Ignobili

di burnthemall
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III





 

Augusto, il destriero di Vale, aveva sbuffato contro Leopoldo; la mascella schiumante a masticare il morso era un palmo dal mio naso. Ho guardato Vale. La sua espressione rimaneva avvolta nell’ombra. Le sue spalle, fasciate nell’uniforme bianca della squadra, coprivano il disco del sole, i cui raggi ne tracciavano la silhouette slanciata; un ritratto chiaroscuro che aveva preso vita. La sua apparizione mi aveva tolto il fiato. Sembrava un’illustrazione nei libri di favole che leggevo da piccola... anche se qui, il malvagio antagonista della situazione, era il Principe, intento a fissare il mio migliore amico come se fosse in procinto di ordinare di mozzargli il capo. 

Vale aveva spezzato il momentaneo incanto, lanciandosi giù dal cavallo con facilità tipica di chi era socio del Club da quando gattonava. Una volta atterrato, aveva fatto quei due passi che gli servivano per schierarsi fermamente di fianco a me. 

Il respiro mi si era mozzato di nuovo in gola. Valerio voleva proteggermi

Ero tornata a guardare le mie scarpe sudice. Oh Dio, anzi, Tilde: quale sdegno. Mi ero resa conto di essere diventata la damigella in pericolo della fiaba. Che immane caduta di stile passare da Machiavelli a Cenerentola, rotolare giù dal soleggiato balcone dei Medici fino alle puzzose stalle di Caligola. Il clichè era umiliante. 

Lui, accanto a me, tanto vicino da avvertire il calore del suo corpo sudato, il respiro ancora rapido, era invece a suo agio, i tratti decisi del viso rilassati. Sembrava in tutto e per tutto un padrone di casa, educatamente sorpreso nello scoprire un senzatetto pulcioso - Leopoldo amava vestirsi d’Armani, ma sorvoliamo - mendicare fuori dalla porta. 

“Se permette, signor Monterossi,” Vale aveva poggiato lo scudiscio sul petto di Leopoldo; quello aveva lasciato la presa su il mio braccio (finalmente!) per scansare l’asta con un gesto infastidito. 

Leopoldo non era arretrato di un centimetro. I due si erano squadrati per un momento troppo lungo per mantenere l’illusione di creanza - stavo assistendo infatti ad un duello - e io avrei voluto disperatamente essere alta un venti centimetri in più per rendermi altrettanto minacciosa.

“Ero accanto a lui, l’ho visto perfettamente.” Vale aveva annunciato nel suo tono profondo e sempre un po’ roco, prima di aggiungere, appena un accenno di canzonatura a colorare la voce, “Questa mattina, se si ricorda, ha piovigginato. Il prato è ancora umido. Il cavallo deve essere scivolato su un tratto fangoso. Bisogna riconoscere che Leone andava troppo forte rincorrendo la palla. Succede, quando si è presi dal gioco.” Le labbra di Valerio erano stirate in un sorriso pieno di comprensione e privo del benché minimo biasimo. Le sue parole erano lo stesso dei macigni.

Entrambi sapevano che Leopoldo non avrebbe potuto chiedere - esigere - la penalità per un errore di suo figlio. Leone era stato in linea con la palla prima di cadere e Valerio non aveva commesso fallo galoppandogli vicino. Probabilmente Leopoldo aveva intuito che Valerio si era trattenuto dall’attaccare perché consapevole del tratto di terreno sdrucciolevole... sempre se avesse deciso di credere a quella versione. Si trattava di una scusa plausibile che mi scagionava completamente. La colpa cadeva su suo figlio e la sua testa calda. Oh, Tilde, questo sì che era umiliante

Se Leopoldo aveva incassato il colpo non lo aveva fatto notare, l’unico presagio del suo risentimento era l’evitare di controbattere  immediatamente.

Solo Leopoldo faceva passare il silenzio come stridente

Nonostante Vale avesse dimostrato una sicurezza granitica, io, conoscendo lo strumento di morte in forma umana che era quel quasi secondo papà come mi era capitato di appellare una volta per scherzo, e che per tale offensivo epiteto avevo finito di mangiare la mia cena reclusa nella camera degli ospiti, ecco, io non ero altrettanto sicura di poggiare i piedi su un terreno meno scivoloso.

