L' ultimo segreto

di Redferne
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CAPITOLO 8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raoul si trovava ritto in piedi, di fronte ad una fitta foresta di pioppi.

Gli alberi erano perfettamente allineati ed ordinati. I tronchi bianchi e screziati di nero erano disposti in fila come un battaglione di tanti bravi soldati, pronti a serrare i ranghi al primo ordine ricevuto per bocca del loro comandante.

Pronti a muoversi.

Pronti a scattare.

Pronti a partire. Per la guerra o rappresaglia che fosse.

Sogghignò, almeno dentro di sé.

Era senza dubbio un pensiero frivolo, perché un generale non ha il tempo di occuparsi di cose come questa. Di cose che non c'entrino o non riguardino la battaglia, sia direttamente che indirettamente.

E nemmeno di pensarle, anche se in un certo senso lato sono comunque inerenti ad essa. Però...

Però la gradiva, l'idea.

Come pensata gli piaceva decisamente.

Un giorno, il giorno che avrebbe finalmente fondato un esercito, il suo esercito, che lo avrebbe aiutato a conquistare il mondo...

Ebbene, quell'esercito avrebbe dovuto proprio essere così.

Se davvero lui avrebbe dovuto, se davvero era destino che lui doveva essere la quercia secolare, il grande albero che avrebbe raccolto tra le proprie fronde il mondo con tutto quanto il suo intero peso, allora tutti quelli che si sarebbero ritrovati a lottare sotto la sua egida avrebbero dovuto essere così.

Come tanti alberi.

Come un'intera foresta.

Ben piantati al suolo con le radici che vi affondavano dentro, erette a solide ed indistruttibili fondamenta.

Stabili come una montagna e con i rami protesi verso la volta celeste, dato che quello costituiva l'obiettivo.

Inferiori nell'aspetto, nelle dimensioni e nella possenza. Poiché in una nave che salpa verso una nuova terra nulla può eguagliare l'albero maestro, il sostegno principale.

Ma eguali nella forza.

Non potevano superarlo.

No. Non avrebbero potuto osare un simile affronto. Ma potevano tenere ugualmente il passo. Anzi...avrebbero dovuto tenerlo.

Li avrebbe obbligati a farlo. In caso contrario ci avrebbe pensato lui stesso a sradicarli.

Un ramo o un albero malato o debole possono far morire tutto quanto, se non li si provvede a potare per tempo.

Rimase ancora per qualche istante come in raccoglimento ed osservazione, senza staccare gli occhi di dosso da quelle piante. Come se stesse riflettendo o rimuginando su ciò che avrebbe compiuto da lì a poco.

Inspirò quindi profondamente, forzando l'aria a scendere nel suo vasto petto fino a riempire il più possibile i polmoni.

Una volta che fu quasi al termine dell'operazione una smorfia gli si disegnò sul viso, come se da dentro gli si fosse propagata all'improvviso una sensazione che doveva essere alquanto fastidiosa. E dolorosa.

Lo sapeva.

L'espressione sul suo volto era dolente, e lui la sentiva.

Sulla fronte e proprio nel mezzo di essa gli si doveva essere formata una ruga per lo sforzo.

Una ruga talmente scura e profonda da poter essere tranquillamente scambiata per una ferita, oppure una piaga. Senza alcuna ombra o possibilità di dubbio o di fallo.

Riusciva a percepirla con estrema chiarezza.

Le tecniche della Divina Arte posseggono una potenza a dir poco incommensurabile.

Ma chi le usa, colui che si ritrova per destino o per caso fortuito ad utilizzarle...per quanto allenato e fortificato dalla disciplina, rimane pur sempre un essere umano.

E compiere quelli che a tutti gli effetti appaiono come prodigi, come atti ed opere di stampo e di origine ultra – terrena...non rientra nella natura umana.

E' incredibile quel che riescono a fare gli esseri umani, con un minimo di costanza e di allenamento. Ma, nonostante quello...

Nonostante ciò, essi sono e restano limitati.

Si può soltanto prendere a prestito un'energia enorme, e per un tempo assai breve e circoscritto.

E alla fine, nonostante il fisico colossale e temprato dai duri addestramenti, anche lui in fondo non era altro che un uomo.

Per il momento.

