Dark Circus

di Lacus Clyne
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EPILOGO

 

 

 

 

Quell'anno, Boston era in fermento da campagna elettorale.

Nel corso del tempo, tanti eventi incredibili si erano susseguiti e, a causa di un clima di forte instabilità, avevamo vissuto momenti difficili. Del canto nostro, avevamo portato avanti il nostro lavoro con sempre maggior convinzione, tanto più che, dopo il caso del Mago, avevamo risolto diversi casi che avevano agitato la città con le loro complicazioni. Eppure, c'era ancora tanto da fare, soprattutto dal momento che il malumore serpeggiante acuiva la sfiducia della gente nei confronti delle forze dell'ordine.

Episodi di razzismo, talvolta, purtroppo, fin troppo conclamati, corruzione e difficoltà economiche a seguito della crisi, avevano finito con l'incrinare quel senso di protezione che, solitamente, la Polizia ispirava. E probabilmente, anche questa era tra le ragioni per cui Marcus Howell decise di partecipare alla corsa a sindaco. La sua famiglia non era nuova al titolo, dal momento che il nonno lo era stato in passato, rieletto oltretutto per un doppio mandato, ma la sua vittoria non era così scontata. Per questo, aveva deciso di rassegnare le dimissioni dalla sua carica di Procuratore Distrettuale e concorrere senza rischio di conflitto d'interessi.

Quel pomeriggio di settembre, tutti i capi Dipartimento erano stati convocati presso la sua residenza e, con l'occasione, anche le nostre famiglie avevano avuto modo di incontrarsi. Così, mentre Alexander e Maximilian erano in riunione, Selina, Elizabeth, Lucy, Jace e io eravamo in attesa, chiacchierando nell'ampio e lussuoso gazebo con vista sul parco della villa.

Sembra che la riunione si stia prolungando, vero? – domandò Lucy, scostando una ciocca brunita da dietro all'orecchio. Il venticello autunnale era piacevole, anche se Elizabeth si scaldò le braccia con le mani, a seguito di una folata un po' troppo intensa.

Tu non puoi proprio dirci di cosa si tratta, Selina? – chiesi e lei arricciò le labbra color ciliegia.

Mi spiace, ma Marcus mi ha severamente proibito di dare anticipazioni. – rispose, sorseggiando una tazza di tè.

Jace, che mangiava una madeleine dorata sul cui sapore e sulla cui fragranza non avevo dubbi, mi punzecchiò. – Ecco... vedi come si comportano le vere amiche? Niente anticipazioni. –

Lo guardai di sottecchi, prendendo un biscotto danese. – Dopo tutto questo tempo serbi ancora rancore per quella volta? –

Avevo atteso così tanto nella speranza di un finale decente... –

Lucy gli dette una pacca sulla spalla. – Dovevi prendertela con gli autori, non con Kate... dopotutto aveva soltanto cercato di salvarti la vita. –

Jace annuì di rimando, posando la mano su quella della moglie, nonché mia migliore amica.

Per fortuna ho te... –

Lucy sorrise, mentre io sospirai. – Non c'è di che, eh? –

Selina si mise a ridere. – Lascialo perdere... gli brucia ancora che il posto al MIT sia stato assegnato ad Hannah Lynch. –

Jace fece spallucce. – L'ho presa con filosofia soltanto perchè era la sorella di Trevor. –

Sorrisi. Hannah, dopo aver terminato gli studi in Ingegneria, con specializzazione nello studio dell'intelligenza artificiale, aveva ottenuto il posto come associato, battendo, di fatto, Jace, che, a sua volta, aveva ripreso gli studi e conseguito la laurea nell'arco di pochi mesi. In realtà, sia Lucy che io sapevamo che se avesse voluto, non gli ci sarebbe voluto nulla per ottenere quel posto, ma la concorrenza era troppo importante per far sì che andasse a fondo. E così, aveva continuato il suo lavoro come analista in Dipartimento, talvolta aumentando il giro di collaborazioni, per far fronte alla nuova situazione personale venutasi a creare. Per tutti noi era cambiato qualcosa.

Alexis aveva deciso di seguire Vaughn in Europa. L'ultima volta che l'avevo sentita, circa due mesi prima, mi aveva detto di essere felice di averlo fatto. E io lo ero stata per lei, perchè aveva finalmente superato tutte le sue paure.

