Maeve ha
dodici anni e un romanzo di Charlotte Brontë
tra le mani.
È
immersa
nella lettura da ore e non può fare a meno di sentirsi
tremare il
cuore ogni volta che vede i suoi pensieri prender vita su quella
vecchia carta ingiallita, come se la stessa Jane Eyre glieli avesse
strappati dal cervello per filtrarli attraverso la propria voce.
Da
troppo
tempo Maeve si porta dietro un senso di vuoto e incomprensione che si
appiana solo quando i libri le parlano, la consolano, la stringono
tra le loro braccia di carta e inchiostro per farle sapere che lei
non è sola, che tante altre persone hanno provato la sua
stessa
rabbia e le sue stesse paure, che tante altre menti brillanti sono
riuscite a elevarsi al di sopra dello squallore della vita
quotidiana.
Maeve
è
tra le poche nella sua classe – oltre a Regan –
capace di
scrivere un intero tema senza fare nessun errore di ortografia.
L'unica che abbia letto più di dieci libri nel corso
dell'intera
estate nonostante l'insegnante d'inglese avesse raccomandato ai suoi
studenti di leggerne tre. L'unica a ricevere occhiate stranite quando
utilizza un termine che dal suo punto di vista non è neanche
così
complesso ma di cui la maggior parte dei suoi compagni sembra
ignorare l'esistenza.
L'intelligenza
di cui va tanto fiera le ha sempre attirato lo scherno dei suoi
coetanei, per i quali preferire un pomeriggio passato in casa a
leggere a una passeggiata con gli amici significa avere qualcosa che
non va, essere fuori di testa, essere pazzi
– per lei, il
fatto che utilizzino quel termine a sproposito per denigrare le
inclinazioni naturali della sua persona non fa altro che mostrare la
loro bietta ignoranza. Sono loro i veri folli. Sono loro a essere
malati di una malattia sociale.
Per
questo
ha imparato ben presto a ignorare gli epiteti che le vengono rivolti
– secchiona, nerd, pazza, strana
– e si è beata di quel
suo genio che la rende diversa dalle masse, attingendo a quello che
chiama “il mio piccolo complesso di superiorità
nei confronti
della specie umana”.
-Ancora
con
quei libri, eh?
Maeve
alza
lo sguardo; sua madre sta passando uno straccio sul ripiano del
tavolo della cucina, ormai quasi perfettamente lucidato, e la guarda
con un luccichio divertito negli occhi.
-Già.-
si
limita a risponderle scrollando le spalle.
-Non
ho mai
capito molto di quella roba così complicata che leggi tu.-
dice
Erin, continuando a strofinare il panno. -Ma sono felice che tu sia
già così sveglia. Non sei come le altre ragazze,
ranocchietta. Hai
più cervello di tutte le tue coetanee messe insieme, lo sai?
-Lo
so.-
risponde fiera Maeve, e sia lei che sua madre ridono, perse in quel
raro momento di serenità e complicità tra madre e
figlia.
-Continua
sempre a studiare, Maeve, mi raccomando. Se solo io non avessi
smesso... voglio vederti fare una fine molto migliore della mia.
Maeve
abbozza un sorriso amaro prima di riprendere a leggere, anche se
adesso i suoi occhi fanno fatica a seguire il filo delle parole.
Sa
che il
quartiere degradato in cui è nata e cresciuta non la
porterà mai da
nessuna parte, che la società malata considera la sua mente
di donna
solo un futile accessorio da rinchiudere in un cassetto in cui
prendere polvere, che sarà difficile realizzarsi ed emergere
quando
nelle tasche di Erin arrivano pochi spiccioli appena sufficienti per
comprare da mangiare e pagare le bollette.
