Capitolo 18
CAPITOLO 18
La mattina successiva Tina aprì gli occhi e si guardò un
attimo intorno con aria confusa ed intontita. Quando realizzò di
trovarsi a casa di Giulia, si tranquillizzò. Si issò
leggermente con la schiena contro il letto e si voltò alla
propria destra per osservare la sua ragazza. Dormiva ancora, a pancia
in giù e con il viso girato dal lato opposto. Si erano entrambe
rivestite, prima di crollare addormentate. Tina ricordava di aver
indossato il pigiama, che Giulia le aveva prestato, in assoluto
silenzio, poi si era infilata sotto il piumone raccogliendosi su
sé stessa e rabbrividendo appena. Giulia l’aveva raggiunta
immediatamente abbracciandola da dietro, le aveva chiesto se stesse
bene e, al suo cenno affermativo, le aveva posato un bacio sul
collo e le aveva sussurrato la buona notte.
Tina incrociò le braccia dietro la testa e fissò gli
occhi al soffitto, attenta a non fare rumore per non svegliare
l’altra. Ripensò a tutto quello che era successo la notte
precedente e le comparvero delle piccole rughe sulla fronte.
Fu così, imbronciata e persa nei propri pensieri, che la
sorprese Giulia qualche attimo dopo, quando anche lei si fu svegliata.
L’avvocato aveva allungato piano un braccio verso il lato del
letto di Tina e, quando aveva avvertito il calore del suo corpo, aveva
sorriso soddisfatta e si era decisa ad aprire gli occhi e rotolare sul
fianco sinistro per poterla vedere.
“Buongiorno” gracchiò ancora evidentemente assonnata.
Tina portò su di lei il suo sguardo ancora accigliato.
“Ciao” rispose senza eccessiva enfasi.
Giulia rimase perplessa, si strofinò gli occhi con una mano e si
alzò leggermente con il busto per poter essere alla sua altezza.
“Che succede, tesoro?” le domandò apprensiva.
“E’ stato un disastro” mugugnò Tina spostando lo sguardo su un punto imprecisato della stanza.
“Di che stai parlando?” insistette Giulia, non capendo il motivo di quel suo malumore.
“Di ieri sera” ammise l’altra contrita
“E’ stato un disastro … io, sono stata un disastro.
Mi dispiace”
Giulia allargò gli occhi, d’un tratto perfettamente
consapevole di quello che stava accadendo. Alzò una mano per
accarezzarle una guancia e farle voltare il viso verso di lei,
l’accolse con un sorriso paziente.
“Tina, non sei stata affatto un disastro”
“Si invece!”
“Fammi capire, lo dici solo perché non sei riuscita a …”
“Ah! Ti prego, fermati!” urlò Tina tappandosi
comicamente le orecchie con le mani “Non ricordarmi che non sono
nemmeno stata capace di finire quello che a stento avevo iniziato”
Giulia non riuscì a trattenere un’espressione divertita.
“Ma, amore mio, il sesso orale non è mica una cosa
semplice da fare” le spiegò pacatamente come se stesse
parlando ad una bambina.
“Per te è sembrato estremamente semplice da fare,
invece” protestò Tina “Tutte e due le volte”
aggiunse con amara ironia ed una punta d’imbarazzo.
Giulia rise e la prese tra le braccia facendole poggiare il capo sul proprio petto ed accarezzandole i capelli.
“Devi solo prendere confidenza con il mio corpo. E’ una
cosa nuova per te, è normale che ti senta un po’
disorientata”
“Più che disorientata mi sono sentita incapace”
“Tina” Giulia la chiamò con voce ferma ma
affettuosa, inducendola ad alzare gli occhi per incontrare i suoi
“Anche solo il fatto di averti abbracciata, pelle a pelle, rende
la scorsa notte tutto tranne che un disastro”
Finalmente il volto di Tina si rischiarò e le comparve un timido sorriso sulle labbra.
“La prossima volta andrà meglio” la incoraggiò ancora Giulia, dandole un simpatico bacio sul naso.
“Dici?”
