Capitolo VI
Note autrice: Ciao popolo! Mi
scuso davvero per il grande ritardo, sono stata in ospedale per alcuni
problemi e mi sono ripresa negli ultimi due giorni. Spero comunque che
il capitolo vi piaccia, ci sono un paio di indizi che spero troverete e
ci vediamo al prossimo! Fatemi sapere cosa ne pensate. Buona lettura.
25 Novembre 1893, Londra. Ore 20:35.
Carlisle
toccò la fronte di Rosalie con delicatezza, cercando di
capire se la ragazza avesse la febbre oppure no. Esme era accanto alla
nipote, dall'altra parte del letto.
Emmett aveva portato Rosalie in un'altra stanza, accanto alla sua,
sotto richiesta del padre, e stava aspettando fuori dalla porta insieme
ai fratelli e alle due sorelle; mentre Laurent camminava avanti e
indietro per il corridoio per smorzare la tensione che aveva.
- Come ti senti? - Chiese Esme, con la voce appesantita
dall'angoscia. - Sto meglio, zia. - Sussurrò Rosalie, ancora
visibilmente debole ma un po' più colorita in volto. Qualche
livido le si stava formando sulla parte destra della tempia e lungo il
braccio, dove aveva sbattuto poco prima di cadere addosso a Julian.
- Da quello che ho potuto constatare, non hai febbre o altro. Deve
essere stato un semplice mancamento, le tue sorelle ci hanno detto che
non stavi bene prima. Hai mangiato abbastanza in questi giorni? -
Rosalie cominciò a riflettere, gli scorsi giorni l'appetito
le era mancato in varie occasioni e si sentiva particolarmente stanca,
ma non aveva dato molto peso alla cosa pensando che potesse essere
semplicemente un colpo di freddo improvviso.
Eppure un dubbio iniziava ad attanagliarsi nella testa, ma non riusciva
a darsi una spiegazione coerente. Rispose quindi, e i due futuri sposi
uscirono dalla stanza dopo essersi assicurati che non avesse
bisogno di nulla.
Trevor aveva raggiunto il resto della famiglia per sapere se ci fossero
novità. - Trevor, fate portare della zuppa calda e del pane
da accompagnamento a Rosalie, in camera. Per stasera deve rimanere a
riposo, domani vedremo. - Disse Carlisle, e il domestico
annuì.
- Io rimango qui con lei, padre. - Emmett spiazzò tutti con
la sua frase, il suo atteggiamento nei confronti della bionda era
talmente sprezzante che mai loro si sarebbero immaginati una tale
proposta da parte sua.
Nonostante ciò, annuirono e proseguirono verso la sala da
pranzo. Laurent appoggiò la mano sulla spalla del moro. - Mi
raccomando. - Disse, guardandolo intensamente negli occhi. Emmett
deglutì appena, aveva ben in chiaro ciò che
l'uomo di fronte a lui volesse dirgli.
- Non preoccuparti. - Disse, poi bussò ed entrò
in camera, sotto lo sguardo attonito di Rosalie.
- Cosa ci fai qui? - Sollevò le coperte e si
coprì fino a sopra le spalle, lasciando appena fuori il
collo e la testa. Emmett non rispose, sedendosi poco distante da lei,
sulla poltroncina dove poco prima sedeva la zia della ragazza, e
portando le mani incrociate dietro alla testa, in posizione rilassata.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, quindi se é per questo che
se qui puoi anche andartene. - Disse quindi lei, con una punta di
orgoglio sulla lingua. Emmett la sbeffeggiò appena, ridendo
di gusto.
- Vattene. - Ripeté lei, indispettita. Il ragazzo chiuse
appena le tende per fare della penombra nella stanza, guardando poi la
bionda dritta negli occhi con un sorriso provocatore stampato e un
sopracciglio alzato, in segno di sfida.
Rosalie, presa da un impeto di rabbia, prese un cuscino e glielo
lanciò, lui lo evitò, sporgendosi poi per
raccoglierlo. - Mio padre ha detto che devi riposarti, non fare
stupidaggini, bionda. - Disse poi, tornando serio.