Sa
che il
mondo è ancora schiavo di antichi pregiudizi e sistemi di
pensiero
obsoleti che la portano a dubitare della sanità mentale di
coloro
che vi credono ciecamente – aiuta tua madre a
sparecchiare la
tavola. Non giocare a pallone con i maschi. È normale che le
donne
siano più empatiche degli uomini, è nella loro
natura. Devi farti
carina per i ragazzi, la loro opinione è importante. Nella
vita devi
essere prima di tutto bella, poi se sei intelligente è
ancora
meglio, ma l'apparenza è quella che conta davvero. Certo che
prima o
poi vorrai un ragazzo. Non puoi pensare di non volere figli, tutte le
donne hanno l'istinto materno.
Ma
Maeve sa
anche di non avere alcuna intenzione di rassegnarsi a un destino che
solo apparentemente è già scritto per lei; vuole
trovare il modo di
prendere quel destino tra le mani e modellarlo a suo piacimento
–
proprio come Jane Eyre si è fatta da sé.
Per
questo
è fiera di essere così diversa dalle sue compagne
di scuola,
truccate, ben vestite, superficiali, pronte a buttarsi addosso al
primo ragazzo che dia loro un briciolo di considerazione. Maeve
già
le immagina fare la fine di sua madre – bellezza sciupata,
occhi
iniettati di solitudine
e mani
screpolate che piegano vestiti e lucidano le superfici dei mobili.
Maeve
è fiera di non essere come le altre ragazze. È
fiera di poter
brillare non attraverso il corpo ma attraverso la mente.
Maeve
ha tredici anni la prima volta che si presenta a scuola in canotta
dei Nirvana e shorts di jeans, le palpebre truccate di nero e ciocche
verdi tra i capelli finalmente sciolti e liberi di ricaderle oltre le
spalle.
Cammina
nell'atrio a testa alta, ignorando le risatine e gli sguardi
sconvolti dei suoi compagni. Raggiunge l'aula di storia, vuota
eccetto per Regan che è china a scrivere sul suo quaderno, e
si
siede accanto all'amica salutandola con un allegro; -Buongiorno!
Regan
alza lo sguardo; Maeve ride quando gli occhi della ragazza si
spalancano per lo stupore e la penna le scivola tra le dita, rotola
sul banco e cade a terra.
-Maeve!-
esclama Regan, sistemandosi gli occhiali sul naso e sbattendo le
palpebre. -Sei veramente tu?
-Sì,
sono veramente io.
Regan
rimane in silenzio per qualche istante. Maeve si aspetta di sentirsi
dire qualcosa come “Wow, stai proprio bene
così” oppure
“Sono fighi quei capelli”;
invece le parole dell'amica la
fanno gelare sul posto.
-Sul
serio? Proprio tu?
Nella
voce di Regan c'è l'accenno di un tono accusatorio, sottile
ma ben
chiaro alle orecchie di Maeve.
-Proprio
io cosa?- dice, fingendosi perplessa.
-Beh...
questo.- Gli occhi di Regan si spostano sulle labbra di Maeve,
coperte da un lieve strato di rossetto rosso, sulle sue spalle
scoperte e sugli strappi degli shorts. -Non voglio offenderti, lo sai
che sono tua amica, ma sei conciata in modo un po'... assurdo. Da una
come te non me lo aspettavo proprio.
A
Maeve non interessa ciò che gli sconosciuti pensano di lei
ma quelle
parole da parte di una persona che finora ha considerato sua amica le
fanno inaspettatamente male.
-Scusa
ma che cosa intendi dire con “una come me?”-
sibila, la voce
vibrante di una rabbia a stento trattenuta.
-Beh,
nel senso che tu non sei mai stata come le altre ragazze. Sei
intelligente, hai imparato a leggere e scrivere a quattro anni, forse
hai letto più libri tu che tutti i nostri insegnanti messi
insieme,
sai un sacco di cose perché studi per conto tuo.- Regan
gesticola e
parla in tono convinto mentre Maeve si limita a guardarla, sempre
più
allibita. -E poi non hai mai pensato a cose stupide e superficiali
come il trucco o i ragazzi... che cosa ti è successo? Vuoi
tradire i
tuoi principi per l'estetica?
