A good deed 01
- Nick Autore:
ValeHina
- Titolo:
A good deed
- Titolo canzone scelta:
“Nei giardini che
nessuno sa”, Laura Pausini
- Personaggi:
Sarutobi Konohamaru, Sarutobi
Hiruzen, Hyuga Hanabi, Altri
- Genere:
Malinconico, Triste, SongFic
- Rating:
Verde
- Avvertimenti:
Nessuno
- NdA (facoltative):
in fondo all’ultimo
capitolo.
A good deed
Capitolo 1. A
Bag and a Caress
Senti
quella pelle ruvida,
un gran freddo dentro l'anima,
fa fatica anche una lacrima a
scendere giù.
Troppe attese dietro l'angolo,
gioie che non ti appartengono.
Questo tempo inconciliabile gioca contro di te.
“Uffa, nemmeno
stavolta ci sei cascato!”
Un bimbo di
6 anni gonfiò le guance, incrociò le braccia e si
sedette a terra, deluso e
irritato.
Sopra di
lui, un vecchio uomo rise.
In quella
risata non c’era cattiveria o presunzione.
Quella
risata sapeva di affetto, di carezze e di dolci.
“Quando lo
capirai che io non cadrò mai nelle tue trappole,
Konohamaru?”
Il bambino
in risposta gonfiò ancora di più le guance e
sollevò il naso in aria, stizzito.
“Su, vieni
qui…non dicevi sempre di voler provare il mio
cappello?”
A quelle
parole il piccolo Konohamaru sgranò gli occhioni, mentre le
sue labbra si
tesero a un sorriso estatico.
“…dici sul
serio, nonno? Cioè…mi fa provare davverissimo
il tuo cappello?”
Il vecchio
si sedette su una poltrona scura, davanti a una scrivania ricolma di
ogni sorta
di documenti. Poggiò sul ripiano in legno la vecchia pipa e
sbuffò, spargendo
nell’aria viziata della stanza qualche traccia di tabacco.
“Konohamaru,
dovresti saperlo che non si dice davverissimo.
Cosa diavolo ti insegna Ebisu?”
Il bambino
si tirò su da terra, togliendosi l’assurdo
copricapo che teneva in testa e che
gli sparava in aria i capelli scuri.
“Nonno,
quello là è un incapace. Non mi insegna niente di
utile! Proprio ieri voleva
insegnarmi la…la fotocellula…no, la
sintetismica…la cloroformica…”
“Intendi la
fotosintesi clorofilliana?”, intervenne il nonno, le labbra
rugose tirate in un
sorriso.
“Ecco! Sì,
proprio quello! La clorosintesi fotofilliana! Come se servisse per
diventare un
ninja!”, sbottò Konohamaru, scattando in avanti.
Il bimbo
tuttavia non si accorse del tappeto arrotolato a terra, e
scivolò. Cadendo, la sua
testolina finì dritta contro lo spigolo della scrivania.
Nello studio
si sentì un tonfo e un “Ahiaaaa!” a
squarciagola.
L’uomo,
preoccupato, si alzò dalla poltrona, per controllare lo
stato del suo nipotino.
Si
tranquillizzò nel vedere la mancanza di sangue: quel bambino
aveva la testa
dura…come tutti i Sarutobi, del resto!
Tuttavia,
la botta aveva fatto male, e i primi lacrimoni stavano spuntando dagli
occhi
del bambino.
“Oh,
Konohamaru…sei un disastro.”, mormorò
l’uomo, avvicinandosi al nipotino che
ormai piangeva come una fontana. Lo prese in braccio
–nonostante avesse sei
anni, non pesava affatto- e se lo portò sulla poltrona.
Infine il
vecchio, afferrato il buffo cappello che portava di solito, e che in
quel
momento era poggiato sopra carte e documenti, lo poggiò in
testa al bimbo, che
smise di singhiozzare.
Enormi lacrime
si facevano però largo sulle guance paffute del bimbo che,
dopo qualche attimo
di incertezza, parlò.
“Nonno…”,
incominciò, la voce rotta dal pianto.
“…senti nonno, posso chiederti una cosa?”
L’uomo si
stupì per quella richiesta: di solito quel bambino non si
faceva problemi a
chiedere ogni tipo di cosa, anche la più imbarazzante.
“Certo.
Dimmi pure.”
“Perché la
mamma e il papà non sono ancora tornati dalla
missione?”
Fu come se
qualcuno avesse dato al vecchio un calcio sullo stomaco. In quel
momento, sentì
sulle sue spalle gli anni della vecchiaia, tutti gli acciacchi, le
debolezze, i
dolori nascosti. Tutti insieme.
Intanto
Konohamaru attendeva, dondolando le gambe grassoccie che si scontravano
con
quelle magre e rugose del nonno, sotto di lui. Sulla testa, quel
cappello
piatto e quadrangolare aveva bloccato il dolore, come se contenesse un
rimedio
magico contro le ferite.
Il bimbo
rivolse lo sguardo al nonno, stupendosi dei suoi occhi, annebbiati e
confusi.