“Sì, dico. Hai solo bisogno di fare pratica” le
assicurò l’avvocato, che ora aveva uno sguardo furbo
“Molta, molta pratica” con un colpo di reni la
ribaltò facendola finire con la schiena sul materasso.
“Che fai!” sbraitò Tina ridendo.
“Ti faccio fare pratica” affermò Giulia con ovvietà, prima di fermare ogni sua protesta con un bacio.
E avrebbero davvero fatto pratica, se non fosse stato per il cellulare di Tina che cominciò a squillare.
“Lascialo suonare” borbottò Giulia, continuando a baciarle la pelle fremente dello stomaco.
“Aspetta, devo rispondere” Tina le prese la testa con
entrambe le mani e la tirò su, in modo che potesse trovarsi
all’altezza del suo viso “Me ne libero in un secondo”
le posò un veloce bacio sulle labbra, abbassò la maglia,
che Giulia le aveva arrotolato fin sopra il seno, e poi si alzò
alla ricerca del suo cellulare.
Lo trovò nella tasca dei jeans, che giacevano abbandonati a terra in un angolo dalla sera precedente.
“Pronto”
“Tina!” la voce di Alessandro le perforò la testa.
“Ale, che ti urli?! Che vuoi?”
“Quando siamo tornati ieri non ti abbiamo trovato in Abbazia e
stanotte non sei tornata a dormire. Sono preoccupato, ecco che voglio,
cretina!” sbraitò la voce alterata del suo amico
“Dove diavolo ti sei cacciata?”
Tina roteò gli occhi agitata.
“Ehm … sono rimasta … ho dormito Siena, sono
rimasta a casa dopo aver bevuto una birra con degli amici”
“Non dire cazzate, Tina. Ho appena chiamato a casa tua, mi ha
risposto il tuo coinquilino e ha detto che lì non ti sei proprio
vista”
Tina spalancò la bocca in una muta imprecazione. Corse con gli
occhi agitati su Giulia, in cerca di un aiuto, ma l’avvocato
alzò le spalle con aria impotente.
“Beh … Ale, grazie per esserti preoccupato, ma non ce n’era bisogno. Sto benissimo”
“Si può sapere dove sei?”
“Hai chiamato solo per sapere come stavo o dovevi dirmi qualcosa?”
Alessandro sospirò pesantemente, infine l’assecondò.
“Avrei bisogno di te, ci sono alcune cose da fare prima di
chiudere definitivamente lo scavo e da solo non ce la faccio”
“D’accordo. Un paio d’ore e sono lì”
Tina oppose una decisa resistenza alle rimostranze insistite di Giulia,
che avrebbe voluto trascorrere la mattinata con lei, e mezz’ora
dopo era pronta a lasciare la sua casa. L’avvocato la
lasciò andare solo con la promessa che si sarebbero viste il
prima possibile.
La ragazza trascorse il resto della giornata di sabato e praticamente
tutta la domenica ad impacchettare il materiale che di lì a poco
avrebbero dovuto portare nei laboratori dell’Università
per cominciare a studiarlo.
Si accorse che Alessandro passò almeno metà del tempo a
fissarla con circospezione, ma non disse nulla per non alimentare i
suoi sospetti. Al contrario, cercò di comportarsi nella maniera
più naturale possibile, il che le riusciva sempre piuttosto
bene, tranne quando riceveva una telefonata di Giulia. Quando il
cellulare cominciava a suonare, lei lo afferrava velocemente con il
cuore in gola e, letto il nome sul display, scappava via cercando un
posto isolato e tranquillo in cui poter rispondere. Una sola volta
Alessandro le aveva chiesto chi fosse e lei aveva risposto con un
annoiato “Mia madre”, a cui l’amico aveva replicato
con un dubbioso “E da quando vai a chiuderti in bagno per parlare
con tua madre?”. Tina aveva sbuffato ed aveva ripreso a lavorare,
alzando le spalle all’indirizzo dell’amico e facendo capire
che non aveva alcuna intenzione di fornirgli un’altra spiegazione.
Lunedì mattina, l’ultimo che avrebbero trascorso a
scavare, Tina stava rivedendo alcune piante di strato con Emanuele, che
finalmente sembrava aver ritrovato la voglia di lavorare.
