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di brokenlegs_
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Il vento di inizio settembre gli solleticò il volto, le sue braccia si infreddolirono dal calar della sera. L'ultimo dominatore dell'aria sputò qualsiasi sostanza si fosse mescolata nella sua bocca, un misto di terriccio e cenere che gustavano amare.

Non deve finire così.

Vide il fulmine, era pronto a reindirizzarlo, ma l'immagine del Re Fenice bambino su un pezzo di pergamena gli passò nella mente. In questo istante tutto poteva finire. 
Ma lo sguardo di sgomento lo interruppe, occhi lacrimosi fuori dalle orbite, il sudore zampillante dalla stoffa, due cuori - uno di pietra, l'altro di cera - che battevano disordinatamente e nel conflitto a ritmi confusi. Il tremolio era segno di implorazione della pietà a un dodicenne. Io sono un dodicenne, ululò la sua mente. Ma anche l'Avatar, un ponte spirituale che aveva assimilato quattro stili di dominio: Acqua, Terra, Fuoco, ma prima di tutti Aria, il suo elemento, le sue radici, i suoi ideali.

Tutti meritano altre mille possibilità e una scelta. Anche di dover sbagliare, per quanto sia tremendamente insidioso. Una volta, cent'anni fa, Gyatso gli aveva detto: "chi ha creato il mondo ci ha resi liberi. Anche di uccidere. Ma chi l'ha creato è stato chiaro: uccidendo non doni scelta e questa a tua volta ti verrà sottratta." 
Kyoshi non poteva capirlo e nè remargli contro. Egli stava gareggiando contro le sue stesse certezze, quelle poche e uniche certezze dopo che gli è stata privata l'identità, un'intera cultura. Si è sentito denigrato, lui e il suo popolo, si è sentito derubato delle sue stesse leggi. Le ripercussioni costano, non importi quanto sia necessario il suo dovere. Il fine non giustifica i mezzi, li motiva.

Quello che voleva risparmiare a Katara, un profondo senso di colpa e quello che cercava a lei di imporre, il perdono. Ma il perdono stesso è una scelta. La Dominatrice aveva scelto nella sua libertà, "Io non lo perdonerò mai". Zuko aveva scelto nella sua libertà dopo aver affrontato una vita in barca nel perduto oceano, "aiuterò l'Avatar perché questo è il mio destino". Toph aveva scelto di scappare dal suo destino perché era quello che le impediva essere sè stessa. Sokka aveva scelto di liberarsi dai suoi pregiudizi, dalla paura della perdita. Perché l'attimo prima ci sei, il secondo dopo ti rinchiudi in un iceberg.
E il mondo ha bisogno di un pacificatore, non di un giustiziere. E lui aveva scelto: preferirebbe morire piuttosto che eliminare. Era pronto, sentiva scorrere nel suo respiro la potenza della cometa. Avrebbe dovuto usare quella stessa cometa come risposta a un regno di terrore durato 100 anni. Il che significa combattere il male con il male.

Aang tremò di rabbia, hanno sterminato la mia gente. Ma a questo dibattito interiore aveva già la risposta carica: se lo uccido non ci sarà più traccia della mia gente. Tramava vendetta? Servava rancore? Ma a chi? A Sozine? Verso Ozai? Zuko? Zuko che lo ha inseguito per un mondo intero al solo scopo di fargli da premio dinanzi al paparino? Zuko, lo stesso Spirito Blu che lo ha salvato da Zhao solo per poterlo imprigionare per primo? Zuko che ha fatto sacrifici, ha affrontato fulmini dalle traiettorie impossibili. Zuko, che si è sacrificato e ha mandato e poi ha sconfitto l'uomo combustione. Ecco, Zuko era esattamente il risultato di una scelta.

E di chi era la colpa per cui oggi doveva privare Ozai di questa?

Sua. Per questo quando arrivò il fulmine Aang non si mostrò interessato a reindirizzarlo. Almeno non verso l'ex Signore del Fuoco. Aang aveva un piano. Il dominio. Dissipare il dominio sarà addirittura peggio della morte perché annulli l'essenza del dominatore. Aang era sicuro. Non avrebbe esitato.

E non aveva calcolato delle implicazioni. Le implicazioni ci sono, esistono e devono essere conteggiate, posizionate per gravità e non per ordine alfabetico. Ma nella sua esperienza da Avatar, calcolare non è importante quando possiedi un Sokka nella Gaang, anche contro un'Azula dalla fiamma blu, Sokka è sottilmente superiore poiché programma, affine con l'intelligenza e nessuno può batterlo in astuzia.

Ed Aang non aveva compreso quale forza prevedesse per togliere via il Dominio. Necessitava concentrazione, respiri profondi e resistenza. Una lotta fra due persone incompatibili, di spiriti discrepanti, uno di rabbia e oppressione, l'altro di libertà e flessibilità. Anche con tutto il potere del mondo, rimani sempre debole. Aang aveva perso contro sentimenti opposti ai suoi, d'un tratto il suo stesso corpo ribolliva del mancato odio, di invidia e invidia per del profumato tè, gelosia per un grado superiore e un senso di insana ambizione. L'odio gli stava trapassato la pelle, ferendola, sempre più a fondo e a fondo arrivando a contaminare il suo Io e strati profondi del suo Dominio. La sporcizia lo stava pugnalando. E Debole era la parola che risuonava nella mente. Debole era il suo battito. Deboli erano i suoi movimenti e pensieri. Il Potere era qualcosa che al momento avvertiva di fronte a sé e lo agonava, ma era troppo stanco per alzarsi, troppo stanco per avvicinarsi e catturarlo e tenerlo tutto per sé. 
Avatar Aang aveva perso e, così, anche il mondo.

 





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