Luna

di erinrollins
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3018 Terza Era. 
Un ramingo, un uomo di ventura, vagava lungo i territori di quello che un tempo era Bosco Verde. Nessuno avrebbe mai detto che la sua età fosse maggiore rispetto a quella che effettivamente dimostrava, non solo nell’aspetto ma anche nel portamento e nel fisico, dato che superava gli ostacoli di una foresta ormai ridotta in rovina con facilità. Alberi secchi o morti distesi lungo la via, rami tanto intrecciati tra loro da rendere il passaggio impraticabile, statue elfiche spezzate e il cui candore era rovinato dalla stessa oscurità che aveva costretto i loro padri a migrare a Nord-Est della foresta… tutto in lì era impraticabile e tutto era un potenziale pericolo. Mai alcun uomo avrebbe deciso di attraversare quello che da Bosco Verde si era trasformato in Bosco Atro, se non tanto per gli ostacoli immobili, per quelli mobili. Ormai quei luoghi erano maledetti dal ritorno dell’Oscuro Signore, orchi, ragni e goblin li abitavano e le loro incursioni all’interno di essa erano sempre più frequenti. Ma Aragorn non era mai stato un uomo normale, la paura non gli apparteneva e sebbene dal suo destino dipendessero molti uomini e molteplici destini lui era lì, sotto richiesta di Gandalf il Grigio. Era noto che in tutta la Terra di Mezzo Aragorn fosse il miglior seguitore di piste - molti credevano che i suoi sensi fossero stati affinati dal tempo trascorso con gli elfi - e anche se la realtà era un’altra, allo stregone non interessava; aveva scelto Aragorn per quella missione.
Il suo obiettivo era trovare una creatura, una creatura che a quanto pare possedeva qualcosa di molto caro a Gandalf, informazioni di vitale importanza per l’intera Terra di Mezzo. Quella creatura era Gollum e lui, Aragorn, dopo pochi mesi, l’aveva trovata. Era la stessa che camminava dietro di lui quel giorno e che gli causava non pochi impedimenti, ancor di più dei rami, delle statue distrutte, degli orchi che brulicavano la foresta. Gollum si dimenava e si contorceva, spesso urlava e lo pregava di lasciarlo andare prima di insultarlo nei modi più disparati. Il ramingo dapprima lo aveva costretto con una corda al collo, stretta tanto quanto bastava per poterlo trascinare dietro di sé e non farlo scappare, ma subito dopo la prima notte fu costretto a legargli le mani e tappargli la bocca. Quella creatura poteva far pena e poteva creare un misto di disgusto e compassione non indifferenti, ma era la stessa che la prima notte aveva tentato di ucciderlo. Non che il tentativo lo avesse sorpreso, dato che era riuscito a trovarlo tramite le storie dei Boscaioli di Bosco Atro che narravano di una creatura non definita che rapiva i bambini in fasce per divorarli. Aragorn gli aveva dato il beneficio del dubbio, ma mai più sarebbe accaduto. 
Da lì a pochi giorni riuscirono ad uscire dal centro della foresta seguendo quella che era la via costruita dagli elfi che un tempo abitavano nel centro del bosco, gli elfi silvani. Una via sicura rispetto a tante altre, come quella nanica, ormai soppiantata dall’Antica via Silvana per via delle creature poco simpatiche che la attraversavano. Gandalf li attendeva più a Nord del Bosco e si incontrarono dove pattuito. Aragorn sarebbe volentieri ripartito subito - non adorava stare in quei luoghi, ne preferiva molti altri - ma Gandalf gli chiese di rimanere. Passarono giorni in un posto nascosto agli occhi dei più, dove le grida disperate di Gollum non sarebbero state sentite, dove la creatura poteva rimanere celata. 
Aragorn attendeva fuori fumando la sua pipa, pensando a cose stupende come il candore della donna che amava oppure quello dell’albero di Gondor, pesava i pro e i contro della sua vita passata con gli elfi rispetto a quella vissuta battendosi per raggiungere quella degli uomini, per ripristinare un nome che non sapeva quanto effettivamente gli appartenesse. La sua mente era riuscita ad andare in posti mai esplorati pur di non sentire le urla impietose di Gollum e le grida di Gandalf, che lo interrogava. 
Dopo pochi giorni gli fu chiaro il motivo per il quale era dovuto rimanere; doveva concludere la sua missione portando Gollum dagli elfi silvani, da Re Thranduil, dove sarebbe stato rinchiuso nelle segrete del Reame Boscoso, una delle fortezze elfiche dalle quali era impossibile evadere. Ma il problema era ben altro. Aragorn aveva vissuto con gli elfi del Reame di Gran Burrone conosciuti per essere ospitali, saggi, sempre ben ponderati con uomini e nani. Elrond stesso, il Re elfico di quel reame, era di una gentilezza spiazzante, tanto quanto era spiazzante la saccenza e l’arroganza di Re Thranduil. Gli elfi silvani di Bosco Atro erano tutt’altra cosa rispetto agli elfi di Gran Burrone, se non l’avessero voluto lì probabilmente sia lui che Gollum sarebbero morti tre secondi esatti dopo aver messo piede nelle loro terre. Gandalf doveva avere delle buone ragioni, ma era sempre meglio accertarsi e chiarirle fin da subito.