- Da quando ti interessi per me? Mi hai sempre dimostrato il contrario,
fino ad oggi. - Replicò lei aspramente, lasciandosi dietro
un silenzio come risposta.
Sbuffò, incrociando le braccia al petto e rannicchiandosi
ancora di più nel letto, lasciando poi scivolare la sua
lunga treccia giù dal letto.
Emmett afferrò un libro appoggiato sulla scrivania vicina a
lui, dando un'occhiata al titolo. Incuriosito, iniziò a
sfogliarlo senza prestare attenzione a Rosalie, o meglio nascondendosi
nel farlo.
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- Non possiamo sicuramente rimanere così. Dobbiamo scoprire
cosa succede a nostra sorella. - Bella guardò con aria
sospetta la sorella, che continuava a saltellare per provare a
raggiungere lo scaffale più alto su cui si trovava lo
zucchero.
- Che hai intenzione di
fare? Credo che Emmett sia ancora con lei. - Rispose la
sorella, prima di andare a prendere uno sgabello sotto al tavolone
della cucina, per avvicinarlo alla sorella.
Alice si arrampicò con cautela e afferrò il
barattolo dello zucchero e lo porse a Bella, che ne mise un paio di
cucchiai dentro ad un bicchiere.
- Bells, é
nostra sorella. Non la sua. E visto il suo comportamento, non credo gli
sia permesso opporsi. - Alice rimise lo sgabello al suo
posto, aggiustandosi poi la gonna appena spiegazzata.
- Hai ragione, Al. Credo che tra loro due ci sia stato qualcosa di cui
non siamo al corrente. -
Disse quindi Bella, mescolando per bene l'acqua con lo zucchero.
- Hai visto come é corso a prenderla? Non hai
notato che in questi ultimi tempi c'é una strana tensione
tra loro? Dici che...? -
Alice scosse la testa. Non riusciva ad immaginare che la loro ipotesi
potesse essere vera, ma non avendo mai passato molto tempo insieme a
Emmett non sapeva cosa aspettarsi veramente da lui. Sicuramente non era
una persona semplice da gestire.
- Beh... Una sera ho avuto un incubo, e quando mi sono svegliata lei
non era in camera. Allora sono uscita per cambiare aria, e quando sono
passata vicino alla stanza di Emmett ho sentito delle voci sospette. Mi
sono avvicinata... -
Alice la fulminò con lo sguardo. - Lo so, non si fa,
é violazione della privacy. Ma tu al posto mio ti saresti
appiccicata alla porta, curiosa e impicciona come sei. - Disse
sghignazzando, mentre Alice spalancò la bocca, oltraggiata
dalle parole della sorella. - Ma come osi!! - Disse, mentre Bella
iniziò a ridere ancora più forte. - Comunque, mi
sono avvicinata e sembrava che due persone stessero sussurrando tra di
loro. Ma poi hanno smesso, e non so cosa sia successo dopo. -
Terminò, mentre percorrevano il corridoio del primo piano.
- E perché me lo dici solo ora, Bella? - Chiese Alice,
aggrottando le sopracciglia. - Al, non sono nemmeno sicura che fossero
loro. Magari era Jasper, o Edward. Sai, non sono entrata a chiedere di
potermi unire a loro. - Disse, alzando le spalle.
Arrivate davanti alla porta, bussarono delicatamente. Non ricevendo
risposta, Alice aprì la porta e si affacciò
appena, trovando Emmett appisolato sulla poltrona, con il libro aperto
e appoggiato sulla sua gamba e la testa appoggiata al muro dietro, e
Rosalie sotto alle coperte.
Non appena le ragazze entrarono, la bionda si girò verso di
loro, i suoi occhi erano impastati di sonno ma la visione di Emmett
vicino a lei l'aveva rapita a tal punto da farle dimenticare come ci si
addormentasse.
