13
A
LONG NIGHT
Nymeria.
Regno di Mehlinus. Nord.
-
Partire? Domani? –
Tremotino spalancò gli occhi, non appena Regina gli
comunicò la sua decisione.
Erano
entrambi nella sala
del trono. Dalle finestre filtrava la luce delle torce accese lungo i
bastioni.
-
Ho già scelto gli
uomini che mi seguiranno. – disse Regina, in tono pratico.
– La mia armatura è
pronta. I servi la stanno lucidando. Prenderò Rocinante e
partirò alle prime
luci dell’alba. Durante la mia assenza Vi occuperete Voi del
regno.
-
Maestà...
-
Devo andare, Tremotino.
-
Lo capisco. Ma...
-
Non ci sono ‘ma’. –
Regina assunse un’espressione dura. Agguerrita. Strinse
l’elsa nera della sua
spada, Stormbringer. – Sono troppi anni che attendo,
consigliere. Troppi anni
che penso a come vendicare la morte di mia madre e quella di mio padre.
Troppi anni
che penso a come vendicare il tradimento subìto! Non ho
intenzione di perdere
altro tempo. Voglio prendere il regno dei Blanchard! Voglio dimostrare
a tutti
che sono dei traditori! Che la loro magia... le loro illusioni... non
mi fanno
paura.
Tremotino
annuiva, cercando
di apparire comprensivo. – Sì. Non pensiate che
sia qui per impedirvi di
partire. So che lo desiderate. Però... sono il Vostro
consigliere. Sono stato
il Vostro insegnante. E sapete bene che provo un grande affetto per
Voi.
Quindi, sento di dovervi dire qualcosa. Me lo permettete?
-
Parlate.
-
Sono convinto che se
Vostra madre fosse qui sarebbe fiera di Voi. Dovete prendervi la Vostra
vendetta. È giusto. – Tremotino si
avvicinò alla sovrana di qualche passo.
Allungò una delle sue mani squamose, sfiorando gentilmente
il volto della
donna. – Ma, Regina... i Blanchard sono pericolosi. Non li
vediamo da anni e
non abbiamo idea di quanto siano diventati potenti. Voi... Voi non ne
avete
idea. Abbiamo mandato degli uomini laggiù, più di
una volta. Quanti ne sono
tornati? Nessuno!
-
Non ho paura di loro, Vi
ripeto! – s’irritò Regina, dandogli le
spalle.
-
Ne sono consapevole. Ma
ammetterete che andare a sud sia rischioso. Non sono degli stupidi.
Probabilmente si aspettano il Vostro arrivo da un giorno
all’altro. E non solo
non sapete quanto siano potenti a livello... magico. Non sapete nemmeno
quanto
lo siano a livello militare. Il mio consiglio è di aspettare
ancora un po’. Non
molto, soltanto qualche... qualche luna.
-
È troppo, Tremotino.
Non posso aspettare!
-
La fretta non è mai una
buona consigliera...
-
Risparmiatevi le frasi
fatte! – gridò la regina, voltandosi e
fulminandolo con un’occhiata.
-
Sì, è una frase fatta,
ma è la pura verità, mia cara! –
Tremotino assunse un’aria desolata. E l’aveva
chiamata ‘mia cara’. Quando lei era piccola, lo
faceva spesso. Adesso, quel
‘mia cara’ gli sfuggiva solo quando discutevano.
– Potrei farvi numerosi esempi
di... di guerrieri valorosi che hanno avuto fretta e sono caduti...
senza
ottenere niente. Vi ricordo che ho molti più anni di Voi.
È molto importante
che siate a conoscenza dei poteri dei Vostri avversari. In questo modo,
potreste elaborare una strategia migliore.
Regina
chiuse gli occhi
per qualche istante e rifletté.