Altri agenti erano subentrati e coadiuvati da Daniel Jones, si erano ben ambientati, anche se spesso li sentivo mormorare di quanto spaventoso potesse essere il detective Graham. Quando gli riferivo quelle parole, Alexander si limitava a dire che non avevano visto ancora niente. E io sorridevo, al pensiero di quanto anch'io, all'inizio, mi fossi sentita intimidita da lui. Eppure, nonostante l'apparenza, era l'uomo più speciale del mondo, per me. Condividevo con lui vita personale e lavorativa ma, a dispetto di quanto si dicesse circa l'incompatibilità di tali dimensioni, andavamo d'accordo sotto entrambi i punti di vista. Certo, spesso avevamo dei diverbi, ma non era forse così per chiunque? Tuttavia, la nostra capacità di comprensione reciproca era forte e nel tempo era aumentata. Spesso, la stessa Selina ci aveva detto che avevamo finito con l'assomigliarci, lui ed io. E, prima di lei, lo stesso Maximilian aveva più volte sostenuto che standogli accanto, avrei finito col prenderne le carte. Eppure, nonostante tutto, Alexander era ancora bravissimo a sorprendermi. L'aveva fatto anche quando, poche ore dopo aver dato alla luce nostro figlio, mi aveva chiesto, casualmente, di sposarlo. Sapeva che, dopo quanto accaduto a Trevor, non sarebbe stato facile per me accettare una proposta classica e così, mi aveva sorpreso in quel modo, appellandosi al fatto che non avrei potuto dire di no a una richiesta fatta davanti a un testimone d'eccezione. E io avevo accettato. Erano trascorsi sette anni da allora.

Kate? – la voce di Elizabeth mi distolse dai miei pensieri.

Sì? –

Anche lei era cambiata in quegli anni. Certo, il dolore per la scomparsa di Lily ci sarebbe stato per sempre, ma l'amore per Maximilian e per il piccolo Landon aveva fatto sì che poco a poco, anche lei tornasse a sorridere alla vita.

Guarda un po' quei due... –

Mi voltai verso il tavolino, poco lontano dai divani su cui eravamo seduti, attorno al quale Landon e Henry si stavano sfidando a Indovina Chi?. Entrambi i due bambini erano concentrati, sotto lo sguardo attento di Mia, la piccola di Jace e Lucy.

Alla tensione del piccolo Landon, che, a detta di Alexander, aveva preso in tutto e per tutto dal padre, a cominciare dal vortice nei folti capelli scuri, faceva da specchio l'espressione divertita di Henry, che, a detta dello stesso Maximilian, aveva ereditato la stessa abilità di pokerista di Alexander. Avrei voluto che ne ereditasse anche quel blu meraviglioso degli occhi, ma la tonalità più chiara era ugualmente incantevole e mi ero resa conto di esserne già perdutamente innamorata dal primo istante in cui aveva aperto i suoi occhietti alla vita. Ero rimasta incinta pochi mesi dopo Elizabeth e questo, se da una parte aveva acuito l'eterno senso di sfida tra quei due, aveva fatto sì che, nel decidere di crescere i nostri figli insieme, per quanto possibile, i rapporti tra loro tornassero quelli di un tempo. E, dopotutto, Alexander era piuttosto solleticato dall'idea che i nostri bambini diventassero amici come lo erano stati loro.

Dopo sole cinque tessere abbassate, Henry, trionfante, annunciò che il personaggio misterioso era il canuto Paul. Landon, incredulo, aveva protestato.

Non è giusto! Tu hai barato! – esclamò, facendo voltare tutti verso di loro al suono squillante e agitato della sua voce. Henry, incredulo e indignato per quell'osservazione, si alterò.

Non è vero! Non ho barato! Sono solo bravo a intuire la tua espressione! Sei tu che non sai reggere il gioco! – esclamò a sua volta.

Eh? Non è così! Mia, tu hai visto, no? – domandò, voltandosi verso la bimba, di un anno più piccola, che sospirò. – Voi non sapete proprio giocare per bene! – rispose, raggiungendoci e sedendosi tra Lucy e Jace, perfetto connubio dei due, con i lunghi capelli neri e gli occhioni color nocciola. Jace, commosso, accarezzò la testolina della figlia. – Bravissima, tesoro mio. Non farti coinvolgere in certi giochetti. –

La smetti, Jace? – fece eco Lucy. – Sono bambini. –

Henry, intanto, si alzò, puntando il dito contro Landon. – Allora stavolta cerca tu di indovinare! –

Landon, guardando verso Elizabeth, cercò supporto. Quest'ultima sorrise. – Forza. Ricorda cosa ti dice sempre papà. –

Il bambino annuì, ritrovando fiducia a quelle parole, poi si voltò verso Henry e ruotò la tavola del gioco. – Va bene, ma sappi che non basta l'intuizione. Devi procedere ragionalmente. –

Si dice razionalmente. – disse una voce un po' più matura proveniente da fuori al gazebo. Quando la persona che aveva parlato si fece avanti, sia Selina che io sorridemmo.

