Mona Lisa

di Ayumi Yoshida
(/viewuser.php?uid=34262)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.



Mona Lisa

 

 

Theme song: Mona Lisa – Nacho Y Nicky Jam

 

 

Era il decimo giorno di fila che Newt la vedeva ballare.

Dalla porta finestra priva di tendine, in piedi, con le braccia alte al cielo e le mani morbide a volteggiarle sulla testa, gli occhi ben serrati e le labbra dritte, la ragazza che scorgeva dalla sua camera ballava per ore. Newt non riusciva a spiegarsi come facesse: era vero che, obbligati a restare chiusi in casa, ognuno sceglieva l’attività che più preferiva per passare il tempo, ma, quando non lavorava, lui non riusciva a fare la stessa cosa per più di un’ora di fila.

Guardava la TV, poi Netflix, poi prendeva un libro, faceva le parole crociate, riordinava la sua collezione di action figures che, grazie al lockdown, era cresciuta così tanto da non poter più stare interamente in mostra sulle mensole sopra la sua scrivania, faceva le pulizie nel suo minuscolo appartamento. Ma, anche se voleva metterci più tempo del previsto pulendo persino negli angoli, non riusciva a tenersi impegnato per più di un’ora.

Lei, invece, ballava davvero per ore. Cominciava attorno alle sei e mezza del pomeriggio, gli auricolari wireless ben calcati nelle orecchie, e continuava almeno fino alle nove di sera, ben oltre la sua ora di cena. Alcune volte quando lui accendeva la TV per guardare qualcosa dopo cena lei era ancora lì, fissa davanti alla finestra a ballare senza preoccuparsi di nulla.

Era diventato un passatempo osservarla, un passatempo quasi piacevole quanto il programma di gossip che guardava ogni pomeriggio dopo il lavoro per poter sorridere un po’ nonostante la situazione. Alcune volte si era chiesto se per caso il lockdown l’avesse trasformato in uno stalker alla spasmodica ricerca di contatto umano per via della prolungata solitudine, ma non se l’era sentita di rispondere positivamente. Viveva completamente da solo ed erano almeno due mesi che non vedeva i suoi amici se non in video, ma non era come incontrarsi dal vivo. E poi lei non sembrava preoccupata che qualcuno potesse guardarla, dato che ballava proprio davanti alla porta finestra. Non che dovesse vergognarsi di qualcosa, ovviamente - si muoveva in maniera molto sinuosa e di certo non era nuda, ma non aveva dato mai neppure segno di essersi accorta di lui. Probabilmente non immaginava neppure che qualcuno potesse osservarla. Erano altre le preoccupazioni nelle loro teste, in quei mesi.

Il lavoro che scarseggiava, le lunghe file al supermercato per accaparrarsi l’ultima bustina di lievito ed improvvisarsi panettieri o pizzaioli, la mancanza cronica di zuccheri per compensare gli altri vuoti creati dalla pandemia.

Figurarsi se la signorina del palazzo di fronte si preoccupava di uno come lui.

Quel pensiero gli attraversò la mente per l’ennesima volta mentre si accostava alla finestra per aprire le tendine e sbirciare fuori, di fronte a sé, non appena ebbe spento il computer. Aveva finito di lavorare più tardi, quel giorno, ma lei era sempre lì, puntuale, a ballare proprio di fronte ai suoi occhi. Era stata il suo primo pensiero. Si sentì un po’ disagio mentre la misurava con gli occhi – era alta, magra, i capelli castani le sfioravano quasi le spalle, ma si ripeté di non pensarci.

Lei, però, non doveva pensarla così.

All’improvviso aprì gli occhi, la faccia verso la porta finestra e, dopo undici, gloriosi giorni in cui era riuscito a fissarla in segreto, lo vide e, con gli occhi, spalancati, la sua mano corse subito ad abbassare la tapparella e finì tutto così come era cominciato. Per caso.

“Ma ha gli occhi marroni.” si disse Newt, quasi come consolazione, mentre si tuffava sul divano e sintonizzava la TV sul solito programma di gossip: erano giorni che moriva dalla voglia di sapere di che colore fossero i suoi occhi.