-
Fidatevi. So di cosa
parlo. – continuò Tremotino. – Siete
potente, ma occorre capire quanto lo siano
loro. Inoltre ritengo siano capaci di fare qualsiasi cosa. Sapete bene
con
quanta crudeltà hanno agito l’ultima volta. Sapete
bene quanto siano malvagi,
quanto possano essere... perfidamente astuti. Non lasciatevi accecare
dal
Vostro desiderio di vendetta. Non dovete dimenticarvi di ciò
che hanno fatto a
Vostra madre e a Vostro padre, ma non dovete nemmeno perdere la
lucidità. Il
regno ha bisogno di Voi.
Per
quanto le costasse
ammetterlo, Regina si rendeva conto che il suo consigliere non aveva
tutti i
torti. Non sapeva quasi niente dei Blanchard. Non li aveva mai visti.
Voleva
distruggerli, ma per farlo doveva conoscerli meglio.
Madre,
vorrei che foste qui. Vorrei tanto potervi parlare del mio piano.
Vorrei tanto
potermi affidare ai Vostri, di consigli. Tremotino vuole solo aiutarmi,
mi ha
insegnato molto... ma vorrei che foste Voi ad indicarmi la strada.
-
Io non posso più
aspettare. – concluse Regina. – Ma...
d’accordo. Avete ragione: non so niente
dei Blanchard.
-
Già. – Tremotino sorrise.
-
Partirò comunque,
domani mattina. – Regina serrò la mascella.
– Non ho intenzione di attaccare.
Non subito. Andrò avanti, in esplorazione.
Cercherò di... di capire quanto
siano abili. Con la magia. E cercherò di... di farmi
un’idea del loro esercito.
Elaborerò un piano. E quel piano sarà perfetto,
una volta che saprò tutto dei
miei nemici.
-
Queste sono parole
sagge, Maestà. – disse Tremotino, con uno
scintillio negli occhi scuri. –
Ammiro il Vostro coraggio.
-
Ma per quanto riguarda
il viaggio... non si può rimandare.
Sospirò.
Alzò il viso
verso il soffitto altissimo della sala del trono. Poi lo
riabbassò e guardò
Regina negli occhi. – Sì. Va bene. Volete che vada
ad assicurarmi che i servi
stiano facendo il loro dovere con l’armatura e con il cavallo?
-
Sì, andate.
Tremotino
si inchinò
lievemente.
Sì.
Andrò a controllare il cavallo. E l’armatura.
Quell’armatura nera che hanno
forgiato apposta per te, Regina. E poi... ho dei messaggi da scrivere.
Messaggi
molto urgenti.
Camelot.
Regno di Elohim. Est
Artù
aveva ragione. Era
stata una notte lunga.
Avevano
parlato del
viaggio. Avevano discusso su chi l’avrebbe accompagnata fino
a Mehlinus.
Agravain
aveva insistito
talmente tanto, che alla fine il re aveva accordato il permesso; lui
sarebbe
andato con Emma. Anche Galahad, nonostante il parere contrario del
padre,
intendeva seguirla.
-
Io ed Emma siamo
cresciuti insieme. – aveva detto il giovane cavaliere.
Palpebre socchiuse.
Occhi chiarissimi e affilati. Duri. Decisi. Guardava il suo re con la
mandibola
che tremava. – Siamo cresciuti insieme ed io... mi sento in
dovere di
continuare a proteggerla e di essere al suo fianco in questa impresa.
-
Va bene. - aveva detto
Artù. – Te lo concedo.
Lancillotto,
che occupava
il Seggio Periglioso, il posto d’onore accanto al re, aveva
stretto le labbra,
preoccupato, ma non si era più permesso di contestare la
decisione.
Gli
altri cavalieri che
avrebbero viaggiato con lei, oltre ad Agravain e Galahad, erano Gawain
e
Thomas.
Avevano
discusso della
tattica da adottare. Emma non aveva ancora un piano preciso in mente.
