Rin No Yami

di La Fra
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Quando Obito gli aveva racconto quello che aveva passato in quei mesi, Minato non ci aveva potuto credere. Eppure, seguendo le sue indicazioni, era riuscito a raggiungere la grande grotta sotterranea della quale gli aveva parlato.

Madara Uchiha, il temuto e rispettato membro del prestigioso clan, era seduto in carne e ossa su un decadente trono, un'aria stantia e marcescenti riempiva l'antro. Una serie di creature arboree, bianche e nodose si erano disposte di fronte a lui, come per fargli da scudo.

Minato non era tipo da lasciarsi intimorire, e avanzò deciso verso quel dimenticato re di nulla.

 

"Tu...” Disse, e la sua voce rimbombò fra le pareti vuote. “Non dovresti essere vivo. Fai parte di uno scomodo passato da dimenticare. Non sei altro che un fantasma che non appartiene più a questo mondo.”
Madara lo fissò immobile, senza dire una parola. “Ti eri preparato un bel piano, ma arrenditi: oggi è fallito."

 

Minato si chiese se il vecchio si fosse già accorto delle bombe che aveva piazzato tutt'intorno alla grotta. Probabilmente sì, ma non sembrava per niente scosso; forse non aveva più nemmeno le forze per muoversi.

 

Il vecchio aprì la bocca ed esalò un debole respiro. "Le cose non sono andate come avrebbero dovuto, non dovresti essere qui.” Disse con voce rauca. “Chi sei tu?"

 

Minato gli si avvicinò ancora, abbastanza perché Madara potesse vederlo bene in viso. Avrebbe potuto presentarsi a lui in tanti modi, e tutti gli avrebbero fatto comprendere all'istante che per lui ormai non si sarebbe stata più nessuna speranza. La voce del Maestro Jiraiya gli risuonò nella mente, un ricordo indelebile delle sue parole.

 

Finalmente posso smettere di vagare per questo mondo. Ti ho trovato... sei tu quello che stavo cercando... tu sei...”

 

"Io sono il ragazzo della profezia." Disse a testa alta.

 

Il vecchio socchiuse gli occhi e annuì leggermente. Non si oppose quando Minato lo raggiunse, estrasse il kunai e recise i cordoni che collegavano il corpo del vecchio. Non ricevendo nessun ordine, le creature intorno a loro non si mossero; i loro sguardi vuoti erano fissi sul vecchio che rantolava agonizzante a terra.

 

Minato non riuscì a provare pietà per lui. Si chinò su di lui e attaccò alcune carte bomba sul suo esile corpo. "Scusa, ma devo accertarmi di non sbagliare." Disse con tono gelido sollevandosi in piedi. Mentre camminava verso l'uscita, la voce di Madara si alzava come un lieve soffio di vento.

"Tu vuoi vivere in un mondo di vincitori e vinti...! Ti sta bene così?! Tu dovevi essere un perdente... DOVEVI esserlo, e io dovevo vincere. Cos'ho sbagliato? Perché sei venuto qui?!"

 

Minato non si fermò e non si guardò indietro mentre le esplosioni cancellavano per sempre Madara Uchiha e il suo esercito di creature ripugnanti.

 

-

 

Nell'alta torre dell'Hokage, fra Danzo e Sarutobi era calato un silenzio teso. Discutere del destino di Rin Nohara non era certo cosa semplice.

“Per adesso la ragazza è tenuta rinchiusa in una cella, ma non appena saremo sicuri che sia innocua, la trasferiremo in una camera di ospedale.” Disse l'Hokage con una calma glaciale.

"Sarutobi!” Sbraitò il consigliere girando intorno alla scrivania. “La tua indulgenza ci porterà alla distruzione prima o poi. E sarò io a dover raccogliere i cocci quando te ne sarai andato!”

L'Hokage fece un triste sorriso. A volte non riusciva a riconoscere il suo vecchio compagno di squadra. “Sei proprio fissato col volermi spodestare. Senza dubbio andrò in pensione prima o poi, ma ho già trovato un successore, quindi puoi stare tranquillo."

Danzo sui ricompose per non mostrare la sua indignazione. "Certo... Minato Namikaze,” Disse con una vena di sdegno. “È un abile shinobi, ma anche uno sprovveduto. Ha portato di sua iniziativa due Jinchuuriki al villaggio! Due bombe pronte ad esplodere.”

Sarutobi mantenne lo sguardo fisso fuori dalla finestra, verso la prigione.

“Persino Kushina Uzumaki non si rende conto della gravità della situazione. Eppure lei dovrebbe capirlo bene! I sigilli applicati a Rin Nohara non sono resistenti come quelli del suo clan. Come ha osato rivolgersi così a me questa mattina?” Si fermò, in attesa di una risposta, ma Sarutobi si limitò a sospirare. Quando Kushina era entrata nell'ufficio e aveva dato a Danzo del criminale per aver incatenato una tredicenne, aveva dovuto trattenere una risata.

Danzo si mise fra lui e il vetro per attirare di nuovo la sua attenzione. “Vogliamo parlare poi dell'instabilità mentale della ragazza? Non possiamo ignorarlo."

 

Il Terzo Hokage scostò la pipa dalla bocca e soffiò altro denso fumo nella stanza.

 

"Quella ragazzina è sotto la mia protezione. E se qualcosa andrà storto, darò la vita per il mio villaggio..."

 

Danzo strinse un pugno e digrignò i denti.

 

"Finisce sempre così! Una bella frase a effetto da eroe decaduto... le belle parole non portano da nessuna parte, servono fatti! Non ci sarà nessun villaggio da difendere se quella bestia verrà liberata!"