Nicholas, di ritorno da scuola, si affacciò a salutarci. Ora tredicenne, anche lui stava crescendo a vista d'occhio. Di quel bambino spaventato con mutismo selettivo che avevo incontrato in un bugigattolo, tanti anni fa, non rimaneva nemmeno l'ombra. I suoi occhi, che un tempo erano il suo solo modo di comunicare, si accesero di gioia nel vederci.

Bentornato, Nicholas. – esclamammo all'unisono.

Com'è andata la prova, tesoro? – domandò Selina, mentre lui si avvicinava per baciarla.

Molto bene, mamma. Il professor Goodwin sostiene che continuando così, un giorno potrei provare l'audizione per la Juilliard. –

Quelle parole suscitarono la mia curiosità. – Che audizione? –

Nicholas mi guardò, poi prese dallo zaino il flauto traverso.

Abbiamo recentemente scoperto che è molto portato. – spiegò Selina.

Sorrisi, piena di gioia. – Sono davvero felice, Nicholas. –

Quest'ultimo arrossì. – Grazie, Kate... se volete, qualche volta vi suono qualcosa. –

Perchè non lo fai ora? Sembra che abbiamo tutto il tempo. –

Un'altra volta. Devo studiare ora. Ho un progetto da finire di preparare per domani. Anzi, mamma... credi che papà riuscirà ad aiutarmi? –

Selina inarcò le sopracciglia. – Lo spero. Adesso si stanno dilungando davvero un po' troppo... –

Capisco... –

La nostra amica intuì lo stato d'animo del figlio. – Vedrai che farà di tutto pur di riuscirci. Sai che sei sempre la sua priorità. E poi, sappi che non vede l'ora di sentirti suonare quel pezzo che hai tenuto gelosamente segreto. –

A quelle parole, l'espressione di Nicholas si fece più speranzosa. Quando lo vedevo con la sua famiglia, non potevo fare a meno di pensare a quanto fossi felice di aver insistito per averlo con noi. Avevo fatto tante scelte sbagliate nella mia vita, ma combattere per Nicholas era stata tra quelle di cui non mi sarei mai pentita. Mi sentii orgogliosa e serena nel vederli chiacchierare, così come nell'avere i miei amici accanto a me, nel vedere i bambini che, per un gioco del destino, condividevano molto di più che una semplice amicizia. C'era qualcosa di Lily in entrambi. Nel sorriso di Landon e nel taglio degli occhi di Henry. Guardavo Mia osservarli e pensavo che magari, quella che sarebbe dovuta essere la loro sorella maggiore faceva altrettanto.

E, quando finalmente Alexander e Maximilian si fecero vedere, vederli correre entrambi ad abbracciare i loro papà fu un toccasana per il cuore. In quegli anni, qualche filo argentato si era fatto vedere e spesso, mi divertivo a prendere in giro mio marito per questo. Lui, stoicamente, lo imputava ai pensieri che Henry e io gli davamo.

Bentornati. Ci avete messo tanto, eh? – fece notare loro Jace.

C'erano delle criticità da chiarire. – rispose Maximilian che, preso in braccio Landon, si sedette accanto ad Elizabeth. Quest'ultima sorrise.

E papà? Ha ancora da fare? – domandò Nicholas.

Fu Alexander a rispondergli, accarezzandogli affettuosamente la testa. – Arriva subito. Sta accompagnando personalmente gli altri ospiti. Sei cresciuto, eh? Se continua così ci supererai tutti nell'arco di qualche anno. –

Nicholas arrossì. Che ci considerasse dei quasi genitori al pari di Selina e del dottor Howell era risaputo, tanto più che ne eravamo diventati i padrini, ma il nostro era un legame particolare, nato nel giorno stesso in cui si era fidato di noi, permettendoci di portarlo in salvo.

