Taro saliva le scale
che l'avrebbero condotto sul tetto della scuola.
I suoi passi
risuonavano nel corridoio vuoto come colpi di martello nell'aula del
Tribunale, e scandivano il tempo con un ritmo serrato e implacabile.
Ciuffi di capelli
danzavano ribelli davanti al suo viso, seguendo una melodia disegnata
su un pentagramma invisibile.
Dalla cartellina blu
che il ragazzo teneva stretta sottobraccio, sporgevano fogli opachi su
cui era scritto qualcosa, parole che nessuno avrebbe mai letto.
Lo sguardo di Taro
era rivolto verso il basso, come fosse umiliato e sconfitto. La sua
bocca tradiva un'immensa frustrazione, le gote tese e i denti in parte
scoperti.
La divisa di scuola
era sgualcita, malferma, sporca e sbottonata. Si notava che aveva
partecipato ad una rissa, e dalla sua espressione si capiva anche quale
fosse stato l'esito.
Finalmente, la porta.
Con un calcio la
spalancò, e rimase sospeso nel tempo e nello spazio
finché essa non si aprì completamente e un vento
freddo non lo investì in pieno volto, scoprendogli la faccia
colma di livore.
In cielo, le nuvole
correvano senza sosta verso sud. Era un gelido pomeriggio di inverno.
Rimase a fissare il
mondo per qualche secondo, poi lasciò andare la cartellina,
che finì a terra con un pacato rumore senza eco.
Immediatamente, cacciò fuori un urlo colmo di strazio,
portando entrambe le mani alle meningi e premendo la testa per evitare
che esplodesse. Il grido si perse nel cielo blu e grigio, e poi
tornò il silenzio.
- Dannazione - Disse
Taro, e corse verso il bordo del tetto, con i pugni stretti.
Terminò la sua breve corsa quando incappò nel
davanzale, oppose le sue mani e serrò la presa,
così forte che gli si sbiancarono le nocche. Poi si
voltò verso la porta, mentre le lacrime cominciavano a
scendere dalle gote e piccoli singhiozzi colmi di ira e
vergogna riempirono il silenzio. Si lasciò cadere per terra,
raggomitolandosi parzialmente su se stesso, e pianse.
Ryoko camminava
lentamente verso i bagni della scuola.
I suoi passi, piccoli
e leggeri, producevano un pacato rumore quando si incontravano con il
pavimento. Sembravano piume che cadevano al suolo.
I capelli neri le
coprivano il viso, ondeggiando lenti con un movimento quasi
impercettibile.
Il suo respiro era
breve, ma sembrava quasi assente. Ogni tanto la ragazza tirava su con
il naso, e si fermava per un momento nel mezzo del corridoio. Allora
alzava lo sguardo al soffitto, gli occhi colmi di lacrime,
un'espressione afflitta e mortificata, e si chiedeva il
perché di quel che era successo.
Ma non sapeva
rispondersi. Così, calava il capo rassegnata e proseguiva il
suo lento cammino.
Il pugno sinistro
della ragazza celava un anello d'argento con incastonata una piccola
pietra verde. Ogni fibra della sua forza era concentrata in quella
stretta, per questo il suo passo esa così breve. Minuscoli
disegni percorrevano la lustra superficie del metallo creando un
intricato labirinto di immagini. Per Ryoko, quell'anello possedeva un
valore inestimabile.
Quando
arrivò davanti la porta del bagno, rimase qualche secondo a
fissarla, come inebetita. Poi l'aprì lentamente, come se non
volesse svegliare qualcuno. La richiuse qualche istante dopo alle sue
spalle, e si fermò.
Un attimo dopo,
qualcosa scattò dentro di lei, un impulso violento e
indomabile che la spinse ad avventarsi improvvisamente contro lo
specchio, fracassandolo in più punti con il pugno chiuso
entro cui si trovava il gioiello d'argento. Imprecazioni smorzate le
uscivano dalla bocca, parole impronunciabili e indefinite.
Il vetro le lacerava
la carne e le inquinava il sangue sgorgante, ma Ryoko ignorò
il dolore, finché ogni frammento di specchio non cadde per
terra o dentro i lavandini e la sua mano fu incapace di muoversi,
tremante e ferita.
In quel momento, la
ragazza scoppiò a piangere, singhiozzando violentemente e
lasciandosi cadere al suolo, con il pugno sinistro stretto al petto per
placare il dolore e la mano destra sul viso per coprire grottescamente
le sue lacrime.
- Dannazione - Furono
le uniche parole che pronunciò prima di abbandonarsi
pienamente al dolore.
***
- Ebbene? -
Taro fece una smorfia.
- Eiji, non
è il momento -
L'amico fissava il
ragazzo devastato dal dolore dalla porta di accesso al tetto della
scuola, appoggiato ad essa. Aveva le braccia incrociate sul
petto e uno sguardo perplesso di chi non capisce la gravità
di qualcosa e giudica il mondo troppo esagerato.
