
magari in qualche vita precedente, magari nel brodo primordiale, so
solo che siamo due sgangherati, due che la vita ha voluto a terra, ma
che non ci sono mai rimasti. Siamo sbagliati per il mondo, fuori
dalla realtà” lui annuisce e riprendiamo a
camminare verso la mia
macchina, adesso con calma, godendoci il sole caldo e il cielo terso,
mano nella mano, spalla contro spalla.
Al
primo appuntamento più strano a cui sia mai stato se ne sono
susseguiti un sacco, e tutte le volte quella creatura meravigliosa di
Kaede mi ha stupito, mi ha amato, mi ha odiato, ci siamo detti di
tutto, ho urlato e lui mi ha provocato rispondendomi con la voce
bassa, ci siamo infiammati, ci siamo baciati, ci siamo trovati ancora
e ancora. Il mondo vorrebbe che ci lasciassimo, vorrebbe che io non
fossi presente alla cerimonia della sua laurea, ma io sono nel
pubblico per lui. Sappiamo che non saremo più distanti, e
non è una
questione fisica questa, è che le nostre anime i nostri
cuori si
sono scelti, si sono ritrovati e non riusciranno a dividerci in
nessun modo. Ho compilato la sua richiesta per l’ammissione
al camp
pre draft, è il suo momento, e nel frattempo io sto aprendo
la mia
impresa di personalizzazione delle moto, un lavoro in parte online,
che sfrutta la mia laurea, la sua è in lingue, ed
è buffo, quello
che potrebbe raccontarti della bellezza del suono del silenzio ha
imparato parole di altre tre lingue oltre al Giapponese. Non ci siamo
ancora detti ti amo, ma non serve, ci sentiamo vicini e i nostri
cuori vanno all’unisono, come in una canzone
d’amore.
In
questi anni i media americani si sono sbizzarriti a cercare chi fosse
la mia anima gemella, quella persona che mi completa, e mi hanno
affibbiato un sacco di flirt, perché hanno sempre creduto
che il mio
coming out al pre camp fosse solo una mossa di marketing, e che
dividessi l’appartamento con un ex compagno di scuola solo
perché
entrambi giapponesi. Non hanno capito nulla, o forse noi viviamo in
mondo diverso, in cui loro non sono mai riusciti a farmi cambiare
idea, a far cambiare il mio amore per lui, ci siamo scelti, forse un
pomeriggio quando avevo cinque anni, o forse in spiaggia quando ne
avevo nove, o dopo, o forse alle superiori, ma di sicuro ci siamo
ritrovati in un bar dove lavoravo per poter partire. Lui ha giocato a
basket anche qua, non in NBA, ma in campionati minori, meno
riflettori, meno menate e più sport, e io le menate me le
sono
sciroppate tutte, adesso è lo sponsor della squadra dove
gioco, da
un piccolo sito dove potevi chiedere di customizzare
la tua moto, ora ha una catena di negozi che fanno questo, e ha tempo
per le sue passioni, non è omologato agli altri, e nemmeno
il suo
luogo di lavoro lo è, e nemmeno io sono omologato alla lega,
sembro
sempre la pecora nera. Oggi c’è gara sette e mi
sono ripromesso
una cosa, comunque vada, perché tra noi è un
comunque vada eterno
gli chiederò di legarsi con un ulteriore filo alla mia vita,
di
completarla in maniera più profonda, so che lui tiene a
queste cose,
anche se per farglielo confessare probabilmente dovrei torturarlo per
giorni. Gara sette finisce abbiamo vinto, e vogliono intervistarmi,
ma ho in mente solo una cosa, recupero qualcosa dalla mia poltroncina
in panchina e riesco a catturare il mio koibito che si è
buttato in
campo per festeggiare, trovo un punto dove non c’è
tanta
confusione e mi inginocchio davanti a lui che cerca di sdrammatizzare
“vuoi farlo qua davanti a tutti?” mi chiede ed io
gli sorrido,
con lui ho imparato a farlo di nuovo di cuore. “Si proprio
davanti
a tutti Hisashi Mitsui vuoi rendermi un uomo onesto?” gli
chiedo e
lui ride e piange insieme mi fa alzare e gli metto un anello che
c’è
nella scatolina, una semplice fascetta con la scritta Kitsune in
kanji sul davanti. “Diventerai onestissimo”
risponde, come quella
sera al locale siamo immersi nella nostra bolla, non sento nemmeno i
rumori che ho intorno, lo bacio e quando mi stacco mi trovo la
cronista del principale network sportivo con il microfono verso noi e
l’espressione stupita. Dura pochi secondi la donna si
riprende
“Uomo onesto?” mi chiede “Dopo anni di
convivenza gli ho
chiesto di sposarmi, in alcune culture non essere sposati e convivere
rende le ragazze non oneste, e quindi gli ho chiesto di
rimediare.”
lei mi scruta “Ma i tuoi flirt, lui ci è passato
sopra ti ha
perdonato le scappatelle” e qua il mio fidanzato comincia a
ridere
di gusto “Quei flirt che vi siete inventati? Siamo noi da
anni,
siamo noi insieme da sempre e per sempre”
I
media ripropongono l’anima ardente che risponde alla cronista
più
famosa degli Stati Uniti che io e lui siamo insieme da sempre e per
sempre, in quel momento il mio cuore stava scoppiando per
l’amore
che provavo per quell’uomo, e questo non è
cambiato, sono cambiate
solo le nostre dinamiche, siamo sposati, ci siamo sposati pochi mesi
dopo proprio prima della prima partita di campionato, e poi abbiamo
adottato, siamo andati in un paio di istituti e abbiamo cercato
qualcuno che come noi non fosse omologato, quando hai sofferto
riconosci il dolore, e abbiamo voluto spezzare questa catena, e
abbiamo adottato tre fratellini, il più grande di dodici
anni e la
più piccola di tre, è stato un lavoro grosso,
abbiamo faticato con
loro, ma adesso siamo completi. Noi due che la vita non ha
raddrizzato con una famiglia di bambini selvatici che la vita non ha
spezzato.
Parole
sparse:
Dedicata
a Cathy. Ti avevo promesso una lemon e mi è uscito questa
cosa che
non so definire.
Max
Pezzali e la sua Due anime mi hanno ispirato, magari nella mia testa
son partite influenze involontarie di altre canzoni.
*Nella
superlega di pallavolo militano questi due giocatori, tra cui Nishida
è un mostro della pallavolo.
*Ok,
qua ha parlato la parte dedita all’alcol che
c’è in me… Il
long island è tra i miei preferiti.
Come
sempre se tentate l’omicidio del sottoscritto usate i
pomodori in
quantità industriale, la sua allergia farà il
resto.
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