Collisione
Titolo: Collisione
Autore: SignorinaEffe87
Prompt: 50. Patto (Keywords Challenge; Non Solo Sherlock - Gruppo Eventi Multifandom)
Fandom: Videogiochi > Ghost of Tsushima x Sekiro: Shadows Die Twice Crossover
Genere: Alternate Universe - Yakuza vs Police, One-shot, Slice of Life
Personaggi: Yakuza!Sekiro, Protégé!Kuro, Bodyguard!Ryuzo, Inspector!Jin Sakai (e Nobu)
TW/Avvertimenti: BL/Slash/MlM implicito (se non è la tua tazza di té, non leggere, grazie.)
“Nobu, cos’hai trovato?”
Non appena vide lo shiba
sparire sotto il cespuglio, Jin tirò il guinzaglio verso di sé: in
mezzo alle foglie scricchiolanti spuntava soltanto la coda a ricciolo,
che si agitava come una bandierina mossa dal vento. Sperò che non
trotterellasse indietro con qualche uccellino spennato o una lucertola
inerte stretta tra i denti, che poi sarebbe toccato a lui liberare o
seppellire.
Nobu abbaiò, e il cespuglio emise un gridolino spaventato, del tutto umano.
“Vieni qui!” strattonò di
nuovo il guinzaglio, costringendo Nobu ad arretrare. Dopo aver
uggiolato con aria offesa- si era permesso di interrompere una caccia
fortunata, addirittura-, lo shiba sedette sul vialetto, la testa
appoggiata contro le sue gambe.
“Mi dispiace molto. Nobu non è
aggressivo, è soltanto un po’... invadente” cercò di scusarsi, quando
si accorse che due occhi scuri e attenti lo fissavano da sopra la cima
del cespuglio. La mancata preda di Nobu era un ragazzino, avvolto in un
impermeabile stropicciato che sarebbe stato meglio addosso a uno
spaventapasseri; dalle maniche troppo lunghe spuntavano appena i
polsini di una divisa scolastica, probabilmente appartenente a una
delle scuole che circondavano il parco.
Arrotolò il guinzaglio attorno
alle dita in una presa nervosa, nell’istante in cui si ricordò dove
aveva già visto quel volto pallido, quello sguardo acuminato, che
scrutava lui e lo zio Shimura dalla cima delle scale che portavano al
salone della tenuta Ashina: “Kuro Hirata…”
Kuro raggiunse il centro del
vialetto per fronteggiarlo: aveva gli occhi consapevoli e tristi che
aveva già visto in molti altri ragazzini, cresciuti troppo in fretta in
mezzo ai ranghi e ai crimini delle famiglie yakuza di Tokyo. Tuttavia,
c’era ancora qualcosa di infantile, puro e intatto, nel modo in cui
muoveva le dita sui bottoni dell’impermeabile, senza esserne
consapevole, o delle occhiate sospettose con cui teneva sotto controllo
ogni movimento di Nobu, che adesso si era sdraiato a terra, in attesa
di poter riprendere la sua passeggiata. Qualcuno doveva essersi dato
molto da fare nel conservare quella debole scintilla, per farla
bruciare all’insaputa degli Ashina, a mantenerlo vivo e libero.
Qualcuno che aveva approfittato del fatto che fosse assorto in quelle
stucchevoli, inutili riflessioni per scivolargli alle spalle e
agguantargli il collo nella presa ferrea di una protesi bionica.
Gli artigli del Lupo.
“Non abbiamo intenzione di
farti del male, Ispettore Sakai. Vogliamo soltanto parlare” cercò di
rassicurarlo Kuro, ma la sua voce pacata venne coperta dall’abbaiare di
Nobu, che scoprì i denti e iniziò a strattonare il guinzaglio,
lanciandosi nella sua direzione come se potesse divorarlo tutto intero.
“Mi rassicurerebbe molto non avere addosso le dita meccaniche del più feroce sicario degli Ashina” avrebbe voluto rispondere, ma la presa attorno alla gola gli permetteva a malapena di prendere fiato.