Per riuscire a realizzare ciò che aveva in mente avrebbe dovuto arrivare a trascendere i limiti imposti dalla sua stessa condizione.

Superare le barriere e gli ostacoli che di norma finivano col bloccare l'avanzata di ogni misero mortale.

Doveva farcela.

Anche lui avrebbe dovuto farcela, ad ogni costo.

Non aveva altra scelta. E quel che si accingeva a fare era un altro passo, un ulteriore passo in quella direzione.

Irrigidì in contemporanea tutti quanti i muscoli del suo enorme corpo, mentre iniziò a far roteare entrambe le braccia in senso contrapposto l'una all'altra. La destra in senso orario e la sinistra in modo speculare rispetto ad essa, con entrambe che compivano traiettorie molto ampie e circolari.

Le immagini residue delle sue mani in movimento lasciavano una scia nell'aria, e avrebbe potuto riuscire a scorgerle con i suoi stessi occhi.

Le fece roteare ancora un paio di volte e poi le raccolse portandole all'altezza delle proprie anche, da cui partivano le gambe leggermente piegate e divaricate.

Tenne i gomiti lievemente flessi, e poi chiuse i pugni lasciando le penultime nocche in evidenza e ben rivolte verso l'alto.

Inspirò di nuovo, questa volta in modo molto più prolungato, e a seguito di ciò i suoi muscoli già tesi sino allo spasimo sembrarono gonfiarsi di colpo ed aumentare considerevolmente di volume.

Quella sua posa dava un'immagine alquanto singolare.

Persino inquietante, si sarebbe detto.

Ad un osservatore neutrale e capitato da quelle parti per puro caso avrebbe regalato l'impressione di raccogliere ed assorbire qualche sorta di misterioso fluido dalla terra, dal vento e dall'ambiente circostante, per poi raccoglierlo e concentrarlo dentro al proprio organismo. Ed infine riversarlo all'esterno, una volta raggiunta la soglia massima di contenimento.

E così era, infatti.

Era come una cisterna sul punto di traboccare, di esplodere.

Emise un verso gutturale, molto simile ad un mugghiare.

“Hhhhmmmm!!”

Pochi istanti più tardi allungò di nuovo le braccia protendendole in avanti, alla massima escursione di cui poteva disporre. E subito dopo spalancò le mani, estendendo le dita come tanti mirini puntati su di un unico e comune bersaglio.

“OOOAAARRRGGGHHH!!”

Lanciò un urlo profondo, mentre eseguiva quei movimenti.

Dai palmi bene aperti fuoriuscì una gigantesca massa d'aria simile ad un tifone, che si abbatté sulla foresta davanti a lui con la furia e la potenza di un bordata effettuata tramite un pesantissimo maglio di acciaio.

Gli alberi vennero letteralmente spazzati via. I tronchi sradicati di netto dalle loro sedi insieme alle basi nodose e frastagliate, finendo completamente smembrati.

E la medesima sorte la subirono le appendici superiori cariche di foglie, polline ed inflorescenze primaverili, che vennero in men che non si dica ridotte a brandelli e poi in briciole via via sempre più piccole, mano a mano che l'intensità del colpo aumentava. Per poi venire scagliate verso l'immensità del firmamento stellato, a quell'ora della sera buio almeno quanto era infinito.

Sembrava non fermarsi più. Sembrava non esaurirsi mai.

La scaricò tutta quanta, completamente. Ed una volta giunto al termine dell'esecuzione riabbassò le braccia, riportandole ben lunghe e distese in prossimità dei fianchi.

Raoul guardò ancora davanti a sé, verso la foresta. O meglio, nel punto dove fino ad un atttimo prima vi era stata una foresta.

Ora non vi era più nulla. Al suo posto vi era sorto uno spiazzo vuoto e desolato. Un deserto.

Ridacchiò compiaciuto.

Ce l'aveva fatta, finalmente.

Aveva ottenuto una delle ultime tecniche della Divina Scuola.

Uno degli ultimi segreti.

 

HOKUTO SHINKEN TEN – SHO HONRETSU.

 

L' ONDA DELLA CORRENTE IMPETUOSA DELLA VIOLENZA DEL DOMINATORE DEI CIELI.

 

Non poteva esserci nome più appropriato, per definirla.

