Un Lupo VegliaTitolo: Un Lupo Veglia
Autore: SignorinaEffe87
Prompt: 89. Febbre (Keywords Challenge; Non Solo Sherlock - Gruppo Eventi Multifandom)
Fandom: Videogiochi > Ghost of Tsushima x Sekiro: Shadows Die Twice Crossover
Genere: Alternate Universe - Yakuza vs Police, One-shot, Slice of Life, Hurt/Comfort
Personaggi: Young Yakuza!Sekiro, Child Protégé!Kuro, Doctor!Emma
“Questo lo aiuterà, almeno per qualche ora”: Emma uscì dalla stanza per gettare la siringa e i guanti.
Lupo la seguì con lo sguardo,
mentre toglieva la pezzuola ormai asciutta dalla fronte di Kuro per
bagnarla di nuovo nella bacinella d’acqua fredda. Era tutto quello che
poteva fare al suo fianco, inutile e devoto come una vecchia massaia,
mentre Kuro mormorava quelli che dovevano essere i nomi dei suoi
genitori nel sonno tormentato dal delirio e annaspava in cerca d’aria,
un naufrago che prova disperatamente a non affondare, in balìa della
tempesta.
Gli posò di nuovo la mano sulla
fronte; aveva dimenticato quante volte lo avesse già fatto, in quella
giornata dalle ore che sembravano lunghe il doppio, da quando Kuro era
svenuto tra le sue braccia, al termine di una battaglia a palle di
neve, in mezzo al cortile della tenuta. Gli sollevò con una carezza i
capelli scuri, appiccicati alla fronte pallida e sudata: durante una
rissa, anni prima, era stato così stupido da stringere le dita attorno
alla canna di una pistola che aveva appena sparato per disarmare un
tirapiedi degli Yarikawa. Emma gli aveva fatto bendaggi umidi per un
mese, e rimproveri almeno per altri due; ora, la fronte di Kuro gli
sembrava scottare più del metallo che gli aveva mangiato la pelle, e
allo stesso modo gli impediva di staccare le dita.
“Non rimproverarti, hai già fatto
tutto il possibile”: ovviamente, non si trattava della voce della sua
coscienza, ma di Emma, di nuovo seduta dalla parte opposta del letto.
Pensandoci bene, non c’era poi molta differenza.
“Sai che non è così” affermò, a bassa voce, il sussurro roco di un lupo che ringhia. Tutto il possibile
sarebbe stato portarlo in ospedale, ma l’ospedale significava estranei
curiosi, domande a cui rispondere e il rischio che i sicari in cerca
dell’ultimo erede del clan Hirata fiutassero le sue tracce per finire
il loro sporco lavoro. Gli Ashina ritenevano di essersi già assunti
rischi sufficienti iscrivendolo a scuola, anche se con un nome falso.
“Arrabbiarsi con me non cambierà le
cose”: Emma aveva un modo particolare di strizzare le palpebre quando
era irritata, così che un solo sguardo colpisse tagliente come la lama
del suo bisturi, “Piuttosto, dobbiamo cercare di fargli mangiare
qualcosa.”
“Come se non ci avessimo già
provato” brontolò, ma, siccome non gli piaceva sentire addosso la
carezza di quella lama silenziosa, si sforzò di sembrare più
conciliante, “Hai visto cosa è successo l’ultima volta.”
Qualche ora prima, avevano cercato
di fargli bere un po’ di zuppa, imboccandolo; il brodo era finito
ovunque, dalle lenzuola ai vestiti ai loro capelli, e Kuro aveva smesso
di contorcersi contro il cuscino solo quando erano usciti per andare a
cambiarsi.
Emma scivolò lungo lo schienale
della sedia, la posizione che aveva imparato da lui per addormentarsi
con tutti gli altri sensi all’erta: “Allora possiamo soltanto
aspettare, anche se tu odi farlo.”
Stava per mettere insieme una
risposta che non fosse il solito ringhio ostile-solo lei e Kuro
valevano questo sforzo da parte sua-, quando Kuro socchiuse le labbra
screpolate per prendere un paio di respiri affannosi, e mormorare, il
pigolio di un uccellino appena uscito dall’uovo: “Chazuke…”
“Hai proprio ragione, Lupo” sorrise
Emma, mentre si alzava come se non avesse una notte insonne a pesarle
su quelle spalle strette, “questo bambino è speciale.”
§§§
“Niente prugne fermentate, le butta
sempre nel mio piatto” la avvertì, senza smettere di tenere sotto
controllo il bollitore del tè.
Emma spostò un paio di scatole dal
ripiano della dispensa, leggendo con aria distratta le etichette:
“Pensavo comunque a qualcosa di più semplice… Il furikake è promosso o
bocciato?”
“Finalmente sei tornata nell’unico
posto che ti compete, bambolina. E ti sei anche portata dietro il
cagnolino da compagnia”: le ultime persone che avrebbe voluto
incontrare mentre cucinava per Kuro insieme a Emma erano i tirapiedi di
Genichiro, e, tra queste, i fratelli Yamauchi erano proprio in cima
alla lista. A ridacchiare come una iena pulciosa era stato Shigenori,
il più vecchio, incapace di fare qualsiasi altra cosa quando non era
circondato dalla banda di motociclisti del giovane Ashina.
“Per te, come per chiunque altro in
questa casa, io sono Emma o, meglio, la dottoressa Emma”: parlava in
tono cordiale, come se stessero discutendo se avrebbe nevicato a Natale
o dei templi meno affollati in cui andare per le preghiere dell’anno
nuovo, e qualsiasi altro yakuza del clan Ashina conosceva abbastanza
bene l’allieva del dottor Dogen da sapere che quello era il primo
segnale per iniziare ad avere i brividi lungo la schiena. Qualsiasi
altro yakuza dotato di un cervello pensante, quindi non i fratelli
Yamauchi: “Oh, dottoressa, non mi sento bene, mi faresti una visitina
in camera da letto, solo io e te?”