“ … e lo strato 23, guarda, sembra che s’infili
sotto al 18. Che ne pensi?” diceva Emanuele, ruotando in maniera
un po’ confusionaria alcuni pezzi di carta traslucida disegnati.
Aspettò qualche minuto la risposta di Tina, poi non sentendola
arrivare, si voltò verso di lei. La vide con il gomito poggiato
sul tavolaccio di legno ed il mento poggiato sul pugno chiuso, lo
sguardo sottile e apparentemente vacuo, perso chissà dove.
“Oh, ma ci sei?” la spintonò poco delicatamente, richiamando la sua attenzione.
“Ma che spingi!” si lamentò quella sobbalzando.
“Sembravi in trance” si difese Emanuele tornando a prestare
attenzione ai disegni “Se non ci stai con la testa, te li faccio
vedere dopo”
“No, no. Scusa, ero solo sovrappensiero. Fammi vedere” Tina
si sporse sulla sua spalla e cominciò a studiare i disegni
assieme a lui, stavolta partecipando attivamente alla formulazione
delle ipotesi.
Più tardi, stavano preparando per il pranzo. I ragazzi erano
già tutti seduti e Stefano arrivò portando con sé
il pentolone della pasta. Tina lo affiancò e cominciò a
tenergli i piatti per farglieli riempire, e poi ridistribuirli alla
tavolata. Dopo il decimo piatto, Tina andava quasi in automatico,
posava un piatto pieno e ne prendeva uno vuoto, tuttavia aveva lo
sguardo fisso in un punto indistinto e contava praticamente solo sul
tatto e sull’istinto per non fare un macello. Un mestolo
più pieno degli altri, che Stefano riversò con
particolare forza nel piatto, la colse alla sprovvista facendole
scivolare di mano sia il piatto che il contenuto.
“Oh cacchio!” imprecò a mezza voce, ridestandosi finalmente da quel torpore che l’aveva avvolta.
Tutti gli altri ridacchiarono, mente lei si passava una mano sulla fronte e si massaggiava gli occhi.
“Ma dove ce l’hai la testa oggi?” commentò ironico Emanuele.
“Dove ce l’ha, ultimamente” lo corresse Alessandro sfoggiando un ghigno insinuatore.
Tina freddò l’amico con un’occhiataccia.
“Pulisco io, voi cominciate a mangiare” affermò sicura, abbassandosi per rimediare al danno.
A metà pomeriggio, quando si accorse di essere rimasta
nuovamente a fissare il vuoto per diversi minuti, conficcò
nervosamente la trowel nel terreno e si alzò con movimenti
frenetici.
Prese il cellulare, si allontanò dal gruppo e compose il numero di Giulia.
“Pronto”
“Giulia”
“Amore, che bello che hai chiamato!” l’accolse entusiasta l’avvocato.
“Dove sei?” domandò Tina con tono sbrigativo.
“Sono in ufficio. Perché?” rispose Giulia dubbiosa.
“Uhm … no, niente”
“Tina, che succede?”
La ragazza si grattò la nuca con fare nervoso, rigirava su
stessa scalciando sassolini e rami secchi, mentre teneva sempre
d’occhio i dintorni per assicurarsi che nessuno si avvicinasse
troppo.
“Io … volevo … volevo solo dirti. Lascia
stare” tagliò corto, rinunciando a trovare le parole
giuste per dar forma coerente ai propri pensieri “Possiamo
vederci?”
“Certo. Quando vuoi, lo sai” concesse Giulia, che ci capiva sempre di meno in quella telefonata.
“No, io intendevo ora. Puoi venire in Abbazia, adesso?” puntualizzò l’altra freneticamente.
“Tina, è successo qualcosa?” indagò a quel punto l’avvocato con tono apprensivo.
La ragazza prese un profondo respiro, fermò il suo moto perpetuo e si poggiò con la schiena ad un tronco.
“No, non è successo niente. Non volevo farti preoccupare,
scusa. E’ solo che ho voglia di vederti, tutto qui”
articolò stavolta con più calma.
“Tutto qui?” ripeté Giulia non del tutto convinta.