Per
qualche istante Maeve non sa cosa dire. Il suo sguardo scivola sulla
semplice t-shirt verde e i jeans lunghi dell'amica; lo stesso stile
casuale e anonimo che anche lei ha adottato per anni perché
dei
vestiti non le è mai importato niente, perché ha
sempre preferito
coltivare la mente e non il corpo, perché ha sempre pensato
che
l'estetica fosse superficialità e oppressione e condanna
imposta
dalla società e imposizione maschilista e prerogativa di
ragazze
dalle teste vuote – tutto tranne che libera scelta, tutto
tranne
che espressione di sé.
La
verità è che, da quando all'amore per i libri
è nato in lei anche
l'amore per la musica, Maeve ha iniziato a stancarsi di legare i
capelli e di portare sempre gli stessi maglioni larghi con cui cerca
di nascondere le sue forme accennate – perché
una ragazza deve
farsi bella per ottenere l'approvazione altrui ma deve anche coprirsi
e non esagerare con il trucco altrimenti è una troia
– e ha
scoperto in sé la voglia di assomigliare un po' di
più a quei
musicisti che tanto ammira e le cui canzoni le fanno fremere il
sangue di adrenalina; una sensazione che la sola carta stampata non
può darle, una sensazione simile all'abbandonarsi sul sedile
di
un'auto che sfreccia a tutta velocità, i finestrini
abbassati e il
vento ruggente sul viso.
La
verità è che Maeve ha avuto un'epifania quando
questa mattina si è
guardata allo specchio e per la prima volta ha visto colori tra i
suoi capelli, luce nei suoi occhi contornati d'ombra e armonia nelle
sue forme ancora acerbe. Si è vista bella,
di una bellezza
che non ha niente da individare a quella della sua mente, e il suo
viso le è apparso più maturo, quasi adulto,
splendente e sicuro di
sé, specchio delle mille emozioni e dei mille colori che le
ribolliscono dentro fin da quando ha esalato il suo primo respiro in
questo mondo.
Maeve
ha compreso che il suo corpo può essere opera d'arte quanto
le
edizioni economiche di quei libri dalla copertina sbrindellata che
tiene stretti a sé come se fossero rivestiti d'oro, quanto
le nudità
femminili impresse su tela dalle mani esperte di uomini che hanno
dato la loro vita a un'arte di cui non si può far nulla se
non
riempirsene occhi e cuore e mente – senza poterne toccare la
carne,
senza poterne ascoltare le sinfonie, ma estraendovi significati e
allegorie come si farebbe con i versi di una poesia.
Maeve
non ha nessuna intenzione di sentirsi dire cosa fare e come essere da
una persona che si è sempre professata una sua sorella.
Non
può consentire che venga tessuto odio e che vengano
riversati deliri
su quel suo corpo che solo lei ha il diritto di modellare come cera.
-Sai,
posso capire un'opera di Joyce anche se indosso un paio di shorts.-
sibila Maeve in direzione di Regan. -E di certo non ho dimenticato
come scrivere in un inglese corretto solo perché mi sono
tirata una
riga di trucco in faccia.
Ignora
lo sguardo sbigottito dell'amica, che non si aspettava una risposta
così dura, e si gira di scatto per aprire lo zaino, tirare
fuori i
libri e sbatterli sul banco. Ne apre uno e tiene gli occhi fissi
sulla stessa riga, il sangue che le ribollisce nelle vene e le mani
strette a pugno.
Un
rumore di passi, seguito da un'esplosione di risate; Maeve solleva lo
sguardo e arriccia le labbra in una smorfia infastidita, fulminando
con gli occhi le ragazze che sono appena entrate in aula e che
ridacchiano nella sua direzione.
Pauline
Anderson – una tredicenne bionda e smilza, la stessa ragazza
che
Maeve e Regan hanno criticato quando ha iniziato a venire a scuola
con un po' di smalto sulle unghie – è l'unica che
non ride. Si
limita a passarle accanto, a rivolgerle un mezzo sorriso e dire; -Bel
trucco.- per poi proseguire diretta verso il suo banco.
