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Storia partecipante al contest “Old generation VS Contemporary
generation VS New generation” indetto da Zukiworld sul forum di
EFP.
Questa
storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum
Ferisce più la penna.
Capitolo
chiuso
“Quando si subisce un grave torto,
la vera soddisfazione la si può trovare in una di queste due azioni:
nel perdono incondizionato o nella spietata vendetta.
E questa non è una storia di perdono.”
Revenge
Victoire
stende le labbra in un sorriso stanco mentre finisce di incartare il
pacchetto, aggiungendoci anche un fiocco dorato. Non è stato
facile procurarsi quei biglietti per la finale della Coppa del Mondo di
Quidditch, che si terrà tra una manciata di giorni in Scozia, ma
sono il regalo perfetto per il compleanno di zio Harry.
Alle sue spalle, il cigolio di una porta e dei passi attirano il suo
sguardo. Teddy, con addosso solo dei pantaloni della tuta e un
asciugamano per frizionarsi i capelli bagnati, sbatte un paio di volte
le palpebre quando la nota seduta sul pavimento del soggiorno tra un
mare di carte regalo dai colori vivaci e nastrini vari, e assume la sua
solita espressione tenebrosamente insofferente.
«Quella fantasia è rivoltante» sentenzia implacabile, facendo un cenno al pacchetto che lei ha tra le mani.
«Io credo che zio Harry l'adorerà» la difende
distratta, troppo concentrata nel seguire la traiettoria di una
gocciolina d'acqua che dai capelli scuri è scivolata lenta e
invitante sul viso, poi sulla clavicola, curvando sui pettorali fino
all'addome, per svanire oltre l'orlo dei pantaloni. Il lato positivo
dell'Accademia Auror, è che Teddy ha messo su un fisico niente
male.
«Tsé» replica lui sprezzate, sedendosi sul divano.
Trattenendo un sorrisetto, Victoire gli si avvicina fino a sedersi a cavalcioni su di lui, coinvolgendolo in un bacio che vorrebbe essere appassionato.
Teddy ricambia ma è chiaro che ha la mente altrove. Quando si
allontana dal suo viso, Victoire gli sfiora con la punta dei
polpastrelli le ombre violacee sotto gli occhi gialli. Si lascia
sfuggire un sospiro sconsolato.
Da quando è tornato dall'ultima missione, quattro giorni prima,
Teddy non è riuscito a passare una sola notte tranquilla. Si
agita nel sonno, mormorando parole incomprensibili e svegliandosi
più volte di soprassalto, per poi allontanarsi alla svelta dal
letto.
La prima notte, quando ancora non aveva realizzato, Victoire lo aveva
seguito in bagno ancora intontita dal sonno. Si era svegliata
all'istante quando lo aveva visto piegato sul lavandino, i capelli di
un bianco cadaverico, la schiena fradicia e il respiro spezzato e
irregolare.
«Teddy» lo aveva chiamato piano, timorosa.
Lui si era voltato di scatto, sorpreso dalla sua presenza e incapace di
nascondersi dietro il solito muro indecifrabile. Aveva davvero fatto
fatica a credere a quello che aveva sotto gli occhi: Teddy era di un
pallore malsano, i lineamenti trasfigurati dalla paura e gli occhi
gialli sbarrati e febbricitanti.
«Cosa» aveva tentato di biascicare, la voce talmente debole
e spezzata da non sembrare nemmeno la sua. Aveva abbassato le palpebre
per cercare di scacciare il tremore che sembrava torturargli le membra
e fatto dei respiri profondi. Quando era tornato a guardarla,
più padrone di se stesso, il lampo di fastidio baluginato nei
suoi occhi gialli era quasi riuscito a nascondere il terrore di poco
prima. «Cosa ci fai ancora in piedi?»
«Ti ho sentito alzarti» era stata la risposta preoccupata
di Victoire. Si era avvicinata di un passo, ma si era bloccata quando
lo aveva visto scattare all'indietro, picchiando il fondoschiena contro
il lavandino. «Che cosa ti succede?»
Lui l'aveva guardata in silenzio e Victoire avrebbe tanto voluto
intimargli di lasciarsi andare, parlare, spiegarle, perché il
suo comportamento la stava spaventando a morte.
