~ Photographs ~
"Fanfic
partecipante all'InSegreto Challenge indetta dalla
pagina Detective Conan Fanfiction (italian Fan)"
"La storia prende spunto da uno dei segreti pubblicati sulla pagina di InSegreto"
Le
manine paffute afferrarono il bordo del davanzale marmoreo, una presa debole e
sbilanciata per i piedini scalcianti nell’aria al di sopra del pouf accostato alla
parete. Fuori imperversava una tempesta, il vento scuoteva le fronde con
violenza eliminando le poche foglie rimaste ancora radicate nell’autunno ormai
inoltrato.
La
luce accecante illuminò il cielo seguita dal tremolio dei vetri al rombo
assordante.
«Kaito!
Quante volte ti ho detto di non fare l’acrobata?!»
Il
bambino afferrato di peso per la vita si trovò sganciato dal suo punto di
vedetta, spostato sul tappeto ben lontano dal panorama esterno. Piccoli
passettini mossi per ritornare senza successo al punto d’osservazione, troppo
lenti per una mamma allenata nello stargli dietro. Fu agguantato per il
cappuccio della felpa e obbligato a sedersi, gli occhietti abbassati davanti al
volto femmineo corrucciato.
L’aveva
fatta arrabbiare di nuovo.
«Kaito»
«Mamma…»
«Quando
ti dico di non fare una cosa vorrei essere ascoltata» la donna si inginocchiò
davanti al piccolo intento a stropicciare l’estremità della propria maglietta, due
dita sotto al mento per sollevare verso di lei il visino puntato sul pavimento «Capito?»
«Ma
mamma…non è pericoloso!»
«Sì
che lo è Kaito! Non puoi spostare il pouf vicino al muro, creare una scala con
i libri, salirci in piedi e arrampicarti alla finestra! Rischi di cadere e
farti male»
«Non
è mai successo!»
Chikage
inarcò un sopracciglio al tono sfrontato del figlio, una nota d’avvilimento
interiore verso quel caratterino. Se iniziavano ora che aveva tre anni, non
osava immaginare tra una decina cosa avrebbe dovuto sopportare.
«Certo,
come non è mai successo di cadere dal balcone, vero?» solo al pronunciare la
frase la donna sentì un tuffo al cuore, aveva creduto di morire due giorni
prima alla vista di Kaito in piedi sulla ringhiera del primo piano per
inseguire una stramaledetta farfalla.
Fortunatamente
i riflessi di Toichi erano stati fulminei.
Aveva
afferrato al volo il loro figlioletto suicida prima che si spiaccicasse sul terreno.
Kaito
gonfiò le guance indispettito «È capitato solo una volta…e avevi detto che non
eri più arrabbiata per quello!»
«Kaito
mi manderai al manicomio prima o poi…No, non sono più arrabbiata perché hai detto
di aver capito di non doverlo fare. Devo usare lo stesso metodo anche ora?»
Il
bambino sgranò gli occhi arretrando istantaneamente di mezzo metro, le manine
portate al suo fondoschiena e la testa scossa vigorosamente «No, no! Capito!
Non mi devo arrampicare sulle cose, promesso!»
La
donna si lasciò scappare un sospiro esasperato, sicura che avrebbero avuto
quella conversazione anche il giorno dopo, quello successivo e quello ancora
seguente, protratti all’infinito. Alzatasi avvilita per riporre la catasta di
libri messi in disordine da Kaito fu bloccata nell’azione dal suddetto bambino
che le si era avvicinato con un faccino colpevole.
Le
manine strette in un pugnetto mosso nell’aria per far comparire quasi all’improvviso
una margherita dai petali semi afflosciati.
«Scusa»
Un
occhio al vaso sul mobiletto della sala dove il mazzo regalatole da Toichi mostrava
l’assenza di uno dei fiori. Lei ci provava con tutta sé stessa a essere severa
ma come poteva dire al bambino di aver appena violato la promessa fatta nemmeno
due minuti prima utilizzando gli sgabelli come base d’appoggio per arrampicarsi
sul ripiano a cogliere il fiorellino utile alla sua magia?
