Deum de Deo, Lumen de Lumine

di Mercurionos
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Rosso
 
Vento.
 
Forte, sferzante, chiassoso, quasi un dolore sulla pelle.
 
Il freddo dell’aria e il bruciore del viso erano uno dei più grandi piaceri che si potevano provare, erano i colori più intensi donati alla vita su Sadala.
 
L’alta erba di montagna ondeggiava come il mare, tra il verde e il blu nelle minuscole corone sui pianori che svettavano uno dopo l’altro, fino all’orizzonte, fino al lontano oceano.
 
Il cielo dorato s’infiammò tutto ad un tratto, sfregiato dall’ultima luce di quel giorno. Poi si spense, lo splendore svanì rapido come era apparso quella stessa mattina.
 
E poi le stelle. Le silenziose compagne delle sue notti insonni. Erano così tante, così diverse e lontane, che ogni sera poteva salutarne un’altra, conoscerla, ricordarsi la sua posizione e gioire nel ritrovarla la sera successiva.
 
Nel quadro d’insieme, al centro di tutti quei colori, forse avrebbero detto che lui stonasse. Il mondo s’era rabbuiato, lambito soltanto da quel distante chiarore proiettato in terra dagli astri, tutto taceva nella tenue tenebra notturna… Ma lui no.
 
L’aria arruffava i suoi capelli, trascinando con sé deboli scaglie di luce, minuscole ed effimere schegge che si alzavano dalla sua chioma, come piccole lingue di fuoco. Quel tiepido fulgore non lo abbandonava mai.
 
Forse era anche per quello che faceva fatica a prender sonno. Un piccolo prezzo da pagare in cambio dei privilegi di cui avrebbe potuto godere, ma dei quali non voleva saper nulla. Diceva di aver altro a cui pensare.
 
Si voltò, sentendo sempre più vicini i passi di qualcuno che stava salendo la lunga scalinata di pietra. Tutti si sentivano in dovere di far così, camminare pian piano per quell’interminabile salita, nonostante sapessero che sarebbe stato molto più semplice volare fino alla vetta del monte.
 
Era lì che era stata eretto, secoli prima, il santuario che lui chiamava casa.
 
Prim’ancora che avesse potuto vedere in volto il visitatore, sentì la sua voce chiamarlo: “Maestro!” Era così che si rivolgevano a lui i cinque capifamiglia che vivevano sulle pendici del monte, ed era così che lui stesso un tempo era solito chiamare il proprio predecessore.
 
Finalmente poté vedere l’uomo. Era in tutto e per tutto simile a lui: alto, snello e di bell’aspetto. In tutto e per tutto simili, tranne per quel bagliore: lui emetteva ancora quella tenue luce, l’altro no; e i loro capelli erano tanto identici nella bizzarra acconciatura quanto erano diversi per il loro colore: l’altro, come i suoi simili, sfoggiava una criniera corvina, una tinta di pura tenebra, lui invece, unico della sua specie, li aveva rossi, i capelli.
 
Non era un rosso pallido e sfumato, non un semplice riflesso ramato, non scarlatto, non carminio, ma molto più intenso. Soltanto lasciare agli occhi l’occasione di esaminare l’intensa venatura cremisi dei suoi capelli pareva un piacere carnale, una sensazione atipica quanto eccezionale. Sembrava quasi che il concetto stesso di colore, che tutto ciò che avrebbero potuto descrivere come rosso si fosse incarnato nell’incantevole criniera di quel saiyan.
 
“Maestro!”
“Artio, che succede? Siediti.”
“Maestro, sua maestà ha accettato. Vuole che ci presentiamo domani in consiglio.”
“Re Sadala ha accettato? Così, di punto in bianco?”
“A quanto pare. Poco fa Kon e Mato hanno visto un messaggero girovagare per i campi. Veniva dal palazzo, e voleva comunicarci soltanto questo: domani, di prima mattina, il re convocherà il consiglio per parlare con lei.”
“Allora dobbiamo esserne grati a sua altezza. Dovete venire anche voi, ovviamente. Fai in modo di avvisare anche Buki e Jagga, domani avrò bisogno senza dubbio anche del vostro sostegno. Portate con voi i guerrieri più forti, e avvisa i villaggi vicini. Dobbiamo presentarci in molti. Il re avrà anche accettato, ma gli anziani sono ottusi: se non mostriamo che il popolo è con noi, anche la mia parola perderà valore, per quanto possa essere sincera.”
“Lo consideri già fatto.”
“Allora vai, vola in fretta. Prenditi però il tempo di riposare, più tardi.”
“Lo farò solo quando tutti avranno sentito le tue parole.”
 
L’uomo saltò vero l’alto, librandosi in volo come il seme di un tarassaco, e si precipitò giù dal monte. L’aria sibilò frenetica al suo passaggio, ridacchiando felice quanto l’animo del saiyan.
 
Lui invece non alterò la propria smorfia assorta. Restò seduto ancora a lungo sulla massiccia panca di granito ad ammirare la volta celeste, ma non riuscì ad essere felice.
 
Aveva atteso a lungo quella specifica occasione, l’opportunità di poter parlare al mondo intero, un ottimo pretesto per poter placare tutti quegli animi inferociti… Ma il suo animo non era sereno.
 
Un cambiamento così repentino nelle intenzioni del re… Cosa poteva significare? Lui aveva sempre voluto vedere il bene nelle persone, trovare il giusto intento che animava le gesta dei saiyan bellicosi per indirizzarli sulla retta via, mosso da un’incommensurabile speranza.
 
Ma quella sera le sue perplessità mutarono in timore, e ancora una volta non riuscì a prender sonno.






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