Bella si schiarì la voce, ed Emmett sussultò,
guardandosi intorno confuso e stirandosi la schiena. Poi, in silenzio,
ripose il libro sulla scrivania e si alzò per uscire dalla
stanza. - Se succede qualcosa, chiamatemi. - Bofonchiò,
rivolto alle due sorelle che lo lasciarono passare.
- Rosalie, dobbiamo
parlare. - Alice corse al fianco della sorella, con
un'espressione rigida in volto.
- Al, non sarebbe meglio
affrontare il discorso più tranquillamente? -
Disse Bella, spostandole una ciocca dei suoi capelli corvino dalla
spalla per guardarla meglio. Alice sospirò, portandosi una
mano sulla guancia sconsolata. - Rosalie,
ti prego dicci che non é come pensiamo. Voi due... Beh,
é successo qualcosa? - Chiese, aspettando un
segno di diniego da parte della sorella, che non arrivò.
Aspettarono qualche secondo per accertarsi che nessuno stesse passando
vicino alla porta.
- Lo so che cosa state pensando, ragazze. - Disse Rosalie. - Non
giudicatemi, ve ne prego. Non so nemmeno io come sia successo. - Una
lacrima le rigò la guancia.
- Come potremmo mai, Rose? Sei nostra sorella. Ne abbiamo passate
tante, davvero tante. Certo, é una situazione alquanto
scomoda e lo sappiamo tutte. Ma ormai é fatta. - Disse
Alice. Sapevano bene che una cosa del genere non sarebbe mai dovuta
accadere, ma in cuor loro si domandavano che cosa avrebbero fatto loro
al posto suo, e non sapevano darsi altre risposte.
- Credo sia stato lo stress per tutto, il cambio casa, il matrimonio
della zia... E ancora non si sono sposati! - Disse poi Alice, in
effetti gli ultimi tempi erano stati un'ennesima rivoluzione e dovevano
ancora ambientarsi completamente al nuovo stile di vita,
così diverso.
- Certo, lo sappiamo. Ma, Rose... Ti piace, non é
così? - Chiese Bella, sedendosi accanto ai suoi piedi.
Rosalie non rispose. Le scrutò velocemente. - E voi allora?
- Replicò poi, lasciandole di stucco.
- Io... Ehm, beh... Edward e io siamo solo amici. - Disse quindi Bella,
arrossendo di colpo fino alla punta dei capelli. Alice
ridacchiò di lei, ma venne subito fermata dall'occhiata
maliziosa della sorella.
- Inutile che ridi, folletto. Siamo tutte nella stessa grana. E credo
che sia meglio per tutte noi che la cosa passi in fretta... Dovremo
vivere con loro ancora un bel po'. - Concluse la bionda, scostandosi le
coperte da dosso per alzarsi.
- Dove stai andando Rose? Carlisle ha detto che devi stare a riposo. -
Dissero le sorelle, cercando di farla rimettere a letto.
- Non sono moribonda,
ragazze. Ho voglia di sgranchirmi un po' le gambe in giardino, mi
accompagnate? - Chiese quindi, ma le sorelle non ebbero il tempo di
rispondere che qualcunò bussò alla porta.
Esme fece capolino dalla porta, con un grande sorriso. - Come ti senti
tesoro mio? - Chiese, entrando e accomodandosi insieme alle nipoti.
- Meglio, zia. Voglio tornare in camera con le mie sorelle, vorrei
prendere una boccata d'aria... - Disse quindi Rosalie, con una mano che
copriva un graffio sul suo braccio.
- Tesoro, é meglio che tu per oggi rimanga qui. Abbiamo
pensato di cambiare la vostra stanza a breve, e di spostarvi in una
più grande e confortevole. Domani penseremo a spostare tutte
le vostre cose, ma tu per oggi rimani qui. - Disse.
- Ma zia... Io non voglio separarmi da loro. - Replicò
Rosalie, ricevendo in risposta un'occhiataccia.