“Nonno…?”,
mormorò a fior di labbra. Quello sguardo non gli piaceva.
Non gli
piaceva per niente.
Ecco
come si finisce poi,
inchiodati a una finestra noi,
spettatori malinconici,
di felicità impossibili...
Tanti viaggi rimandati e già,
valigie vuote da un'eternità...
Quel dolore che non sai cos'è,
solo lui non ti abbandonerà mai…oh,
mai…
Quasi sei
anni dopo, un ragazzo si svegliò nella sua stanza.
Era stanco,
nonostante avesse dormito per almeno sette ore. I suoi muscoli erano
indolenziti, i legamenti scrocchiavano e non c’era un solo
osso che non urlasse
pietà.
Ebisu la
doveva piantare. Quegli allenamenti sarebbero stati massacranti anche
per
Naruto.
A quel
pensiero il ragazzo sorrise, pentendosi subito del gesto compiuto:
anche i
lineamenti del viso erano a pezzi…
Si
stiracchiò, tra gemiti di dolore impressionanti, e si
passò una mano tra i
folti capelli castani, dritti in aria.
Tutti a
Konoha si chiedevano come diavolo facessero a starsene su, alla faccia
della
legge di gravità.
Lo sguardo
assonnato e annebbiato del ragazzo si posò su uno scaffale,
dove uno
stranissimo copricapo spiccava subito agli occhi. Era quello che aveva
portato
fino all’età dei sei anni, prima di indossare gli
occhialoni da pilota in onore
di Naruto e, in seguito, il luccicante coprifronte del Villaggio della
Foglia.
Ecco. Forse
era a causa di quello, se i suoi capelli non avrebbero mai assunto una
posizione normale.
Konohamaru
poggiò i piedi sul pavimento gelato, e rabbrividendo si
diresse in cucina, dove
lo aspettava una bella colazione.
O meglio,
l’avrebbe aspettato se ci fosse stato qualcuno a
preparargliela.
Invece la
cucina era deserta e fredda come sempre.
Il ragazzo
si sedette, in mano la solita confezione di latte –sperava-
non ancora scaduto.
Senza
nemmeno prendere una ciotola, se lo versò in bocca, troppo
tramortito e a terra
per rendersi conto di essersi completamente inzuppato la casacca del
pigiama di
latte.
Appoggiandola
sul tavolino, lanciò un’occhiata tramortita al
calendario, dove troneggiava una
bellissima donna coperta solo da due ombrelli.
Ignorando
lo sguardo provocante che Miss Novembre gli rivolgeva, si
concentrò sulla data
di quel giorno.
Nel
quadratino bianco, c’era una sola parola.
Cinque
lettere che riempirono il cuore di Konohamaru di un dolore antico e
tuttavia
nuovo.
Ogni anno
si sarebbe rinnovato. E lui lo sapeva.
Solo
che…ogni anno lui era sempre meno pronto.
Si alzò di
scatto, ignorando il latte che gocciolava sul pavimento e sui
pantaloni, e
corse in camera, temendo quasi che quelle cinque lettere potessero
rimproverarlo di non far tardi.
Non sarebbe
tardato, no.
Entrando in
stanza, si sfilò il pigiama per indossare gli indumenti di
sempre. Mentre
apriva l’armadio, il suo sguardo cadde su una borsa.
Una borsa
logora e vecchia, consumata dagli anni e dai tarli.
Che però
Konohamaru aveva sempre ignorato.
“Nonno, mi
ci porti?”
L’uomo
sbuffò spazientito. “Konohamaru, ho troppe cose da
fare. Per favore, vai da
Ebisu.”
“Ma nonno!
Me l’avevi promesso! Me lo ripeti sempre anche tu!”
Il bimbo si
fece serio, ingrossando la voce e imitando il nonno.
“I veri
ninja non rimangiano la parola data. Mai.”
Il vecchio
fissò assorto il nipotino, poi ridacchiò. Infine
si abbassò, per frugare sotto
la scrivania del suo ufficio.
Konohamaru,
incuriosito, cercò di spiare issandosi con le braccia sul
ripiano del tavolo,
troppo alto per lui.
Si ritrovò
davanti al naso un borsone.
“…che è?!”
esclamò, afferrando quell’affare di stoffa e
portandolo alla sua altezza.
“Konohamaru,
non pensavo fossi così miope.”, sorrise il nonno.
“Quella è
una borsa, non la vedi? Serve per mettere dentro oggetti, vestiti,
libri…”
“Lo so
cos’è una borsa, nonno.”,
replicò Konohamaru, stizzito. Soppesò
l’oggetto in
cuoio, sorpreso. Era bella, capiente e maneggevole. Gli piaceva. Ma
perché ce
l’aveva in mano?
“…nonno,
perché…?”, cominciò, prima
di venire interrotto dall’uomo.
“Un secondo
fa non mi dicevi di voler partire per Suna? Bene, con quella borsa
potrai
arrivarci.”
Il nonno,
soddisfatto, si rituffò nelle sue carte. Konohamaru
restò di sasso.