«Niente» l'aveva liquidata lui, il tono sempre piatto e
impersonale. I capelli avevano fatto fatica a tornare neri.
«Torniamo a letto».
Si erano sdraiati di nuovo, vicini. Victoire lo aveva abbracciato
stretto, nascondendo il viso contro la schiena dell'altro. Lui non si
era mosso, non aveva cercato conforto, aveva preferito lasciarsi
annegare in quella silenziosa agonia.
Sono passati quattro giorni da allora. Quattro lunghissimi e affilati
giorni che straziano la mente del suo ragazzo, torturandolo nel sonno e
rendendo i suoi occhi vuoti, spenti, distanti. Victoire vorrebbe sapere
cosa fare per farlo stare meglio, per riavere indietro Teddy, vorrebbe
stringerlo fino a soffocare tutto quell'orrore ma lui rifugge da
qualsiasi contatto – scappa da lei. Lo
vede consumarsi lentamente, il cuore che le sanguina nel petto,
impotente. Perché una cosa l'ha sempre saputa: Teddy è il
peggior nemico di se stesso. Non può salvarlo se lui si ostina
ad innalzare un muro tra loro.
«A cosa devo questo piacevole silenzio?» la voce gelida di Teddy la riporta al presente.
Victoire sbatte le palpebre, allontanando gli strascichi di quelle
ombre malinconiche, e lo guarda dritto in faccia. Ha la fronte
aggrottata con l'irritazione di chi scopre qualcuno a ficcanasare nella
sua vita.
«Pensavo» sussurra mesta.
«Che straordinaria novità» ironizza lui con spregio, gettando di lato l'asciugamano.
Lei serra la mascella, scoccandogli un'occhiata furiosa.
«Evita di fare lo stronzo» gli intima piccata,
allontanandosi. Non fa nemmeno in tempo a prendere lo slancio per
alzarsi che le mani di lui le bloccano i fianchi, costringendola a
rimanere dov'è.
«Perché non evitiamo questo patetico teatrino e lo chiedi
e basta?» domanda velenoso, con il tono di chi sta facendo una
grande concessione.
Victoire si morde la lingua per reprimere il vaffanculo che minaccia di sfuggirle dalle labbra.
«Mi risponderesti sinceramente?» si limita a ribattere, stanca e dolente.
Lui respira rumorosamente. Volta il capo a destra e sembra esitare per una manciata di istanti, quasi timoroso.
«Tanto lo scopriresti comunque tra qualche giorno dal
Profeta» considera asciutto, posando su di lei uno sguardo carico
di fastidio. «Antonin Dolohov e Fenrir Greyback sono morti».
Victoire spalanca gli occhi, allibita. «Che cosa?»
«Sicuro di non volerne un'altra?» chiede Lugh Lewis, il collega irlandese, alzando il boccale di birra ormai vuoto.
Teddy scuote il capo, stremato. La missione internazionale tra
l'Ufficio Auror inglese e quello irlandese è terminata da un
paio d'ore e Lewis ha voluto a tutti i costi trascinarlo nel primo pub
disponibile per festeggiare. Non sa esattamente come è finito in
un pub Babbano di una sperduta cittadina tra i monti Wicklow, in
Irlanda, a bere birra scura e pesante appoggiato a un bancone di legno
appiccicoso. Al momento vorrebbe solo perdere i sensi sul primo letto
disponibile, in attesa della Passaporta che lo riporterà in
Inghilterra l'indomani.
«Voi inglesi» lo provoca l'altro con un sorriso storto e
beffardo. «Troppo tè nelle vene. Non siete capaci di
reggere più di una birra».
Teddy lo ignora – è troppo stanco persino per massacrarlo
verbalmente. Si limita ad appoggiare un paio di monete sul bancone e ad
attirare l'attenzione del barista.
«Ti aspetto in camera» dice scostante, allontanandosi.
«Potrebbe essere un'attesa molto lunga» ribatte Lewis, ammiccando in direzione di un paio di ragazze ridacchianti.
Avanza nel locale affollato, dribblando gente troppo alticcia che agita
scompostamente boccali mezzi pieni. È quasi arrivato alla porta
quando urta con la spalla un tizio che si stava dando a sua volta alla
fuga.