- Rose, sicuramente non lo faccio per dispetto. Qui vicino ci sono i
ragazzi, se hai bisogno possono venire subito da te. Avanti,
é solo per una notte. - Esme lo sapeva, le ragazze vivevano
quasi in simbiosi e nonostante potesse sembrare uno sciocco capriccio,
non riuscivano a stare separate per troppo tempo. Sapeva che avevano i
loro riti serali, e che insieme si sentivano protette. Ma voleva che
loro si sentissero così sempre, voleva che quella casa
diventasse a tutti gli effetti anche la loro, sapeva che ci sarebbe
voluto ancora del tempo ma era speranzosa.
- Tieni, mettila sul comodino. - Disse, porgendo ad Alice una
campanella in argento. - Se succede qualcosa, suona e qualcuno
verrà da te. -
Dopo qualche chiacchiera, la zia trascinò fuori dalla stanza
le due nipoti, augurando la buonanotte a tutte e tre, e Rosalie si
ritrovò sola.
- Deve essere lo stress. - Disse tra sé e sé. -
Solo stress. Che cosa potrebbe essere se no? L'uomo che amo mi ripudia,
mi odia con tutto se stesso, come potrei stare bene? -
Continuò, alzandosi poi per andare vicino alla finestra. -
Un po' di riposo e passerà tutto. Ne sono certa. - Disse
poi, prendendo un lungo respiro e sollevando appena la testa, con gli
occhi socchiusi.
Un sorriso apparve sulle sue labbra, un accenno di sorriso quasi amaro.
- Ne sono certa. - Ripeté, rimanendo qualche minuto nella
stessa posizione. Ma i dubbi che le erano rinsaviti prima, purtroppo,
si stavano intensificando sempre più, e una sola cosa
iniziava a figurarsi nella sua mente. Iniziò a fare un conto
mentale, e quando si rese conto di un ritardo significativo,
impallidì. Non poteva essere.
Lentamente, il sogno che aveva avuto tempo prima e che ogni tanto le
tornava in mente stava forse iniziando ad avere un senso.
26
Novembre 1983, Londra. Ore 9:13.
La notte fu lunga per tutti loro, e il mattino arrivò troppo
in fretta.
Il rumore del coltello che spalmava il burro sul pane caldo e
fragrante, dei cucchiaini in argento che mescolavano il thé
nelle tazze e dei piatti che si passavano i commensali riempivano il
silenzio pesante del mattino. Alice e Bella sedevano vicine, come
sempre, e spostavano la loro fetta di pane da una parte
all'altra del piatto con la forchetta, con fare pensieroso, mentre Esme
osservava il fondo della sua tazza finita, in cui rimanevano dei
residui di thé nero.
Carlisle, con l'animo inquieto, ruppe il silenzio. - Esme, mia cara.
Bella, Alice. Lo so che siete molto preoccupate, lo siamo tutti. Vado a
darle un'occhiata, se volete. - Disse, facendo per alzarsi, ma venne
interrotto dall'ingresso discreto di Rosalie nella sala da pranzo,
sotto ad uno sguardo sollevato di tutti.
- Buongiorno. Scusatemi. - Sussurrò, per poi accomodarsi
vicino alle sorelle, che subito si sporsero per abbracciarla.
- Oh, Rosalie. Come ti senti oggi? - Chiese Laurent,
sorridendole dolcemente.
- Molto meglio, grazie. Scusami
se non ti ho nemmeno salutato ieri. - Disse lei,
mortificata. L'uomo rise appena, appoggiando una mano sul proprio petto
all'altezza del cuore. - Oh
no, piccola. Non devi.
Eravamo tutti in pensiero per te. L'importante é che tu stia
bene. - Concluse lui, porgendole poi il cestino con il pane ancora
caldo.
