La pioggia su Tipoca City, d’estate, è un concerto fastidioso di aghi che cadono a ripetizione. L’urlo del vento e il suono delle onde si insinua subdolo e gli impedisce di dormire.
Boba Fett rimpiange l’inverno, quando le tempeste cantano come bombe che esplodono.
Un Aiwha a volo radente sull’acqua sfiora la sua finestra con l’ampia ala destra. La sua mente di bambino perfetto calcola la velocità del vento, la percentuale di umidità e l’angolazione ottimale per finire l’animale con un singolo colpo.
Non ha armi con sé e non toccherebbe mai un Aiwha. Lama Su ne sarebbe dispiaciuto. Ma tenere la mente in esercizio è la prima regola.
Boba Fett non si pone domande. Non si chiede se esistano altre opzioni. Sa solo che suo padre è fiero di lui. Lui esiste a quello scopo. Osserva le gocce sottili e taglienti che cadono sul trasparacciaio della finestra.
Sono tutte uguali, indistinguibili l’una dall’altra, esattamente come i cloni che affollano Tipoca City e hanno il suo stesso viso. Il viso di suo padre. Ma Boba non è come loro. Boba sorride al proprio riflesso.
Lui è un proiettile che attraversa la pioggia e taglia l’aria finché non ha colpito il bersaglio. |