“Un’analisi perspicace,” Aveva detto tale strumento di morte in un sibilo inquietante, “Lei dipinge un giudizio obiettivo, naturalmente.” 

Leopoldo si era ripreso abbastanza da tornare alla consueta formalità.

Valerio aveva inclinato il capo (in segno di ringraziamento o per dire touché?) ciocche di capelli neri sfuggite dal casco gli ricadevano sugli occhi scuri, prima di aggiungere, sempre serafico, “Per quanto riguarda la condizione fisica di Leone, le ripeto quello che ho detto all’arbitro. Si è fatto appena un graffio, forse una leggera contusione alla spalla. Gli sono stato accanto quando era a terra - l’ho aiutato ad alzarsi personalmente.” una breve pausa, “Dopo aver concluso il match, naturalmente.”

Questo era il motivo per cui Vale cui era l’attaccante di punta della quadra. Lui giocava sempre per vincere.

Il ghiaccio in cui era avvolto Leopoldo si stava in incrinando. Un muscolo della sua mascella si era contratto ed il volto si andava oscurando. Quello era l’espressione d’odio che riservava a me tapina quando combinavo qualcosa di grave, tipo tirare una giocosa manata al Matisse appeso nel suo soggiorno (avevo cinque anni, nemmeno sapevo chi fosse sto signore!). Avrei voluto avvertire Valerio del pericolo, invece potevo solo tacere per non provocare il nemico ulteriormente.

“Appena un graffio, capisco. Una tale fortuna... lei mi conferma la versione della sua amica…” Il suo sguardo assassino si era posato su di me, provocandomi un sussulto. Ma Leopoldo era già tornato a studiare Valerio; lui, il mio opposto, non dava segno di resa in questo show di dominanza, e Leopoldo alla fine aveva mancato di contenere l’impeto di furia nel suo tono: “Eppure mio figlio, ancora adesso, urla dolorante a terra. Vuole negare anche questo?” 

Schiamazzi da voci femminili non lontano da noi. Avevo sentito il nome Leopoldo provenire da loro. Mi era venuta la pelle d'oca, come per un presagio. 

Leopoldo aveva sbraitato troppo forte. Le ragazze che si erano fotografate in pose goliardiche ci stavano additando, le bocche spalancate. I loro occhi si rispecchiavano sgranati nei miei. Forse non avevano captato le parole esatte di Leopoldo, però ci avevano riconosciuto. 

Dio, no, ti prego, non farmi questo, ho iniziato a balbettare mentalmente. Perchè lo sapevo, cosa avevo combinato. Presto anche questo episodio di violenza romagnola sarebbe stato immortalato sui social media, la mia faccia incrinata dallo stress spiattellata su tutti gli smartphone del liceo, la protagonista dell'ennesimo scandalo, Viola ed il suo seguito di sadiche serpi ad esultare per i corridoi scolastici - quella scema di Caterina non ne fa una giusta! - una dolorosa fotografia della mia vita rovinata da un altro sbaglio - la mia fragile reputazione definitivamente distrutta, Londra troppo lontana... per colpa mia... 

La realtà che avevo davanti si era dissolta nell’incubo, nell’inevitabile futuro da reietta che mi aspettava, ed il cuore rischiava di scoppiarmi contro lo sterno mentre una sensazione familiare di panico annichiliva ogni ragionamento logico… d'istinto, avevo mosso un passo indietro… ed il braccio di Valerio si era fatto strada sulla mia schiena, la mano guantata contro il pizzo del vestito, impedendomi di arretrare. Saldo, confortante. Il respiro aveva smesso di bruciarmi i polmoni. Ho alzato lo sguardo sul suo profilo controllato. 

Mi aveva salvato.

(...e un'altra parte della mia mente che non smetteva mai di scervellarsi mi aveva riportato indietro nel tempo a nemmeno dieci minuti fa, alla sensazione della mano di Leopoldo che mi tratteneva dallo sgusciare via, a come mi fossi sentita imprigionata in una situazione dalla quale volevo soltanto allontanarmi, e nonostante sapessi che Valerio desiderava darmi coraggio, aiutarmi a non perdere, quella parte di me che non la smetteva mai di pensare continuava a ripetere: scappa.)

