Le
vostre voci si perdono in un sussurro ovattato.
Giungono
attenuate ai miei orecchi, anche se avverto la loro disperazione.
Kazuya,
Erika, siete disperati per me?
Non
avrei mai immaginato una tale grandezza d’animo.
Mi
avete chiesto di invertire la rotta dell’astronave.
E
tu, Kazuya Ryusaki, mi hai chiamato amico.
Riderei,
se non sentissi un macigno opprimermi il petto.
Siete
tanto coraggiosi e valorosi, ma non riuscite a vedere la realtà.
Le
mie mani sono rosse del sangue di tanti baamesi e terrestri.
Troppi
innocenti sono morti a causa mia e della mia stupidità.
Non
posso dimenticare quello che è stato, come se non fosse mai
accaduto.
Accecato
dall’odio, non ho saputo vedere la realtà, che si
stagliava netta davanti ai miei occhi.
Ho
incolpato i terrestri della morte del mio amato padre.
Non
mi sono accorto di una serpe velenosa come Guerroyer, che ha condotto
il valoroso popolo di Baam ad una guerra insensata e inutile.
E
non ho saputo capire le ragioni della mia pur amata sorella.
Anzi,
ho cercato di punirla per delle colpe non sue!
Io
non posso chiedere perdono a nessuno.
Non
ho diritto ad un’altra occasione.
Le
mie vittime non avranno la possibilità di costruire il loro
futuro.
Io,
il loro carnefice, non posso pretendere un diritto che ho loro
negato.
Chiudo
gli occhi. Mentre il mio futuro si consuma con la velocità di
quest’astronave, ricordo le persone a me care, perite per
inseguire il mio folle sogno di giustizia e vendetta.
E
le lacrime, a lungo represse, bagnano le mie guance.
Melvin…
Balbas… Aizam… Laiza…
Siete
state le persone a me più vicine.
Mi
avete amato e rispettato, malgrado il mio carattere disturbato dalla
sete di sangue e dalla rabbia.
E
io, in questi ultimi istanti, non posso che rivolgervi un muto
ringraziamento per questa vostra tenace devozione.
Ovunque
voi siate, vi chiedo perdono per il male che vi ho fatto.
Vi
ho voluto bene e vi ho negato il futuro, a cui pure avevate diritto.
La
densa atmosfera di Giove, con le sue formazioni cicloniche e
anticicloniche, si avvicina sempre più.
Sento
il respiro mancarmi e mi abbandono sul sedile.
Le
mie mani, inerti, pendono oltre i braccioli.
Sto
morendo, ne sono consapevole.
Ma
non ho paura della mia prossima fine.
Lo
so, l’inferno mi attende e, quando sarò davanti al
supremo giudice, non mi nasconderò dietro vacue parole
autoassolutorie.
Finalmente,
posso sorridere, sereno.
E,
dopo qualche istante, la mia coscienza si oscura in un forte boato.
|