L’oscuro
oceano sospeso del cielo, libero da stelle, era illuminato dal
riflesso traslucido della luna piena.
L’astro
notturno, simile ad un globo madreperlaceo, velava d’argento le
strade e le case di Konoha e il vento risuonava tra gli alberi del
villaggio, verdi di foglie, riempiendo l’aria di deboli e
sempre diversi fruscii.
Di
tanto in tanto, la sagoma di barcollante di un ubriaco, come
un’ombra, attraversava le strade di Konoha, perdendosi subito
nell’oscurità.
Gai,
seduto davanti ad una finestra della sua casa, lasciava spaziare il
suo sguardo sul villaggio, il cuore greve d’amarezza. Ormai,
solo frammenti di esistenza restavano tra le sue mani.
Nulla
era più rimasto per lui.
Rock
Lee era morto.
L’intervento,
che avrebbe dovuto ridargli la vita, lo aveva condannato a morte.
Nemmeno
le arti mediche della potente Tsunade Senju gli avevano permesso di
riafferrare quel sogno, strappatogli dalla crudeltà di Gaara,
jinchuuriki di Ichibi.
Ormai,
di lui restava un corpo immoto, che, presto, sarebbe stato sepolto
nella nuda terra.
Strinse
il pugno e, a stento, frenò un singhiozzo. No, Gaara non era
il solo colpevole della morte del suo giovane allievo.
La
colpa della morte di Rock Lee ricadeva su di lui.
Gravava
sulle sue spalle, come un gravoso macigno.
Ho
permesso che tu morissi. E questo per compiacere un mio sogno.,
pensò. Il Fato aveva
deciso di punire la sua protervia, servendosi di un ragazzo
innocente.
Aveva
creduto alla possibilità, per un bambino privo di nobili
innate, di potere emergere dalla mediocrità, attraverso la
tenacia, priva di scorciatoie.
E,
vedendo la disperazione di Rock Lee, che, malgrado la sua indole
rocciosa, era stato condannato dalla stupidità della loro
comunità.
Per
loro, lui era un fallito.
La
sua indomita volontà, priva di doujutsu, non meritava alcun
rispetto.
O,
forse, malgrado i loro metodi discutibili, erano più
intelligenti di lui?
Non
sapeva più cosa pensare.
Sorrise,
amaro. Perché indugiava in simili pensieri?
Ormai,
il mondo, per lui, era un set grigio, popolato di spettri silenziosi.
Voci
dure, implacabili, accusatorie rinnovavano la sua pena.
Presto,
sarebbe giunto il tempo dell’espiazione.
– Sono
stato un incosciente… Pagherò anche per questo, state
tranquilli. – mormorò, il tono stanco. Le parole di
Kakashi, colme di rimprovero, dilaniavano il suo cuore e la sua
mente.
Il
suo amico e rivale aveva ragione.
Non
avrebbe dovuto insegnare ad un ragazzino le Hachimon Tonkou.
Sull’altare
del suo egocentrismo, era stato versato il sangue di un giovane dal
cuore puro.
Rock
Lee si era spento perché aveva seguito la strada da lui
tracciata.
A
causa delle sue parole, si era spinto oltre i limiti della natura.
Scosse
la testa e, a passo rapido, si avviò verso la sua camera da
letto. Erano trascorsi sei giorni dalla morte di Rock Lee e lui aveva
sentito su di sé gli sguardi carichi di biasimo della sua
gente.
Non
parlavano, ma, spesso, un’occhiata era più significativa
di mille, vuote parole.
E
i loro occhi racchiudevano una sola parola.
Assassino.
– State
tranquilli. Konohagakure presto sarà purificata dalla mia
presenza. Ho commesso un errore, ma saprò affrontare il mio
castigo. – mormorò. Non era un vile.
Era
ben cosciente del suo compito.
Aveva
bisogno di tempo, ma il momento sarebbe giunto.
Non
si sarebbe sottratto alla sua pena.
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