Era già passata un'ora da quando avevo iniziato la colazione
eppure la mia tazza da latte era ancora piena e sommersa dai corn
flakes ormai informi e appiccicosi.
Infilai svogliatamente il cucchiaio in quella che ormai sembrava una
brodaglia schifosa mentre il mio sguardo si perdeva altrove, al di la
della vetrata che fungeva da parete del salotto.
Lo spettacolo era sempre il medesimo: alberi, pioggia e ogni tanto un
bambino idiota con il suo impermeabile giallo canarino saltare nelle
pozzanghere.
L'idiota per essere precisi aveva pure un nome, Mathias, ed era il mio
"adorato" fratello minore di dieci anni.
"Pioggia, sempre e solo pioggia..." sbuffai alzandomi e buttando la mia
colazione giù per il lavello della cucina.
Dopo tutti quegli anni non capivo perchè mia madre si
ostinasse ancora a comprare i corn flakes.
Avevo cercato di farglielo capire in tutti mi modi possibili e
immaginabili ma a quanto pare le parole di una figlia non sono
nient'altro che un agglomerato di lettere buttate li per il puro
piacere di aprire la bocca...
Diedi un'ultima occhiata alla vetrata e mi diressi verso il divano.
Nonostante la pioggia incessante no, non era autunno, era pieno Agosto
e mi trovavo chiusa in quella maledetta casa in una cittadina di cui
non mi ero nemmeno premurata di conoscere il nome, lontana dai miei
amici e dal clima tropicale a cui ero abituata.
Invece che sul quell'orrido divano dal motivo geometrico e dai colori
accessi, chiara testimonianza del pessimo gusto in fatto di
arredemaneto di mia madre, avrei potuto essere sulla mia tavola da surf
alla ricerca dell'onda perfetta.
Ben presto le mie fantasie sportive vennero interrotte dall'ennesima
prova che ero lontana da casa e la stanza fu invasa da un freddo
pungente: si era nuovamente rotta la caldaia.
No, non era una semplice vacanza in montagna da dimenticare, era la
scenografia fissa del mio nuovo incubo, la colonna sonora della mia
nuova vita. Ci eravamo trasferiti. La famiglia Branden al completo si
era trasferita: Philp Branden, eccentrico veterinario che non voleva
animali in casa, Margaret Branden, casalinga fissata con i lavori ad
uncinetto, Mathias, bimbo-scimmia di dieci anni convinto di essere un
ninja come Naruto e me, Sunny, diciassette anni, single e disperata.
Ora analizziamo attentamente le informazioni che ho dato su di me...
Sunny: nome abbastanza ironico per una costratta a vivere in un posto
dove piove sempre;
17 anni: numero ritenuto sfortunato sin dai tempi dell'antica
Roma;
Single: maschi? Specie ostile proveniente da un altro pianeta;
Disperata: ero stata sdradicata dal mio mondo senza alcun preavviso
solo una settimana prima.
Arrivare alla mia camera fu un'impresa: dopo aver trovato la forza
necessaria per staccare il mio fondoschiena dal divano, dovetti
affrontare un mare di scatoloni ammucchiati qua e la in giro per la
casa, una rampa di scale che non sembrava finire più e il
corridoio disseminato dei giocattoli di mio fratello.
Come Ulisse che dopo vent'anni giunse alla sua amata Itaca, io riuscii ad
arrivare alla mia stanza, oasi felice e ultimo baluardo di difesa da
quel territorio ostile.
Mi diressi verso l'armadio in cerca di qualcosa di comodo e caldo da
mettermi.
Mi tolsi il pigiama rimanendo a fissare nella specchiera il mio fisico
asciutto e abbronzato alterato dalla pelle d'oca.
Avevo appena finito di infilarmi un maglione caldo a motivi floreali
che sentii suonare il campanello.
Mi precipitai giù per le scale e aprii la porta pronta ad
urlare di tutto e di più convinta che fosse mio padre,
tornato dopo ore da chissà dove.
Ma il fiato mi morì in gola.
Li, di fronte a me stava il ragazzo più bello che avessi mai
visto, alto almeno quindici centimetri più di me, fisico da nuotatore, capelli
scuri e occhi di un azzurro chiarissimo.
E mi fissava.
No, un momento, non fissava me, stava guardando in basso.
"Oh-mio-dio..." dissi imbarazzatissima.
Ero in mutande, ma non in mutande qualsiasi, quelle rosa con le
paperelle disegnate sul davanti che mi aveva regalato la nonna.
In quel preciso istante avrei voluto morire per auto-combustione.
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