 

Da quel giorno, con qualche remora in più, aveva provato ancora ad assistere a quei balli, ma la ragazza gli era sembrata più guardinga e l’aveva notato quasi subito, abbassando di scatto la tapparella. Negli ultimi giorni, addirittura, la tapparella era rimasta sempre quasi completamente chiusa, e di lei aveva potuto scorgere solo i piedi scalzi che scivolavano, aggraziati, sulla moquette. Perfetto, adesso era riuscito anche a convincerla di essere una sorta di pazzo psicopatico o qualcosa del genere.

“Secondo me l’isolamento ti sta dando al cervello!” commentò suo fratello Theseus dalla schermo di fronte a lui non appena ebbe terminato di raccontargli della ragazza del palazzo di fronte. Di solito la serata deputata alla videochiamata era il giovedì, ma quella settimana Newt aveva sentito la necessità di anticiparla, ed in quel martedì sera, seduti ognuno alla propria scrivania, suo fratello ed il suo miglior amico dai tempi della scuola, Jacob, lo stavano fissando abbastanza straniti.

“Questa cosa che ci stai raccontando è abbastanza strana, in effetti.” concesse Jacob cercando di mantenere un tono gentile “Come mai hai cominciato a spiare questa ragazza?”

“Non la sto spiando.” replicò Newt pazientemente “La osservo perché balla molto bene.”

“È la stessa cosa.” si intromise Theseus sbuffando “Ti stai comunque comportando da stalker.”

“Tu dici?” Newt si torcette le mani in grembo, ben nascosto allo schermo, preoccupato. Era davvero impazzito? La quarantena aveva avuto su di lui un effetto peggiore che sugli altri? Non voleva mettere a disagio la ragazza, gli aveva permesso di trascorrere parecchie ore senza preoccupazioni guardandola, le settimane precedenti.

“Non esagerare.” disse Jacob con un sorriso troppo largo “Newt non ha fatto nulla di male, cercava solo di fare conoscenza! Sai chi è questa ragazza?”

“Non mi ero mai accorto neppure che vivesse di fronte a me, prima del lockdown.” confessò Newt sentendosi uno stupido. Ma era vero, con gli orari lavorativi che aveva e con i ritmi di Londra prima del lockdown non era strano uscire di casa prima delle sette e rientrare poco prima di andare a letto.

“Magari la prossima volta che la vedi dalla finestra salutala, così capirà che non hai cattive intenzioni.” gli suggerì Jacob. Newt aveva appena incominciato a soppesare quella possibilità quando la voce di Theseus lo stroncò: “Così penserà che vuoi rapirla!”

“Theseus!”

La voce severa di Jacob non riuscì a cancellargli dalla testa il pensiero che forse Theseus aveva ragione. Se si metteva nei panni della ragazza del palazzo di fronte non trovava una ragione che potesse spingerla a dare attenzioni a uno come lui: aveva quasi trenta anni, era troppo alto e troppo goffo per essere attraente e troppo timido per essere piacevole. Era stato uno sbaglio fissarsi su lei, sin dall’inizio.

“Devo salutarvi.” mormorò cercando di suonare tranquillo, evitando di guardare lo schermo, mentre Theseus e Jacob continuavano a discutere animatamente sulla sua fallimentare vita sentimentale. “Devo andare a preparare la cena.”

Abbassò lo schermo del portatile con un sospirò e si tuffò sul divano. Disteso con le mani poggiate dietro la nuca, dalla sua finestra riusciva a scorgere perfettamente la porta finestra dell’appartamento di fronte. La ragazza stava ballando freneticamente e riusciva ad osservarne perfettamente ogni movimento; la tapparella era completamente sollevata e lei non dava segni di temere di essere scrutata. Ma era inutile se aveva paura di lui. Sconsolato, Newt strinse forte gli occhi per non guardarla.