Semplicemente
era impossibile, non avrebbe mai deluso le aspettative di quei primi trucchetti
magici appresi.
«Ma
sei diventato bravissimo! Lo sai che presto supererai persino papà?!» sorrise
abbracciando e sbaciucchiando la sua piccola peste.
Gli
occhi azzurri si illuminarono d’orgoglio a quel complimento crogiolandosi
nell’abbraccio di quel piccolo vanto, convinto che un giorno sarebbe riusciti a
stupire allo stesso modo anche il papà fra il pubblico, diventando un grande
mago tale da lasciarlo a bocca aperta.
«Tornerà
presto?» la vocina ridotta a poco più di un sussurro malinconico dopo l’attimo
di felicità, l’attenzione al vetro picchiettato dalle gocce di pioggia nelle
prime luci della sera.
Chikage
lo strinse maggiormente posandogli un bacio tra i capelli, ogni volta che
Toichi partiva per qualche spettacolo che lo impegnava lontano da casa oltre le
ventiquattro ore Kaito passava il suo tempo a guardare la porta d’ingresso…o la
finestra, quasi l’uomo potesse comparire da un momento all’altro.
«Domani
sera sarà di nuovo qui» mormorò all’orecchio del bambino accarezzandogli la
testa, lui strofinò il visino contro la sua maglia ma aveva qualche dubbio
fosse solo un cenno d’assenso «Che ne dici, gli vogliamo preparare una torta
per dargli il bentornato?»
«Al
cioccolato?»
«Sì,
con tantissimo cioccolato!»
Kaito
si separò dall’abbraccio completamente euforico, gli occhi arrossati e le
guance bagnate un lontano ricordo.
La
seguì elettrizzato verso la libreria accettando l’importante incarico di
scegliere il dolce da preparare su una di quelle riviste piene di immagini,
avrebbe assolto quel compito scegliendo la torta più bella e la sua mamma come
per magia l’avrebbe resa reale.
Catapultatosi
sul tappeto aprì il giornaletto abbandonandolo però alla prima immagine,
l’attrattività iniziale scemata a causa di una nuova fonte di interesse. Sua
mamma era rimasta accucciata davanti lo scaffale ricolmo di libri con uno strano
volume di grandi dimensioni tra le mani, lo stesso che non era riuscito
precedentemente a spostare perché troppo pesante.
Gettatosi
incuriosito sulle spalle della donna restò ad osservare con lei la robusta
copertina in pelle piena di strani ghirigori incisi, sollevata per svelare la prima
pagina. A dispetto di quanto supposto, Kaito constatò l’assenza delle strane
parole di cui si componevano i libri di favole che il papà gli leggeva la sera,
al contrario, c’era solo una grande fotografia dei suoi genitori abbracciati su
una rampa di scale.
«Mamma
sei bellissima!»
La
manina indicò la donna avvolta in un sensuale abito bianco a sirena dallo
scollo asimmetrico, un delicato drappeggio sul corpetto e sulla schiena
parzialmente visibile. Stretta accanto all’uomo in completo scuro, circondati
da numerose colombe che il fotografo era riuscito a immortalare svolazzanti
conferendo un’aria pittoresca allo scatto.
Chikage
scoccò un bacio sulla guancia al suo piccolo terremoto vivente facendolo
accomodare sulle gambe incrociate.
«Solo
io? Papà stavolta lo lasciamo fuori?» chiese divertita sfogliando la seconda
pagina, assalita da un’improvvisa nostalgia non era riuscita a riporre l’album
giungendo a comprendere anche da chi avesse preso il figlio quell’attaccamento
per l’uomo, mancava anche a lei.
Kaito
sembrò riflettere accuratamente sulla risposta da dare, le manine portate alla
bocca nel medesimo vizio di Toichi.
La
mela non cadeva lontano dall’albero dopotutto.
«Sì,
tu sei più bella!» il tipico sorriso innocente dei bambini e il ditino poggiato
sulle labbra con aria circospetta «Papà lo dice sempre che sei la donna più
bella che abbia mai conosciuto, però non dirgli che te l’ho detto perché doveva
restare un segreto!»