Così come per chi la stava padroneggiando, anche. Visto che in futuro sarebbe stato destinato ad ottenerli e a stringerli entrambi nel palmo della propria mano.

Sia la tecnica, che il cielo di cui essa parlava ed a cui faceva riferimento.

Sia il mondo, che il pugno.

Grazie a questo colpo era possibile concentrare la forza spirituale nei palmi e nelle falangi degli arti superiori per poi espellerla in una volta sola, in modo da raggiungere il corpo dell'avversario anche a decine di metri di distanza.

Oppure era possibile utilizzarla per generare un possente turbine in grado di abbattere, devastare e ridurre in cenere qualunque cosa. E forse avrebbe potuto arrivare ad attivare e danneggiare gli tsubo vitali senza nemmeno doverli toccare, con la giusta pratica.

Certo, era appena agli inizi. Ma in ogni caso si trattava di una tecnica dalle capacità distruttive assolutamente uniche.

Dove passava...niente restava più come prima.

Sul serio.

Narrava una leggenda che una volta l'antico Egitto era una landa verde e rigogliosa. E che fu un maestro di Hokuto nel tentativo di dare un freno alla smisurata ambizione del Faraone a ridurla ad un territorio sterile, coperto di sabbia arida e perennemente bruciato dal sole. E proprio grazie a quel colpo.

Era il colpo adatto ai Re. Agli Imperatori. E a lui.

Il colpo micidiale che gli avrebbe permesso di sistemare qualunque potenziale fastidio o minaccia senza nemmeno doversi sporcare le mani. Senza nemmeno dover scendere da cavallo.

Un monarca abbandona la propria cavalcatura ed il proprio destriero solo quando ha la fortuna, l'onore ed il privilegio di trovarsi davanti ad un avversario che giudica degno, o di pari valore.

In caso contrario...non é nemmeno tenuto a scendere in campo.

Un Re non può, non deve mettersi allo stesso livello della feccia.

C'era ancora tanto, da fare. Ma c'era anche di che potersi ritenere più che soddisfatti, almeno per un poco.

Si. Gli si addiceva proprio, quella tecnica.

Era la tecnica creata apposta e su misura per uno che era destinato al comando. Ed averla acquisita altro non era che una prova ulteriore.

Un passo in più verso la supremazia. Un passo in più mosso verso la conquista del mondo. E successivamente del cielo.

Una passo e una tecnica alla volta. E passo dopo passo, tecnica dopo tecnica, un giorno sarebbe diventato sufficientemente abile. Da ottenere tutti e due.

Da ottenere tutto quel che desiderava con la sola forza delle proprie mani.

E dei propri pugni.

Poi, tutto ad un tratto...sentì fischiare lievemente e all'improvviso le proprie orecchie.

Fu una sorta di sibilo, breve ma acutissimo. Seguito a ruota da un brivido che dalla nuca gli si dipanò lungo tutto quanto l'arco dell'intera colonna vertebrale.

“Ma che...” esclamò.

Stava accadendo qualcosa. Lontano da lì.

O meglio, quel qualcosa era appena accaduto. E ciò che gli era appena giunto a portata di nervi e di timpani non era altro che un'eco remota. Paragonabile alla luce emessa da certi astri componenti o facenti parte di questa o di quella galassia. E che dai più profondi recessi del cosmo giunge fino agli abitanti della Terra facendogli pensare quanto sia grande, luminoso e potente. Quando in realtà la stella che l'ha emanata é morta da innumerevoli decenni.

O da secoli. Da eoni, persino. Ed é ridotta ad un corpo spento e freddo che fluttua nel vuoto siderale, mentre gli spettatori delle sue ormai misere spoglie nemmeno se ne rendono conto.

E Raoul reagì nel medesimo modo.

Quello che aveva percepito era accaduto lontanto, ma allo stesso tempo vicino.

A colpirlo e a sorprenderlo maggiormente non fu tanto quel che aveva appena percepito, quanto cio che era avvenuto dentro di lui come diretta conseguenza di quella percezione. Le sensazioni che essa aveva generato.

E ne fu talmente preso, talmente rapito che finì col concentrarsi più sulla sensazione in sé che sulle cause scatenanti.

Fu come se il suo cervello avesse perso, saltato un passaggio fondamentale.