“Mi stai chiedendo di portarlo dagli elfi silvani?” 

“Sì, ti sto chiedendo questo.” 


“E gli elfi silvani sanno che me lo stai chiedendo?” 

Gandalf il Grigio sembrò fulminarlo con lo sguardo, erano entrambi seduti su un muretto fuori dal luogo in cui avevano portato Gollum. Era chiuso in casa mentre fumavano entrambi la loro pipa.

“Thranduil non muoverà un dito su di te, Aragorn, erede Dunedain, nonché erede di Isildur. Non è uno sprovveduto, sa che da te dipende il destino di questa terra.” 

Aragorn si zittì, distolse lo sguardo riportandolo verso il verde della foresta, proprio davanti a loro. Ne erano usciti pochi giorni prima e ora avrebbero dovuto rientrarci con un peso ben più grosso sulle spalle. Ricordare ciò che era veramente lo colpiva come uno schiaffo, ricordare quale era la sua stirpe gli faceva male, ricordare quale era il suo nome lo feriva. L’unica speranza che aveva era quella di essere diverso. Gandalf sembrò capire di aver turbato l’uomo e, prendendo un enorme boccata dalla pipa, brontolò qualcosa per attirare la sua attenzione e riportarlo alla realtà, prima di parlare.

“La tua vita a Gran Burrone è stata felice, Aragorn. E so che preferivi il nome che tua madre ti aveva donato per liberarti dal peso della tua casata. Ma questo non è il momento per rinnegare ciò che sei. Sei Aragorn, il futuro Re di Gondor, colui che farà la differenza nella Terra di Mezzo. Elrond ti ha cresciuto per questo e Dama Arwen-” 

Lo stregone si bloccò, non tanto perché non avesse parole da sprecare sulla figlia di uno dei suoi più cari amici, ma perché fu Aragorn stesso a fermarlo. Al nome di Arwen aveva alzato la mano, in modo calmo e lucido, ma anche imperioso. Non era un segreto quanto i due si amassero e quanto il loro amore fosse, apparentemente, irrealizzabile. 
Al nome dell’amata Aragorn chiuse gli occhi, il silenzio e la calma della foresta davanti a loro lo portarono da lei, a Gran Burrone. Candida, brillava di luce propria mentre leggeva un libro, seduta sopra una poltrona di velluto celeste. 

“Cormamin niuve tenna’ ta elea lle au’.”   Il mio cuore dormirà fino a che non ti rivedrà ancora.

Lo mormorò mentre riapriva gli occhi, non osava aspettare il momento in cui l’elfa avrebbe rialzato lo sguardo verso di lui; dirle addio, in sogno o nella realtà che fosse, era insopportabile per il ramingo. 
Gandalf annuì appena, distogliendo lo sguardo. 

“Accadrà presto, ne sono sicuro. Anche se penso che il tuo cuore dovrebbe distrarsi e non diventare così pesante… devi trovarti dei buoni amici, Aragorn. Te ne farò conoscere alcuni. Dopo aver portato Gollum nel Reame Boscoso ci troveremo a Brea, là arriverò con un Hobbit.” 

“... un hobbit?” 

“E’ colui che porterà al sicuro l’Unico Anello. Gollum mi ha rivelato che è nei confini della Contea da molti, molti anni… non possiamo permettere che lo trovino. Dovrai portare l’hobbit al sicuro. Non possiamo permettere che Sauron avanzi di un altro metro.” 


Il cuore di Aragorn sussultò al solo pensiero, non positivamente. Avrebbe dato tutto per proteggere quell’hobbit e subito con il pensiero andò alla ricerca di tutto ciò che sarebbe potuto andare storto e a come eventualmente porvi rimedio. Gandalf aveva ragione, probabilmente avrebbe dovuto prendere con meno pesantezza ciò che gli si presentava davanti. Quando l’hobbit sarebbe arrivato a Brea lo avrebbe portato nell’unico posto sicuro che conosceva, Gran Burrone. E anche se nella sua mente quel luogo significava vedere Arwen si costrinse a rimanere concentrato. Sarebbe arrivato anche il tempo dell’amore e dell’amicizia, ma quello era il tempo della guerra.