«Non
si spifferano i segreti» il nasino picchiettato in quell’ammonimento divertito.
«Proprio
mai? Eri diventata triste mentre ora sei di nuovo felice!»
La
donna restò sorpresa all’ingenua ammissione certa di aver accuratamente nascosto
la propria malinconia. Kaito alle volte sembrava veramente andare oltre le
apparenze, possedeva uno strano senso d’altruismo, l’ossessione di voler vedere
sorridere tutti cancellando la tristezza. Ora con lei, la settimana scorsa con
una bambina, svariato tempo prima con il televisore e l’attore in lacrime in un
film.
Kaito
nemmeno si rendeva di conto di quanto le avesse scaldato il cuore con la sua
parlantina spontanea.
«Ma
sei proprio un ometto bravissimo! Come premio ti sei meritato gli onigiri che ti piacciono tanto» scostò delicatamente il
bambino rimettendosi in piedi non prima di aver spostato l’album sul tappetto
agli occhietti ancora puntati su di esso «Questo te lo lascio sfogliare, ma mi
raccomando non rovinarlo!»
Il
bambino si precipitò contento sul tesoro appena scovato voltando una pagina
dopo l’altra, riconoscendo solo alcuni volti delle diverse persone immortalate
incontrate il più delle volte agli spettacoli di magia, tipo la signora anziana
piena di anelli che amava strizzargli le guance. Un brivido e le manine alzate
istintivamente sul viso al ricordo.
Chikage
trafficò con le pentole e il piano cucina iniziando a preparare la cena, lanciando
di tanto in tanto un occhio al bambino davanti il divano. Unire sala e cucina
nei lavori di ristrutturazione, ora più che mai, si era rivelata la giusta
scelta.
«Ma
tu e papà vi baciavate in continuazione?» la testolina inclinata all’ennesima
foto dei suoi genitori bocca contro bocca distesi in quello che aveva tutta
l’aria di essere un campo di rose, cosa ci trovassero di bello in quel gesto
Kaito proprio non lo capiva. L’unica volta in cui aveva provato a baciare sulla
bocca la mamma suo padre era scoppiato a ridere e la donna gli aveva detto di
non farlo più perché era riservato solo tra marito e moglie, o fidanzati.
Chikage
accese il fornello ridacchiando «Te l’ho detto, è un modo di dimostrarsi amore,
quando sarai grande capirai»
Seguì
qualche istante di silenzio in cui la questione sembrò decadere.
Almeno
apparentemente.
«Voglio
una fidanzata»
Alla
donna per poco non cadde la ciotola di vetro dalle mani.
Il
tono con cui la frase era stata detta rasentava una serietà esagerata per un
bambino.
«Kaito
sei ancora piccolino per averla»
«Ma
voglio dare anche io un bacio così!»
«Per
ora ti dovrai accontentare di quelli di mamma e papà»
Altri
istanti di silenzio occuparono la stanza.
«Mamma?»
«Dimmi
tesoro»
«Che
significa “fidanzata”?» la testolina piegata in una smorfietta alquanto
buffa.
«È
una ragazza a cui si vuole bene in modo speciale, a tempo debito la incontrerai
anche tu stanne certo» asciugò le mani sul grembiule andando ad arruffare
affettuosamente i capelli al bimbo «Ed ora che ne dici di cambiare discorso?
Non stavi guardando le foto?»
Kaito
poco convinto tornò a voltare le pagine mentre la mamma accendeva la televisione,
la solita compagnia serale di sottofondo.
«Come
hai conosciuto papà?»
Chikage
si morse l’interno guancia alla disperata ricerca di una soluzione, era normale
che un bambino di quell’età facesse tali domande? Immaginava di ritrovarsele
molto più in là con gli anni, quando magari avrebbe potuto spiegargli quell’altro
lato della sua vita passata.
Sicuramente
ora non poteva rispondergli con la verità.