Emmett aveva lo sguardo basso, le sue braccia erano tese e le dita
della mano destra picchiettavano nervosamente sul tavolo. Jasper se ne
accorse, guardandolo di sbieco per non farsi vedere dagli altri, e
sussurrò in modo che solo lui potesse sentirlo. - Vedi di
darti
una calmata, fratello. Nostro padre si spazientirà se
continuerai in questo modo. -
Emmett allora decise per una volta di ascoltare il consiglio di suo
fratello, e accennò un fintissimo sorriso, guardando tutti i
commensali. Il padre lo scrutò, ma decise di non andare
oltre
con le domande.
Una volta la colazione terminata, tutti si apprestarono ad alzarsi per
andare ad occuparsi delle proprie faccende, ma Carlisle
attirò
l'attenzione dei famigliari.
- Nel primo pomeriggio verranno qui le assistenti della nostra sarta di
fiducia, con i campioni di tessuto. - Disse, poi prese il giornale
appoggiato poco distante e si diresse verso la porta di ingresso,
uscendo poco dopo.
Laurent fece segno alle ragazze e a Esme di seguirlo, poi andarono
verso una piccola sala di lettura, con divani e poltrone eleganti e
comodi, e si sedettero intorno ad un tavolino su cui erano appoggiati
vari libri e fogli svolazzanti.
- Bene, sono contento di potervi finalmente rivedere in
tranquillità. Dunque... - Mise una mano sopra all'altra,
sulle proprie cosce, mentre le sue lunghe trecce gli contornavano la
figura. - La notizia del matrimonio proprio mi ha sorpreso. In
positivo, ovviamente! - Disse, ridendo insieme a Esme. - Non credo
nemmeno che serva chiederti come sta andando, mia cara Esme. Invece
voi, ragazze? Come state? Vi trovate bene qui? - Chiese, guardando le
tre sorelle l'una dopo l'altra.
Non ebbe tempo di ricevere risposta, perché Julian tutto
affannato arrivò e interruppe la conversazione.
- S-signori... Lady Victoria é qui. - Disse, balbettando
più del solito. Esme scattò in piedi, mentre le
ragazze rimasero a guardarsi confuse.
- Sarà un piacere rivederla... - Sussurrò Laurent
con un lieve cenno di ironia nella voce.
- Pensavo che non sarebbero arrivate prima della settimana prossima! -
Disse Esme, con il battito del cuore accelerato.
- Ragazze, sono arrivate alcune parenti dei Cullen. Andiamo, forza. Vi
spiegherò tutto dopo. - Disse poi, spingendo delicatamente
le tre nipoti davanti a lei per farle proseguire.
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Una trafelata signora imbellettata di tutto punto, seguita da tre
ragazze dall'aria stizzite e altezzose, fece irruzione a casa Cullen
come una folata di vento violenta e rumorosa.
- Dov'é? Dov'é mio figlio?? - Iniziò a
gridare, mentre Trevor a disagio provava a placare la furia contenuta
in un metro e cinquantotto.
I fratelli Cullen, sicuramente avvertiti da Julian, arrivarono
velocemente vicino all'ingresso per accogliere la nonna.
- Oh, merda... - Sussurrò Emmett, alla vista delle tre
cugine che dal canto loro lo salutarono in maniera quasi languida.
Angela, in particolar modo, non faceva altro che la smielata ogni volta
che si ritrovava accanto a uno dei tre.
- Nonna, nostro padre é uscito poco fa per lavoro. - Disse
Jasper, sapendo di essere l'unico dei tre a riuscire a calmare la donna
con poche parole. Amber, la terza cugina, stava scrutando le quattro
donne poco lontane da loro, con aria sospetta.
- Oh, mio piccolo Jasper! Come stai? Non sei più venuto a
farci visita! - Lady Victoria corse verso l'adorato nipote, prendendo
tra le sue dita grassocce la guancia del biondo, coperta da una lieve
barba pungente.
Il ragazzo, imbarazzato, si guardò intorno e alla vista di
Alice che lo osservava con un sorrisino in viso arrossì
appena. - Oh nonna... Per favore. - Disse, cercando di scostarsi
delicatamente, dietro di lui i fratelli sghignazzavano.