Chissà... –

Alexander sorrise, per poi abbassare lo sguardo su un imbronciato Henry che gli stava tirando un lembo della giacca nera. – Che succede, Henry? –

Puoi prendere anche me? –

Sorpreso da quella domanda, annuì e provvide, avendo cura di usare il braccio sinistro. Dopo lo scontro con il Mago, il destro, che era stato gravemente ferito, aveva impiegato molto tempo a riprendere la funzionalità completa e, anche se alla fine aveva recuperato, alle volte avvertiva dolore. Henry lo sapeva e non insisteva generalmente, ma ultimamente, a causa degli impegni lavorativi, che avevano a che vedere con due casi importanti su cui stavamo indagando, manifestava il suo bisogno d'attenzioni. Per questo, quando abbracciò forte il suo papà, sul suo visetto si aprì un raggiante sorriso di soddisfazione. Del canto mio, quando i nostri sguardi si incrociarono, intuii che avremmo avuto un bel po' di cui parlare.

Che ne dite se faccio portare qualcos'altro da mangiare, intanto? – chiese Selina, alzandosi.

Io sono a posto così. – rispose Maximilian, che nel frattempo, stava mangiando una madeleine.

E comunque... non credo ci sarà più tanto da attendere. Marcus sta arrivando... e non è solo? – aggiunse Jace, affilando lo sguardo.

Ci voltammo in attesa e, in pochi istanti, il dottor Howell, effettivamente in compagnia, ci raggiunse. Assieme a lui, una donna in tailleur bordeaux che avevo visto di sfuggita nei giorni precedenti in Procura e che ricordavo avermi colpito per essere stata un'attivista ai tempi delle rivolte per il diritto alla giustizia dei neri. Se la memoria non mi ingannava, poi, doveva essere anche un avvocato affermato.

Perdonate il ritardo. – disse il gran capo.

Papà! – esclamò Nicholas, nello stesso istante in cui Selina chiamò il nome nel marito.

Guardò entrambi sorridendo, poi si rivolse a tutti noi, che ci eravamo alzati. – Permettetemi di fare le presentazioni ufficiali. Signori, vi presento Hortense Manadou, che prenderà il mio posto come nuovo Procuratore Distrettuale. –

Il nuovo gran capo. Hortense Manadou. La donna ci rivolse un sorriso cordiale, bianco tanto quanto le generose perle che portava al collo. – È un piacere fare la vostra conoscenza. Spero che ci troveremo bene. Sono stata chiamata per questo compito importante e mi rendo conto che subentrare a Marcus non sia semplice, ma spero che potremo continuare a portare avanti l'opera insieme. –

Tutti noi annuimmo. Se c'era una cosa che sapevo su Marcus Howell era che non sceglieva a caso i suoi collaboratori. Mi chiesi se vi fossero dietro anche dei vantaggi politici. Era indubbio che così facendo avrebbe inviato un messaggio piuttosto chiaro all'elettorato, ma non dubitavo del fatto che la prima motivazione fosse di carattere pratico. Non avrebbe mai affidato il suo posto a qualcuno che non ne fosse stato all'altezza. Ed era per questo che in quei mesi aveva vagliato diverse proposte, ma fino a quel momento, non aveva preso alcuna decisione. Hortense, da parte sua, sembrava piuttosto tranquilla.

Alexander, dopo avermi raggiunto, mi guardò con la coda dell'occhio. – Che ne pensi? –

Ricambiai lo sguardo, poi mi sporsi a lisciare le ciocche ribelli di Henry, felicemente ereditate dal suo papà. – Penso che ne vedremo delle belle. –

Sogghignò al mio commento, mentre il dottor Howell richiamò la nostra attenzione con un colpetto di tosse.

A proposito... ho convocato la riunione per presentare Hortense ai capi dipartimento, ma non era quella la sola ragione. C'era ancora un punto da discutere. Come sapete, nei prossimi mesi ci sarà una riorganizzazione, data dal fatto che, ultimamente, le nostre forze scarseggiano. Per questa ragione, ho chiesto che alcuni Dipartimenti vengano accorpati. L'Anticrimine farà capo esclusivamente a III e V. –

Elizabeth e io guardammo i nostri mariti. – Questo vuol dire che Alexander e Maximilian lavoreranno di nuovo insieme? – domandò lei.

I due si scambiarono uno sguardo d'intesa. – Come ai vecchi tempi. –

E quella rivelazione era veramente inaspettata. – Dottor Howell, ha deciso di mandare in rovina la sezione? – domandai.