«Su
un’alta torre con una bellissima vista in occasione di una mostra, avevamo
entrambi una passione per le corse in motocicletta»
«Motociccetta? Quella cosa con due ruote?»
«Sì
quella lì, ma si dice motocicletta»
«Motoclicetta, sì»
Chikage
rinunciò nell’impresa annuendo mentre tornava ai fornelli, gli stipi aperti
alla ricerca del tagliere e il sangue gelato nelle vene alla successiva
domanda.
«La
potrò avere anche io una mottocicletta quando sarò
grande?»
«….Mh,
è ancora presto Kaito! Quando sarai più grande ne riparleremo» un
ringraziamento silenzioso alla fortuna di non avere Toichi intorno in quel
momento, solo quella strampalata idea mancava al marito per i progetti sulla
vita del loro bambino.
Kaito
sembrò soddisfatto della risposta perché torno a ridacchiare commentando di
tanto in tanto alcune figure degli invitati, scatenando una caccia d’associazione
fra volti umani e animali. Il testimone di nozze di Toichi era diventato una
scimmia, il proprietario del Teatro nazionale del Giappone un gatto, la nonna
paterna sfortunatamente venuta a mancare dopo il lieto evento era invece stata
associata ad un canguro. Chikage tagliuzzò le verdure complimentandosi
mentalmente per la fantasia del figlio, una donna con l’artrite bloccata sua
una sedia per tutta la cerimonia cosa poteva essere se non un marsupiale? Null’altro,
ovvio.
«Mamma
chi è questo signore con la faccia da tricheco?»
«Kaito,
il signor Hopper non è un tricheco»
«Se
lo dici tu…» il bambino borbottò poco convinto aggirando l’album fotografico a
gattoni, diverse angolazioni testate per alzarsi infine ad osservare la
fotografia ora sottosopra nella sua visuale «A me continua a sembrare un
tricheco»
Chikage
fissò perplessa il figlioletto piegato sulle ginocchia, la testolina infilata
fra le gambe profondamente concentrato nella sua contemplazione in una posa
decisamente stravagante.
«Se
ti sentisse Toichi parlar così del suo maestro…»
«Maestro?»
«Sì,
è un grande mago nonché insegnate di tuo padre»
Kaito
ricadde seduto a braccia incrociate davanti la fotografia dell’uomo
grassottello sorridente accanto ai suoi genitori.
Il
naso arricciato all’insù in un brontolio stizzito.
«Papà
è più bravo!»
Chikage
lo assecondo conscia di non poter mettere bocca in quell’ambito, screditare
anche scherzosamente Toichi con Kaito nei pareggi era come gettare benzina sul
fuoco. Altro che ammirazione, lì si andava oltre la devozione, un paio di
giorni e si sarebbe ritrovata l’altarino in casa dedicato a lui con tanto di
offerte.
«È
passata una settimana dal furto e dalla restituzione dello “Steinmetz
rosa”, la grande pietra preziosa trafugata dal Tokyo Metropolitan Art Museum
dove era stata esposta eccezionalmente. Proseguono attualmente le ricerche sul
famigerato Kaitō Kid, il mago del chiaro di luna! Il ladro internazionale
dopo un breve periodo d’assenza sembra essere ritornato a pieno ritmo sulla
scena della malavita mondiale, lasciando la polizia senza un briciolo di prova
sul suo conto…»
Kaito
sollevò di scatto la testa sul notiziario all’udire la parola “mago”,
smettendo di ascoltare nell’immediato quella raffica di parole confuse
piuttosto concentrato sull’uomo in abito bianco sul cornicione di un palazzo.
Il mantello oscillato dal vento con una grande luna a far da sfondo, dita
schioccate in cui all’improvviso apparve dal nulla una colomba il cui becco
afferrò il gioiello.
Il
pennuto svolazzante disceso sulla folla, perfettamente ammaestrato, aveva restituito
il gioiello alla polizia, il tutto accompagnato dal sorriso accattivante di
quello strano individuo.
