Eppure
mi hai cambiato la vita
1.
Azzurro
Suo fratello lo aveva sempre
ammonito su quelli.
“So’ gente de merda, Spadì, ‘sti cravattari de Ostia.”
Glielo ripeteva da quando era
piccolo e lui all’inizio neanche capiva cosa volesse dire, pensava ingenuamente
che vendessero cravatte.
Invece no, non vendevano cravatte
e non erano neanche tanto diversi da loro. Una famiglia come la loro, alla
fine, quella degli Adami. Forse solo un po’ meno numerosa, solo due figli, ma
sempre di famiglia si trattava.
E allora perché suo fratello gli
aveva sempre detto le peggiori cose su di loro?
Alberto non lo sapeva, ma era
sempre stato curioso, solo che non gli era permesso chiedere di più, e neanche
andare a sbirciare. Quel territorio era proibito per loro, anche perché “Co’ questi de Ostia non se scherza!”
L’ammonimento del fratello
rimbombava nelle sue orecchie come la peggiore delle minacce. La guerra tra le
due famiglie era sempre lì, dietro l’angolo, pronta a scoppiare al minimo passo
falso, e Alberto non ne voleva sapere, soprattutto perché dall’altra parte
dovevano esserci dei veri mostri; nella sua fantasia di bambino ogni volta che
sentiva Manfredi dire quelle cose immaginava degli esseri viscidi, grossi, la
pelle squamosa e le corna e la coda come dei veri demoni.
Crescendo aveva capito che ok,
forse non erano davvero dei mostri. Allora
perché erano così pericolosi? E perché nessuno voleva dirgli di più? Solo
perché era il più piccolo?
Forse sì, gli uomini di Manfredi
gli stavano sempre addosso, proteggendolo in quanto fratello del capofamiglia.
A sedici anni, però, aveva
conquistato un po’ della sua libertà. Dopotutto era diventato un uomo ormai e
di certo, non avrebbe preso ordini da nessuno. Il che comprendeva anche
Manfredi.
Così appena possibile, se l’era
svignata, dirigendosi verso quel luogo oscuro e proibito agli zingari, quel
territorio controllato dagli Adami: Ostia.
Tirò il cappuccio della felpa sopra
la testa, consapevole che probabilmente la sua cresta, il nuovo taglio che si
era concesso per i suoi sedici anni, avrebbe attirato l’attenzione.
Era una bella giornata di
primavera. Alberto camminava mescolandosi in mezzo alla gente sul lungomare di
Ostia. Il cielo era limpido, non una nuvola all’orizzonte, il mare cristallino
si infrangeva dolcemente sulle spiagge di sabbia chiara.
C’era così tanto azzurro quella
giornata e lui di certo non l’avrebbe mai dimenticato. A casa sua i colori
erano sempre tanto forti, oro, rosso, marrone, colori intensi, accesi,
scaldavano l’ambiente, ma lo facevano anche soffocare. Gli facevano desiderare
una via di fuga, gli facevano desiderare la libertà. Libertà di fare quello che
voleva lui, di vivere come desiderava, senza sottostare a nessuno. E quel
giorno, quell’azzurro che si estendeva davanti a lui sembrava la più deliziosa
promessa di libertà.
“Ao’
Aurelia’, e vedi de spicciatte!”
Alberto si fermò di colpo.
Di fronte a sé, la passarella che
portava verso un ristorante sul mare.
Di fronte a sé, proprio le
persone che voleva vedere.
Aureliano e Livia Adami. Tante
volte aveva sentito quei nomi: lei, la figlia maggiore, aiutava il padre negli
affari; lui, come Alberto, il più piccolo, ma a quanto diceva Manfredi, una testa di cazzo insomma.
“Un giorno ce starà lui a comando
dei Adami, Spadì.” continuava a ripetergli, “Se dovemo sta’ attenti, quello vole
fa’ scorre er sangue.”
Un diavolo sanguinario, nella sua
testa, quell’Aureliano.
“Ah Livie’,
e lassame sta’!”
Finora Aureliano gli aveva
rivolto solo la schiena, ma poi quel ragazzo si era voltato e per un momento ad
Alberto parve di trovare il suo posto nel mondo.
Finalmente, cazzo!
Non era un mostro, non era un
diavolo sanguinario, non lo era affatto. Come potevano dirlo di lui? Aveva
capelli biondi e occhi azzurri come il cielo, perfetto, proprio come un angelo.
Aveva sorriso alla sorella, dopo che lei lo aveva raggiunto, e quando sorrideva
i suoi occhi si illuminavano. Il mondo intero si illuminava.
Qualcosa dentro di lui si smosse,
era come se tutta la sua vita fosse stata scossa in un istante, e nello stesso
momento come se tutto quello che di incasinato nascondeva dentro di sé andasse
al proprio posto.
Quel giorno, uscendo di casa,
Alberto pensava che quello che avrebbe visto lo avrebbe fatto sprofondare nelle
viscere della Terra, che sarebbe stato inghiottito dal più terribile dei demoni
e non avrebbe più potuto liberarsi. Invece… invece si era ritrovato immerso in
quell’ azzurro sconfinato, lo stesso che profumava di libertà. Un azzurro che
mai avrebbe pensato di trovare negli occhi di una persona.
E più lo guardava, più si sentiva
incapace di distogliere i suoi di occhi, e così leggero proprio non ci si era
mai sentito. Non da quando aveva capito di essere diverso. Di non essere come
tutti gli altri ragazzi della sua famiglia.
Aveva sempre saputo di avere
qualcosa di strano in lui, qualcosa per cui però, la sua famiglia lo avrebbe
ripudiato, per non dire ucciso.
E quanto si era tormentato,
rimuginandoci su, pensando a cosa fosse prima, a come potesse cambiare poi, a
come nasconderlo alla sua famiglia. Non era stato facile e talvolta pensava che
davvero sarebbe stato meglio se si fosse lasciato uccidere, così anche quel suo
tormento sarebbe finito.
Ma ora per la prima volta nella
sua vita, quel tormento si era improvvisamente trasformato in qualcosa di
meraviglioso e puro e aveva assunto la sua forma definitiva, quella di un angelo,
di Aureliano.
E no, non c’erano angeli nelle
loro famiglie, non potevano essercene.
Ma per Alberto, Aureliano lo era
e lo sarebbe sempre stato, il suo angelo dagli occhi azzurri.
Note dell’autrice: non
avrei mai pensato di scrivere nel fandom di Suburra, vuoi perché è un genere
totalmente diverso da quello a cui sono abituata. Ad ogni modo la fine di
Suburra mi ha lasciata con un grande vuoto che devo pur riempire in qualche
modo.
Ho pensato di rivivere alcuni
momenti della storia dal pov di Alberto, tramite però
gli occhi di Aureliano. <3
Sono tutti momenti presi dalla
storia, tranne questo primo capitolo che è inventato di sana pianta, ma mi
piaceva l’idea di immaginare la prima volta che Alberto vede Aureliano. :3
Il titolo della storia è preso da
una canzone di Fabrizio Moro. <3 E ringrazio tantissimo Vale, compagna di scleri
su Suburra, che ha corretto il capitolo.
Spero che vi sia piaciuto.
Prossimo capitolo, Disprezzo.
A presto
kia85