Lui si mise a ridere. – Ho già detto ad Hortense che in caso di problemi con quei due sarà autorizzata a spedirli a Ellesmere con biglietto di sola andata. –

Il nuovo gran capo ridacchiò. – E io ho risposto che conosco bene come trattare le teste calde. Ma sono certa che non ci sarà bisogno di arrivare a tanto. Non è così? –

Alexander e Maximilian fecero spallucce, sorridendo.

E... a questo proposito, si renderà necessaria una riorganizzazione interna. Qui entra in gioco lei, Kate. – aggiunse il Procuratore.

Io? –

I suoi occhi scuri si accesero. – Hortense avrà bisogno di un consigliere. So che la sua specializzazione è in Psicologia Criminale, pertanto non le chiederò di interrompere la sua attività, ma, al fine di garantire l'effettiva riuscita della fusione, sarebbe molto utile se accettasse la carica. –

Per poco non mi venne un accidenti. Guardai sconvolta Alexander, che fece finta di non sapere e Selina, che se la rideva sotto ai baffi. Sapevano già tutto. – Io non credo di essere portata per qualcosa del genere... come ha detto, me la cavo meglio come profiler, quindi... –

L'alternativa sarebbe cederla a Morris. Sa che questo mi addolorerebbe tanto. –

Inarcai il sopracciglio. In effetti, periodicamente ricevevamo proposte di passaggio all'FBI che, puntualmente, rispedivamo al mittente. Mi chiesi se prima o poi quell'uomo si sarebbe arreso. Sospirai, pensando che il dottor Howell aveva capito che l'unico modo per farmi accettare era proporre quella soluzione davanti a tutti. Ed ecco perchè non mi aveva convocato precedentemente. Con buona pace dei miei consezienti amici. – Posso pensarci? – chiesi.

Certamente, dottoressa. Ma sappia che prenderò servizio formalmente tra due settimane. Sarei felice se ne avessi risposta entro il fine settimana. – spiegò Hortense.

Annuii. – Grazie. –

Lei mi sorrise, poi si voltò verso il suo predecessore. – Bene. Sembra che qui abbiamo fatto. Ci vediamo domani. Non voglio più rubarti tempo alla famiglia, Marcus. – disse, rivolgendo un materno sguardo a Nicholas, che sorrise, grato.

E così, dopo aver fatto la conoscenza del nostro nuovo gran capo, una volta che fu andata via, commentammo tra noi le novità.


 ***


Rientrammo a casa a sera inoltrata, dopo aver cenato a villa Howell su insistenza di Selina. Fortunatamente, non avemmo troppa strada da fare, dato che, dopo la nascita di Henry, ci eravamo trasferiti a Cambridge, sia perchè avevamo bisogno di più spazio che per stare un po' più vicini alla famiglia di Alexander. La madre Louise era venuta a mancare pochi mesi dopo Lily. Un infarto, dicevano. Avevo studiato abbastanza per sapere che anche un grande dolore avrebbe potuto distruggere un cuore. Il padre Christopher, invece, aveva dolorosamente e con difficoltà cercato di rimettere insieme i pezzi della sua vita, dopo quei lutti. Henry era stato una ventata d'aria nuova, sia per lui che per la mia famiglia, ma nel tempo, aveva avuto bisogno di maggior aiuto a causa degli acciacchi dell'età e di una brutta caduta di cui pativa ancora gli strascichi. Tuttavia, era sempre un piacere averci a che fare, dato che nonno e nipote avevano un incredibile feeling, soprattutto quando si trattava di complottare e, grazie a lui, avevo scoperto dei lati inediti di mio marito che riguardavano la sua infanzia.

Dopo aver messo a letto un esausto Henry insieme come di consueto, mi dedicai a una rilassante skincare e poi raggiunsi Alexander sul balcone. Normalmente andavamo a letto presto, ma c'erano notti in cui il sonno tardava a venire, a causa dei pensieri. Cominiciava a far freddo in quel periodo e perciò, colsi l'occasione per abbracciarlo e scaldarci entrambi. Avevo sempre apprezzato particolarmente la sua figura atletica. Negli anni si era irrobustito un po', ma manteneva sempre un fisico tonico che mi faceva impazzire. La sua schiena, in quel momento, era un ottimo e caldo appoggio.

Insonnia da caso? – domandai.