«Guarda dove vai, ragazzo» lo apostrofa rauco e sprezzante, degnandolo a malapena di un'occhiata.
La porta si richiude e la campanella posta sopra tintinna.
Teddy è fermo lì davanti, sordo al cicaleccio degli
avventori, mentre un brivido di puro panico continua a serpeggiargli
tra le viscere. È un miracolo che sia riuscito ad evitare che i
capelli sbiancassero sul colpo, anche se stanno ancora sfarfallando dal
nero al grigio chiaro ogni due secondi. Non se ne accorge nemmeno
perché davanti agli occhi ha ancora il viso di quel tizio.
Quando aveva otto anni, si è imbattuto per caso in una sua foto
tra i documenti di Harry. Alla richiesta di chi fosse, suo zio aveva
sospirato indeciso prima di metterselo sulle ginocchia e parlare. Aveva
tralasciato molti dettagli, preferendo fornirgli una versione meno
cruenta della realtà.
«Ehi, Lupin» la voce di Lewis giunge da lontano. «Ti
si è bruciato il cervello?» chiede apprensivo, toccandogli
con cautela la spalla.
Teddy non dice nulla, nemmeno volge lo sguardo nella sua direzione.
Continua a fissare ossessivamente con occhi spiritati la porta oltre la
quale Fenrir Greyback è sparito.
«Dovremmo aspettare i rinforzi» bisbiglia per la terza volta Lewis vicino al suo orecchio.
Sì, così scompare per un'altra ventina d'anni, vorrebbe rispondergli Teddy, gli occhi incollati alla catapecchia nella quale Greyback è entrato.
Dopo essere tornato in sé – riprenditi amico, mi stai facendo preoccupare ha
detto Lewis davanti alla sua cocciuta immobilità -, è
corso in strada e ha intravisto la sagoma del Lupo Mannaro dirigersi
verso i confini della città. Si è fermato solo il tempo
necessario per permettere all'altro di lanciare un Patronus lontano
dagli occhi dei Babbani per chiamare i rinforzi, poi ha sfruttato i
suoi poteri di Animagus per assumere l'aspetto di un lupo e seguirlo da
solo all'interno del bosco. Ha fatto attenzione a tenersi a distanza e sottovento, così che l'altro non potesse percepire il suo odore.
Greyback, però, si è voltato nella sua direzione una
volta e Teddy sa bene che quel maledetto non ha bisogno della luna
piena per beneficiare di un olfatto e una vista più sviluppati.
Lewis lo ha raggiunto pochi minuti dopo, seguendo le tracce che gli
aveva lasciato. Si sono nascosti tra le fronde degli alberi, a una
quindicina di metri da quella stramberga fatiscente, in attesa.
«Sono in due» osserva Teddy, gli occhi puntati su una
finestrella lurida da cui si intravede una sagoma. È troppo
magra e alta per essere Greyback, sentenzia con fredda lucidità.
«Meraviglioso» borbotta Lewis tutt'altro che entusiasta, allungando appena il collo dal suo riparo.
«Avviciniamoci» stabilisce fermo, estraendo la bacchetta
dalla fodera nascosta nei pantaloni. La mano di Lewis gli afferra la
spalla, strattonandolo indietro. «Cosa?» domanda
insofferente, scrollandosela di dosso.
Lewis lo guarda con gli occhi sgranati dalla paura dei suoi trentasei anni.
«Scherzi, vero? Quello è Fenrir Greyback, amico. Hai idea di quanta gente abbia ammazzato o morso?»
«Credimi, lo so meglio di te» scandisce aspro, sentendo la
collera divampare nel petto e infiammargli le vene. «Se hai
paura, resta qua. Non ho bisogno del tuo aiuto» afferma crudele e
implacabile, stroncando sul nascere un'altra protesta e dirigendosi
verso la catapecchia.
«È stata una pazzia. Una pazzia» squittisce una voce tremante e impaurita.
Greyback scoppia in una risata simile a un latrato.
«Guardati Dolohov! E tu saresti stato un Mangiamorte?» ritorce, deliziato dal terrore dell'altro.
«Massacrare un'intera famiglia» continua Dolohov,
febbrilmente. «Tutta quella violenza... le urla di quei genitori
mentre ti nutrivi e li seviziavi e... i bambini... Salazar, gli hai
fatti annegare nel loro sangue!»