Dedicò ogni singola stilla della propria attenzione al suo stato d'animo, quando forse sarebbe stato più opportuno per lui mettersi a riflettere su quel che lo aveva originato.

Ma invece se ne dimenticò completamente e decise di preferire il primo aspetto di tutta quanta la vicenda.

Magari perché lo aveva giudicato maggiormente degno della propria attenzione, visto che era quello che lo coinvolgeva maggormante dal punto di vista emotivo.

Era...strano.

Sentiva come un peso opprimergli la parte centrale del suo vasto e muscoloso petto, in prossimità del cuore. Ed il brivido che gli era scaturito dalla zona encefalica si era esteso fino alle ginocchia, che sembravano aver preso la consistenza del burro.

Non riusciva più a muoverle. Sembrava che di colpo non rispondessero più alla sua volontà.

Ma...ma cosa poteva essere, dannazione?

Che cosa poteva essere, per la miseria?

Non si era mai sentito così. E non aveva mai provato assolutamente nulla del genere.

In realtà non era proprio così. Non le aveva mai assaporate ma non gli erano nuove.

Non le aveva mai provate ma le aveva viste. In genere negli occhi e nelle membra atterrite di coloro che fino ad adesso avevano avuto la sventura di pararglisi davanti e di incrociare il suo cammino.

In genere avversari e contendenti affrontati in allenamento, o nelle lotte avvenute per la successione o nei confronti con altri stili e scuole.

Che fosse...anzi, che si trattassero proprio di quelle due tipiche e precise reazioni che si provano quando ci si trova davanti ad un nemico che si teme, e che automaticamente si tende a considerare più forte?

Oppure quando ci si ritrova a dover affrontare una battaglia all'ultimo sangue, senza avere nemmeno il conforto donato dalla certezza di poterne uscire vincitori ma soprattutto vivi?

Le conosceva bene, quelle sensazioni. Ma le aveva sempre riconosciute negli altri, mai in sé stesso.

A parte una volta.

Ryuken, il suo padre e maestro, gliene aveva parlato molto tempo fa. E proprio durante quell'occasione.

Anche se il primo dei suoi figli adottivi non se ne faceva nulla.

Né del suo intervento, né del suo contributo in merito.

Aveva deciso di non farsene più nulla, di quel vecchio, delle sue parole e dei suoi insegnamenti.

Aveva deciso di non farsene più nulla, di suo padre. E da tempo, ormai.

Se li ricordava benissimo entrambi, quei due stati d'animo. Così come se la ricordava benissimo, quella volta.

E come al solito...ci era riuscito benissimo da solo, e senza l'aiuto di nessuno.

Come con ogni cosa. Come con ogni altra cosa.

Era così che aveva deciso di continuare a vivere da un bel po' di tempo, dopotutto.

Di non contare più su nessun genere di aiuto che non fosse quello proveniente e derivante direttamente da sé stesso.

I sentimenti che in quel preciso momento lo stavano attanagliando in una morsa senza sosta, né pace né pietà alcuna...li aveva provati entrambi quand'era appena ragazzino, dopo essersi trovato di fronte all'autentica impersonificazione di un orco.

Al Diavolo in persona.

A Satana stesso che doveva aver deciso di farsi di carne e sangue e di scendere in mezzo agli uomini, quella volta. Per fare ciò che sapeva fare meglio, si da quando esisteva.

E cioé spargere viscere, morte e distruzione.

Quella volta, al castello...quella volta era arrivato il Diavolo. Nella loro stessa dimora.

Era arrivato il Diavolo a fare il lavoro del Diavolo.

Avevano abbassato la guardia, e dalla porta di oriente erano entrati i demoni, violando e profanando il tempio, il dojo e la loro stessa casa.

E lui lo aveva visto in azione, mentre col suo corpo mastodontico, titanico e gigantesco e la sua ghigna feroce aveva compiuto un vero e proprio massacro facendo strage di tutti i giovani allievi della scuola di Hokuto. Per poi fare successivamente razzia di soldi, cibarie e provviste.

Come se nulla fosse. Come se nulla fosse successo.

E quando suo padre Ryuken gli aveva domandato quasi con calma serafica ed innaturale che cosa significasse per lui la vita umana, quel mostro se n'era venuto fuori con una risposta da far gelare il sangue dentro alle vene.