Non
sapeva cosa sarebbe accaduto, non appena si fosse ritrovata davanti
alla
sovrana del nord. Avrebbe combattuto. Fino alla fine. Questo
sì. Avrebbe combattuto
per vendicare i suoi genitori. Avrebbe guardato quella donna negli
occhi. In
fondo agli occhi. L’avrebbe guardata e l’avrebbe
affrontata. Voleva batterla.
Voleva sconfiggerla. Non doveva avere paura. Né della sua
forza né tantomeno
della sua magia.
-
Viaggerete passando da
sud, per poi spostarvi verso ovest. – aveva detto
Artù, indicando la via su una
grande mappa, srotolata sulla Tavola Rotonda. – La strada
sarà molto più lunga.
Impiegherete più tempo per raggiungere il nord, ma se
attraversaste la Via dei Re,
quella principale... sareste troppo scoperti. So che sapete difendervi,
ma la
regina vi vedrebbe arrivare. Se ha delle spie, cosa che credo
fermamente,
anticiperà le Vostre mosse. Sarà preparata. E non
dovete darle il tempo di
prepararsi. Dovete giungere a nord e osservare, prima di tutto. Capire
com’è
organizzata. Scovare eventuali punti deboli. È necessario
cogliere di sorpresa
lei e il suo consigliere.
Tremotino.
Ecco un’altra
cosa a cui doveva pensare. Tremotino, l’oscuro e astuto
consigliere di Regina.
Un uomo misterioso e potente, che per anni aveva camminato al fianco
della
sovrana. Emma non l’aveva mai visto, ma ne parlavano tutti
come di un essere
che di umano aveva ben poco. Aveva occhi spiritati e pelle da rettile,
un
aspetto sgradevole, per non dire ripugnante. La sua mente e il suo
cuore erano
neri come la notte più oscura.
Cogliere
di sorpresa
Tremotino sarebbe stata una vera impresa.
-
Sire, c’è un’altra cosa
di cui vorrei parlavi... – aveva detto Emma.
-
Dimmi pure.
-
La mia armatura...
-
C’è già un’armatura per
te, Emma. È da tempo che l’ho fatta forgiare.
Un’armatura più robusta di quella
che indossi. Sono sicuro che...
-
Vi ringrazio. – lo
interruppe Emma. – Ma mi riferivo allo stemma. Vorrei
mostrare lo stemma della
mia famiglia. Il cigno.
Artù
l’aveva fissata,
sbigottito. – Emma, se viaggi con lo stemma della tua
famiglia... sarà più
pericoloso. Regina capirà da lontano chi sei... e se ci
fossero delle spie...
-
Sì. Lo so. Ma è il
simbolo del mio regno. Ed io voglio che lei sappia chi sono. Voglio che
mi
riconosca non appena mi avvisterà. Non sa nulla di me, non
sa che esiste
un’erede di Anatlon. Non ancora. Se anche le spie notassero
il cigno, mi scambierebbero
per un esule del sud, per un sopravvissuto che usa lo stemma della
famiglia,
per... un membro della guardia che è riuscito a fuggire.
Tutti sanno che la
famiglia reale è morta.
-
Emma...
-
Non ho forse scelto la
parola ‘Swan’ come cognome? In tutti questi anni ho
celato la mia vera identità
dietro di essa.
-
Certo. L’hai scelta
perché ritenevamo che fosse meglio non usare il cognome
Blanchard, visto che
qualunque cosa, qui, sembra abbia delle orecchie. Hai anche assunto il
simbolo
della mia famiglia per lo stesso motivo.
-
Ma adesso non intendo
più nascondermi! Sire, parto per affrontare colei che
ritengo responsabile
della morte dei miei genitori e della distruzione di Snowing Castle.
Voglio che
Regina veda questo simbolo. Voglio che sia una delle prime cose che
vedrà e che
si renda conto che quel tradimento non resterà impunito.
Artù
aveva riflettuto
alcuni istanti. Gli altri cavalieri non avevano commentato.