“Sì. Ma se non puoi venire …”
“No, non ho detto questo. Posso uscire un po’ prima, potrei essere in Abbazia al massimo tra un’ora”
“Va bene. Ci vediamo nella sala in fondo al chiostro”
“Tina …”
“Sì?”
“Niente. A dopo”
Tina impiegò decisamente più del dovuto per mettere in
piedi una scusa convincente con Alessandro, che le permettesse di
tornare prima in Abbazia, senza dovergli svelare che aveva un
appuntamento con Giulia.
Giulia, dal canto suo, aveva fatto prima che aveva potuto e alle
quattro era già arrivata. Aveva raggiunto la solita sala
isolata, dove sapevano che non sarebbero state disturbate da nessuno,
ma non aveva trovato Tina. Un po’ nervosa ed insospettita dal suo
comportamento, rimase comunque pazientemente ad aspettarla.
Erano passati al massimo dieci minuti, quando si vide comparire davanti
agli occhi un bocciolo di rosa rossa. Si voltò sorpresa e
trovò alle sue spalle Tina, che con un timido sorriso le porgeva
il fiore. Lo accettò con mano un po’ incerta e lo
portò alle narici per sentirne il profumo.
“E questa?” domandò poi confusa.
“E questa …” Tina tentennò un momento, poi
fissò Giulia negli occhi con un sorriso sicuro “Questa
è per dirti che ti amo. L’ho capito oggi, quando cercavo
disperatamente di concentrarmi sul lavoro, e tutto quello che riuscivo
a fare era pensare a te”
Giulia rimase a guardarla, sinceramente colpita da quella candida confessione.
“Vieni qui” mormorò un attimo dopo, afferrandola per
un lembo del giubbino e tirandola verso di sé con la mano libera.
“No, sono ancora tutta sporca. Sono venuta direttamente dal
cantiere” Tina tentò di mantenerla distante poggiandole
entrambe le mani sulle spalle con le braccia tese.
“Non me ne frega niente” Giulia ignorò le sue
proteste e le passò entrambe le mani dietro la schiena
spingendola contro il proprio corpo. La guardò ancora un attimo
negli occhi con lo sguardo scintillante di felicità, poi la
baciò.
Tina la ricambiò immediatamente con partecipazione. Intanto le
sbottonava la giacca in modo da poter insinuare le mani al di sotto
della maglia per stringerle i fianchi. Giulia si scostò per
spostare la propria bocca sul collo della compagna, mentre con una mano
scendeva ad accarezzarle il sedere. Tina fece scorrere le mani verso
l’alto, sulla pelle nuda, finché sentì la stoffa
del reggiseno, quindi con delicatezza le racchiuse entrambi i seni.
“Aspetta” ansimò a quel punto Giulia, riemergendo
dal suo collo per guardarla in viso “Perché non ce ne
andiamo in camera tua?”
“Mi piacerebbe, ma tra un po’ tornano i ragazzi … e
Alessandro … e Manu” elencò Tina con una piccola
smorfia di disappunto “In più la porta della mia camera
non ha la chiave” chiosò sconfitta.
Giulia sbuffò frustrata alzando gli occhi al cielo. Tina
estrasse le mani dalla sua maglia e le portò a circondarle il
volto. Cercò di consolarla riempiendola di tanti piccoli baci su
tutto il viso. Giulia cominciò a ridere divertita.
“E’ bellissima, comunque” disse dopo un po’, portando la rosa tra i loro visi “Grazie”
“Figurati” Tina alzò le spalle con aria tranquilla
“Ho rischiato d’impazzire per trovare un fioraio in paese,
anche per questo ho fatto tardi, ma avevo bisogno di un aiuto per dirti
quello che dovevo dirti”
“Era questo che cercavi di dirmi prima al telefono?” indagò Giulia, improvvisamente curiosa.
“Ehm …” Tina roteò gli occhi, concedendo all’altra una muta ed imbarazzata ammissione.
“Tu, piuttosto” riprese proprio lei un attimo dopo
“Che volevi dirmi prima di chiudere la telefonata?”
domandò assottigliando lo sguardo.