 

Nei giorni successivi la tapparella della porta finestra dell’appartamento della ragazza del palazzo di fronte era rimasta sempre aperta, ma Newt aveva continuato ad evitare di guardarla. Aveva preparato una torta glassata che aveva mangiato per tre giorni di fila, aveva fatto binge watching, si era innamorato dell’universo Marvel e ordinato nuove action figures, aveva persino lavorato fino a tardi sui progetti che aveva in sospeso, quando non sapeva cosa fare. Poi, finalmente, era arrivato il giorno della spesa, ormai l’unica possibilità di fare un giro all’esterno senza rischiare di essere multati e di incontrare altri esseri viventi.  Di solito si accordava con Jacob per incontrarsi al supermercato, dove almeno riuscivano a salutarsi con la mano da lontano nella corsia della cioccolata o della pizza surgelata, ma quel giorno Jacob doveva terminare la consegna di un progetto entro mezzanotte e gli aveva detto che avrebbe rimandato la spesa. Newt non poteva, il suo frigorifero era drammaticamente vuoto dopo che aveva consumato più di dieci uova, farina, zucchero e latte nella torta di qualche giorno prima, quindi si era vestito di tutto punto, aveva indossato guanti di lattice e mascherina monouso e si era avventurato nella via facendo ben attenzione di non guardare il palazzo di fronte al suo.

Lo zaino sulle spalle, dopo un quarto d’ora di camminata, si mise in fila fuori dall’ingresso del supermercato. Sbuffando e scuotendo le ginocchia per riscaldarsi, dopo un’ora finalmente riuscì ad entrare. Le gente intorno a lui prendeva a piene mani dagli scaffali senza dire una parola e muovendosi velocemente tra le corsie. Sospirando, si avventurò alla ricerca di ciò che aveva segnato sulla lista della spesa. Non c’era più lievito, ma era riuscito a trovare quasi tutto quello che cercava, anche una pizza surgelata decente e una lattina di Coca Cola da accompagnare alla pizza per la cena. Mentre svaligiava lo scaffale delle tavolette di cioccolato – alla nocciola, fondente, bianca, un po’ di tutto – si ricordò che aveva quasi finito la carta igienica. Raccolse il cestino con la spesa da terra e svoltò nella corsia della carta da casa. Gli scaffali erano drammaticamente vuoti – stavano addirittura facendo studi per capire come mai gli inglesi fossero impazziti e avessero svaligiato completamente i supermercati da tutta la carta igienica non appena era stato decretato il lockdown – ma spingendo lo sguardo lontano e strizzando gli occhi Newt vide qualcosa, una confezione con quattro rotoli di carta igienica impilati a coppie ed un simpatico cane bianco di decorazione. L’ultima confezione, sullo scaffale proprio al centro della corsia, aspettava proprio lui. Incredulo, allungò il braccio e corse verso quel tesoro.

Ma, al centro della corsia, c’era anche un'altra persona che lo stava fissando, come folgorata. E aveva capelli castani lunghi quasi alle spalle e occhi marroni. Anche dietro la mascherina calcata perfettamente sul viso, Newt la riconobbe. La ragazza del palazzo di fronte.

Al rumore dei suoi passi, lei si voltò e lo fissò, impaurita. L’aveva riconosciuto. Newt lasciò scivolare il braccio lungo il corpo inghiottendo il poco di saliva che gli restava in gola e trotterellò sul posto, senza sapere cosa fare. Lei continuò a fissarlo, spaventata, e restò in silenzio per secondi che sembrarono ore.

“Stavi per comprarla?” le chiese infine in un sussurro che doveva sembrare neutro. La ragazza spalancò ancora di più gli occhi e scosse la testa vigorosamente.

“Prendila pure.” gli disse. La sua voce era bassa per l’incertezza, ma Newt vi colse comunque una nota di coraggio. Era debole e sicura, melodiosa come i suoi passi di danza.

“Prendila tu. Io ne ho ancora a casa.” replicò gentilmente. Doveva sembrare stupido mentre si vantava di avere ancora carta igienica a casa, a differenza dell’inglese medio di aprile 2020 –bugia, ma non sapeva cosa altro dirle: l’imbarazzo lo stava divorando.  Chissà cosa stava pensando di lui.

“Non possiamo lasciarla qui.” mormorò la ragazza tra sé e sé dopo un po’, come per convincersi, e afferrò la confezione di carta igienica.

“Non ce n’è stata per settimane.” buttò lì Newt senza pensarci, fissandosi intensamente le mani.