«Le
prove le troveremo!! Non ascoltate le balle che diffondono i telegiornali! La
polizia non sta brancolando nel buio, siamo già diretti lungo una buona pista
per smascherare l’identità di questo farabutto!» la
sessione di immagini sul mago cessò mostrando invece la giornalista derubata
dal microfono scansata in un angolo distante dalla telecamera, davanti cui un
uomo con i baffetti aveva iniziato a sbraitare facendolo sobbalzare.
«Ispettore
Nakamori cosa crede di fare?!»
Il
battibecco fra polizia e stampa interrotto da nuove immagini dello strano
pipistrello bianco levato alto nel cielo.
Chikage
spostatasi nell’immediato accanto al figlio alla prima immagine del servizio
aveva ormai gli occhi a forma di cuoricino incollati al televisore, Kaito quasi
con stizza alternava lo sguardo tra lei e l’apparecchio.
«Il
tizio che sta urlando ha ragione! Quel tipo non è un mago ma solo una palla gonfiata!»
«Pallone
gonfiato, non “palla”»
«Quella
cosa lì…non guardarlo così! Non è poi così speciale, papà può fare di meglio a
occhi chiusi!»
La
donna alzò le mani in segno di resa internamente divertita, non vedeva l’ora di
vedere la faccia di Toichi quando Kaito gli avrebbe proposto di sfidare il
grande Kid. Il bambino sembrò captare quella gioia perché sbatté le manine sull’album
con rabbia, la pagina raffigurante il signor Hopper insieme a un uomo, una
donna e una bambina biondissima di circa otto anni voltata con più ferocia del
previsto.
Due
occhi azzurri sbarrati allo squarcio che segnalava il foglio ormai staccato
dalla rilegatura.
«Kaito!»
«I-io
non volevo…» il bimbo sobbalzato al rimprovero cercò maldestramente di far
aderire la zigzagata dello strappo «Lo a-aggiusto
subito! Mi dispiace non volevo romperlo»
Le
manine tremarono sulla carta che proprio non voleva saperne di restare unita senza
l’aiuto di alcun collante esterno, il labbro inferiore vibrante spinto in fuori
per trattenersi e non piangere. Chikage addolcì lo sguardo recuperando da uno
dei cassetti il tubetto di colla, le braccia avvolte al di sopra del bambino
mentre incollava le due estremità «Dai su, non è successo niente…guarda, è
tornata come nuova!»
«Non
proprio…» il ditino seguì la serpentina in rilievo dove il taglio era stato
rimarginato.
«La
foto è rimasta intatta, non fa nulla per la pagina» arresa all’idea di una cena
ad orario tardivo, incrociò le gambe facendo sedere il figlio in grembo mentre
riprendeva a sfogliare l’album «Dai, lo terminiamo insieme ti va?»
Kaito
non rispose restando in silenzio mentre le fotografie gli scorrevano davanti,
una dopo l’altra, uomini dopo donne, ricordi di quel giorno gioioso dove suo
padre sembrava aver fatto tanti giochetti di magia, in ogni posa aveva qualcosa
di diverso in mano. In quella con le carte da gioco ad esempio, era affiancato
da Jii-chan – il signore che gli regalava sempre i cioccolatini – con una
faccia buffissima, forse lui era stato colto alla sprovvista come il resto del
pubblico per qualcosa a lui ignota.
Suo
papà era davvero così felice quando lui non gli stava intorno?
Al
matrimonio dei suoi genitori c’erano state tante persone, aveva smesso di
contarle arrivato a cinque perché oltre non sapeva andare ma, quel numero l’avevano
passato veramente da un bel po’. I volti felici e sorridenti avevano incominciato
a infastidirlo, compresi quelli dei suoi genitori ed in particolar modo sua
madre, sembrava non avere la minima traccia dell’arrabbiatura che invece lui
aveva visto più volte quel giorno a causa delle sue marachelle.
Già,
lei era felice perché lui non c’era.
La
mamma non l’aveva voluto.