“Io invece muoio dalla voglia
di piantare una pallottola in testa a un mocciosetto di merda, se non
richiama subito il suo botolo pulcioso.”
Jin sentì i muscoli del Lupo
irrigidirsi, un animale che studia la trappola in cui non ha intenzione
di cadere, quando Ryuzo spinse la canna della pistola contro la tempia
di Kuro e lo scrollò un paio di volte come se si fosse trattato di un
cucciolo poco obbediente: “Sentivo puzza di cane degli Ashina e, a
quanto pare, ho fatto bene a fidarmi del mio istinto, visto che tu non
ne hai, Jimbo.”
“Lascialo andare o ti uccido,
mercenario” ringhiò il Lupo, senza allentare la presa. Ryuzo diede
un’altra scrollata a Kuro, che soffocò un urletto nel tentativo di non
scoppiare a piangere, poi ridacchiò con il tono teatrale che avrebbe
usato il cattivo di un manga shonen: “Wof, wof, wof.”
“Facciamo che al mio tre ci
lasciate andare e cerchiamo di parlare come delle persone civili?”
ansimò, approfittando della distrazione di Lupo, ormai troppo impegnato
a prendere nota dei punti vitali in cui avrebbe sparato a Ryuzo una
volta avuta la visuale libera.
“Uno...” pigolò Kuro, dopo
aver cercato di divincolarsi tirando una gomitata a vuoto nelle costole
di Ryuzo. Jin recuperò la presa sul guinzaglio di Nobu e aggiunse, a
fiato mozzo: “Due…”
“Tre!”
L’avevano gridato
contemporaneamente e contemporaneamente erano caduti in ginocchio sul
vialetto. Kuro fu il primo a rialzarsi, si allontanò di qualche passo
da Nobu, che non aveva mai smesso di ringhiare verso di lui, e si
spazzolò la polvere dai pantaloni della divisa scolastica. Non del
tutto convinto che Ryuzo e Lupo non avrebbero colto l’occasione per
spararsi contro tutte le pallottole che avevano nel caricatore, Jin
rimase abbassato: “Vi ricordo che avete promesso di comportarvi da
persone civili.”
I due ringhiarono come cani
randagi che hanno puntato lo stesso osso, si scambiarono un paio di
occhiate che avrebbero causato un blackout ad Akihabara, ma abbassarono
le armi: “Di cosa volevi parlarmi, Kuro?”
Prese Nobu per il collare e lo
costrinse a sedersi dietro le proprie gambe; solo allora, Kuro iniziò a
spiegare: “Gli Ashina non si alleeranno con la Khotun-gumi, ma non
cercheranno neppure di ostacolarla. La ritengono un buon diversivo per
tenere voi dell’Anticrimine impegnati mentre riprendono la loro
ricerca.”
Ovviamente avrebbe voluto
rivolgergli un milione di domande su quella ricerca che gli Ashina
ritenevano più importante degli equilibri della criminalità organizzata
nella capitale, ma preferiva che fosse Kuro a scoprire le carte per
primo: “Questo lo sospettavo. Tuttavia, dubito che la Khotun-gumi non
proverà a distruggervi alla prima occasione. Potrebbe addirittura
cercare di prendere quello che state cercando, dovrebbe soltanto
aspettare che lo troviate e… beh, uccidervi tutti.”
“Questo è senza dubbio quello
che succederà. Isshin lo ha previsto, Genichiro invece è talmente
ossessionato da questa storia da non accorgersi di nient’altro. E il
vecchio boss detesta abbastanza suo nipote da lasciare che si metta in
pericolo senza avvertirlo”: aveva smesso di parlare con uno studente
spaventato dai cani dopo il primo scambio di battute, adesso erano un
ispettore di polizia e un giovane yakuza che si stavano accordando
sulla strategia da seguire per liberarsi dei loro nemici.
“Cos’è questa cosa che gli Ashina cercano tanto da renderli ciechi di fronte a una minaccia così palese?”
Di nuovo, lo sguardo di Kuro
divenne adulto, intriso di una freddezza che gli sferzò la pelle come
vento gelido: “Il Sangue di Drago. Il segreto di Stato per cui il mio
clan è stato annientato. L’indagine conclusa in fretta e in silenzio
con cui tuo zio si è guadagnato la promozione a Commissario della
Polizia Metropolitana di Tokyo, Ispettore Sakai.”