I suoi occhi fissavano il cielo notturno rischiarato soltanto dalla luce delle stelle e da un ultimo spicchio di luna. – Pensavo che mi manca ancora qualcosa. Un killer che scompare nel nulla dopo aver ucciso. C'è un pattern ben preciso nelle sue azioni che mi fa orientare verso una sorta di ritualità, ma non riesco a capire ancora il motivo per cui lo fa. Ci sono similarità con il passato, ma non vedo un emulatore, in questo caso. –

Lo strinsi più forte. In effetti, uno dei due casi su cui stavamo investigando, aveva delle analogie con il caso del Mago, ma le sue vittime non erano bambine, bensì tre persone completamente scollegate le une dalle altre, rendendo ancora difficile stabilire un'analogia. I suoi omicidi sembravano casuali. Eppure, ognuno di essi era stato compiuto nei pressi di chiese appartenenti a quartieri differenti, durante notti di novilunio, nei tre mesi precedenti.

Pensi che potrebbe colpire di nuovo, domani notte? – mi domandò.

Tu che ne pensi? –

Si voltò appena, prendendomi sotto la sua ala. – Che qualcuno una volta mi ha detto che il nostro lavoro è prima di tutto quello di proteggere le persone. –

Sorrisi, al ricordo. – Doveva essere una persona molto saggia. –

Alzò gli occhi al cielo, poi mi guardò. – Mh. Anche un po' folle, a volte. –

Ehi! – esclamai, assestandogli un buffetto sul petto. Si mise a ridere, poi prese la mia mano e la portò alle labbra, baciandone il dorso. Arrossii al contatto. Dopo, tornò a guardarmi.

Accetterai la nomina? – mi domandò, sviando il discorso.

Mi presi qualche istante di riflessione. Se l'avessi fatto, avrei avuto più responsabilità e, indubbiamente, il mio tempo al Dipartimento non sarebbe stato lo stesso. Certo, un incarico del genere mi avrebbe consentito di avanzare nella mia carriera, sebbene non fosse esattamente ciò che mi sarei aspettata, ma in un certo senso, ne valeva la pena, soprattutto considerando che Henry stava crescendo e un lavoro di quel tipo ci avrebbe permesso di mettere da parte altro per i suoi studi. Però, parte di me temeva che in quel modo non avrei potuto aiutare Alexander così come avevo fatto in quegli anni.

Non lo so. Per questo avrei preferito parlarne con te, prima. Tu sapevi che il dottor Howell aveva quest'idea, vero? –

Annuì. – In realtà, sono stato io a fare il tuo nome. –

Sgranai gli occhi, incredula. – Perchè? –

Stavolta toccò a lui prendersi il tempo per rispondere.

Alexander, perchè? –

Sospirò, poi tornò a guardare il cielo. – Perchè credo fermamente che tu sia la persona più adatta per quell'incarico. E non è soltanto perché così facendo avresti maggiori sicurezze, ma anche perchè una persona che crede negli altri prima che in un'istituzione, è degna di portare avanti tale missione. Hortense Manadou è piuttosto simile a te, in questo. Si è battuta per la giustizia, sia come attivista che come legale. E anche tu non hai mai perso di vista il tuo obiettivo. Sono più che sicuro che voi due saprete fare tanto. Chiamala lungimiranza o intuito da detective, come vuoi, ma al posto tuo, accetterei senza batter ciglio. –

Rimasi a bocca aperta nell'ascoltare il suo discorso. Era la prima volta che parlava di me in quel modo. E, rinfrancata da quelle parole, mi sentii più tranquilla. – Questo significherà che diventerò automaticamente tua superiore, in un certo senso. –

Quell'osservazione lo fece ridere e si voltò con un'aria di sfida dipinta negli occhi. – Me ne farò una ragione. Intanto... per queste due settimane, sei ancora alle mie dipendenze, dottoressa Hastings. –

Inarcai le sopracciglia, raccogliendo quel guanto. – Ah, davvero, detective Graham? Ed esattamente... cosa intende fare di me? –

Colto il tono della mia domanda, non se lo fece ripetere due volte e si chinò su di me, con tutta l'intenzione di spiegarmi, con la dovizia di particolari che lo contraddistingueva, cosa intendesse, ma prima ancora che le sue labbra toccassero le mie, sentimmo il suo iPhone squillare. Ci fermammo all'istante e ci guardammo, poi, tiratolo fuori dalla tasca, la sua espressione si fece concentrata. Era Hayes, uno dei nuovi agenti, di turno quella notte. Sentii una sensazione d'agitazione pervadermi l'animo. Era sempre così quando arrivavano chiamate fuori orario e non sarei mai riuscita ad abituarmici, pur ricevendone spesso.