«È la luna piena, dolcezza. Mi dà alla testa».
«Avranno già mandato gli Auror ad indagare. Ci troveranno. Ci troveranno e ci rimanderanno ad Azkaban».
«Mi stai annoiando Dolohov» lo avverte Greyback con blanda
minaccia. «È successo a miglia da qui. Ce ne andremo prima
ancora che penseranno di pattugliare questa zona».
Teddy si scambia un cenno d'intesa con Lewis, avvicinandosi di
soppiatto alla porta di legno. Attento a non fare rumore, si accosta
alle assi storte e rovinate per guardare all'interno.
Accasciato su una sedia, in mezzo ad un labirinto di mobili, i capelli
stopposi e grigi stretti tra le mani, c'è Dolohov. Sta
piagnucolando, balbettando qualche parola sconnessa. Teddy distorce il
viso in una smorfia di disgusto, prima di spostare lo sguardo
sull'altro ricercato. Greyback gli dà la schiena, troppo
impegnato a contemplare il fuoco del camino.
Vederlo lì a pochi centimetri da lui, sapere quello che ha fatto... Teddy serra le dita intorno alla bacchetta, mentre la voce di sua nonna inonda prepotentemente le sue orecchie.
«Gli ha rovinato la vita. Remus non ha mai accettato la sua condizione».
Stringe gli occhi e arriccia le labbra, mostrando i denti. È
così vicino dal fargliela pagare, dall'ottenere la vendetta che
suo padre non ha avuto la possibilità di attuare. Pregusta
già le sue urla quando leverà la bacchetta, mentre tutto
il dolore e la solitudine che ha patito sin da bambino si trasforma in
una accecante furia.
In fondo, Teddy lo ha sempre saputo: lui non è Harry, non sarà altrettanto magnanimo con i suoi nemici.
Un venticello si solleva dal bosco, scompigliandogli i capelli scuri e
insinuandosi tra le fessura delle porta. Greyback drizza la schiena,
immobilizzandosi e annusando l'aria.
«Abbiamo compagnia» constata con un ghigno affilato e Teddy irrigidisce la mascella furioso.
Dolohov fa appena in tempo ad alzarsi dalla sedia e sguainare la
bacchetta prima che la porta venga scardinata da un incantesimo. Teddy
si precipita nella stanza, ignorando l'insulto di Lewis.
«Auror» indovina Dolohov, allarmato.
«Giù la bacchetta e mani ben in vista» scandisce secco Lewis, tenendo sotto tiro il mago.
Greyback ridacchia, passando la lingua sui denti appuntiti.
«Hai sentito Dolohov? Giù la bacchetta» ripete strafottente, prima di scattare di lato.
L'incantesimo non verbale di Teddy sibila vicino al suo orecchio. Lewis
si distrae un attimo, quanto basta per essere ferito al fianco da un
fiotto di luce. Dolohov alza di nuovo la bacchetta e Teddy lo sente
chiaramente iniziare a sibilare un Avada Kedavra, e agisce d'istinto: un Reducto e la lampada sulla mensola del camino esplode, ferendo il volto del Mangiamorte con le schegge di vetro.
«Grazie Lupin» borbotta Lewis, la mano sul fianco.
Teddy lo guarda per un secondo, ma è abbastanza per accorgersi
all'ultimo dell'ombra che salta verso di lui. L'incantesimo scudo gli
sfugge dalle labbra per riflesso, proteggendolo dietro una luce
azzurrina, ma con orrore si rende conto che non era lui il vero
obiettivo. Greyback lo supera ridendo, avventandosi alla gola di Lewis,
affondando i denti con un gorgoglio di pura soddisfazione.
Vede gli occhi del collega ruotare all'indietro e il suo corpo
afflosciarsi a terra, scomposto, mentre il Lupo Mannaro si pulisce le
labbra dal sangue, leccandosi le dita.
«Così dolce» sussurra famelico. «Il tuo com'è, ragazzo?»
Teddy si irrigidisce e poi viene sbalzato contro la parete. Il colpo
gli comprime i polmoni, svuotandoli dall'ossigeno, e gli fa
scricchiolare le ossa. Un gemito gli sfugge dai denti e socchiude gli
occhi per il dolore, maledicendosi mentalmente per aver dimenticato
Dolohov.