- Sono molto arrabbiata. - Disse poi la lady, puntando un dito quasi
contro il petto di Emmett e corrucciando le sopracciglia. Il ragazzo
deglutì, sapendo che non avrebbe potuto replicare, e che di
fronte alla donna lui non fosse nulla.
- Non mi avete nemmeno avvertita che Carlisle, MIO figlio, si stia per
sposare! È inammissibile! - Continuò a sbraitare
la signora, prendendosela con i presenti nella stanza. Poi, girandosi
con una smorfia di disprezzo verso Esme, alzò un
sopracciglio e la squadrò da testa a piedi.
- Tu, serva. Vai a preparare una stanza per me e per le mie adorate
nipoti. Ci fermeremo un paio di giorni. E desidero poi riposare, il
viaggio ci ha sfiancate. Chiamateci per il pranzo. - Disse, porgendo
con indifferenza il proprio cappotto a Esme, che livida lo prese senza
replicare e lo andò ad appendere insieme agli altri. Le tre
cugine, dietro di lei, iniziarono a ridere con malizia della donna,
additandola e sussurrando tra di loro.
- Non é una serva. Lei é la futura sposa. - Disse
Rosalie, che dopo essere rimasta in silenzio fino a quel momento non
poté tenere a freno la lingua. Emmett la fulminò
con lo sguardo, mentre i due fratelli la guardarono in segno di
approvazione. Non avevano mai tollerato davvero il modo di fare della
nonna, ma non potevano in alcun modo replicare, non volevano mancare
soprattutto di rispetto al padre, succube in parte anche lui alla madre
invadente.
- E tu chi saresti per permetterti di parlare così a nostra
nonna? - Chiese dunque una delle tre ragazze, Jessica, scuotendo la
testa di capelli castani in senso di superiorità.
Rosalie la guardò con indifferenza, ormai non riusciva
più a tollerare mancanze di rispetto da nessuno,
benché meno da una che sicuramente non aveva mai lavorato un
minuto in vita sua. Fece per replicare, ma Jasper le toccò
una spalla, per calmarla.
- Loro sono le nipoti di Esme, e con il matrimonio di nostro padre
saranno ufficialmente membri della famiglia Cullen, Jessica. - Disse
poi, con un sorrisino di sfida.
La ragazza si indispettì, guardandoli entrambi male, poi si
mise accanto alla nonna.
- Vi accompagno io alle vostre stanze. Isabella, vuoi accompagnarmi? -
Disse Edward, facendo un occhiolino a Bella, che subito
arrossì.
I cinque allora andarono velocemente verso il piano superiore, con
Julian che reggeva i bagagli delle donne subito dietro di loro.
- Alice, Jasper, venite con me per favore. Ho bisogno che mi aiutiate.
- Disse quindi Esme, e i tre uscirono verso il giardino.
Rosalie ed Emmett rimasero soli, quindi lui con i pugni chiusi si
avvicinò prepotentemente al viso della ragazza, che
indietreggiò appena la testa.
- Non permetterti mai più di parlare così a mia
nonna. Chi ti credi di essere? - Le ringhiò rabbioso, mentre
lei cercò di non perdere la faccia tosta di prima, a fatica.
- Non mi credo nessuno, al contrario tuo. Nessuno manca di rispetto a
me, mia zia o le mie sorelle davanti a me. Ne abbiamo passate
abbastanza! - Disse, guardandolo dritto negli occhi con un impeto di
adrenalina. - Siamo esseri umani, persone esattamente come lei! -
Continuò, sotto lo sguardo attonito di Emmett che tutto si
aspettava, tranne che una sua risposta.
- Ora puoi pure picchiarmi, Emmett. Non mi fai paura. - Disse lei, ma
in cuor suo sperò che il ragazzo non lo facesse davvero.
Emmett si infuriò, alzando la mano destra al cielo. Rosalie
strinse forte gli occhi, alzando le braccia come per proteggersi. Forse
il ragazzo aveva preso alla lettera il suo invito?
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