Spero per te che sia importante, Hayes. – disse Alexander, perentorio.

« Capo. Abbiamo ricevuto una segnalazione riguardo un uomo che si aggira nei pressi della vecchia sede della Mount Vernon Church. A quanto pare non è la prima volta che accade, per questo è stato segnalato. Il dottor Norton sta provvedendo a elaborare le immagini del circondario. Potrebbe essere il sospetto. »

È a Beacon Hill. – notai.

Alexander annuì. – Sarò sul posto a breve. Tu e Taylor raggiungetemi lì. –

« Agli ordini, capo! » esclamò, prima di chiudere la chiamata.

Mio marito sospirò e mi guardò. – Quante coincidenze potrebbero esserci? –

Considerando che ha scelto tre diversi quartieri, potrebbe essere la quarta opzione. E potrebbe star studiando i dintorni. Certo, non è la notte in cui dovrebbe agire, ma... ti prego, stai attento. –

Fece un cenno col capo e poi mi accarezzò il viso, rivolgendomi il sorriso di quando voleva tranquillizzarmi, prima di lasciarmi con quel bacio che era rimasto in sospeso. – Ci vediamo dopo. –

Annuii, mentre lui, nell'arco di pochi minuti, fu fuori di casa, pronto a seguire la sua pista. Poco tempo e sentii il rombo del motore, ma quando mi affacciai al balcone, feci solo in tempo a vedere la Nexo perdersi nella notte.

Mi strinsi nella braccia, riflettendo sul fatto che la nostra vita era e sarebbe sempre stata così. I casi risolti davano forza e, in un certo senso, l'illusione temporanea che avremmo avuto un po' di pace. Alle volte era così. Un paio di giorni, nella migliore delle ipotesi una settimana, ma sapevamo bene che quei momenti erano transitori. Prima o poi, ci sarebbe stato un nuovo caso importante, difficile, da notti insonni e con rischi per l'incolumità. Quello su cui stavamo lavorando era di quel genere. Un assassino che sembrava colpire indiscriminatamente le sue vittime, come fosse una specie di sfida. E Alexander amava le sfide. Ma desiderava anche rendere il mondo un posto migliore. Per Lily, che non aveva potuto salvare. Per Henry, per cui papà e mamma erano degli eroi. Ma gli eroi non avevano macchia. Noi, invece, portavamo le cicatrici degli errori passati. Coloro che erano morti a causa delle nostre scelte erano sempre lì, come monito per le nostre azioni. Che fossero state persone importanti, conoscenti o perfetti estranei non aveva importanza. Andavamo avanti perchè per quelle vite spezzate fosse ristabilita la giustizia. E quella giustizia aveva un prezzo alto. Significava venire a patti con la propria coscienza. Essere in grado di superare l'istinto per operare in virtù di una risoluzione che fosse legale. Il caso del Mago era stato un banco di prova per tutti noi. Avevo ancora negli occhi il suo sguardo senz'anima e nelle orecchie la sua voce, mentre raccontava i suoi crimini. Desiderava la morte, sì, ma in modo da distruggere la vita. Il nostro compito, invece, era quello di tutelarla nella sua sacralità.

Mamma? –

La voce di Henry, impastata dal sonno, mi fece trasalire. Mi voltai, nel vederlo infreddolito e scarmigliato, mentre stringeva tra le piccole braccia Poppo, il rattoppato peluche a forma di leone che era stato di Lily. Lui e Landon se lo scambiavano spesso.

Ti sei svegliato, tesoro? – domandai, affrettandomi a riportarlo dentro e a chiudere la porta dietro di noi.

Dov'è papà? –

Mi chinai accanto a lui, accarezzandogli affettuosamente i capelli castani. – A fare quello che gli riesce meglio... salvare il mondo. –

I suoi occhioni azzurri si aprirono, pieni di ammirazione. Era davvero un supereroe, per lui.

Davvero? –

Sorrisi e annuii. – Però, ora noi dobbiamo andare a dormire. E in assenza di papà, ci penserà Poppo a proteggerci. –

E Lily. – disse, indicando la foto sul caminetto. La stessa che aveva suscitato la mia attenzione durante il primo giorno a casa Graham con Nicholas, ora affiancata da tante altre, raffiguranti felici momenti di famiglia.