Chikage
si sorprese non poco quando sentì una gocciolina bagnata sul polso, seguita da
altre nel giro di qualche secondo. Sportasi in avanti restò sconcertata davanti
al visino di Kaito rigato dalle lacrime, le goccioline salate scendevano
copiose dagli occhi strizzati e coperti dalle manine appena si accorsero di essere
stati smascherati.
«Ehi
ehi, Kai-chan che è
successo? Perché piangi?» chiese preoccupata voltandolo delicatamente verso di
lei senza ottenere risposta al di là del silenzio interrotto da qualche
singhiozzo sempre più forte in grado di farla impensierire maggiormente.
Provò
ad abbracciarlo senza successo, suo figlio era arretrato scuotendo la testolina
e piangendo ancora di più, cosa alquanto strana se pensava alle altre volte in
cui tentava di non farsi nemmeno scoprire così.
«Amore
di mamma ti fa male qualcosa?»
«N-no»
«Sicuro?
Perché ti stai allontanando?»
Kaito
strofinò gli occhi cerchiati di rosso con la manica della felpa tirando su col
naso. Chikage restò allibita dinanzi alla serietà con cui il piccolino la stava
guardando tra i singhiozzi ora più controllati, anche se la sua espressione fu
una sciocchezza paragonata alle parole successive.
«P-erché non mi avete invitato…»
«Kai-chan di cosa stai parlando?»
«A
me non mi avete invitato al matrimonio, c’erano tutti tranne me!» un gridolino
acuto, offeso oltre misura.
Chikage
ringraziò il suo poker face, l’istinto le aveva suggerito di ridere ma avrebbe
complicato soltanto le cose conoscendo il soggetto. Afferrò la piccola peste prima
che sgusciasse via di nuovo quasi stritolandola nell’abbraccio, le manine strette
attorno al suo grembiule mentre il pianto diventava più disperato.
«Sei
uno sciocchino…» una serie di baci posati sulla testolina mentre elaborava una
risposta, sarebbe stato sensato dirgli che lui non era ancora nato in quel
momento e ovviamente per forza di cose non avrebbe potuto esserci, ma l’avrebbe
capito?
Probabilmente
sì, probabilmente no.
Se
c’era una cosa che invece lei aveva capito era che Kaito in quel momento si
sentiva abbandonato. Nel suo ragionamento contorto era certa avesse associato
la partenza di Toichi a quella nuova e sbagliata convinzione di non averlo
voluto al matrimonio.
«Ti
sbagli Kai- chan» lo scostò
da sé quel tanto per asciugargli la guancia con il dorso della mano «Tu quel
giorno c’eri anche se non ti puoi vedere o ricordare nulla»
Kaito
inclinò la testolina confuso, il pianto quietato mentre soffiava nel fazzolettino
tesogli dalla mamma. Accoccolato contro il petto di lei, seguì l’indice
indicargli un punto dell’ultima fotografia ancora in bella mostra, quello dove
il vestito bianco aveva un leggero rigonfiamento.
«Nella
tua pancia? Come facevo a essere lì?»
«Magia»
Un
altro bambino non si sarebbe accontento di una tal risposta, ma non Kaito.
Quella parola per lui era in grado di spiegare tutti i segreti del mondo,
soddisfacente al punto da fargli dimenticare la tristezza precedente per
indagare con occhio critico la foto. Sua mamma gli aveva detto che lui era lì
presente quel giorno quindi doveva anche esserci un trucco se non era stato
immortalato nella fotografia.
Suo
padre doveva essere stato davvero bravo a nasconderlo e la mamma non
gliel’avrebbe mai rivelato.
Non
si rivela mai un trucco.
«Direi
che per oggi può bastare, abbiamo visto abbastanza fotografie e devo ancora
preparare la cena…in più, tu non avevi una torta da cercare per papà?»
«Ah
sì, ma l’ho già trovata!»
Chikage
si chiese esattamente quando suo figlio avesse trovato il tempo per cercarla,
soprattutto perché il suo non era un bluff. L’aveva trovata davvero, la rivista
aperta a pagina trenta dove risaltava l’immagine di una torta glassata
interamente di cioccolato con una decorazione a forma di rosa al centro. Era stata
una scelta accurata, se si parlava di Toichi tutto era ricercato al dettaglio.