Gli aveva replicato che non gliene importava nulla, della vita degli altri. Che non aveva mai conosciuto né suo padre, né sua madre. E quindi, per quel che gli riguardava...tutti gli uomini non facevano altro che venire fuori dalle viscere della terra come i vermi, quando nascevano. E come tali li considerava.

Fudo.

Questo era il nome di quel demonio.

Fudo. Era così che si chiamava, quel mostro fatto di muscoli e di fattezze a dir poco gargantuesche.

Fudo.

La montagna.

Appartenente ai Cinque Astri in Cerchio della Sacra Scuola di Nanto.

Protettori e difensori assoluti e fedelissimi dell' Ultimo Grande Condottiero della Sacra Costellazione del Cielo del Sud.

E comandante di una delle cinque armate al servizio di Rihaku, il Mare. Capo supremo dei Cinque Astri.

Anche se ai tempi aveva rinnegato sia la propria vita che la propria anima, dato che non era ancora consapevole del suo destino. E non era altro che un lurido predone. Ed in quanto tale interessato unicamente al credo delle uccisioni, degli stupri e dei saccheggi.

Raoul non aveva potuto fare altro che rimanere ad osservarlo, in ginocchio col volto e le membra impietrite dal terrore. Ma una cosa aveva potuto farla, anche se solamente dentro di sé e solo col pensiero. Ed in silenzio.

Si era promesso e ripromesso che mai più, nel corso e per il resto della sua intera vita, si sarebbe fatto ridurre in un simile stato.

Mai più si sarebbe ritrovato così atterrito ed inerme per colpa di una minaccia.

Mai più. Da anima morta o viva.

Eppure...eppure sembrava proprio che...

No. Non eppure.

Stava accadendo, invece.

Stava accadendo, maledizione.

Stava accadendo di nuovo. E lui...

Lui lo aveva lasciato accadere.

Aveva lasciato che accadesse. Ancora una volta.

Aveva abbassato al guardia. E adesso...

Erano tornate.

Che fossero...che fossero proprio loro?

Che fosse proprio ciò che da quel fatidico giorno aveva cercato di bandire, dal proprio animo e dal proprio corpo con ogni mezzo e con tutte le proprie forze?

Ma certo che erano loro.

Le aveva riconosciute subito, anche se non lo voleva ammettere.

Avrebbe preferito morire, piuttosto che accettare una cosa simile.

In ogni caso...meglio fugare ogni dubbio.

Digrignò i propri denti, assumendo un espressione furente e rabbiosa.

Un istante dopo si accovacciò, poggiando un ginocchio a terra. E poi, dopo averlo alzato fin sopra la propria testa, scaglio un tremendo pugno contro al suolo.

Sembrava che avesse voluto tirare un enorme cazzotto contro tutta la terra. Ma in realtà lo aveva tirato idealmente contro lui stesso, come punizione e biasimo per quanto gli era appena successo.

Per quanto aveva appena fatto, e compiuto.

Causò nel punto d'impatto una profonda voragine, di mezzo metro almeno sia di diametro che di profondità, da cui si diramò tutt'intorno una fitta rete di crepe simili ad una ragnatela ben intessuta.

Era impressionante, a dir poco.

La sua forza era aumentata in maniera addirittura spropositata, nel corso degli ultimi anni.

Era diventato potente oltre ogni immaginazione, in modo esagerato.

Ma un sol uomo, per quanto forte e potente possa essere o diventare, non può mettersi contro la massa dell'intero pianeta senza subire delle conseguenze.

Le vene di tutta quanta la sua parte destra, quella che aveva impiegato nel caricamento e nell'esecuzione dell'attacco, per effetto dello spaventoso contraccolpo iniziarono a gonfiarsi vistosamente fino ad affiorare sottopelle.

Un istante dopo da esse da esse iniziarono a sprizzare e zampillare una miriade di minuscoli fiotti di sangue, lacerando la pelle e i tessuti in più punti.

Quando l'emorragia ebbe termine, una metà esatta di lui somigliava ad un'unica grande ferita, rossa e grondante. Ma la cosa non lo impensieriva affatto, e nemmeno contribuì a far placare la sua ira.