“Ehm …” stavolta fu il turno di Giulia di sorridere
a disagio “Più o meno la stessa cosa. Solo che mi sembravi
agitata e quindi ci ho ripensato, non volevo che ti agitassi di
più”
Tina si avvicinò per darle un lento e dolce bacio. Quando si
divisero, rimasero con le fronti poggiate l’una all’altra.
“Siamo state due sceme” ammise Tina ridacchiando.
“Due adolescenti in piena crisi ormonale” rincarò
Giulia, alzando gli occhi al cielo con aria comicamente disgustata.
Tina sciolse delicatamente l’abbraccio e prese la mano libera di
Giulia intrecciandola alla propria, poi la condusse all’esterno,
nella parte più isolata del giardino. Passeggiarono in silenzio
per un po’, guardandosi di tanto in tanto con occhi luminosi e
felici.
“Resti a cena qui?” domandò l’archeologa.
“Non posso, domani ho degli appuntamenti in tribunale e devo alzarmi presto”
“Ah. Ok”
Tina non riuscì a nascondere una certa delusione, tuttavia non
ebbe il coraggio di obiettare nulla. Si trattava di lavoro, quindi non
poteva farci proprio niente.
“Forse sarà meglio che vada. I tuoi colleghi staranno per arrivare” rifletté Giulia.
Tina non disse nulla, annuì semplicemente. Arrivarono insieme
nel giardino sul retro, dove era posteggiata l’auto di Giulia.
“Ti chiamo stasera” le disse quest’ultima, avvicinandosi per salutarla con un veloce bacio sulle labbra.
“Guida piano” si raccomandò Tina, osservandola salire a bordo.
L’avvocato chiuse la portiera, ma abbassò il finestrino.
“Ti sei già calata nei panni della mogliettina apprensiva?” la prese in giro, ghignando maliziosamente.
“Stronza!” reagì Tina, cercando di nascondere l’imbarazzo con la veemenza.
La risatina di Giulia divenne ancora più acuta, poi mosse
l’indice della mano sinistra facendole segno di avvicinarsi.
Tina si abbassò con il viso accanto al finestrino aperto ed attese.
“Ti amo” soffiò Giulia addolcendo l’espressione.
Stavolta fu il turno di Tina di sorridere divertita.
“Adesso non crederai di cavartela così ogni volta!”
l’ammonì, scuotendo la testa con aria superba.
“Ah no?! E io che ci contavo!”
“Vattene va’ … prima che cambi idea e mi rimangi tutto quello che ti ho detto”
Ancora divertite entrambe da quello scambio di battute, si salutarono.
Giulia mise finalmente in moto e fece manovra, Tina la guardò
allontanarsi seguendola con lo sguardo finché poté.
Stava giusto per rientrare, quando vide spuntare, oltre l’angolo
dell’Abbazia, la macchina di Emanuele, con lui ed Alessandro a
bordo. Decise quindi di aspettarli e andò ad accoglierli.
“Ehi Tina, era la macchina di Giulia quella che abbiamo visto uscire?” domandò subito Alessandro.
“Eh, quale macchina?” temporeggiò lei, fingendo di non capire.
“Abbiamo incrociato una macchina blu, ma non siamo riusciti a
vedere chi la guidava. Però sembrava Giulia” spiegò
Emanuele.
“Ma no. No, vi sarete sbagliati. Perché mai Giulia sarebbe
dovuta venire qui, di lunedì poi, quando lavora”
pronunciò con tutta la disinvoltura di cui fu capace, infilando
poi le mani in tasca e cominciando a camminare verso l’ingresso
dell’Abbazia. I due ragazzi la seguirono, affiancandola uno a
destra e l’altro a sinistra.
“Sarà … ma a me sembrava proprio lei”
incalzò Alessandro pensieroso “Ad ogni modo, come va la
tua colica?”
“Quale colica?” rispose lei immediatamente “Ah si, la
colica!” aggiunse subito dopo annuendo nervosamente “Va
bene, ero giusto uscita a prendere un po’ d’aria sperando
di sentirmi meglio”
“Scusa eh, ma quando uno ha una colica va in bagno, non a
passeggiare in giardino” intervenne Emanuele con tono molto
pratico.