“È vero... Ti ringrazio.”

Newt sollevò lo sguardo e vide che lei, dietro la mascherina, gli stava inconfondibilmente sorridendo. La ragazza si chinò a raccogliere il cestino che aveva posato ai suoi piedi e, corrugando le sopracciglia in gesto di concentrazione, lo sollevò a fatica. Newt si accorse che era pienissimo, stipato di qualunque cosa fosse riuscita ad infilare in ogni minuscolo spazio libero. Doveva essere pesante proprio come sembrava.

“Lo porto io.” si offrì improvvisamente, senza averlo premeditato e, senza aspettare la sua risposta, lo prese con la mano libera. Il cestino era abbastanza pesante, ma nulla di insopportabile – almeno l’home fitness su Youtube non era stato uno sforzo inutile. “Tanto viviamo vicino.”

Lanciò alla ragazza uno sguardo fugace, in attesa di una sua reazione, e vide che lo stava guardando stupita, le labbra dischiuse sotto la mascherina.

“Ti ringrazio.” mormorò, imbarazzatissima, allontanandosi i capelli dal viso per prendere tempo e, con una strana piroetta, si voltò verso le casse.

Fuori dal supermercato, la ragazza cominciò a trotterellare verso casa a passi veloci senza guardarlo. Portavano due sacchetti ciascuno - Newt uno suo e uno, strapieno, di lei –  e quasi non riusciva a starle dietro. Non voleva fare conversazione, quindi toccava a lui.

"Oggi sono stato fortunato, solo un'ora di fila..." disse Newt non appena fu riuscito a raggiungerla.

Lei non si voltò a guardarlo, ma rallentò il passo. Camminò per qualche secondo senza dire nulla, poi disse controvoglia: "Anch'io... Ho notato che il giovedì dopo le sei c'è meno gente..."

Sembrava a disagio quasi quanto lui, ma Newt non riusciva a trattenersi dal parlare: camminare accanto a lei era qualcosa che non avrebbe mai immaginato potesse realizzarsi. Si sentiva così stupidamente felice.

"Prima non puoi? Lavori?" le chiese cercando di non sembrare troppo interessato. Lei corrugò le sopracciglia, persa in una riflessione troppo difficile, e replicò con cautela: "Studio. Sto facendo uno scambio studentesco."

"Dove?"

Lei corrugò ancora di più la fronte prima di rispondergli.

"Alla Central."

"Arte drammatica, eh?" disse Newt a se stesso sorridendo. Così si spiegava tutto. "Balli molto bene."

Era certo di aver parlato tra sé, ma lei mormorò: "Grazie." a voce bassissima, e Newt si rese conto solo in quel momento del fatto che avesse parlato ad alta voce.

"Non ho potuto fare a meno di notare che ballavi per ore, era affascinante..." tentò di giustificarsi, facendo vagare lo sguardo sulla strada, con un sorriso sul viso che sembrava una smorfia. Avrebbe voluto sembrare simpatico come Jacob o sicuro di sé come Theseus, ma non riusciva neppure a guardarla negli occhi. Era senza speranze.

La ragazza si fermò all'improvviso e i suoi stivaletti puntarono verso di lui: si era voltata a guardarlo. Rassegnato, sollevò lo sguardo, sperando di non suscitare troppa pena. Lei lo guardò per un attimo, poi abbassò lo sguardo a sua volta. Aveva notato un lieve rossore sulla parte più alta dei suoi zigomi, quella scoperta dalla mascherina.

"Davvero?”

Glielo chiese con un tono quasi supplice che Newt non si aspettava di udire. Gli fece tanta tenerezza vederla davanti a lui senza difese, i sacchetti pieni di spesa stretti nei pugni e lo sguardo intimorito, e il timore che provava sembrò volare via all'improvviso, lentamente, ma completamente.

"Sì. Credo che tu sia davvero molto brava." le disse semplicemente.

Lei alzò il viso lentamente: c’era un sorriso  sotto la mascherina, un sorriso tirato ma pur sempre un sorriso.

"Prima del lockdown stavo avendo difficoltà con le lezioni di ballo." confessò, un po' incerta "Credo non faccia per me..."