- Non la stai facendo
troppo drammatica? - Ipotizzò grattandosi la fronte incerto.
Quelle parole
provocarono un moto d'ira in Taro così potente che si
costrinse ad alzarsi sulle gambe e a camminare, tremante, verso
l'amico. Quando gli fu davanti, gli sventolò in faccia un
pugno che avrebbe dovuto essere una minaccia e che ottenne soltanto di
farlo scoppiare a ridere.
Divertito, Eiji gli
diede una pacca amichevole sulle spalle.
- Coraggio amico mio,
nella vita c'è di peggio! - Esclamò allegramente.
Ma Taro
scrollò le spalle e si allontanò da lui, fissando
il cielo con occhi mesti.
- Vorrei tanto
crederci - Rispose dopo qualche secondo di silenzio.
- E allora fallo -
Ribatté spazientito - perché è la
verità! -
- Ti sbagli! -
Il vento
scompigliò i loro capelli. Sospirarono entrambi, per motivi
diversi.
- Scusami, ma non
riesco proprio a mettermi nei tuoi panni, questa volta. - Si
giustificò l'amico un po' imbarazzato - Io non mi sono mai
innamorato, quindi... -
- Non devi scusarti -
Replicò - Non è colpa tua. Anzi,
cominciò a credere che sia tutta colpa mia -
- Non fartene una
colpa... ci sei cascato, un po' prima del previsto. Ma capita a tutti,
fidati -
Taro si
voltò verso Eiji inarcando le sopracciglia.
- Un po'... prima?
Che vuoi dire? -
Ridacchiò
e gli posò una mano sulla spalla.
- Solitamente la
stagione degli amori è la primavera, no? - Gli
sussurrò sarcastico all'orecchio, provocandogli i brividi.
Il ragazzo sussultò e si allontanò da lui.
- E piantala di
prendermi in giro! -
Scoppiò di
nuovo a ridere.
Stavolta anche il
povero innamorato sorrise, contagiato suo malgrado dall'umorismo
dell'amico. Ma fu questione di pochi istanti, prima che la depressione
tornasse a incombere su di lui come un avvoltoio.
- Però sto
dicendo seriamente - Precisò tossicchiando - Ti sei
innamorato troppo presto -
Taro sorrise
amaramente, e calò il capo.
- Troppo presto....
eh? - Disse quasi a se stesso.
- In quella rissa sei
stato grandioso - Esplose d'un tratto allargando le braccia con sguardo
entusiasta - Ancora un po' e avresti battuto quel pallone gonfiato di
Toushiro! -
- Già,
peccato che alla fine abbia vinto lui - Precisò quasi
divertito.
- Dettagli, la
fortuna lo ha sostenuto, la prossima vincerai tu - Lo
rassicurò circondandogli le spalle con un gesto
masculinamente affettuoso.
Il ragazzo
alzò lo sguardo verso l'amico, e gli sorrise. Era un sorriso
pacato, tranquillo, di una persona che non si aspetta nulla di che. Si
sottrasse gentilmente a quel contatto, e gli diede le spalle.
- Non ci
sarà una prossima volta, amico mio. Non in questa vita. -
E, non visto, sorrise
ancora.
La campanella era
suonata già da diversi minuti ormai, fiumi di adolescenti si
erano riversati nelle strade fuori dall’istituto entusiasti,
ma Mio camminava a passo rapido fra i corridoi vuoti della scuola.
Dove si era cacciata
Ryoko? Impossibile che fosse già tornata a casa,
l’avrebbe certamente avvertita.
Mio era la
coinquilina di Ryoko, nonché sua amica di infanzia e quella
del tornare verso casa insieme raccontandosi a vicenda della giornata
appena trascorsa era una tradizione ormai consolidata.
Quindi la giovane si
era ritrovata a cercare l’amica dopo la fine delle lezioni,
preoccupata. Aveva visitato la terrazza, l’angolo delle
macchinette degli snack e la sua classe, ora stava invertendo la rotta
dirigendosi ai bagni femminili, situati dalla parte opposta e
più remota dell’edificio. Maledisse a fior di
labbra l’amica, il suo stomaco cominciava a dare i rumorosi
segni della fame e Mio aveva appena passato una giornata scolastica
più faticosa del solito. Ad aggiungersi alle sei estenuanti
ore di studio le era capitata una cosa al di fuori
dell’ordinario.