“Ma di che t’impicci tu! Ci sono andata in bagno e non mi
è passata. E siccome passeggiare in giardino mi rilassa, sono
uscita. Vabbuò?!”
lo riprese lei acidamente, per poi allungare il passo e rientrare
velocemente nel caseggiato, lasciando i due amici lì impalati a
guardarsi come due stoccafissi.
Il resto della settimana trascorse relativamente veloce e senza eventi
degni di nota. Sul lavoro Tina fu impegnata a portare ad un punto
quantomeno intermedio tutte le evidenze che aveva messo in luce durante
quei tre mesi di scavo, per avere un quadro quanto più preciso
possibile dell’area. Lo stesso fecero anche Alessandro ed
Emanuele. Si diedero da fare per completare la documentazione
fotografica e i rilievi. Il venerdì fu dedicato alla messa in
sicurezza del cantiere, i responsabili racchiusero tutte le aree con il
nastro bianco e rosso, mentre i ragazzi si assicurarono che tutti gli
attrezzi da lavoro fossero disposti ordinatamente all’interno
della baracca, che alla fine venne prontamente chiusa con un
catenaccio. Il sabato, sia i responsabili che i ragazzi, si dedicarono
alla pulizia del caseggiato. Fu un lavoraccio, e alla sera erano
stremati, ma fecero un buon lavoro. La domenica mattina lasciarono
l’Abbazia per ritornare, chi dalla città da cui era
venuto, chi a Siena.
Durante quella intensa settimana, Tina non ebbe modo di vedere Giulia,
dovette accontentarsi di lunghe telefonate serali. Quando la domenica
pomeriggio, rimise finalmente piede a casa sua in maniera definitiva
tirò un sospiro di sollievo. Stare in Abbazia e lavorare le
piaceva, ma quello che aveva cominciato a pesarle dopo un po’ era
stata la convivenza con gli altri, quindi era felice di essere tornata.
Dopo aver disfatto i bagagli, la prima cosa che fece fu chiamare Giulia
per avvertirla che era arrivata.
“Finalmente!” esultò la compagna “Quindi stasera ci vediamo. Vieni da me o preferisci uscire?”
“Ehi, ehi vacci piano. Sono distrutta” si lamentò Tina lasciandosi cadere pesantemente sul letto.
“Mi stai dicendo che non ci vediamo nemmeno stasera?”
“Ho energia giusto per farmi una doccia e poi infilarmi a letto, addormentarmi e svegliarmi dopo domani mattina”
“Vieni da me, ti preparo un bagno caldo e poi dormi qui” propose Giulia.
“La proposta è allettante, sul serio, ma preferisco
restare qui. Sono davvero sfinita, non sarei nemmeno di
compagnia” si giustificò l’altra con la voce
leggermente strascicata.
“Ma chi se ne frega della compagnia! Non voglio mica un giullare.
Voglio la mia ragazza e mi accontento anche solo di accarezzarla mentre
si addormenta nel mio letto” protestò Giulia con decisa
veemenza “Passo a prenderti io, tra mezz’ora”
“Sei cocciuta” replicò Tina positivamente colpita dalla sua testardaggine.
“E’ una delle mie migliori qualità”
ironizzò Giulia gongolante per aver ottenuto ciò che
voleva.
“Non immagino i difetti, allora” la sfotté Tina.
“Preparati. Sto uscendo” fu la secca risposta dell’altra.
Più tardi, Tina era nel bagno di Giulia e la osservava prepararle un bagno caldo.
“Ti ci metto questo bagnoschiuma all’iris, è
rilassante” le spiegava Giulia mentre faceva scendere un denso
liquido viola da un flacone.
“Guarda che potevo fare anche da sola”
“Che c’entra. Ti ho trascinata qui con la promessa che ci
avrei pensato io a te, il minimo che posso fare è tenerle
fede”
“Grazie”
Giulia si rimise dritta e le sorrise.
“Non c’è di che. Attenta quando entri, l’acqua
è bollente. Gli asciugamani li ho poggiati lì” si
fermò per guardarsi un attimo attorno “Dove hai messo la
tua borsa con i ricambi?”