"Io credo di sì." disse Newt, imbarazzato, e provò di nuovo a sorridere, sentendo che gli veniva molto più naturale.

"Cosa te lo fa pensare?" ribatté lei, più sicura. Newt sollevò le spalle senza sapere cosa dire e la ragazza si lasciò andare ad una risata.

"Ti ringrazio per la fiducia!" esclamò. Sembrava molto più rilassata e non smetteva di sorridere. "Tu di cosa ti occupi?"

"Faccio progetti industriali."

"Sei un ingegnere?"

"Laureato all'UCL."

"Non ho mai conosciuto un ingegnere prima!" commentò lei vivacemente.

"Nonostante quello che si dice, siamo esattamente uguali ad ogni altro uomo sulla terra." sorrise Newt. Anche lei gli sorrise. "A proposito, io sono Newt." disse porgendole la mano. Sì ricordò quasi immediatamente che non avrebbe potuto stringerla e la lasciò cadere verso la strada un po' dispiaciuto. Lei trattenne un sorriso.

"Io Tina. Grazie per l'aiuto con la spesa."

"È un piacere."

Newt le lanciò un ultimo sguardo e, incapace di restare fermo per un momento di più, riprese a camminare verso casa per lasciare fluire l'ansia. Tina - quel nome era proprio adatto a lei - lo seguiva a breve distanza In silenzio, ma sperava senza aver smesso di sorridere. Anche se non poteva vederlo, sapeva che il suo sorriso gli sarebbe piaciuto proprio come gli piaceva lei.
Intravidero i due palazzi uno di fronte all'altro in fondo alla via e Newt rallentò automaticamente il passo. Non voleva che quel momento finisse così come era incominciato. Quanto sarebbe durato ancora il lockdown? Quante altre possibilità avrebbe avuto di incontrare Tina per caso al supermercato? Lei avrebbe continuato a ballare davanti alla porta finestra sapendo che lui l'avrebbe guardata? E cosa sarebbe accaduto quando la pandemia sarebbe finita? Era così difficile pensare ad una soluzione diversa dal chiederle di rivedersi.

"Tina..." mormorò roteando su se stesso e guardandola, in ansia. Lei lo superò e posò i suoi sacchetti davanti alla porta di ingresso, cominciandosi a frugare le tasche alla ricerca delle chiavi.

"Grazie ancora per la spesa!" esclamò sorridendo "Non so come avrei fatto se non ci fossi stato tu..."

"Chiunque sarebbe stato felice di aiutarti." replicò Newt in tono piatto. Ne era certo, chiunque avrebbe potuto svolgere quel compito meglio di lui. "Non-"

"Ci scambiamo i contatti di Skype?" lo interruppe lei tutto d'un fiato. Era imbarazzatissima, ma sorrideva.  Si sfilò velocemente la mascherina e finalmente Newt poté ammirare il suo sorriso,  dolce e forte proprio come lo aveva immaginato.

"Il mio è tinagoldie@hotmail.com" disse, in attesa.  Come intontito, Newt posò i suoi sacchetti accanto a quelli che erano già per terra e lentamente si sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans, cominciando a digitare l'indirizzo lettera dopo lettera. Non poteva credere che quella proposta fosse venuta proprio da lei, che lo stava guardando fremente, in attesa di un suo segnale.  "E il tuo?"

Le sue parole lo risvegliarono dallo stato di trance in cui era caduto.

"Ti do anche il mio numero di telefono." esalò e cominciò a dettare mentre lei batteva velocemente le dita sulla tastiera del cellulare per scrivere.

"Allora a domani." gli disse, infine, quando il cellulare fu riposto al sicuro nella sua tasca e i sacchetti saldi nelle sue mani. Si voltò con un cenno del capo e, strizzata nei suoi jeans skinny che lasciavano ben poco all'immaginazione, sparì dietro alla porta d'ingresso.

Newt sollevò gli occhi verso il balcone del terzo piano con un sorriso larghissimo. La tapparella era abbassata a metà, ma non vedeva l'ora che la porta finestra tornasse ad essere totalmente visibile.

