Joy

di CatherineC94
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Joy

L’aria di maggio è frizzante, come i loro sorrisi, le risate che colmano la stanza. I letti sono tutti sfatti, bauli svuotati; attorno pergamene stracciate, piume distrutte e sorrisi tronfi. James si lamenta della sua pessima giornata, scarabocchiando la torre ovest del castello ; Peter invece lo rimprovera bonariamente, fra tutti vanta una calligrafia che rasenta la perfezione e per una volta può essere il migliore in qualcosa.
« Sembra il biglietto di auguri che mi scrive Aberforth a Natale» gracchia Sirius. James è indignato, posa la piuma e non sa se continuerà a disegnare la mappa; Peter si nasconde, sa come andrà a finire e vuole salvarsi, in un modo o nell’altro.
Remus invece ride apertamente, gli occhi infiammati e il volto cosparso di gioia.
Sirius continua ad elencare una lunga serie di improperi contro la scrittura del suo migliore amico, mentre sente ancora le risate di Remus nella testa e forse nella parte sinistra del torace.
 
 
Non è cambiato molto negli ultimi anni, e forse il cuore quasi si infiamma di speranza. La stanza è sempre quella e sono sempre loro due come un tempo; non lo guarda irato, anche se dovrebbe.  Guarda Harry, e vorrebbe urlare la sua felicità avvelenata, dallo strazio disperato che si erge dal cuore; il suo migliore amico sarebbe stato fiero se l’avesse visto.
Remus sa la verità, lo avverte e lo abbraccia; sente che qualcosa riparte, in un piccolo angolo della mente.
«Come ti è saltato in testa di farti crescere i baffetti?» lo accusa.
Ancora una volta i suoi occhi si tingono di allegria, mista a qualche lacrima agli angoli.
 
 
Scende lentamente le scale, meditabondo.
Lo ritrova fisso di fronte all’arazzo, nota che ha un’espressione compiaciuta sul volto. Affonda le mani nelle tasche, noncurante e continua per la sua strada; ma Remus lo blocca rapido. Una strana sensazione s’impadronisce del suo corpo, non gli dà un nome, anche se da tempo vorrebbe; lo fissa in attesa.
«Quindi è questo l’arazzo che non riesci a togliere via? Ho sentito Severus parlarne» lo provoca suadente.
Salva il braccio dalle sue grinfie e assottiglia lo sguardo torvo.
Sa bene  che vuole solo farlo sbroccare e sfogare, ma non ci casca più. Il nome di Piton è un altro oltraggio alla memoria di ciò che sono stati, ora bieca ombra, ma che lo riporta a tempi che tenta di chiudere in un cassetto della mente.
Si allontana senza degnarlo di una risposta apparente, sorridendo fra sé e sé; il cuore pompa il sangue furioso e si sente anche orgoglioso del suo lupacchiotto ormai cresciuto.
 
 
«Dovresti rimanere qua» dice apprensivo, nei suoi occhi legge una profonda paura.
Non risponde, sa che non lo vedrà più e forse è meglio così.
«Ringrazia  Alberforth per il biglietto di auguri di Natale, e ti prego rasati quei dannati baffetti» risponde secco.
Spalanca il grosso portone di Grimmauld Place, mentre nell’aria la risata di Remus irrompe ancora per un’ultima volta; osserva il suo viso gioioso, ricordandolo per sempre.

 
 
 




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