“Partiremo stanotte, con il favore delle tenebre.” 

“Fa’ attenzione. Queste foreste brulicano di orchi, oggi più che mai.”

“Ma davvero?” 


I due si scambiarono uno sguardo d’intesa. Aragorn sorrise mentre picchiettava la pipa sul muro tentando di pulirla e Gandalf, con la sua risata fragorosa, riempì per un attimo la foresta e anche il cuore del futuro Re. 
Partì quella stessa sera, con ancora un leggero calore stretto al cuore, con Gollum dietro di lui legato esattamente come erano arrivati. Re Thranduil lo attendeva e con lui, anche se il ramingo non lo sapeva, un nuova conoscenza, che sarebbe rimasta indelebile nel suo cuore quanto lo era Arwen.

 

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3018, Terza Era.
Legolas non aveva mai vissuto alla luce del Sole, né tantomeno sotto quella delle stelle dalla sua stirpe tanto acclamate e adorate. Certo, aveva potuto vederle e goderne qualche volta e aveva assistito ai canti elfici duranti le notti in cui le stelle erano più visibili, ma erano diventati momenti sempre più rari lungo il periodo di ogni anno. Le foreste di Bosco Atro erano sempre più impraticabili dati gli orchi che vi pascolavano e questo aveva fatto sì che suo padre, Re Thranduil, avesse proibito ogni scampagnata al di fuori dai momenti da lui decisi. 
Loro dovevano limitarsi a proteggere i dintorni del Reame Boscoso, niente più e niente meno, proteggere la loro parte di foresta ancora rigogliosa da quello che era il marciume che ormai aveva preso d’assalto quasi l’intera area verde. Era triste, infinitamente. 
Le uniche occasioni che avevano per godere della luce stellare o lunare erano le festività legate alle loro credenze, ogni cento anni; rinnovare il contatto con la natura era di vitale importanza per gli elfi, quasi tanto quanto viverla. Le festività, come quella che ci sarebbe stata quella stessa notte e che Legolas era sicuro avrebbe festeggiato, erano le uniche occasioni per poter rivivere quella che un tempo era un’abitudine felice, significava ricordare chi fosse e a quale grande razza appartenesse e non era scontato di quei tempi. 
Erano passati molti anni da quando Thranduil aveva deciso di trasferire la loro dimora dal Sud di Bosco Verde a Nord-Est. Legolas aveva abitato per poco ad Amon Lanc, l’antica fortezza elfica di Oropher ormai presa dall’oscurità e divenuta Dol Guldur, fortezza dell’Oscuro Signore, che ad oggi sembrava impenetrabile. Sauron era vicino e loro erano riusciti a spostarsi e a nascondersi in delle caverne. Certo, maestose, ma pur sempre caverne. Lontani dalla luce stellare alla quale erano affezionati, lontani dal verde della foresta. 
Il dialogo con il padre era peggiorato durante gli anni e nonostante il loro amore fosse grande, spesso perdevano tempo in piccoli battibecchi del genere; Legolas, ormai Capitano della guardia, voleva rischiare di più, non voleva rinunciare alla loro vita, alle loro tradizioni. Quel giorno nella sala del trono Legolas perse per un attimo la pazienza all’ennesimo ordine che a lui sembrava senza senso.


“Ripuliamo l’area circostante dagli orchi.” 

“Solo l’area circostante? Non possiamo rimanere chiusi qua dentro per sempre. E stasera dobbiamo festeggiare le stelle, la Luna. Te lo ricordi, vero?” 

Il silenzio da parte del padre per un attimo preoccupò Legolas. Festeggiare faceva parte di loro, era importante per lo spirito in quanto elfi, ed era impossibile che Thranduil vi rinunciasse. Cacciò l’idea dai suoi pensieri prima di continuare, più sicuro che mai.

“Sauron ha conquistato Dol Guldur, per anni dopo l’impresa di Thorin Scudodiquercia siamo stati ad osservare, ad attendere.”

Thranduil non sembrò stupito, ed effettivamente non lo era. Gli occhi celesti erano glaciali, ma ad un occhio più attento come quello di Legolas era ovvia la verità. Thranduil aveva paura. Era turbato per via delle numerose battaglie combattute in passato, dove troppo spesso aveva perso qualcosa di importante… o qualcuno. Il re elfico sentì gli occhi del figlio leggergli l’anima, l’umore, e fu per questo che distolse subito lo sguardo. 

“Forse sei tu che hai atteso, invano.” 