Non sono scappata, naturalmente.

Valerio aveva scrollato la testa divertito, come se avesse sentito una storiella un filo troppo ridicola per credervi, ignorando l’esplosione di Leopoldo, il mio attacco di panico, e la nuova audience. Era deciso a proiettare l’immagine a chi ci monitorava che questa fosse una conversazione dilettevole. Una recita intelligente. 

D'altra parte - sei sicuro che sia la mossa giusta? E se questo ti strozza e nessuno muove muscolo per soccorrerci? - volevo chiedergli. Mi sono morsa la lingua. Avevo il cuore pesante per un’altra ragione. Io ormai non facevo più parte di quel duello. Non dissimilmente dalle ragazze affamate di ciarle e selfie, ero diventata una mera spettatrice con un posto in prima fila per il prospettivo macello; quello e nient’altro.

“Infatti,” aveva ripreso Vale, a voce moderata, “Suo figlio ha eseguito una caduta perfetta, da manuale. Si è semplicemente ributtato giù appena la folla è accorsa.” 

La sua mano si è chiusa a pugno sulla mia schiena, come per frenare una scossa di adrenalina. “E’ sempre stato teatrale, Leone... un interprete da urlo.” 

Uno sghignazzo aveva interrotto la protesta indignata di Leopoldo. Mi sono tappata la bocca e ho ingoiato una nuova risatina folle. 

Moriremo davvero, ho constatato a Matilde. La spavalderia di Vale era semplicemente troppa, rasentava l’autosabotaggio. 

La mia risata isterica, genuina, li aveva fatti voltare entrambi verso di me, come se si fossero improvvisamente ricordati che ero lì anch’io. Se non fosse stato per la mano di Vale che ancora mi cingeva lo avrei creduto. Anche lui sorrideva, per la prima volta guardandomi davvero. La piega della sua bocca aveva assunto una sfumatura canzonatoria, come se mi stesse sussurrando all’orecchio, ti è passato lo spavento? 

Forse la sua oltraggiosa belligeranza era stata un siparietto per rallegrarmi. Avevo ricambiato il sorriso, grata. Un momento di pace. Poi Valerio aveva riportato lo sguardo su Leopoldo e, con secca sfronteria che lasciava trapelare tutto il suo disprezzo, aveva concluso: “Credo che suo figlio si stia semplicemente godendo le attenzioni del pubblico.” 

Tilde, avrei voluto applaudire.

Dopo le parole infuocate di Vale c'era stato altro silenzio. Un silenzio prolungato, cupo, tombale. Perfino Matilde aveva mancato di commentare la scena che aveva assistito spaparanzata sull'immaginario divano nella mia testa; segno che ero distratta da qualcosa, pressante abbastanza da escludere ogni altra esecuzione mentale e che era riconducibile ad un impulso così riassunto: ho paura di guardare Leopoldo. 

Dovevo farlo, per giudicare quanto eravamo nei guai. 

E… ciò che avevo visto mi confondeva.

Leopoldo indossava la familiare espressione di scorno, la piega della bocca sottile leggermente arricciata in una maschera di aristocratica derisione. Le vene del collo erano tese, smentendo la sua apparente flemma. Eppure, il suo comportamento era quasi... passivo. Dopo tale, come definirlo, colpo, mi sarei aspettata un esplosione nucleare. Eravamo entrambi andati troppo oltre. Tuttavia, più l’impudenza di Valerio aumentava, più Leopoldo era indietreggiato nella sua impervia corazza di ghiaccio. Era evidentemente stanco dei suoi dieci minuti di vulnerabilità; immobile, come se avesse ordinato ai capelli biondi di smettere di ondeggiare nel vento; algido, se non per gli occhi luccicanti di un'emozione terribile.

Se si fosse trattato di un altro uomo, avrei pensato che si stesse comportando da adulto. Se solo si fosse trattato di chiunque altro… invece mi toccava l'incarnazione del motto mai perdonare e mai dimenticare.

Una persona che per essere più pericolosa preferiva rinunciare alla propria umanità. 