In quel
momento, quella borsa gli parve la più brutta cosa che
avesse mai visto.
Era un
regalo, però. Non poteva rifiutarlo.
Il vecchio,
notando che Konohamaru era ancora nella stanza, lo fissò.
“Che c’è
ancora?”, borbottò, piccato.
Gli occhi
del bambino iniziarono a bruciare.
“Nonno…”,
iniziò, la voce falsata. “…io a Suna
però…volevo andarci con te…”
L’uomo lo
fissò di sottecchi, come se avesse detto che
l’acqua era bagnata.
Poi scoppiò
a ridere di gusto.
Il bimbo si
sentì profondamente offeso. Stava per posare a terra quella
stramaledetta
borsa, prenderla a calci e poi correre fuori dall’ufficio del
nonno frignando.
Si fermò
quando vide un’ombra davanti a sé.
E si calmò
quando qualcosa di ruvido e delicato gli sfiorò la guancia.
“Che
sciocchino, Konohamaru”, bisbigliò il nonno, a
pochi centimetri dal suo viso. “Ovvio
che io vengo con te. Non lascerei mai che un moccioso di sei anni vada
in giro da
solo per il deserto.”
In un altro
momento Konohamaru se la sarebbe di sicuro presa. Avrebbe trattenuto il
fiato,
gonfiato le guance e incrociato le braccia, come suo solito.
Invece in
quell’occasione il bimbo si sentì felice come non
mai.
Appena il
nonno ebbe ritratto la mano dalla guancia del nipotino, questi gli si
gettò al
collo, quasi gettandolo a terra.
“Ahi!
Konohamaru, non sono più giovane come un tempo!”,
tossì il vecchio, divertito.
“Oh nonno,
nonnino adorato! Ti voglio tantissimo bene, lo sai?”
Nonostante
avesse il volto affondato nelle deboli –almeno per lui-
spalle del vecchio, poté
sentire un sorriso increspargli le labbra, e immaginò le
rughe attorno ai suoi
occhi neri accentuarsi.
“Lo so,
Konohamaru…anche io te ne voglio.”
Fissando
quel cimelio, Konohamaru venne colpito da una dolorosa certezza.
Non aveva
mai usato quella borsa. Mai.
Lui e il
nonno avrebbero dovuto partire dopo l’esame dei Chunin.
Altra fitta
dolorosa allo stomaco.
Peccato che
il nonnino, dopo l’esame, fosse già
partito…
Scacciò via
quel pensiero e le lacrime che iniziavano ad affiorare sugli occhi
neri,
identici a quelli del nonno.
Afferrò una
maglia, un paio di pantaloni e, dopo qualche attimo di incertezza,
anche quella
borsa logora.
Se doveva
farlo, allora avrebbe dovuto farlo bene.
NdA
1° Classificata:ValeHina con A
good Deed
- Correttezza grammaticale:10/10 punti.
- Completezza della storia: 10/10 punti.
- Originalità: max 10/10 punti.
- Giudizio personale: 8/10 punti.
Totale:38
IO TI ODIO!
Mi sono innamorata della tua fic,mi hai fatto convertire quasi alla
KonoHana...io sono una KibaHana iper convinta,comunque ho capito che
anche questa coppia non mi dispiace.
Non ho trovato un errore ne di distriazione,ne di digitazione.La storia
è completa spiegata e ricca nei minimi particolari,mi
è piaciuto molto il ruolo di contorno che hai dato a Hinata.
Ti ho dato dieci punti all'originalità,perchè a
differenza delle tue compagne hai usato personaggi di contorno,a cui
vengono lasciati principalmente ruoli insignificanti.La Canzone "Nei
giardini che nessuno sa" non la cooscevo,ma mentre leggevo la tua
fic,l'ascoltavo e così me ne sono innamorata,rispecchia in
modo veritiero,senza Spoiler,il rapporto Nonno-Nipote.
Devo dire che ero indecisa sulla classifica,le preferite erano la tua e
"Tu Esisti"di °Nana°,ma alla fine la tua ha trionfato
per l'originalità.
Congratulazioni.Sei la vincitrice di "Song-fic...Naruto e la Pausini".
Dire che
non ci credo è poco. Pochissimo.
Io prima in un contest. Sembra
una barzelletta, no?
E invece è così.
Io sono estremamente felice. Non posso aggiungere altro,
perchè è così.
Sinceramente non so nemmeno cosa scrivere...
Non sto capendo più nulla, eh eh... @__@
In origine questa storia doveva trattare soltanto di Konohamaru e del
vecchio Sandaime...e invece è spuntata una KonoHana con un
accenno lievissimo, quasi impercettibile, di NaruHina.
Hanabi comparirà nel prossimo capitolo.
Bene, non posso fare altro che dedicare questo capitolo a Krikke, la
giudicessa, e a tutte quante le partecipanti al contest. Grazie mille
ancora.
Questo è il primo di quattro capitoli. Spero siano di vostro
gradimento.
Ah, posto anche il bannerino. Grazie, Krikke.
A presto.
Vale
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