Maeve
rimane quasi a bocca aperta dalla sorpresa. Poi, suo malgrado, si
lascia sfuggire a sua volta un sorriso; forse, dopotutto, lei non
è
mai stata così diversa dalle altre ragazze.
Maeve
ha diciassette anni e ansima mentre Jackson Marchetti fa scivolare le
dita tra le sue gambe, spingendole avanti e indietro con movimenti
esperti che le strappano gemiti acuti di piacere.
Le
inquietudini che di giorno in giorno si porta sulle spalle scivolano
via, liquefandosi nelle ondate di eccitazione che le contraggono il
basso ventre mentre il ragazzo si china e inizia a baciarle il collo.
È
una brava persona, Jackson Marchetti, sorprendentemente gentile e
umile al di là della sua maschera di ragazzo popolare e
apparentemente arrogante. Eppure Maeve si ritrova a ripetere a se
stessa che non le interessa più di tanto che tipo di persona
sia
Jackson perché non ha intenzione di frequentarlo,
così come non ha
voluto frequentare gli altri due ragazzi con cui è andata a
letto.
Di
Jackson le interessano solo le spalle muscolose, le braccia solide e
il modo in cui le sue mani si stringono intorno ai suoi fianchi
mentre inizia a spingersi in lei, facendola gemere e scuotere
convulsamente sul letto.
Maeve
ha avuto un'altra epifania quando ha scoperto il sesso. Quando per la
prima volta si è portata una mano tra le gambe e ha tremato
del
piacere più viscerale mai provato nella sua vita. Quando ha
iniziato
a godere del contatto del suo corpo con un corpo altrui. Quando le
parole delle poesie d'amore e dei romanzi erotici si sono librate
dalla carta stampata per farsi carne e sangue, calore e sudore che
vanno a mescersi sulla sua pelle e dita che artigliano i lembi del
copriletto.
Maeve
non deve più immaginare la sensazione di un corpo estraneo
dentro di
lei mentre si raggomitola tra le coperte nel cuore della notte,
accarezzandosi finché i suoi polpastrelli non sono bagnati e
la sua
bocca spalancata nella presa dell'orgasmo. Ora quel corpo estraneo
è
davvero in lei, reale e palpabile, scivola avanti e indietro
scatenandole scariche elettriche di piacere. Vere mani si serrano
intorno ai suoi seni scoperti e vere labbra bruciano sul suo collo e
veri denti le mordicchiano la pelle lasciandovi impresse scie
scarlatte come il sangue che pompa a tutta velocità tra le
sue vene
e si raccoglie lì tra le sue gambe, strette sempre con
più forza
intorno alla vita di Jackson, facendola arrivare sempre più
vicina
al culmine.
Maeve
si è sentita ripetere per anni che nessuno si aspettava cose
del
genere da “una come lei”; da una parte coloro che
pretendono
l'artificio insensato della femminilità e cercano di
sporcare di
peccato la natura umana – chiudi le gambe
perché una vera donna
non svende il suo più grande valore per un uomo che non ama
–
e dall'altra coloro per cui lei, da sempre troppo brillante, troppo
intellettuale, troppo diversa dalle altre ragazze, espone il suo
corpo e lo lascia vivere e respirare e fremere solo perché
così le
è stato imposto, perché ha introiettato desideri,
fantasie e
piaceri non suoi – perché una femminista
non si mercifica, non
assoggetta se stessa allo sguardo maschile, non gode quando le
afferrano i capelli e le sussurrano “troia”
all'orecchio.
Perché
le brave ragazze sono quelle che pensano solo a studiare e costruirsi
un futuro, quelle che tengono i capelli raccolti e cercano in tutti i
modi di non attirare l'attenzione. Mentre le cattive ragazze sono
quelle che vanno in giro a seno scoperto, si macchiano le ciglia di
mascara e aprono le gambe per prendersi il loro piacere senza
aspettare il principe azzurro su un cavallo bianco – forse
perché
sanno che il principe azzurro non esiste e che le principesse devono
imparare a salvarsi da sole.