Fece oscillare le braccia avanti e indietro e afferrò il suo sacchetto, camminando verso casa.
Non appena si richiuse la porta alle spalle, si tolse le scarpe e accese il forno per cuocere la pizza ormai scongelata. La Coca Cola era calda, ma non era un problema dopo il movimentato pomeriggio vissuto. Fischiettando si sfilò il maglioncino e lo lanciò sul divano. Accese la TV: doveva essere ancora ancora in tempo per il late night show. Si lasciò cadere sul divano ancora mezzo svestito e controllò l'orario sul cellulare. Erano le otto e mezza passate e per strada il buio cominciava a farsi più opprimente, ma gli sembrava che fosse trascorso molto più tempo. Poggiò il cellulare accanto a sé e si rannicchiò sul divano per mettersi in una posizione più comoda. Aveva appena poggiato la schiena contro la spalliera quando colse un bagliore nello schermo accanto a sé. Afferrò il cellulare con due mani, quasi tremando. Accanto alla minuscola icona di Skype brillava quella di un viso fin troppo conosciuto e una richiesta.

"Puoi venire alla finestra?"

Come un cieco, Newt si alzò di scatto e caracollò senza fiato alla finestra. Tina lo salutò con la mano dal suo appartamento, sorridendo imbarazzata. Poi giunse le mani con una smorfia, come per scusarsi, e abbassò leggermente la tapparella: ormai poteva scorgere il suo corpo solo dalle spalle in giù.

Il cellulare di Newt si illuminò ancora.

"Non sono così brava, quindi ho abbassato un po' la tapparella. Ma magari se mi alleno un altro po' ce la faccio! :)"

"Non ce n'è bisogno!" digitò Newt freneticamente e, non senza prima pensarci qualche secondo, permette invio. Tutto gli fece pensare che non sarebbe andata bene - la sua foto profilo troppo vecchia, la velocità con cui le aveva risposto, quello che le aveva scritto - ma qualunque pensiero volò via quando lei, dopo aver scritto e cancellato mille volte, gli rispose semplicemente "Grazie!" insieme all'emoticon con le guance rosse e, posato il cellulare sul letto, riprese a ballare con più energia del solito.

 

Quella sera, il piatto con la pizza sulle ginocchia e la TV accesa a bassissimo volume, Newt non sentì una parola del late night show, troppo preso a seguire avidamente con lo sguardo Tina. Anche se l’aveva vista da vicino soltanto una volta, Newt avrebbe potuto descrivere ogni singolo particolare di lei - le fossette che le si formavano sulle guance quando sorrideva, il suo mento rotondo, le sue mani piccole e affusolate, il suo corpo tornito sotto gli skinny jeans.

Chissà se Leonardo Da Vinci aveva mai osservato la sua Monna Lisa con così tanta dedizione quando doveva dipingerla.

 

 

 

 

 

Cosa ho da dire (troppo!):

Questa breve storia nasce totalmente per caso venerdì (l’altro ieri) e viene pubblicata oggi dopo una veloce rilettura/correzione per non modificare troppo l’idea iniziale, che mi piace molto. Volevo scrivere una AU ambientata nel presente sin da quando ho cominciato a leggere questa splendida fic di ravenpuff1956 su AON3, in cui Newt, Theseus e Jacob sono vicini di casa di Tina e Queenie durante il lockdown (leggetela qui, ne vela davvero la pena!) e l’idea è arrivata ascoltando Spotify in modalità casuale: mi è capitata a portata d’orecchio la canzone di Nicky Jam e Nacho intitolata proprio Mona Lisa, e la scena di Newt che osserva Tina ballare dalla finestra è comparsa istantaneamente nella mia testa.

È stato bello scrivere mossi soltanto dall’ispirazione, sviluppando il racconto pian piano senza sapere dove sarei andata a finire. Mi ha ricordato un po’ il lontano 2007, quando, appena iscritta su EFP, scrivevo sempre in questo modo. Mi sono davvero divertita! :)

Sperando che questa tortura al povero, amato Newt abbia divertito anche qualcun altro, vi ringrazio in anticipo se leggerete e/o recensirete! :)

 

Alla prossima,

 

Ayumi

 

 






Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3937453