Oltre il vetro

di Dihanabi
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Cos’è che vedi, oltre quel vetro, Edward?

È la stessa Monaco che vedo io? No, non lo è.

Questi sampietrini, umidi di pioggia autunnale, sono gli stessi che vedi tu? E questi palazzi alti, questi luoghi ameni… Son per te, almeno in apparenza, quello che son per me? No, non lo sono.

 

Non la vedi, Monaco, oltre quel vetro, Edward?

Non senti il pianto delle sue strade e le risa dei suoi cinabri tetti. Non la vedi, e spezzi il cuore persino a Lei.

 

A che pensi, spesso mi chiedo.

Pensi a lui, m’immagino allora.

E io mi infastidisco. Mi causa lo stesso disagio di avere dei vestiti di una taglia troppo piccola: ad ogni movimento impongono la propria presenza, stringendosi lì, e alzandosi di là, rammentando la loro presenza durante l’arco di tutta la giornata.

 

Pensi a lui, mi dico.

 

Lo odio, mi ritrovo a pensare. Scuoto la testa. Io non lo conosco neppure, tuo fratello.

 

Non c’è nulla, per te, oltre quel vetro.

Non v’era il tempo uggioso ieri, ne il tiepido sole di oggi.

Nulla, oltre quel vetro.

 

Questo mondo non esiste neppure. E di conseguenza io, e queste strade, e questi palazzi, e la mia Germania.

Cosa siamo, per te. Fantasmi?

Cosa sono io, per te?

 

No. Non lo odio, tuo fratello. Vorrei essere come lui, vorrei che vedessi me, che mi vedessi davvero. Che vedessi questa città e questa gente.

 

Sei tu il fantasma, Edward?

 

Ti prego, prima che per me sia troppo tardi...

 





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