«Kaito…quando
l’avresti cercata?»
Kaito
gonfiò il petto, l’indice ondeggiato davanti a lei con un sorrisetto sulle labbra.
No,
non era un sorriso, la donna lo riconobbe subito.
Quello
era il ghigno sfacciato che il marito assumeva quando gli mostrava l’elaborazione
di qualche nuovo trucco.
«Magia»
le
sillabe scandite fra loro per sottolineare la sfacciataggine con cui le stava
rendendo pan per focaccia.
Il
telefono di casa squillò proprio in quel momento e gli occhi azzurri si
illuminarono, sapevano entrambi chi fosse.
La
donna si ritrovò a rispondere con una piovra attaccata alla gamba che tentava
in tutti i modi di arrampicarsi su di lei e raggiungere la cornetta.
«Bonsoir, ma chérie»
la sensualità della voce maschile percepibile anche a chilometri di distanza.
«Oh,
buonasera a te mio caro»
«È
papà vero? È lui?» piccoli saltelli euforici mentre il lembo della gonna veniva
tirato per attirare l’attenzione.
«Kaito
sta di nuovo cercando di arrampicarsi addosso?»
«Ma
non mi dire, chissà cosa te lo ha suggerito» rise divertita accompagnata dagli
urletti provenienti dal basso.
«Voglio
parlarci anche io!» l’ultima sillaba prolungata a lungo mentre le manine
afferravano la tanto agognata cornetta.
«Sì
sì, ecco a te»
«PAPÀ!
Piove anche da te? Qui tanto la mamma non mi ha fatto uscire a giocare… Hai già
fatto il tuo spettacolo? Lo hai provato il nuovo trucco che hai creato ieri? Quando
torni? Lo sai che oggi ho regalato una margherita alla mamma? L’ho fatta
apparire proprio come fai tu! A lei è piaciuto tanto, ha detto che presto ti
avrei superato…quando torni mi insegni qualcos’altro?»
Chikage
si poggiò stancamente alla parete smettendo di ascoltare quella raffica di
domande alternate da pochi secondi in cui Toichi probabilmente non era riuscito
nemmeno ad aprire la bocca per rispondere, succedeva sempre così.
Lei
diventava un fantasma mentre suo marito rubava la completa attenzione
come un ladro.
Passarono
dieci minuti, poi quindici, ai venti fu quasi costretta a rincorre Kaito in
tondo sul posto per conquistare il controllo del telefono.
«Papà
deve fare uno spettacolo ricordi? Forza, salutalo e vai a lavare le mani»
«Ciao
papà…» il piccolo salutò mogio dirigendosi triste verso il bagno.
«Accidenti,
oggi sembrava iperattivo…ti faccio i miei complimenti per riuscirgli a stare al
passo»
«Oggi?
Tuo figlio lo è perennemente» sospirò fiaccamente passandosi una mano fra i
capelli «A proposito, vedi di non renderlo un dongiovanni come te»
«Mh? Di cosa stai parlando tesoro?»
«Delle
frasi che gli dici quando non ci sono» ridacchiò imitando la voce del bambino
di un’oretta prima «Papà lo dice sempre che sei la donna più bella che abbia
mai conosciuto, però non dirgli che te l’ho detto perché doveva restare un
segreto»
L’uomo
restò in silenzio qualche attimo.
«Toichi
ci sei ancora?»
«Sì,
riflettevo»
«Cos’è?
Improvvisamente fai il timido con le tue stesse avance?»
«No,
cara sai benissimo che lo penso ogni singolo giorno» la donna si portò la mano
libera sulla guancia con occhi sognanti presto sostituiti da due più perplessi
al termine della frase «Però io questa cosa a Kaito non l’ho detta»
La
sedia della cucina ricadde con un sonoro tonfo oltrepassata dai due adolescenti
che si stavano rincorrendo attorno al tavolo.
Aoko
si abbassò per evitare le continue carte lanciate verso di lei uscite da chissà
dove, la gonna della divisa svolazzante in quella corsa che l’occupava già da
svariati minuti per tutta la casa.
