Strade interrotte

di Fiore di Giada
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A passo rapido, Gai correva verso il villaggio, accompagnato dai suoi due allievi.

Il suo mantello, ad ogni passo, si sollevava, sospinto dal vento.

I due ragazzi, di tanto in tanto, lanciavano sguardi preoccupati al loro maestro. Erano trascorse sei settimane dalla morte di Rock Lee e la situazione non mutava.

Gai Maito si era tramutato in una maschera impenetrabile di stoicismo e fierezza.

E loro temevano questa sua mutazione.

Era lugubre e inquietante.

O forse non erano abituati ad un tale aspetto della personalità del loro insegnante?

Doveva proprio finire così?, pensò Neji. Molto spesso, aveva giudicato Gai Maito un completo idiota, eppure gli dispiaceva vedere un tale stoicismo in un simile, luttuoso contesto.

Avrebbe preferito l’uomo esuberante di pochi mesi prima a quell’insondabile statua, che non permetteva a nessuno di loro di avvicinarsi a lui.

Ragazzi, io andrò a fare rapporto all’Hokage. Voi andate al campo di addestramento. Dovete rafforzare ancora la vostra preparazione. – mormorò, secco.

Sì, maestro. – risposero i due, all’unisono.

Fermatosi davanti all’ingresso occidentale del villaggio, Gai mostrò i suoi documenti ai ninja di guardia.

Questi, compresa la situazione, aprirono le porte.

Giunti nel villaggio, i due adolescenti e l’uomo si separarono.

Gai, a passo rapido, si avviò verso il palazzo dell’Hokage, mentre Neji e Tenten proseguirono verso il campo di addestramento.

Decine di persone, di tanto in tanto, interrompevano le loro attività e gli lanciavano lunghi sguardi.

Gai, in un gesto orgoglioso, raddrizzò la schiena e ricambiò le loro occhiate. No, non si sarebbe chinato davanti all’amarezza della punizione.

Ormai, gli rimaneva solo la dignità.

Devo prendermi la responsabilità delle mie azioni., si disse, lugubre. Aveva stretto un patto con Rock Lee ed era suo dovere mantenerlo.

Si era impegnato a porre termine alla sua esistenza.

Inoltre, aveva un dovere verso Konohagakure.

La sua comunità non meritava un uomo come lui, che aveva sacrificato un giovane innocente sull’altare del suo egocentrismo, e doveva proteggere Neji e Tenten da lui.

No, non meritava nessuna gioia.

Si irrigidì e le lacrime tremarono sulle sue ciglia nere. Suo padre, da tutti dileggiato perché, ad una età relativamente avanzata, era rimasto fermo al rango di genin, era un combattente meritevole.

Il suo cuore palpitava di generosità e dedizione verso gli altri.

No, non avrebbe mai commesso i suoi errori.

E lui, suo figlio, era indegno di poterglisi paragonare.


Giunse al palazzo dell’Hokage e, con passo rapido, entrò.

Proseguì verso lo studio dell’Hokage e, giunto davanti alla porta, bussò.

Avanti. – ordinò la voce di Tsunade.

Sono Gai Maito. Vengo a farle rapporto per la missione nel villaggio di Komugi. – spiegò.

Entra pure. – fu la risposta.

Gai inspirò, poi aprì la porta ed entrò.


Percorse lo studio e si fermò davanti al tavolo dell’Hokage, ingombro di carte.

Tsunade, seduta, leggeva e firmava alcuni fogli, seguita dalla sua assistente, Shizune.

Di tanto in tanto, i grugniti di Tonton risuonavano nell’ambiente.

Gai girò la testa e vide Kakashi, Asuma e Kurenai.

Chiedo scusa, Hokage. Se avete altre questioni in sospeso, posso anche allontanarmi. – mormorò, pacato.

Tsunade sospirò. Quella calma, a seguito di una tragedia tanto devastante, le sembrava perfetta.

Troppo perfetta.

Gai necessitava di un sostegno, eppure si era chiuso in un silenzio assordante.

E nemmeno lei riusciva a comprendere il senso di questo suo comportamento.

Temeva di mostrarsi debole?

Eppure, nessuno lo avrebbe contestato, se avesse mostrato i suoi autentici sentimenti.

Lei, quando aveva perduto suo fratello minore e il suo amato Dan, si era abbandonata al flusso dell’esistenza, senza dare alla stessa uno scopo.

E, per tanto, troppo tempo, aveva continuato un’esistenza priva di direzione, dedita a piaceri amari.

L’adrenalina delle scommesse, pur forte, non riusciva a liberarla dal senso di colpa per la morte di Nawaki e di Dan.

Oltre quella voluttà, avvertiva il pungolo del senso di colpa.