L'espressione gioiosa e piena di vita dipinta nei suoi occhioni blu. La stessa che, due anni prima, dopo aver incontrato casualmente Julie Dawson, meravigliosamente serena durante una passeggiata al parco con i suoi genitori, mi aveva fatto ricordare il motivo per cui non avremmo mai dovuto perdere la speranza, nemmeno davanti a casi impossibili o tragici. Quello sguardo valeva ogni pena affrontata.

Avevo intrapreso quella strada dopo aver visto la morte di una bambina innocente. E mi ero convinta di dover agire per le vittime e per chi restava. Tutto ciò che era seguito mi era servito a capire che c'era anche un altro fattore di cui tener conto e che non ero mai stata in grado di affrontare, se non a mie spese: quelle ombre al margine della società, che si addentravano in essa e in essa si agitavano, come attori di un inquietante circo oscuro in cui ogni spettacolo era imperniato su distorte visioni, erano ciò che più rendeva complesso e drammatico il nostro lavoro. Per questa ragione, avevo dovuto trovare il coraggio di guardare nell'oscurità. E quell'abisso, alle volte, restituiva qualcosa. Un dettaglio, un frammento di memoria, un minuscolo pezzetto di un puzzle, tanto piccolo quanto fondamentale per comprendere. Allora, le tenebre si diradavano.

Accarezzai la foto di Lily e sorrisi, prima di lasciarla andare e raggiungere Henry. Sapevo che quella notte non avrei chiuso occhio fino a che Alexander non fosse rientrato dall'indagine. Ma, come avevo detto, ci avevo fatto il callo. Era la vita che avevamo scelto: insonne, difficile, pericolosa, inaspettata, confusa, sul filo del rasoio. Un giorno, qualcuno avrebbe potuto puntare la pistola al petto di uno di noi e portarcela via, ne eravamo consapevoli, oppure avremmo potuto trascorrerla in relativa pace, negli anni a venire, se fossimo stati fortunati. Non ci era dato di sapere. Ma potevamo impegnarci a far sì che, in quel tempo a noi concesso, le nostre azioni portassero a ristabilire la giustizia e a donare un po' di serenità a coloro che avevano patito le sofferenze di un crimine, per quanto indicibili esse fossero, tornando a credere nella vita. E allora, animati da quella prospettiva, saremmo andati avanti, continuando a credere che, nel nostro piccolo, avremmo cambiato il destino di qualcuno. Per la memoria di chi non c'era più. Per chi resta. Per il futuro.

 

 

 – FINE –

 

 

 

*****************************

 


Buonasera a tutti!

Che pena per me pubblicare quest'ultima parte... non credo di poter descrivere bene a parole lo stato d'animo in cui mi trovo in questo momento. E' sempre così, quando si mette la parola fine a qualcosa. A distanza di anni da Underworld, dover pubblicare un altro epilogo, per giunta di un'altra storia a cui sono molto legata, mi scuote più di quanto pensassi possibile... e così, la storia di Kate si conclude così. E' iniziato tutto con un'immagine che vidi su FB tra quelle natalizie... ed è finita con un rimando alla situazione attuale, in un certo senso. Ho scritto l'epilogo mentre l'America era scossa dagli scontri contro la polizia ed è venuto fuori così, molto più articolato di quanto avessi originariamente programmato. 


Ho augurato già ai miei personaggi una buona vita al di fuori delle righe: mi piace pensare che essa continui, in qualche modo... come, chi lo sa. 
Per il momento, ringrazio tutti coloro che in questi mesi sono passati a leggere, dedicando a questa storia un po' del loro tempo, seguendola, semplicemente per curiosità oppure perché poco a poco, spero, si sono affezionati a loro volta. Ringrazio chi mi ha lasciato un pensiero, che per me è stato prezioso: leggere delle vostre emozioni mi ha davvero toccato il cuore. Ringrazio in particolare Evee, Robin D e Red Saintia, per essere state ed essere compagne di lettura sia dentro che fuori EFP: a voi va il mio grazie più sentito! Ringrazio chi arriverà in futuro, spero, e magari, arriverà in fondo a questa storia. E ringrazio Kate e Alexander che ho amato e amo alla follia: sono una delle coppie che più mi ha dato in termini di maturità, tra i personaggi che ho creato finora. 


Per dirla con un messaggio familiare alla combriccola: ad maiora semper. <3 E  tutti voi, alla prossima storia, qualora dovesse esserci!





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