 

Il Terzo Hokage raggiunse la scrivania e si mise seduto. Era chiaro volesse cambiare discorso. "Non posso ancora credere che Madara Uchiha fosse vivo. Quell'uomo stava lavorando sulle cellule del Primo Hokage... le stesse impiantate in Obito Uchiha."

 

Danzo assunse un ghigno sul suo volto.

 

"Ho visto con i miei occhi il corpo di quel ragazzo; è sensazionale. Può essere la svolta per il villaggio che-"

Sarutobi alzò una mano per farlo tacere. "Frena, frena, Danzo.” Disse secco. “Il team di sviluppo sta valutando la loro utilità e gli effetti collaterali, ma se saranno dannose... distruggeremo tutto."

 

Danzo strinse i pugni per trattenere l'ira. Furioso, sputò e a terra e se ne andò sbattendo la porta.

Il Terzo Hokage aveva ancora lo sguardo fisso alla finestra, ma invece che osservare l'edificio lontano, guardò il suo riflesso dritto negli occhi. Nella sua espressione stanca c'era una vena di rimprovero, come se lo stesse accusando di qualcosa di terribile.

 

-

 

Rin si svegliò al suono dell'acqua che cadeva dal soffitto. Non riusciva a muoversi a causa della camicia di forza e delle catene. Un sigillo incandescente le bruciava sull'addome. Le avevano detto che sarebbe servito a mantenere il Tre Code dentro di lei, ma ogni tanto lo sentiva fremere e contorcersi. Non molto rassicurante.

 

Non aveva visto nessuno in quei giorni. Forse, non permettevano a nessuno di farle visita. Kakashi non si era fatto vivo e Obito... Rin non aveva potuto chiedere nulla. Aveva troppa paura di aver solo immaginato il suo compagno di squadra, di averlo sognato nel delirio prima di perdere i sensi.

A farle compagnia nelle ultime ore c'era stato solo lui. Il più insospettabile di tutti; il mostro con il quale ora condivideva corpo e mente. Isobu.

Quando Rin chiudeva gli occhi, si ritrovava spesso in una dimensione strana. Uno specchio d'acqua e una distesa buia, solo un gocciolio perpetuo. La bestia la fissava con il suo enorme occhio, e le parlava.

"Ragazzina, il legame tra il Jinchuuriki e il Bijuu è una storia vecchia come il mondo, e io la conosco a memoria.” Aveva detto la sua voce tonante. “Non aver paura, io non sono tuo nemico... non siamo tutti ostili come Kurama il Nove Code... che rimanga fra noi, ma quello è sempre arrabbiato e ricolmo di odio.”

Rin all'inizio aveva creduto di essere impazzita. Poi, aveva dovuto affrontare la realtà dei fatti. “Cosa devo fare?” Aveva chiesto con le lacrime agli occhi.

“Se hai dei veri amici, delle persone su cui contare e che ti vogliono bene, ce la farai."

 

Rin sentì un tintinnio e aprì gli occhi. La porta della cella si aprì lentamente e Rin sentì la bocca piegarsi in un lieve sorriso.

“Kakashi...” Disse con la bocca secca.

Il ragazzo si avvicinò e si inginocchiò davanti a lei. Rin fremette quando le sfiorò la mano.

"Come stai?” Le chiese. “Il maestro conosceva i sigilli che ti avevano messo e li ha rimossi. L'Hokage ha detto che puoi uscire. Andrà tutto bene, vedrai.”

La ragazza sentì gli occhi inumidirsi e annuì. “Kakashi, io...” Disse cercando di trattenere le lacrime. “L'altra sera io, ho visto... ma credo di aver solo sognato.”

Non riuscì nemmeno a finire la frase, che Kakashi si spostò di lato e lasciò apparire l'immagine sfocata di un secondo visitatore. Se ne stava in piedi sulla soglia, una chioma di capelli neri e un occhio fisso su di lei. “Rin” Disse la stessa voce che l'aveva chiamata quella sera.

"Obito!" Il nome le uscì prima che potesse trattenersi.

Il ragazzo fu subito su di lei. Le afferrò la mano, strofinando delicatamente il pollice sul suo palmo.

"Come è possibile... Obito? Io e Kakashi credevamo..."

“Shhh” Le fece un sorriso che Rin avrebbe riconosciuto fra mille. “Non importa più: sono tornato. Scusami solo per averci messo così tanto.”

Kakashi sorrise. “Abbiamo una seconda occasione per rendere le cose migliori. Tutti quanti.”

 

Le risate di Obito e Kakashi si sovrapposero e le lacrime le scesero per le guance.

 

Prima che potesse rendersene conto, le catene smisero di trattenerla e i due la avvolsero in un caldo abbraccio.

"Ragazzi..." Disse affondando il viso nelle loro spalle.

Kakashi e Obito si ritrassero per guardarla. Le afferrarono le mani e le strinsero forte. Rin conosceva bene quella sensazione: era sempre stata lei il legame che li teneva uniti, era sempre stata la prima ad afferrare le loro mani per spronarli a correre insieme. Stavolta però era diverso: era lei ad aver bisogno di loro.

"Mi potreste portare a casa?" Chiese con un filo di voce. I loro occhi erano spaiati, ma la guardavano con lo stesso affetto. I due giovani ninja si scambiarono uno sguardo d'intesa e annuirono. Si alzarono in piedi e la aiutarono a fare qualche passo.

Tutti e tre insieme si incamminò giù per la scala della prigione e poi fuori, nel cortile, verso un viale di ciliegi. Persino i petali leggeri sembrarono danzare tutti intorno a loro per dargli il bentornato.

 

FINE...

 

...o solo l'inizio?



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