-
Bene, Emma. – aveva
risposto il re. – Se è questo ciò che
vuoi, allora farò in modo che sul tuo
scudo venga inciso un cigno.
-
Grazie.
Dopo
la lunga discussione
Emma non andò a riposare. Non era stanca. Il suo cuore era
in tumulto e la sua
mente già in viaggio. Quindi lasciò i cavalieri
e, con l’armatura addosso e
l’elmo sul capo, in modo che nessuno avesse una visione
chiara del suo volto,
salì sulle alte mura del castello, percorse per un breve
tratto il cammino di
ronda e poi si fermò, appoggiando le mani sul parapetto e
guardando Camelot
dall’alto; le case, il tempio con la sua cupola rotonda, le
strade
acciottolate, la piazza, il luccichio delle torce e di alcune lanterne,
le
abitazioni eleganti dei nobili vicino al castello del re.
Guardò oltre le mura
che circondavano la città di Artù.
Guardò la foresta, dove si era nascosta a
lungo, protetta dai cavalieri. Guardò le terre coltivate
intorno a Camelot. Le
ombre avvolgevano tutto, ma Emma assorbiva i rumori che giungevano fino
a lei.
Il latrato di un cane. Il richiamo di una civetta. Il frinire dei
grilli. Lo
scricchiolio prodotto dalle ruote di un carro. In cielo strisce di
nuvole
grigie tra le quali era possibile vedere le stelle e una piccola falce
di luna.
Emma
inspirò l’aria della
notte. Quello era il luogo in cui era cresciuta da quando era stata
costretta
ad abbandonare Anatlon. Quello era il luogo in cui i cavalieri
l’avevano
protetta per anni. Lo conosceva. Conosceva la foresta come le sue
tasche.
Conosceva anche Camelot. Eppure non aveva mai pensato a Camelot come
alla sua
casa. Una volta le avevano detto: dove c’è
qualcuno che non smette di pensarci
con affetto, c’è la nostra casa’. Chi
era stato? Ah, certo Galahad. Galahad
gliel’aveva detto. L’aveva imparato da suo padre
che, a sua volta, aveva udito
quella frase da Elaine di Corbenic.
No.
Camelot non era casa
sua. Lì si era sentita protetta e amata, ma non era comunque
casa sua. La sua
casa era Snowing Castle.
-
Siete qui.
La
voce della regina
Ginevra la fece sobbalzare.
-
Mi dispiace. Non volevo
spaventarvi. – disse la sposa di re Artù,
avvicinandosi al parapetto. Vestita
di un leggero ed elegante abito azzurro, la regina di Camelot si
accostò a lei,
l’ombra di un sorriso sulla bocca. I capelli scuri erano ora
raccolti in una
lunga coda.
-
Non mi avete
spaventata. Solo... non mi aspettavo di vedervi qui.
-
Ed io credevo che foste
andata a riposare.
-
No. Non penso di poter
riposare.
-
Volete che Vi lasci
sola? – Usava un tono molto rispettoso, come se non la
conoscesse affatto. Come
se stesse già parlando con una regina.
-
No. Vi prego, restate.
Ginevra
appoggiò i gomiti
al parapetto. – Sono giorni importanti per Voi. Giorni che
aspettavate da molto
tempo. Siete davvero sicura di voler partire... così presto?
-
Non è presto. Ho
aspettato anche troppo.
-
Siete giovane. Avete
solo vent’anni. Se Vostro padre fosse qui Vi inviterebbe alla
prudenza.
“...un
giorno. Presto... Presto verrà il tuo momento. Lo so. Non
può essere
altrimenti. Allora tornerai e tutto questo sarà tuo! Tutto!
Il trono che ti
appartiene di diritto sarà tuo! Le terre saranno tue! I miei
uomini saranno
tuoi!”
Suo
padre. Sì, forse
David le avrebbe chiesto di attendere. Di prepararsi meglio. Ma Emma si
sentiva
pronta. Il suo cuore le diceva che il momento era giunto. Morgana
gliel’aveva
detto.