“Non so...non so cosa ti sia capitato” intimò con tono minaccioso, guardando verso i suoi piedi. “Ma...non lo fare mai più.”

Era davvero pazzesco, anche il solo pensarlo. Eppure...eppure lo stava facendo sul serio.

Si stava rivolgendo al suo stesso corpo.

Alla sue membra. Alla sua carne. Ai suoi muscoli. Alle sue ossa.

Si. Stava dialogando con sé stesso, per quanto potesse essere assurda e strampalata, come idea.

“Mi hai capito?” Aggiunse, proprio come avrebbe fatto un insegnante alle prese con un allievo svogliato oppure duro di orecchi. O di comprendonio. O entrambe le cose. Se non addirittura ritardato vero e proprio.

“Mi hai capito?” ribadì ancora, con un timbro sempre più inferocito. “Non ti azzardare a rifarlo ancora. Non ti azzardare a rifarlo mai. Mai più. Non tollero...non tollero simili scherzi, da parte tua. Non da chi ha il compito...da chi avrà il fiero compito di sostenere e far muovere colui che un giorno dominerà sia i cieli che la terra. Sappi che...che se accadrà ancora, te la farò pagare.

“Mi hai...mi hai sentito?!” Specificò una terza volta, nel caso il messaggio non fosse e non avesse potuto risultare più sufficientemente chiaro di così. “Se risuccederà...se oserai farlo risuccedere ancora, Sappi che la farò pagare. E molto cara, anche.”

La voce gli tremava, persino. Ma era giusto. Era giusto così. Più che giusto.

Il suo era il corpo di un futuro leader. E quindi...per prima cosa avrebbe dovuto accettare tutto ciò che avrebbe proposto la sua mente e i suoi pensieri da leader.

Avrebbe dovuto garantirgli il pieno appoggio, insieme ad una resa totale ed incondizionata.

Su di lui avrebbe dovuto imparare ad avere il pieno controllo, e da quest'ultimo avrebbe dovuto ottenere il completo appoggio e fiducia.

Se non lo avesse fatto lui...se non lo avesse fatto lui che di fatto condivedeva il suo stesso essere e la sua stesa essenza, nessun altro lo avrebbe mai fatto. Nessun altro.

Doveva avere la sua obbedienza. Da lui prima che da chiunque.

E per meglio chiarirgli il concetto, sferrò un altro colpo. Sempre col medesimo braccio, allargando ancora di più la buca e cavando da sé un altro abbondante getto del proprio fluido vitale.

“Anf...anf...non lo fare mai più, mi hai sentito?” disse, mentre prendeva ad ansimare.

“Non...non lo fare mai più” ripeté. “Altrimenti...altrimenti ti ammazzo. Giuro che ti ammazzo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Allora? Passate bene, le vacanze?

Beh...beati voi, ragazzi. Per il sottoscritto, come ho già avuto modo di raccontarvi in occasione dello scorso episodio...quest'anno non sono mai cominciate.

D'altra parte ritengo che se qualcuno sta male o ci sono dei problemi grossi, non si può fregarsene bellamente e partire lasciandosi tutto alle spalle come se nulla fosse.

Le vacanze vanno fatte a mente libera e sgombra. E con la consapevolezza di non doversi preoccupare di niente.

In caso contrario...meglio soprassedere. E rinviare.

Alla fine, come vi dicevo...ho trovato il modo di spassarmela ugualmente. Complice anche l'estate più fresca che si sia vista a Milano, da vent'anni a questa parte.

No, sul serio. Mi é sembrato di tornare ai tempi in cui ero un pischello. Dove si, faceva caldo.

Ma non quel caldo esagerato ed assurdo come in queste ultime estati, dove come minimo ti beccavi un'insolazione o un colpo di calore se soltanto ti azzardavi a mettere piede fuori di casa nelle ore più calde.

Praticamente ad ogni ora della giornata in cui il sole splendeva bello alto.

A quei tempi con un berretto calato in testa ed in sella ad una bici il caldo lo si poteva sfidare, volando sulle ali del vento.

E in effetti era proprio quel che si faceva, quando non c'erano soldi per andare al mare e a Ferragosto si stava a casa. E pure gli altri giorni, fino all'inevitabile ritorno a scuola.

Ce la si sciallava alla grandissima lo stesso, in un modo o nell'altro.