C'è
stato un tempo in cui anche Maeve ha creduto tutto questo, solo per
poi accorgersi che la sua vera strada era andare contro tutte le
correnti che cercavano di trascinarla nell'abisso del pregiudizio,
trovare la sua verità e rendersi autentica nella sua
dualità in
simbiosi, nel suo essere nuda, empia, abbandonata a quel bisogno
primordiale e umano che il mondo cerca vanamente di tingere di rosa e
azzurro.
Mentre
Jackson le tira i capelli e le sussurra “troia”
all'orecchio, Maeve trema del suo piacere, attinge al suo piacere,
vive e respira il suo piacere, i suoi desideri, le sue fantasie
incarnate in una realtà di cui è padrona
indiscussa.
Maeve
è forma e sostanza che non si escludono a vicenda. Maeve
è una
mente brillante che non si è spenta quando i suoi vestiti
hanno
iniziato ad accorciarsi, i suoi capelli ad allungarsi, le sue labbra
a tingersi di rosso, i suoi capezzoli a inturgidirsi al contatto
delle labbra di un ragazzo.
Tra
le sue cosce umide e sul suo corpo teso dall'estasi fioriscono gli
edonismi decantati dai poeti, le passioni di D'Annunzio, le ebbrezze
di Baudelaire, le melodie selvagge del romanticismo.
Quando
l'orgasmo esplode e il suo urlo sembra innalzarsi verso le vette del
cielo, gli occhi di Maeve trasudano sublime.
*
NdA
Questa è probabilmente una delle cose più
importanti che io abbia scritto nella mia vita. Ci tenevo molto a
smontare uno dei cliché più ripetitivi e
fastidiosi all'interno del media, ovvero la contrapposizione tra la
brava ragazza (intelligente, studiosa e per questo disinteressata a
cose come il trucco, i ragazzi e la vita sociale) e la cattiva ragazza
etichettata come stupida e superficiale perché indossa abiti
scoprenti e ha una vita sessuale attiva.
Nella vita reale, le persone sono molto più complesse di
così, e per fortuna con il tempo stiamo riuscendo ad andare
oltre questo stereotipo. Del personaggio di Maeve ho sempre apprezzato
il suo essere un'outsider, un'alternativa, un genio dal punto di vista
intellettuale, ma disposta a viversi storie di sesso occasionale come
quella con Jackson senza alcuna vergogna e senso di colpa.
(C'è da dire che Sex Education è una serie tv
eccezionale per quanto riguarda il ribaltamento degli stereotipi)
In questa storia ho anche cercato di dare una mia visione del
femminismo - non mi dilungo troppo, perché EFP non
è decisamente il posto adatto per discutere di determinati
temi, voglio solo specificare che quando Maeve pensa di non voler
essere criticata da una persona che si è definita una sua
"sorella" ciò che intendo dire è che Regan
(personaggio di mia invenzione) si è sempre considerata
affine a lei perché entrambe "secchione" e disinteressate a
trucco e vestiti, a differenza della maggior parte delle loro compagne
di scuola. Ovviamente la mia Maeve rimane di sasso quando scopre che,
solo perché si è truccata e si è messa
un paio di shorts, Regan è disposta a mettere in
dubbio la fermezza dei suoi valori intellettuali.
Spero di non essere risultata irrealistica mettendo in bocca a delle
tredicenni espressioni abbastanza mature; nello scrivere questa storia
mi sono ispirata ad alcune mie esperienze passate e conversazioni avute
nella vita reale. Tra l'altro ho immaginato che Maeve, avendo iniziato
a leggere fin da piccola ed essendo un genio precoce, fosse capace
già a 12/13 anni di esprimersi in una determinata maniera.
Spero che la storia vi sia piaciuta, ringrazio chiunque
recensirà :)
|