Shigenori e Tenzen erano troppo
impegnati a ridere sguaiatamente fra loro per accorgersi che gli occhi
di Emma erano diventati sottili come il filo della katana che gli
Ashina esponevano nel salone della tenuta, e il suo sguardo altrettanto
tagliente: “Ho saputo che vi manderanno a Yokohama per dei negoziati
con i clan locali. Quello è un posto pericoloso, volano pallottole
tutti i giorni, specialmente nella zona del porto. Sarebbe un vero
peccato se il vostro incarico diplomatico finisse sul mio lettino a
farvi tagliuzzare e ricucire dopo una sparatoria.”
“Non una bella esperienza, visto
che l’unico posto che ti compete è la cucina” soggiunse Lupo, in un
tono che avrebbe voluto essere solo ironico, e invece ebbe l’effetto di
innervosire i fratelli Yamauchi come se si fosse messo a giocherellare
con la sicura della pistola: “Andiamocene, fratello, con questi qui le
nostre battute sono sprecate.”
“Volevo soltanto aiutare” brontolò,
nel tentativo di non ritrovarsi quel suo sguardo affilato addosso;
invece, Emma stava sorridendo, e non con la segreta intenzione di
vivisezionarlo per vendere i suoi organi sul mercato nero: “E io volevo
soltanto ringraziarti. Ogni tanto li puoi ritrarre quegli artigli,
Lupo.”
Non fu mai tanto felice di essere interrotto dal fischio di un bollitore caldo.
§§§
Trovarono Kuro sdraiato nella
stessa posizione in cui l’avevano lasciato prima di andare in cucina;
tremava ancora, e la pelle aveva sempre quel pallore da panno
consumato, ma almeno non sembrava più affamato d’aria, né dalla sua
bocca uscivano parole spezzate di un passato che esisteva solo nella
sua mente confusa dalla febbre.
“Aiutami a tenerlo dritto e fermo”
ordinò, dopo aver preso la ciotola di chazuke dalle mani di Emma.
Immerse il cucchiaio nel tè caldo, ci soffiò sopra un paio di volte
perché non scottasse troppo e lo avvicinò alla bocca di Kuro: “Devi
mangiare, se vuoi che la medicina di Emma faccia effetto.”
“Ti abbiamo preparato il chazuke,
il tuo piatto preferito” aggiunse Emma, dopo avergli passato le braccia
sotto le ascelle per non farlo ricadere sul cuscino come una bambola di
pezza. Aveva un tono dolce, rassicurante, da madre, che mai si sarebbe
aspettato da una specializzanda che pagava l’affitto di una clinica
clandestina rattoppando yakuza dopo risse e scontri a fuoco.
Kuro emise un verso da animaletto
in trappola e cercò di affondare di nuovo il volto nel cuscino, ma la
febbre non gli aveva lasciato forze sufficienti per liberarsi dalla
presa di Emma. Lupo vuotò il cucchiaio nella ciotola, mescolò il brodo
e il riso, quindi la avvertì: “Prometti che quello che sto per fare non
uscirà da questa stanza.”
Prima ancora che lei potesse
rispondere, alzò di nuovo il cucchiaio pieno di chazuke e affermò, con
una voce affettuosa che fece fatica a riconoscere come la propria: “I
nemici della Terra sono stati di nuovo sconfitti, grazie al Mashin
Gattai Kiramazin. Il Mashin Jetter è pronto a tornare alla base.”
Non aveva la febbre, ma era
abbastanza sicuro di avere la faccia bollente quanto e più di Kuro, che
comunque socchiuse la bocca un tempo sufficiente perché riuscisse a
cacciarci dentro il cucchiaio. Dall’altra parte del letto, Emma aveva
girato il volto verso la parete, ma il tremito delle sue spalle non
lasciava dubbi sul fatto che stesse cercando di non scoppiare a ridere,
“Era proprio questo che intendevo.”
“Scusami” la sentì sussurrare, in
quella che era chiaramente una risatina soffocata. Nel tentativo di
rimettere insieme i frantumi di ciò che restava del feroce sicario
Lupo, si concentrò sulla ciotola di chazuke e su Kuro, che aveva già
inghiottito almeno due o tre cucchiai di riso e brodo, senza sputarli
fuori e sui loro vestiti.
“Sembra che abbia funzionato”
osservò Emma, indicando la scodella, ormai vuota per metà. In quel
momento, Kuro sbatté piano le palpebre, come se fossero state di
pietra, e piegò le labbra screpolate in un sorriso stanco: "Chazuke…”
Scattarono in avanti entrambi,
quando lo videro vacillare, tanto che per poco non si trovarono a
sbattere l’uno contro la testa dell’altra; Kuro poggiò la fronte,
madida di sudore, ma meno calda, contro quella di Lupo, e strinse piano
le dita attorno al polso di Emma: “Mamma, papà…”
“Non vorrei rovinare questo
momento, ma pensi che dovremo trascorrere l’intera giornata così?”
chiese Emma, sdraiata a metà fra la sedia e il letto, mentre scuoteva
debolmente le braccia nel tentativo di liberarsi dalla presa di Kuro,
che era scivolato in un sonno senza febbre e deliri. Raggomitolato
contro il cuscino, le orecchie tese ad ascoltare quel suo lieve,
tranquillo russare, Lupo sospirò: “Ho dormito in posizioni peggiori.”
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