«Greyback aiutami»
strilla questo, le mani al viso, dove frammenti di vetro si sono
infilati nella carne. Uno, osserva Teddy, gli ha trapassato l'occhio
sinistro, facendogli lacrimare sangue.
«Subito» risponde Greyback, il tono quasi carezzevole.
Si avvicina a lui a grandi passi. Il Mangiamorte continua a gemere, il
busto piegato in avanti, fino a quando non gli viene spezzato il collo
con un movimento secco.
«Fine dei problemi» proclama Greyback con un sorriso appagato e feroce, lasciando andare il cadavere.
Teddy, che nel frattempo si è faticosamente rialzato in piedi,
porta la bacchetta di fronte a sé. È solo questione di
tempo prima che Greyback tornerà a concentrarsi su di lui, lo sa.
Infatti, il Lupo si volta nella sua direzione. Sta per avvicinarsi
quando corruga le sopracciglia, scrutandolo meditabondo e piegando la
testa di lato. Poi un lampo di consapevolezza gli attraversa le iridi e
riprende a sorridere, picchiettandosi un dito contro la punta del naso.
«Ma certo» sogghigna divertito. «Il lupacchiotto con
gli occhi gialli del bosco. Strano che non abbia fatto caso prima al
tuo odore. Un odore, che a ben pensarci, mi ricorda qualcuno. Ma lui
è morto da tempo. In effetti, ci ha pensato Dolohov a toglierlo
di mezzo» dice soprappensiero, dando un colpetto con la scarpa al
corpo privo di vita del compagno. «Lupin, eh? Quindi sei qui per
punirmi per quello che ho fatto al tuo vecchio» deduce mordace e
divertito. «Va bene, ragazzo, allora giochiamo».
Teddy muove la bacchetta con un momento di ritardo. Greyback svanisce
dietro una libreria sbilenca con un unico movimento rapido e fluido,
schivando l'incantesimo. Sente il rumore del vetro della finestra,
quella nascosta da tutti quei mobili, infrangersi e può
immaginare il motivo: quel bastardo vuole spostarsi in un terreno
più vantaggioso, come il bosco. Lì può nascondersi
tra gli alberi, non è costretto ad affrontarlo in uno spazio
ristretto e può approfittare del buio.
A fatica e dopo aver soffocato un'imprecazione, marcia verso la porta.
D'accordo, se quello è l'unico modo per mettere fine alla
questione, che si giochi sul campo di battaglia che ha scelto.
Il bosco è silenzioso e immerso nell'oscurità, se non
fosse per i deboli raggi della luna che filtrano oltre le nuvole. Teddy
tende le orecchie, pronto ad individuare anche il più piccolo
rumore. Un tramestio di rami mossi e di passi attira il suo sguardo e
un fiotto di luce rossa illumina per un istante quella porzione di
terreno, mostrando il... nulla.
Lo capisce troppo tardi di essere caduto in una trappola. Fa appena in
tempo a vederlo con la coda dell'occhio e a nulla serve tentare di
difendersi: Greyback gli salta addosso con ferocia, spingendolo contro
il tronco di un albero. La testa di Teddy cozza violentemente contro la
corteccia, stordendolo, e la bacchetta gli scivola tra le dita.
«Che cosa speravi di fare, ragazzo?» domanda con scherno,
bloccandolo in una presa dolorosa mentre una zaffata di sudore e sangue
giunge alle narici di Teddy. «Ho steso tuo padre nel '79. E lui
era più lupo di te».
Le unghie dell'altro affondano nella carne delle braccia, strappandogli
un lamento. Teddy si dibatte, ignorando il terrore gelido che gli
scivola addosso e il cuore che martella furioso nelle tempie. Si
immobilizza solo quando sente il respiro di Greyback sulla pelle,
all'altezza della giugulare.
«Sì, deve essere davvero dolce» constata con una
voce talmente morbida da provocandogli un brivido di puro panico.
Si irrigidisce con naturalezza, pronto a sentire i denti di Greyback
marchiare la sua carne da un momento all'altro. Sa che quello è
il suo modus operandi: ferire, sfigurare, far sanguinare l'avversario.