“Pensi
di essere pronta
per questo?”
“Il
viaggio sarà lungo,
Emma. Sarà lungo e avrai modo di scoprire che molte delle
cose in cui credi non
sono come appaiono.”
Cosa
significava? Cosa?
Lei sapeva come stavano le cose. Sapeva che Regina era la responsabile
della
morte dei suoi genitori! Aveva visto con i suoi occhi gli uomini con
l’armatura
nera e lo stemma sugli scudi, sugli stendardi. Il melo su sfondo blu,
che
adesso si era trasformato in una pantera nera con le fauci spalancate.
Regina
non aveva mai fatto nulla per negare quell’attacco. Era
apertamente ostile con
tutti. Forse le parole di Morgana si riferivano a
qualcos’altro...
“Io
non ho bisogno di mandare qualcuno. Il destino lo manda. Incolperai
lui. O
forse lo ringrazierai. Se ti dicessi chi è, non mi
crederesti né vorresti darmi
ascolto. Ma ricordati delle mie parole. Non essere avventata.”
-
Mio padre era un uomo
coraggioso. Forse mi avrebbe detto di aspettare, ma io sento di dover
andare.
Sento che è questo, il momento giusto. – disse
Emma, osservando la foresta,
seguendo uno stormo di uccelli neri che si alzava in volo.
-
Allora pregherò per
Voi. – disse Ginevra. – Pregherò per Voi
ogni giorno. Pregherò perché troviate
la forza di arrivare alla fine di questa impresa. Voi e non solo Voi...
anche
mio marito e gli altri cavalieri.
-
Vi ringrazio.
Il
sorriso di Ginevra era
appena accennato. La sua voce era dolce, una di quelle voci che
sembravano far
rientrare i problemi in una dimensione meno vasta. Era piccola di
statura e un
po’ gracile fisicamente. In quel momento, là sui
camminamenti del castello, sembrava
in procinto di dissolversi. Eppure Emma intuiva che, dietro
l’aspetto dimesso,
vi fosse anche una grande forza d’animo. – Spero
che ci sia qualcuno disposto
ad ascoltarle, quelle preghiere. Non ho mai pregato molto gli dei nella
mia
vita.
Emma
non aveva idea di
come rispondere, anche perché nemmeno lei si era mai
affidata agli dei. Si
schiarì la voce. – Non è necessario. Me
la caverò. Mi sono preparata per anni.
-
Mi ricordate Artù, a
volte. Spesso fa di testa sua. Non è possibile discutere con
lui quando ha già
preso una decisione. È sempre stato così. Forse
è anche per questo che il
popolo lo ama. – Guardò l’orizzonte.
-
Il popolo ama anche
Voi.
-
Non nello stesso modo. –
Dicendolo, sorrise e poi alzò le spalle. - Io sono la moglie
di Artù e il
popolo si aspetta... qualcosa da me. Si aspetta un erede.
Stava
per dirle qualcosa
di sciocco, qualcosa che persino Ginevra si sarebbe aspettata: vedrete che arriverà. Non lo
fece. Dare
a qualcuno delle false speranze poteva essere più doloroso
che restare in
silenzio.
-
Emma, non sono
preoccupata per me. – ricominciò Ginevra, con una
voce più ferma, più sicura. -
Sono preoccupata per il regno. Se Artù non dovesse avere
eredi... Camelot e
l’est precipiteranno nel caos. Lo stesso caos che regnava in
queste terre prima
della salita al trono di Uther.
-
Potrebbe nominare come
erede un altro. Qualcuno di cui si fida.
-
Sì, ma ciò potrebbe
creare dei conflitti interni, dei rancori. Potrebbero esserci dei
problemi
all’interno della cerchia di Artù. E non vorrei
mai che ciò accadesse. Se
nominasse Lancillotto, potrebbe infastidire Morgause. Anche i suoi
figli sono
vicini al trono. Gawain specialmente. È il maggiore ed
è il cugino di Artù. Ma
se nominasse Gawain...