Che cosa stava architettando in quella scacchiera che era la sua mente? Questo non sono mai riuscita a intuirlo, né sono mai riuscita a precedere una sua mossa. Sapevo solo - io meglio di Vale - che non sarebbe finita qui. L'unica cosa su cui potevo ragionare era la presente situazione, che probabilmente Leopoldo stava analizzando da tutti i punti di vista possibili per trovarne un punto debole. E forse stava zitto perchè la debolezza più grande era nel sangue del suo sangue: Leone e le sue istrioniche furberie avrebbero stemperato l’accusa che fosse successo un infortunio grave. Se avesse deciso di presentare un reclamo all'arbitro, sarebbe stato il peso della parola di Leopoldo contro la reputazione candida di Vale - testimone chiave dell’inscenata. Un opponente impervio. Infine, a screditare ulteriormente la sua posizione, i lamentii di quel Leone codardo riguardo ferite inesistenti sarebbero stati smentiti all’esame degli ispettori, costando ai Monterossi oltre al trofeo anche la buona nomea...

 Interessante.

Eravamo in stallo, quindi. Nessuno avrebbe potuto prevalere sull’altro. 

Non era una vittoria, lo ammetto. Ma (ma!) non era una sconfitta completa. 

Non male. Avrei, una volta al sicuro, potuto continuare a godere della mia marachella e del fatto che probabilmente l’avrei spuntata anche questa volta... e nel momento in cui concludevo il mio ragionamento, mi ero resa conto che lo sguardo di Leopoldo mi stava trafiggendo

“Lo trovi divertente, vero?” aveva chiesto, la voce bassa quasi si era persa nell'aria colma di schiamazzi.

Mi aveva letto nel pensiero.

Istintivamente avevo irrigidito il mio corpo; non volevo arretrare ancora. 

Avvertendo la mia esitazione Vale era corso in mio aiuto. 

“Sono dispiaciuto per quello che è successo,” aveva risposto come se la domanda di Leopoldo fosse stata diretta a lui, “Si è trattato di un malaugurato incidente. E’ un sollievo che nessuno si sia ferito sul serio.” Era seguita una pausa, lunga, come se anche Valerio stesse indugiando, “E’ sempre brutto quando scherzi innocenti finiscono male.”

Leopoldo aveva riportato l'attenzione su di lui con uno scatto serpentino del collo. Il suo controllo era stato spezzato. Perché ora…? Vale era riuscito nell’impresa con la meno offensiva delle bugie. 

Leopoldo aveva aperto bocca come per rispondergli, e si era bloccato. Come se si stesse sforzando di sembrare rilassato, aveva sorriso sottilmente. “Una fortuna per tutti noi.”

All’assitere alla sua reazione composta, al suo aquiescere, la sorpresa mi aveva preso contropiede. Tilde, c’era qualcosa che non capivo. 

Leopoldo si era rivolto di nuovo a me, il suo viso tornato ad essere una maschera imperscrutabile. Mi ero sforzata di imitarlo. 

“Come va, Caterina?” 

Potresti avere ragione, aveva sussurato Tilde.

“Prego?” avevo balbettato.

“Ti è piaciuta la gara?” 

Leopoldo si stava comportando come se avessimo discusso civilmente del tempo fino ad ora. 

Ero ufficialmente senza parole.

Avevo intercettato lo sguardo di Vale, confidando che fosse altrettanto scioccato.  Che sta facendo questo pazzo? Era il mio implicito commento. 

Ma dai lineamenti congestionati del mio amico trepalava un'emozione diversa dalla confusione. Era… era furioso. Tanto da lasciarmi stordita. L'energia letale - puro fuoco - che emanava era l’opposto dell’inverno di Leopoldo; sembrava un vulcano in procinto di eruttare. Perché era così arrabbiato...? La confusione mi aveva assalito ancora.  

Per leggere questi tizi serve un manuale d’istruzioni, ho confidato a Tilde. La mia semi allucinazione era l’unica persona sana a cui potevo ormai rivolgermi.

Disquietata dall’essere stata spiazzata anche da Vale, sono tornata a fronteggiare Leopoldo. Non che fosse meglio conversare con il Diavolo in persona...

 Dì qualcosa! Non fare la damigella moscia, ti prego, era stato il lamento di Tilde.

 La pausa era durata troppo. Leopoldo accennava alla sua smorfia stomacata, quando ho raffazzonato la mia giustificazione.