Invece viene scaraventato ad un paio di metri di distanza, picchiando
il gomito e le costole contro qualche sasso sul terreno.
«Non ti donerò una morte indolore. Ho intenzione di
divertirmi per bene. Poi passerò alla tua donna. Ha un profumo
così buono, così... appetitoso.
È un peccato che non potrai fare nulla quando griderà il
tuo nome» sogghigna, grattandosi il mento. «Puoi
supplicarmi. Adoro quando lo fanno».
La mano sinistra di Teddy scivola lungo il pantalone della divisa fino
ad arrivare all'anfibio, le dita che si chiudono sul manico della
bacchetta che si trova all'interno. Sa che non è una procedura
standard averne una di scorta ma Harry gli ha fatto promettere di
portarne sempre un'altra con sé. Per sicurezza, aveva aggiunto impacciato.
Così quando Greyback si avvicina a lui con l'aria di chi sa di
avere la vittoria in pugno, la bacchetta di Remus colpisce il suo
petto, squarciandoglielo e inondandogli i vestiti di rosso. Greyback
barcolla, la bocca spalancata per lo stupore, prima di accasciarsi
tossendo spasmodicamente.
Contro i nemici, così aveva ricordato
Harry, tanto tempo prima, quando gli aveva raccontato di
quell'incantesimo che aveva usato ad Hogwarts. E contro chi usarlo se
con il nemico numero uno, nel momento in cui l'aveva a portata di
bacchetta?
Teddy si punta la bacchetta addosso, mormorando l'incantesimo di cura e
stringendo i denti quando avverte una sensazione dolorosa sulla pelle.
Si alza con fatica, massaggiandosi il gomito, e ignorando il disgusto
che gli sale allo stomaco all'odore di tutto quel sangue.
Greyback è steso sulla schiena, tremante, il torace che si alza
lentamente. Sbatte le palpebre in continuazione, la paura che guadagna
sempre più terreno nel suo sguardo e viso, e un rantolio di
agonia riesce a sfuggire da quella bocca sommersa di sangue.
«Ai.. uta...mi».
Teddy inarca un sopracciglio, piegando la testa di lato e rimane fermo a guardarlo.
Sì, avevi ragione, pensa, non sarà indolore.
Victoire boccheggia, incapace di articolare alcun pensiero.
È pietrificata dalla confessione che ha ascoltato con
inquietante orrore. Teddy ha parlato con lentezza, la voce
inespressiva, come se fosse qualcosa di poca importanza. Non prova il
benché minimo rimorso, realizza Victoire, sforzandosi di
sostenere lo guardo che le ha puntato addosso per tutto il tempo per
cogliere anche la sua più piccola reazione.
«Cosa si prova ad amare un mostro?»
Sussulta quando quella voce gelida le giunge alle orecchie.
«Non sei divertente» stabilisce brusca, alzandosi per il bisogno di prendere aria. Teddy non ci prova nemmeno a fermarla. «Zio Harry lo sa?» chiede ansiosa, camminando per il soggiorno e tormentandosi i capelli biondi.
Teddy scrolla le spalle, ma non smette di guardarla.
«Sa quello che ho scritto nel rapporto. Il resto lo avrà intuito» dice apatico e distante.
Victoire si gira di colpo, marciando aggressiva. Stringe i pugni lungo i fianchi per evitare di tirarlo a lui, un pugno.
«Perché?» sbotta spazientita. No, non ha nessuna
voglia di lambiccarsi il cervello per scoprire quale assurda
motivazione ha spinto Teddy ad agire così. Per una volta non ha
affatto voglia di sforzarsi ad entrare in quella testa. «Andava tutto bene, stavamo bene. Perché diavolo devi sempre rovinare tutto?» chiede impetuosa.
Teddy spalanca gli occhi e contorce il viso in un'espressione fosca e
oltraggiata, scattando in piedi in un movimento talmente rapido da
farla spaventare.
«Hai anche bisogno che ti dica il perché?» ringhia
lui ostile, fronteggiandola. I capelli iniziano a virare sul rosso
sulle radice, segno che si sta innervosendo. «Ha maledetto mio padre, Dolohov me lo ha portato via.Che cosa avrei dovuto fare?»