-
Avrebbe problemi con il
padre di Lance.
-
Lord Ban di Benwick non
è più così giovane, ma può
essere pericoloso. Ha una dozzina di figli
legittimi, ma Lancillotto è sangue di Avalon. Lo sono anche
i figli di
Morgause, ma lei ha abbandonato Avalon anni orsono, non è
mai stata
sacerdotessa e non possiede neppure la Vista, stando a ciò
che dice Merlino. E
Artù non si fida completamente di lei. Lance, invece,
è figlio della Dama del
Lago.
Emma
non rispose. La
brezza notturna scompigliò leggermente i capelli di Ginevra.
Lei sospirò.
-
C’è... c’è ancora
tempo. – disse Emma. – Non dovete essere
pessimista.
-
Quando tornerete... Vi
renderete conto dell’importanza di avere un erede. Anche Voi
siete una regina.
-
Adesso io sono un
cavaliere.
-
Oh, sì. Uno dei
migliori. Quando avete combattuto contro Percival non credevo ai miei
occhi.
Sapevo che eravate brava... solo non immaginavo lo foste
così tanto. Siete
incantevole quando vi battete. E con incantevole... intendo dire che
è
difficile non guardarvi mentre usate quella spada. – Ginevra
le appoggiò una
mano sul braccio.
-
Mi fa piacere
sentirvelo dire.
-
Ma siete anche la
legittima erede di Anatlon. Vi chiederanno di... di sposarvi. Di
sposarvi e di
avere dei figli, che prenderanno il Vostro posto. Diventeranno
fondamentali,
quei figli, per mantenere la pace nel Vostro regno. Tutti Vi
guarderanno, in
attesa di quel futuro re o di quella futura regina.
-
Non ho tempo di pensare
a questo.
-
Ora no. Ora dovete
pensare solo a riprendervi ciò che Vi appartiene e ad
onorare la memoria delle
persone che Vi hanno messa al mondo. Ma insisteranno perché
lo facciate. Nemmeno
io ci pensavo, prima di sposare Artù. Non ci ho pensato
nemmeno all’inizio.
Quello a cui pensavo era... conoscere l’uomo che mio padre
aveva scelto per me.
Sono stata fortunata. Artù è davvero
l’uomo migliore che potessi incontrare.
Emma
si voltò verso la
regina di Camelot.
-
Forse parlate così
perché c’è già qualcuno nel
Vostro cuore? Qualcuno a cui tenete
particolarmente? – domandò Ginevra, sottovoce.
Emma
ripensò a Graham.
Ripensò al loro bacio. Era da tempo che non si soffermava su
quei ricordi,
visto che era stata molto presa dalla sua missione e dal suo
addestramento. Ma
conservava ancora dentro di sé la dolcezza di quel momento.
-
Nessuno.
-
Nemmeno... Galahad?
-
Come? – Emma era
sbalordita. – Galahad?
-
Siete molto uniti.
Credo che Lancillotto approverebbe. E anche Artù.
-
Io non amo Galahad. Non
nel modo che credete. – Emma pensò al giovane
cavaliere della Tavola Rotonda.
Era bello, sì. Galahad era bello e generoso, aveva un grande
cuore e l’aveva
sempre trattata con rispetto. Le aveva insegnato a combattere con la
mano
sinistra. Ma... sposarlo? Non aveva mai pensato ad una cosa simile.
Mai.
Nemmeno una volta.
Ginevra
non disse niente.
Parve rifletterci su. Poi scosse la testa. – Forse
è meglio che vada. Sono
felice di avervi incontrata. E di aver parlato con Voi. Sembra
incredibile, ma
in undici anni non abbiamo mai davvero parlato.
-
Già. No.
Ginevra
la lasciò sola
sul cammino di ronda. Emma restò là, a guardare
la terra in cui era cresciuta,
fino a quando non spuntò il sole.
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