“Cavolo!” Tina si batté una mano sulla fronte
“L’ho lasciata giù accanto alla giacca”
“Va bene, non fa niente. Te la porto io dopo, tu entra intanto,
prima che si raffreddi” Giulia si voltò per uscire e
chiudersi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Tina si spogliò e si immerse nella vasca fino al
collo. La schiuma l’avvolse accarezzandola e lei poggiò la
testa all’indietro sul bordo freddo della vasca. Chiuse gli occhi
e sentì subentrare quasi subito un lieve torpore.
Dopo un po’ sentì distrattamente alcuni rumori, poi
percepì uno spostamento della sua testa. Il movimento la
infastidì, così aprì gli occhi appannati da un
leggero velo di sonno.
“Ti ho messo un asciugamani sotto il collo, così dopo non
ti fa male” Giulia, inginocchiata accanto alla vasca,
all’altezza della sua testa, le sorrideva tranquilla parlandole
con tono basso per non disturbarla.
“Gr …” Tina si schiarì la voce e riprovò “Grazie”
Giulia allungò una mano per accarezzarle gentilmente i capelli e
rimase lì a guardarla per un po’, poi sfiorò
l’acqua con due dita.
“Comincia a farsi fredda, dovresti uscire” le disse, rimettendosi in piedi e facendo per voltarsi ed uscire.
“Resta. Mi aiuti?” la richiamò Tina, alzandosi ed aprendo la doccia per potersi liberare della schiuma.
“Certo” Giulia prese la doccia dalle sue mani e indirizzò il getto sul suo corpo risciacquandolo.
Quando ebbe finito, ripose la doccia ed afferrò un ampio e
morbido asciugamani di spugna blu. Si avvicinò a Tina e glielo
avvolse attorno al corpo, poi l’aiutò ad uscire. Si mise
dritta dietro di lei e cominciò ad asciugarle le spalle e le
braccia, poi si abbassò in ginocchio per massaggiare la schiena,
passò sulle natiche per arrivare alle gambe, infine si
rialzò incontrando il suo sguardo nello specchio, che cominciava
a disappannarsi. Le sorrise e le posò un bacio su una spalla
nuda.
“Ti senti meglio?” le mormorò all’orecchio.
Tina ricambiò il suo sorriso ed annuì, piegando poi il
capo all’indietro e strofinando una guancia contro la sua. Giulia
si piegò sul suo collo per baciarlo, mentre faceva scivolare le
mani sul suo ventre e le muoveva gentilmente per asciugarla,
salì dopo poco anche sul petto, infine, terminata
l’operazione, rimase semplicemente ad abbracciarla teneramente,
strofinando il naso dietro il suo orecchio.
“Hai sonno?” le chiese dopo qualche minuto.
“Un po’”
“Vestiti allora, prima di prendere freddo, e andiamo a letto”
Giulia le diede un ultimo bacio sulla guancia prima di uscire dal bagno per andare a prepararsi a sua volta per la notte.
Quando Tina poco dopo uscì dal bagno, con indosso il pigiama,
Giulia era già a letto. L’aspettava seduta con la schiena
poggiata alla spalliera e le ginocchia piegate al petto e circondate
dalle braccia. Batté con una mano sul posto vuoto accanto al suo
e Tina ci saltò sopra dopo una piccola rincorsa.
“Hai ritrovato le forze?” la prese in giro Giulia.
“Al contrario, ho speso così l’ultimo grammo che mi restava” ribatté Tina ironica.
L’avvocato tirò via le coperte in modo che potessero
scivolarvi sotto e, una volta al caldo, sentì che Tina le si
avvicinava posandole il capo su una spalla e circondandole la vita con
un braccio.
“Ti do fastidio?” s’informò quest’ultima con la voce soffocata dalle coperte.
“No, per niente. Tu stai bene così?” replicò
Giulia passandole un braccio dietro le spalle per stare più
comoda.
“Sei morbida” ridacchiò Tina in risposta.
“Ah, buono a sapersi” sbuffò l’altra ironica
“Buonanotte, amore” aggiunse dopo dandole un leggero bacio
sulla fronte.
“Notte” biascicò Tina, probabilmente già con un piede nel mondo dei sogni.
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