Perdonare, pensa con semplicità Victoire. Dimenticare. Tutto pur di lasciarti alle spalle i tuoi demoni. Ma,
in fondo, lo ha sempre saputo: Teddy è incapace di voltare
pagine con il passato. Se c'è da scegliere tra sofferenza e
amore, sceglierà sempre la prima perché, quando si
è abituati ad essere paragonati con compatimento a chi dalla
guerra non è sopravvissuto e a crogiolarsi nella propria
solitudine, è difficile credere che possa esistere qualcosa di
bello e luminoso come l'amore.
«Quello che io, Andromedia, zio Harry... quello che i tuoi genitori vorrebbero per te: andare avanti» afferma, sforzandosi di controllare la voce affinché risulti ferma e decisa.
Gli volta le spalle, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare per
evitare di lasciarsi scappare un singhiozzo. Godric, gli ormoni in
circolo la rendono una tale piattola!
È umiliante rendersi conto che nonostante tutti gli anni,
l'impegno, l'amore, non è riuscita a colmare quella voragine di
dolore su cui Teddy è costantemente in bilico.
«Piangi?»
azzarda lui, più morbido. Lo sente prendere un profondo respiro,
probabilmente per scacciare l'imbarazzo e l'irritazione di vederla in
quello stato.
«Io non ti basto, vero?» bisbiglia Victoire tremante. Si
gira a guardarlo e le lacrime vengono sostituite dalla collera e il
risentimento. «Non
importa cosa farò, non sarà mai abbastanza per strapparti
da quel dolore nel quale tu insisti nell'affogare. Probabilmente non lo
fai manco apposta, perché sei matto da legare, ma dimmi:
è davvero così che vuoi passare il resto della vita? I
tuoi genitori sono morti per poterti dare un futuro migliore e tu mandi
costantemente al diavolo il loro sacrificio» sbraita irata, pungolandogli il petto con un dito accusatore.
«È proprio per questo l'ho fatto» afferma lui secco, bloccandole il polso. «Ho chiuso il cerchio. È finita. Posso andare oltre».
«Finché non arriverà qualcun altro che ti sentirai in dovere di punire» ribatte Victoire amareggiata, scuotendo la testa.
«Non dirmi che sei dispiaciuta per Greyback» insinua Teddy, spietato, corrugando le sopracciglia. «Si meritava di peggio».
«Non è per lui che sono dispiaciuta! Guarda lo stato in cui ti sei ridotto. Non riesci nemmeno a dormire»
spiega con foga Victoire, agitandosi per liberarsi dalla sua presa.
Sbuffa e capitola quando comprende che è tutta fatica sprecata.
Teddy la fissa per qualche secondo inespressivo, prima di scostare lo sguardo con quello che pare genuino disagio.
«Se non dormo è perché ripenso a quello che ha fatto a Lewis» borbotta esasperato. «E a quello che avrebbe potuto fare a te».
Victoire apre e richiude la bocca completamente
disorientata. Le sembra di comprenderlo davvero solo ora: a differenza
di quanto dica, Teddy è terrorizzato; non solo per la morte
dell'assassino di Remus, ma soprattutto per le conseguenze. Ha capito
di aver superato il limite, di rischiare di perdere tutto: reputazione,
lavoro, lei.
Ingoia un malloppo d'aria, ignorando la vocina che nella sua mente le
grida che sta per commettere un errore. Sì, probabilmente ha
ragione, questo sarà il peggior sbaglio della sua vita.
«Tienimi ancora una volta a distanza» inizia grave,
guardandolo con decisione. «E ti giuro che non ti starò
nemmeno ad ascoltare».
Teddy si acciglia, con sfida.
«E racconterai tutto a zio Harry» continua inesorabile,
ignorandolo. «Probabilmente non ci saranno conseguenze dato che
su Greyback pendeva l'ordine di catturarlo vivo o morto. Però
non ti permetterò di rovinare il tuo rapporto con lo zio per via
di questa... sciocchezza»
è abominevole solo definirla così. Spera che il tempo sia
clemente con loro, dando a Teddy la possibilità di pentirsi e a
lei la forza di sostenerlo.
«D'accordo» cede lui, spazientito. «Altro?»
Victoire si morde le labbra, indecisa, ma poi sorride.