“Sicuro. Io... ecco…” mi sono morsa il labbro, “Tifavo per suo figlio.”

In una parte recondita della mia mente, arredata con divani immaginari, ho praticamente sentito Tilde tentare di soffocarsi con un cuscino in preda alla disperazione.

Nessuno mi aveva creduto, naturalmente.

Leopoldo aveva annuito. Il lato della sua bocca si era arricciato, questa volta nel più minuto dei sorrisi. “Tifavi il team dei vincenti. O così avrebbe dovuto essere. Suppongo debba congratularmi con lei, Valerio.”

 Vale era stato zitto; quelle non erano congratulazioni.

Leopoldo aveva volto il capo verso il campo da gioco. Le due squadre si scambiavano insulti e minacce, i giocatori erano lobotomizzati dall’adrenalina e dal testosterone; l'arbitro era sull’orlo dell'esaurimento nervoso. L’assenza dei rispettivi Capitani - uno sparito in un buco nero, l’altro piazzato testardamente accanto a me - contribuiva all’aumentare della tensione. Leopoldo scrutava imperterrito la scena. Mi ero chiesta se la rabbia che trapelava da lui fosse rivolta verso suo figlio, nascosto dalla muraglia di persone esaltate. 

Leopoldo aveva sospirato. “Il risultato sarebbe stato diverso senza questo clima bizzarro. Suppongo lei debba ringraziare… la pioggia per il suo successo. Se permette ad un adulto di darle un consiglio: un trionfo deve essere meritato. Appoggiarsi ai capricci del caso rende deboli di carattere. Non mi permetterei mai di insinuare che approfittare della caduta di Leone sia una codardia -”

“Non lo è se è secondo le regole!” Avevo sbraitato prima di ricordarmi che avevo una versione da mantenere. Senza indugiare, mi ero piantata davanti a Vale, come per fargli scudo. Vale mi aveva trattenuto per la vita prima di togliere la mano in un lampo. 

Leopoldo aveva notato il gesto ed il suo sorriso si era tramutato in un sogghigno. 

“Giusto. D'altra parte interrompere il match non sarebbe stato contro le regole. Sarebbe stato semplicemente fair play.” 

Avevo sbattuto le palpebre. La frase suonava familiare. 

Leopoldo ci aveva considerato entrambi come se fossimo insetti. “Suppongo che ciascuno di noi porterà con sé preziose lezioni da questa giornata. Si goda il suo trofeo, Valerio.” 

E Leopoldo si era voltato su di me.

Attenta, aveva sussurrato Tilde senza più speranze per la mia salute mentale e fisica.

“Potrei chiederti, ancora una volta, che ne pensi del risultato di oggi,” una secca risata, “Cosa futile, come ben sappiamo. Tu non sei una persona onesta ed io non insulterò oltre la mia intelligenza. Ti lascio giubilare, ragazza, per ciò che importa. Dopotutto, sei così giovane, e ci si butta col cuore piuttosto che con la testa in situazioni del genere.” Leopoldo aveva calcato l’inflessione su quelle parole per qualche recondito motivo, “Te lo dico senza rancore: mio figlio può fare a meno delle tue premure, va’ a festeggiare col tuo amico.” 

Aveva mosso un passo verso di me. Per la seconda volta, eravamo noi a fronteggiarci.

“Ricordati questo consiglio: hai una vita colma di privilegi ad aspettarti. Devi trovare quello che ti soddisfa genuinamente per apprezzarla, invece di gloriarti della tua meschina malignità.”

Meschina? Io?” avevo quasi urlato.

“Caterina non è maligna,” Questo era Vale.

La risata di superiorità era stata di Leopoldo. “Mi rifiuto di assecondare una persona incapace di distinguere l’agonismo dal proprio insopprimibile bisogno di prevaricazione.” 

Entrambi avevamo fallito a replicare. 

Leopoldo aveva continuato, stranamente solenne, “Vittorie del genere hanno magro valore, mia cara ragazza. Anzi, ti rendono solo più affamata. Non dimenticare nemmeno questo.” 

Ci aveva dato le spalle e si era immerso tra la folla a lunghe falcate, prima che potessi recuperare la prontezza di ribattere.

Non ero mai stata più confusa in vita mia.

 




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