«Ahoko molla quella fotografia!»
«Non
ci penso nemmeno Bakaito!»
Chikage
ignorò i fogli volati qua e là al passaggio dei due continuando a sorseggiare
la sua tazza di tè comodamente seduta sul divano, posizione che urtò ancor di
più Kaito. Lui le aveva detto di evitare di fare stramberie ma lei per tutta
risposta, ignorandolo totalmente, aveva cacciato lo scatolo con le fotografie
mettendolo in ridicolo. Non poteva continuare a viaggiare per il mondo anche
quel giorno?
«Mamma
giuro che questa me la paghi!» le urlò puntandole un dito contro, piantonato
davanti la porta per evitare di far uscire la sua preda.
«Oh quante storie, è una foto carinissima! Avevi solo il visino
e le manine sporche di cioccolata, vuoi metterla a confronto con quelle
nascoste?» la donna gli rivolse un sorrisetto affabile, nella trasmissione dell’implicito
messaggio: “sì, ho visto che ti sei nascosto nella giacca quelle del primo
bagnetto”
«Chikage-san
ha ragione, eri così adorabile!»
Kaito
avvampò facendo cadere per qualche istante la sua facciata imperturbabile,
chiedendosi se la ragazza si rendesse conto delle parole che stava dicendo da
quando avevano iniziato quella tortura nei suoi confronti.
Adorabile,
carino, dolcissimo, non erano gli esatti commenti che riceva solitamente
da lei.
Approfittando
della guardia abbassata da Aoko per una qualche nuova foto riuscì a bloccarla sulla
poltrona, gettandosi praticamente addosso per recuperare la fotografia
incriminata.
Troppo
vicino.
Chikage
sollevò gli occhi sui due rimasti impietriti a poca distanza.
Kaito
nella foga era finito con le ginocchia premute sulla poltrona ai lati delle
gambe di Aoko, il braccio proteso verso quello di lei spinto indietro per non
far afferrare il cartoncino ludico trovandosi inevitabilmente con la faccia a
poca distanza dall’altra.
La
signora Kuroba prese un biscottino dal piatto sorridendo lievemente, era la
terza volta che i due ragazzi finivano per bloccarsi in quel limbo tutto
imbarazzato da quando aveva chiesto loro di farle compagnia. La prima volta le
avevano quasi rotto un timpano gridando all’unisono, lei aveva soltanto suggerito
di abbandonare la stanza per lasciarli giocare da soli, non prima
ovviamente di aver chiesto al figlio se fosse a conoscenza del famoso discorsetto
su come nascano i bambini.
Proprio
su quella scia di pensiero si ritrovò a ridere rompendo anche il gioco di
sguardi dell’ancora non nata coppietta.
«Mi
sono appena ricordata di quella volta che Kaito scoppiò a piangere perché credeva
di non essere stato invitato al mio matrimonio!»
Se
possibile, le guance di Kaito si tinsero di un rosso più acceso fin sulle
orecchie.
«MAMMA!
Doveva restare un segreto!»
Note finali
Buongiorno
a tutti! ^.^
Sono
così felice di poter giungere qui a pubblicare grazie al mio tempo libero.
No,
non è vero. Sono sicuramente felice di aver partecipato alla mia prima challenge
ma su tempo libero c’è qualche problema di fondo…ho abbandonato lo studio >.<
Onestamente
non sono nemmeno certa di aver rispettato appieno le direttive della challenge,
mi sono lasciata trasportare dai vagheggi come ogni qual volta mi vien voglia
di scrivere qualcosa.
Quindi,
prima di essere assalita dai sensi di colpa vi saluto velocemente, ringraziandovi
anticipatamente di aver letto la storia (io mi rallegro al sol vedere il numero
di letture) e come sempre, se volete lasciare un vostro piccolo parere ne sarei
felice! ❤
Un
grande abbraccio a tutti ❤
Aky
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di Gōshō Aoyama, questa storia è stata scritta
senza alcuno scopo di lucro.