«Direi proprio di sì» mormora impacciata, portandosi una mano sul ventre.
Teddy spalanca gli occhi, pietrificato. I capelli sono di un imbarazzante giallo canarino.
«Sei...» tenta faticosamente.
Victoire annuisce, prendendogli la mano, incoraggiante.
Lui continua a fissarla allucinato, lo sguardo improvvisamente vitreo.
Sbatte di continuo le palpebre, prende più volte dei profondi
respiri e infine si inumidisce le labbra. Questo, in dieci minuti
abbondanti.
«E il padre sarei io?» azzarda smarrito.
La risata sgorga incontrollabile da Victoire, limpida ed entusiasta.
Teddy rimane fermo e imperscrutabile per qualche secondo, poi allunga
una mano e le accarezza il ventre piano, incerto. E sorride. È
un sorriso minuscolo che piano piano si fa strada sul suo volto smunto,
cancellando tutte quelle ombre e quell'inquietudine, e che contagia gli
occhi, rendendoli straordinariamente vivi.
La bacia di slancio, con ancora quel sorriso sulle labbra, mentre le
mani scivolano smaniose sul suo corpo. Victoire gli circonda il collo
con le braccia, per reggersi e per attirarlo ancor di più a
sé, e schiude la bocca. La stordisce il modo in cui Teddy riesca
sempre a farsi strada in lei, insinuandosi sotto pelle e mandando al diavolo la sua ragione.
Lui la spinge verso la camera da letto, staccandosi solo una volta per
osservare la sua espressione con lieve esitazione, e Victoire gli
sorride radiosa, riprendendo a baciarlo e ignorando quella vocina che
le ricorda che mancano solo una paio d'ore alla festa di zio Harry.
Rischia quasi di inciampare nei suoi piedi mentre cerca di sfilarsi la
canottiera sbiadita che è solita indossare a casa, provocando un
ghigno beffardo a Teddy, che però svanisce nell'istante in cui
gli ghermisce i pantaloni e li slaccia. Le dita di Victoire scivolano
verso il pube e lui si inarca leggermente, il respiro spezzato, quando
la mano arriva alla sua erezione e l'avvolge.
Cadono all'indietro, sul letto, strappandosi con impeto gli ultimi
indumenti di dosso, senza smettere di baciarsi. Teddy la sovrasta e
Victoire non riesce a trattenere un gemito strozzato, sentendo le
labbra di lui lambirle il collo e le dita spingersi oltre l'ombelico,
fameliche.
«Non è vero che non sei abbastanza» mugugna roco, risalendo verso il suo orecchio e mordendole il lobo. «Tu sei tutto. Lo sei sempre stata, e lo sai».
Ha a malapena il tempo di registrare quelle parole che lui si spinge dentro di lei, annebbiando tutto il resto.
L'unico
suono è quello delle onde che si infrangono contro il Durdle
Door. Teddy lo ascolta distratto, immerso in uno stato di totale
serenità, le dita che sfiorano con movimenti lenti e circolari
la schiena nuda di Victoire.
«A cosa pensi?» sussurra lei, strofinando il viso contro la sua spalla.
«A nulla» risponde, soffiando le parole direttamente contro le sue labbra.
È la verità. È troppo impegnato a godersi la felicità per rovinarla con stupidi drammi.
Sarò
schietta: questa storia non mi convince. Però, mi rendo conto che
nelle mie attuali – e misere – condizioni, è il meglio che
potevo fare. Quindi, ben vengano le critiche.
Andiamo
alla coppia. Ultimamente sono in fissa per la TeddyxVictoire. Lo so,
qui Teddy può sembrare un malato di mente – saranno gli strascichi
del sangue Black – ma non trovo così assurdo credere che la
mancanza dei genitori gli abbia condizionato la vita. Le scelte che
ha fatto chiaramente sono discutibili.
Ho
ripreso da Tonks l'abilità di cambiare il colore dei capelli in base
allo stato d'animo. Sì, essere un metamorfusmagus deve essere una
figata pazzesca, ma ti becchi pure i contro.
Non serve specificare
l'incantesimo usato contro Greyback, vero?
Bene,
direi che posso levare le tende. Anche perché sono molto
imbarazzata.
Alla
prossima,
Blue
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