Quale era il senso dei suoi poteri? Perché aveva permesso alla morte di prendere le due persone a lei più care?

Quelle domande, per più di trent’anni, l’avevano tormentata.

Da poco tempo, aveva trovato una direzione nella sua vita e aveva deciso di dedicarsi alla protezione della sua comunità.

Perché lui si comportava così?

Questo lascia che sia io a deciderlo. Piuttosto, come è andata la missione? – domandò la donna.

Gai, con poche, precise parole, le fece rapporto.


Hokage, ha bisogno ancora di me? – chiese l’uomo.

No, puoi andare. E riposati. – gli ordinò lei.

Il ninja accennò un breve cenno di saluto col capo e uscì dalla stanza, la schiena forzatamente diritta, richiudendo la porta con cautela.

Se non lo conoscessi, direi che sta reagendo bene. – mormorò Kakashi, serio. Quella situazione era per lui dolorosa.

Voleva aiutare Gai, ma non sapeva cosa fare.

E questa sua impotenza lo riempiva di frustrazione e di angoscia.

Non poteva commettere gli errori da lui compiuti con Obito e con Rin.

Perfino un cieco si accorgerebbe che sta recitando. – commentò Asuma, sarcastico.

Kurenai fissò sul compagno i suoi occhi carmini, lucidi di preoccupazione.

Pensi che potrebbe tentare un gesto estremo? – chiese.

I due uomini, colti di sorpresa dalle parole della kunoichi, rimasero immobili, gli occhi sbarrati. Non avevano mai pensato ad una simile, orribile eventualità..

Per loro, tale possibilità era dilaniante.

Non è una ipotesi da scartare. – intervenne Tsunade, seria.

Tutti e tre si girarono verso l’Hokage.

Tsunade sospirò e il suo sguardo si posò ora su Kakashi, ora su Asuma, ora su Kurenai.

Ho letto i rapporti su di lui. E’ un uomo molto forte, lo riconosco. Ma ogni persona ha un punto di rottura. E lui, probabilmente, lo ha raggiunto con la morte di quel ragazzo. – mormorò.

Signorina Tsunade, è il caso di farlo seguire da una squadra di ANBU? – si intromise Shizune.

La donna, alla domanda della sua assistente, scosse la testa.

No, Shizune. Se la nostra ipotesi è vera, lui di sicuro starà attento ad ogni nostra mossa. Non è stupido e, in questo momento, i suoi sensi saranno acuiti. Sa che, in casi di azioni inconsulte da parte sua, cercheremo di fermarlo. Se vuole suicidarsi, cercherà un’occasione propizia. Possiamo solo essere discreti e sperare che i nostri sospetti siano infondati. – mormorò, cupa.

Non ci sarebbero gli estremi per un ricovero in ospedale? – suggerì Kakashi.

Per cosa, Kakashi? Lui ancora non ha fatto nulla di lesivo a se stesso e agli altri. Per quale motivo dovrebbe essere ricoverato? E’ triste, è vero, ma sono passate sei settimane dalla morte di un allievo, che, per lui, era come un figlio. E’ un padre in lutto ed è spiegabile il suo temperamento silenzioso. Non possiamo pretendere da lui gioia di vivere. Non in questo momento. –rispose la nipote di Hashirama Senju.

Kakashi, pur sconfortato, annuì. Sì, l’Hokage aveva ragione.

Sei settimane erano passate dalla morte di Rock Lee e il silenzio di Gai non poteva essere considerato un segno nefasto.

Il suo amico, in quel momento, provava gli stessi sentimenti di un genitore privato del suo amato figlio.

E sei settimane erano troppo poche per pretendere una ripresa totale.

Signorina, cosa si può fare per lui? – intervenne Shizune.

La Quinta Hokage, per alcuni istanti, rifletté.

Per ora possiamo fare davvero ben poco. Tuttavia, se riuscite a sapere cosa si sono detti prima dell’intervento, riferitemelo. Potrebbe essermi utile. Ma, come vi ho detto, siate discreti. – ordinò lei.

I tre jonin, con brevi cenni del capo, annuirono e compresero. Sì, l’idea dell’Hokage aveva senso.

Gai, probabilmente, sentiva su di sé il peso della responsabilità per la morte del suo allievo.

Non aveva senso una tale angoscia, ma, data la sua indole intransigente, non erano meravigliati.

Amava Rock Lee d'un affetto paterno, viscerale.

In quei giorni fatali non lo aveva lasciato mai solo, incurante del suo dolore e della sua stanchezza.

Non aveva mai voluto la presenza di qualcuno, quando era con Rock Lee.

Perché? Cosa voleva dirgli?

Anzi, cosa gli aveva detto?

Potete andare. E state attenti. – si raccomandò Tsunade.

I tre ninja annuirono e si allontanarono.





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