Era come se gli avessero
sfilato l’intero vialetto da sotto le scarpe, anche sapeva che sarebbe
successo. Sin dall’istante in cui aveva giurato che non sarebbe rimasto
a guardare mentre la Khotun-gumi si prendeva la sua città e le vite dei
suoi colleghi, Yuna lo aveva avvertito da amica preoccupata e Ryuzo lo
aveva ammonito da guardia del corpo innamorata: avrebbe finito per
perdere qualcosa di prezioso in quella guerra. Solo aveva sperato che
il primo sacrificio per la vittoria non dovesse essere l’uomo taciturno
e autorevole che gli aveva asciugato le lacrime al funerale di suo
padre e gli aveva messo tra le mani il distintivo da ispettore.
C’era sicuramente una ragione
onesta per cui suo zio si era affrettato a dichiarare conclusa
l’indagine riguardante l’agguato al clan Hirata, ma non l’avrebbe mai
scoperto, se adesso avesse accusato Kuro di mentire: “Quali sono i
termini dell’accordo?”
“Io e Lupo ti aiuteremo a
restare vivo e a tenere sotto controllo la Khotun-gumi, mentre tu
dovrai usare i tuoi metodi da poliziotto per scoprire cos’è e dove si
trova il Sangue di Drago prima che lo facciano gli Ashina”: il piano di
Kuro era semplice, un biglietto di sola andata per finire rosicchiati
dai pesci sul fondo della baia di Odaiba. Tuttavia, poteva soltanto
accettare, non perché altrimenti Ryuzo e Lupo si sarebbero sparati
addosso senza esitazione in un parco pubblico in pieno giorno, ma
perché aveva bisogno di alleati, fossero anche un ragazzino in cerca di
vendetta e il suo cane da guardia con un braccio meccanico. E poi, da
bravo poliziotto, non poteva rinunciare a dare la caccia alla verità,
per quanto rischiasse di perdere se stesso, prima ancora di ciò a cui
teneva. Di quelli a cui teneva.
Allungò la mano libera dal
guinzaglio, e Kuro fece scivolare la punta delle dita nel suo palmo:
“Questo è il nostro patto, allora.”
Il colpo risuonò limpido nel
silenzio fermo del parco, e la macchia di sangue si allargò
sull’impermeabile di Kuro, all’altezza del cuore, come pittura
scarlatta rovesciata su una tela pulita: “Ispettore Sakai, la tua
spalla…”
La mia spalla non ha nulla che non va. Sei tu quello a cui hanno appena sparato, Kuro.
Questa volta, non fu soltanto
come se gli avessero sfilato il vialetto da sotto le scarpe, ma anche
sferrato un calcio dietro le ginocchia e piantato la bocca di una
sparachiodi nella spalla destra. Guardò il sangue che colava lungo il
guinzaglio di Nobu, molle nelle dita contratte, lungo il braccio
frustato da un dolore che lo trapassò dai muscoli alle tempie,
spezzandogli il cervello a metà come un bastoncino di legno.
Aspetta, hanno sparato a me?
“Ispettore Sakai!”
“Jimbo!”
Aveva sentito un sacco di
storie, tutte molto fantasiose e quasi tutte false, riguardo al modo in
cui i poliziotti reagivano dopo essere stati colpiti da un proiettile:
pochi ammettevano di essersi buttati a terra singhiozzando come bambini
in preda a un incubo, o di aver pregato tutti gli dei che riuscivano a
ricordare fino all’arrivo dei soccorsi. La maggior parte si vantava di
aver risposto al fuoco fino all’ultimo proiettile o di aver disarmato
l’aggressore pur con una ferita sanguinante, divorati dall’adrenalina
più che dal dolore. Mentre si schiantava sulla terra del vialetto, e i
nervi in fiamme si prendevano quel che restava della sua mente
cosciente, pensò che la sua storia sarebbe stata davvero la più noiosa
di tutte.
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