“E’ tutto quello che hai da dire? Potevo capire il perché delle tue decisioni quando un gruppo di nani si sono avvicinati alla Montagna, ma ora è diverso-” 

La mano di Thranduil si alzò imperiosa e lo sguardo che fulminò il figlio disse tutto quello che neanche mille parole avrebbero potuto dire. Mai nominare la Montagna, aveva già nominato Thorin Scudodiquercia una volta di troppo. Thranduil si alzò dal trono, cosa che accadeva raramente, solo per avvicinarsi alla piccola copia di sé stesso. Legolas si zittì immediatamente, sapeva di non aver osato ancora troppo, ma se suo padre lo aveva zittito aveva sfiorato un limite a lui sconosciuto.

“Sei giovane, Legolas. E sei anche uno sciocco se credi di poter farmi cambiare idea, non si tratta di decisioni che prendo con leggerezza.” 

I pochi elfi attorno a loro abbassarono lo sguardo, come se non volessero essere lì mentre il padre sgridava il figlio, il loro Capitano. Si somigliavano più di quanto Legolas volesse ammettere e non solo fisicamente. Il Capitano della guardia non accennò ad abbassare la testa, ma la mandibola era in tensione, come se faticasse a tenere per sé ciò che stava pensando. Era in quei momenti che il Re elfico vedeva nel figlio tanto di sé, quando era giovane. Si limitò a sfiorargli il mento, una mezza carezza mentre i loro sguardi questa volta si intrecciarono.

“Non pensare che a me questa situazione piaccia. Sei giovane e vorresti una soluzione più immediata, ti sembra di averla… ma spesso sono quelle che catapultano la tua esistenza in un mondo di paura e disperazione. Ascoltami, Legolas. Verrà il momento in cui prenderemo una piena posizione e arriverà il momento in cui entreremo in una vera e propria guerra. Sarà il momento in cui Sauron cadrà. Ma ora tu devi darmi retta e devi proteggere il nostro Reame. Pensi di poterlo fare?” 

La mano di Thranduil era calda contro la guancia di Legolas e solo lui potè capire quanto bene e quanta disperazione ci fossero nella sua voce e nel suo intero discorso, tanto da lasciarlo per un attimo disarmato. Come poteva esserci tanta freddezza, ma al contempo tanto amore in suo padre? Come poteva lasciarlo disarmato, ogni volta? Non lo sapeva. 
Ma sapeva che non avrebbe potuto dire di no, neanche questa volta. 
Annuì appena, mentre la mandibola si rilassava. Con respiro leggero liberò la rabbia tutta d’un colpo. 

“Sì, adar.”  Sì, padre.

Padre, non Mio Re. Thranduil accennò un piccolo sorriso, annuendo a sua volta mentre distoglieva lo sguardo. Lasciò andare il figlio e tornò verso il trono, non avevano più niente da dirsi. Avvertì i passi leggeri di Legolas andare verso l’uscita, mentre richiamava a voce alta qualche uomo per ripulire l’area circostante. Non appena fu fuori dalla stanza Thranduil non si mosse di una virgola, continuò a guardare il trono di fronte a sé rivolgendosi però alla guardia che aveva accanto. Gli uomini che Legolas aveva chiamato a sé gli sembravano troppo pochi. 

“Soorasen.” Seguilo.

L’elfo accanto a lui non perse tempo ad annuire, eseguì l’ordine, correndo dietro a Legolas e ai pochi elfi che aveva chiamato con sé. Era compito di Thranduil proteggere chiunque vivesse nel Reame, era compito di Thranduil proteggere l’unica cosa che gli fosse rimasta, anche a costo di indispettirla. Questo significava prendere decisioni scomode, esattamente come avrebbe fatto di lì a pochi minuti. Una decisione scomoda che avrebbe cambiato totalmente l’umore del figlio. Quello che non poteva sapere era che un turbinio di coincidenze avrebbe portato lontano dalla sua guardia il tesoro più prezioso che possedeva.
 

NOTE AUTORE:
Mi scuso in anteprima se ci saranno errori qua e là o buchi di trama. Ho voluto prendere ispirazione sia dai libri che dai film, tentando di prendere tutto ciò che amo di più e trasformarlo in un missing moment riguardante Aragorn e Legolas. Aldilà della ship che può o non può esserci, ho voluto dare una sfumatura un po' diversa, che è quella della predestinazione. E' come se i due si appartenessero, questo tipo di legame va oltre l'amore e l'amicizia, creando un rispetto reciproco e una voglia di proteggersi l'un l'altro allucinante, soprattutto in un mondo difficile come quello che Tolkien ha creato per loro. La predestinazione, almeno per me, è un colpo di fulmine. Spero di aver dato a questo colpo di fulmina una sfumatura che possa piacere anche a voi.




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