C'era un'altra mentalità, ragazzi. E non vi sto parlando del dopoguerra, eh.

Le vacanze erano un lusso, non una necessità irrinunciabile come vengono interpretate dalla maggioranza della gente oggigiorno.

Se si poteva...bene. Altrimenti pace. E nessuno faceva scenate o piagnistei di sorta.

Nel frattempo, ho ripreso a lavorare. E giusto l'altra settimana me n 'é capitata una davvero bruttissima.

Per farla breve, a momenti rischiavo davvero di NON POTER SCRIVERE MAI PIU'.

NON CON LE BRACCIA, almeno.

Ero lì che stavo per riprendere il lavoro dopo un breve pausa, quando...mi sono visto crollare mezzo stampo davanti agli occhi.

Quattro tonnellate di peso per trecento gradi di temperatura. E giusto un istante prima di metterci sotto le mani.

A quelle condizioni, qualunque cosa avrei infilato là sotto in quel momento...l'avrei PERSA, gente. E non sto scherzando.

Ho ancora adesso la strizza, se ci ripenso. E nonstante tutto, sono tornato a lavorare.

Un po' perché non posso permettermi di stare a casa. E poi perché il modo migliore per farsi passare la paura di dosso é di affrontarla.

Chiodo schiaccia chiodo.

O come direbbe il Grande Re...

SE NON COMBATTI, LA PAURA NON TI PASSERA'!!”

Eh. Ho capito, Maestà. Ma io ogni tanto me le vedo ancora sotto, le mie mani.

Comunque...l'ho scampata bella.

Il Dio degli scrittori e dei fanwriter ha guardato di sotto, per fortuna.

Ovviamente, essendo la mia una ditta grossa...il giorno successivo conciliabolo con capi e meccanici. Dove mi é stato detto che E' LA PRIMA VOLTA CHE CAPITA UNA COSA SIMILE IN CINQUANT'ANNI.

Davvero. Non era neanche contemplato in casistica, l'incidente che ho rischiato io. Al punto che hanno smontato e spedito via il pezzo rotto (dato che si é trattato di un cedimento strutturale. Dovuto all'usura, molto probabilmente) ai tecnici per studiarlo.

Particamente dovranno riscrivere i manuali, dopo quel che é accaduto. Perché semplicemente NON ESISTEVA, un simile caso.

Non si era mai verificato. E quindi...NON DOVEVA NEANCHE SUCCEDERE.

Oh, ma che bello. Peccato che non mi senta sollevato per nulla. Ma proprio per niente.

E ti pareva. Dovevo arrivarci io, no?

A casa mia...l'esperienza mi insegna che dove esiste un pezzo che può essere sostituito o smontato ( e di fatto hanno messo un pezzo nuovo di zecca, ed il macchinario é già operativo)...esso si può ROMPERE.

E' semplice, gente. E non é che bisogna aver studiato, per arrivarci.

Ma mi fa specie che non ci siano arrivati fior di ingegneri, meccanici e specialisti.

Evidentemente é il destino degli scrittori. Che in genere sono degli SFIGATI PAZZESCHI.

Nel senso che gli capitano cose assurde.

D'altra parte...se vuoi raccontare qualcosa, ti deve accadere qualcosa.

Al di là di quel che puoi vedere, leggere, sentire e giocare, conta l'esperienza vissuta.

Anche se la prossima volta ne faccio volentieri a meno, grazie.

E 'tacci loro.

Ma veniamo al capitolo, ora. Che mi sono dilungato anche troppo, con le fregnacce.

Allora? Che ne pensate di Raoul? E del ritratto che ne ho fatto?

Qulche anticipazione l'avevo già fornita con la mia storiella auto – conclusiva, su come la pensassi sul conto di questo personaggio.

Certo, lì era tutto da ridere. Ma anche se é cambiato nella forma...la sostanza rimane identica.

Il buon vecchio Raoul continua ad essere ottuso come e peggio di un comodino.

Continua a pensare che la forza bruta sia la soluzione a tutto, ad ogni cosa.

Capirà ben presto quanto si sbaglia.

E prima di chiudere, veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kumo no Juuza, Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo.

Bene, credo di aver messo tutti.

Grazie ancora a tutti, di cuore. E...

Alla prossima!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 





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