Quanto
si è disposti a pagare per salvare chi
si ama disperatamente? Quanto della propria vita si è pronti
a gettare via?
Ma,
soprattutto, quanto della vita altrui si
è disposti a sacrificare?
Ed
è questo il fardello di Tokyo, il senso di
colpa che non le dà pace, il dolore che rende schiava la sua
mente. Seduta sul
pavimento, a pochi passi dal preciso punto in cui, ore prima, venne
crudelmente
uccisa la sua migliore amica, la giovane donna fissa il vuoto.
E’ nauseata dall’odore
di detergente utilizzato da Manila per pulire a terra.
“Cazzo,
sembra quasi che eliminare ogni
traccia di sangue possa cancellare l’orrore che è
accaduto qui!” – pensa tra se
e se, schifata dall’ordine dato da Palermo alla complice
della banda.
Perfino
le lacrime le faticano a scendere
sulle gote. Troppe ne ha versate da quando Rio, con la voce tremante le
ha
comunicato la tragica notizia.
Nessuno,
nessuno più di Nairobi meritava di
vivere. E Tokyo lo sa bene, sa quanto la donna più cazzuta
del gruppo
desiderasse costruirsi una famiglia, avere tanti bambini, un cane, una
villa,
un compagno che l’amasse.
E
Nairobi aveva trovato
quell’amore…quell’amore
che scalda il cuore e manda in subbuglio, ma anche
quell’amore che va oltre l’attrazione
sessuale, quell’amore maturo che cresce ed evolve con il
tempo.
Il
sogno di una donna è stato distrutto con
un atroce sparo alla testa.
Un
Boom e addio vita,addio amore, addio
famiglia, addio tutto…
Bogotà
avanza lento verso Tokyo, mantenendo
stretto a se il peluche di Axel.
“Credevo
ve ne foste sbarazzati” – commenta la
ragazza, riferendosi all’orso di pezza, mentre osserva con la
coda dell’occhio
l’amico prendere posto accanto a lei.
L’omone
sospira profondamente, senza
replicare. Si limita a stringere al petto quello che era stato il
cavallo di
Troia della polizia. Un semplice oggetto che ha scatenato il
putiferio…un
peluche di un innocente bambino, un tranello degno di un cervello
astuto e
crudele, quale quello di Alicia Sierra.
“Vorrei
che una volta fuori da qui, Axel lo
riavesse indietro” – spiega l’uomo,
“Se
usciremo vivi…” – le parole dure e
fredde
di Tokyo, spiazzano Bogotà che replica senza indugiare
– “Lo dobbiamo a Nairobi.
Non possiamo arrenderci. Questa guerra va vinta,
assolutamente!”
“Io
farei volentieri a meno di lanciare altri
missili. Mi sento talmente esausta e ferita che se per colpa mia
qualcun altro
dovesse rimetterci la pelle…”
“Hey, ma cosa cazzo stai dicendo? Qui la colpa non
è di nessuno” – la zittisce
lui, scioccato dal discorso.
“E
invece sì! Se non avessi lasciato quella
dannata isola, se per una volta nella vita avessi seguito le regole
senza fare
di testa mia, lei sarebbe ancora tra noi” – Tokyo
fatica persino a pronunciare
il nome della migliore amica, una sorella che quella maledetta rapina
le ha
tolto per sempre.
“Chi
avrebbe mai immaginato che sarebbe
accaduto tutto ciò. E poi, se non fosse stato per questo
attacco alla Banca, io
non avrei mai incontrato nessuno di voi, tantomeno la mia
Nairobi” – sostiene Bogotà,
mentre una lacrima gli scivola sulla guancia. Odia mostrarsi
debole,così cerca
di controllarsi asciugandosi il volto. Quella sua compostezza
è stata la stessa
che ha utilizzato nel non mostrare direttamente a tutti i suoi reali
sentimenti
per Nairobi. Ancora una volta si autocontrolla e, infatti,non a caso,
è l’unico
della Banda a non aver ancora pianto dopo quanto accaduto.
“Sfogati,
o rischi di impazzire” – lo consiglia
la ragazza, notando l’arrivo dei compagni, pronti a disporsi
attorno agli
ostaggi, con una calma fin troppo agghiacciante.
Rio
è accanto a Stoccolma, visibilmente teso;
Lisbona conversa con Palermo e Denver, che le spiegano come muoversi in
quel
labirinto che è la Banca di Spagna.
“Dove
sarà Helsinki?” – domanda, stranito,
Bogotà.
“Non
si dimentica in un batter d’occhio la
morte di una sorella” – puntualizza Tokyo - “Proviamo le
stesse emozioni e la stessa
rabbia, e lui come me sarà alle prese con un dolore che
preferisce sfogare in
solitudine”
Così
dicendo, la ragazza si alza da terra e
si allontana, mentre la banda la richiama all’ordine.
“Abbiamo
bisogno di lei, crede di essere l’unica
a soffrire?” – cambia tono, Denver.
“Diamole
tempo, era molto legata a Nairobi” –
interviene Stoccolma.
“Lo
eravamo tutti” – reagisce Rio.
Bogotà,
destabilizzato da tanto
chiacchiericcio e dai continui battibecchi dei compagni, segue le orme
di
Tokyo.
“Hey,
amico, ora sparisci anche tu?” – lo rimprovera
Palermo.
“Va
al diavolo! Dannazione, lasciateci
soffrire in santa pace” – gli tuona contro, salendo
la scalinata e prendendo l’ascensore,
diretto ai forni.
Il
cuore gli esplode ricordando che proprio
lì dentro aveva baciato Nairobi e aveva assaporato la vera
felicità.
Improvvisamente
il suono della sua voce
risuona nelle sue orecchie.
“Devo
tornare a dirti che non ti toccherei
neanche con un palo…”
Quelle
parole alleviano per un secondo il
dolore, disegnando un accenno di sorriso sul volto di Bogotà.
Ma
è il “Ti amo” che le ha sussurrato poco
dopo, quando l’ha aiutata a sedersi di nuovo sulla sua sedia,
a dare il via ad
un devastante pianto.
“Quanto
è dura dirti addio” – singhiozza,
senza più autocontrollo.
Grida
a squarciagola il nome di lei, fino a
quando non raggiunge il piano sotterraneo, lì dove i Chicos
de Oro di Nairobi
sono alle prese con il lavoro.
“Capo,
è successo altro?” – si spaventa subito
Matias, guardando il Boss raggiungerli
in tutta fretta.
“No,
ragazzo! Acceleriamo il lavoro, prima
finiamo, prima lasceremo questo inferno”
“Subito!
Lo dobbiamo a Nairobi” -
Matias sprona i suoi compagni a darsi da
fare, mentre Bogotà sente un sentimento di leggerezza
invadergli il petto.
Tokyo
aveva ragione… la sofferenza non
passerà mai, però sfogarsi e buttare fuori parte
di quel dolore sono un modo
per ricominciare.
….
To be continued…
Angolo
dell’autrice:
Salve
a
tutti, mi chiamo Ivana. Avrete capito che sono una fan de La Casa de
Papel,
soprattutto di Nairobi. Ho pianto come una bambina quando è
morta e tutt’ora,
se ritrovo video su youtube di lei nella quarta serie, piango. Ho
voluto
trasmettere quel dispiacere che ho nutrito, attraverso
Bogotà e Tokyo. Spero vi
sia piaciuta. Ho scritto “To be continued”
perché ho intenzione di scriverne
altre. Alla prossima.
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