Era
l’intervallo quando uscendo nei giardini della scuola si era
imbattuta in un ragazzo che aveva incrociato all’incirca sei
volte camminando nei corridoi e che le pareva si chiamasse Taro. Le si
era parato davanti con uno sguardo risoluto e tendendo davanti a
sé una cartelletta blu, traboccante di foglietti. Mio stava
per chiedergli cosa desiderasse quando Toushiro, uno sbruffone con cui
era uscita per un paio di settimane, gli aveva sferrato da dietro un
pugno in mezzo alle scapole. Il ragazzo aveva tossito rumorosamente
piegandosi in avanti e urtando Mio, la quale si era fatta rapidamente
da parte osservando Toushiro afferrare la spalla di Taro per voltarlo
di forza e assestargli un altro destro sul naso.
Così era
scoppiata una rissa e una piccola folla si era andata creando attorno
ai due litiganti, piano piano la gente attorno a loro aumentava e
all’ultimo pugno praticamente tutta la scuola aveva assistito
allo scontro. Toushiro, alla fine, aveva distrutto Taro che era
rientrato nell’istituto con uno sguardo colmo di rabbia mista
a profondo risentimento. Il motivo della lite era chiaramente Mio, la
quale aveva assistito alle ultime due ore di lezione distrattamente,
con la mente volta a quel ragazzino che non conosceva.
Ritornò
alla realtà affrettando il passo e scostandosi la frangia di
capelli tinti di rosa shocking e nero dalla fronte sudata. Gli occhi
verdi, chiari e luminosi, emanavano guizzi di impazienza e si chiese
mentalmente dove avrebbe potuto trovare Ryoko se non fosse stata nei
bagni.
Considerò
l’idea di andarsene e iniziò a prepararsi nella
testa la ramanzina che le avrebbe rifilato non appena si fossero viste.
Persa in questi pensieri si ritrovò davanti alla porta
sporca e rovinata dei bagni, la cui un tempo aveva voluto essere
bianca. Spinse con rabbia la maniglia e si trovò davanti
agli occhi la stanza piena di vetri rotti e acqua mista a sangue, opera
di Ryoko. La giovane era raggomitolata su se stessa vicino a un
lavandino arrossato dall’emoglobina. Spaventata Mio
urlò forte, inascoltata, e si gettò carponi
accanto al corpo di Ryoko, inerme.
- Ryo, piccola! Che
cazzo è successo qui dentro? RYO! -, le gridò
associando alle sue parole dei leggeri schiaffi sul viso della ragazza.
Aveva paura a chiamare qualcuno, temeva che l’amica potesse
essersi cacciata in qualche pasticcio e non voleva rischiare di
aggravare inavvertitamente la situazione, allora le sentì il
polso e prese a controllarle la mano sinistra per estrarre ogni scaglia
di specchio. Le lacrime le scendevano lungo il viso pallido
mischiandosi al sudore freddo, incapaci di fermarsi e un violento
tremore cominciava a scuoterla. Per tre quarti d’ora
restò ad esaminare il palmo, le dita e il polso di Ryoko,
per poi sciacquarle viso e corpo con dell’acqua fresca.
Dopo alcuni minuti la
ragazza mosse il viso e aprì un poco gli occhi, quel tanto
che bastava per riconoscere la sua migliore amica, sporca e spettinata.
Spalancò le palpebre e si sforzò di alzarsi
seduta provando un dolore lancinante alla mano che, si
guardò, era fasciata dalla manica della divisa di Mio. Con
la mano destra si diede la spinta per alzarsi in piedi e prima ancora
che Mio potesse domandarle qualcosa le sferrò un violento
calcio nello stomaco. L’amica, che per un secondo si era
illuminata vedendo aprirsi gli occhi della compagna, si
accovacciò su se stessa stringendosi il ventre. Ryoko
afferrò la sua borsa e l’anello che era rotolato
vicino ad un water ed uscì, ancora sanguinante.
***
Taro si stava
dirigendo verso casa con ancora la sua cartelletta sotto al braccio,
indifferente alle risa e alle urla dei ragazzi attorno a lui. Si
sentiva totalmente svuotato e continuava imperterrito a darsi
mentalmente dell’incapace. Lungo la strada si
ritrovò per tre volte in vie a lui sconosciute che lo
portarono a dover tornare indietro sulla strada giusta più
volte. Non riusciva a pensare a nulla che non fosse la rissa che aveva
avuto con Toushiro e allo sguardo perplesso di Mio a cui non aveva
potuto dare alcuna risposta. Amava quella ragazza con tutto se stesso,
ogni fibra del suo corpo era persa e ogni suo pensiero, alla lunga,
ricadeva su di lei. Era dall’inizio della seconda media che
teneva dentro di sé questo sentimento, l’aveva
vista correre nel cortile della scuola con due ragazzine, con i suoi
capelli striati di azzurro ed era stato quel che si dice un
“colpo di fulmine” in piena regola. Nel frattempo
lei aveva cambiato diciassette tinte e tre ragazzi, ma mai Taro aveva
avuto il coraggio di confessarle il suo amore.
Taro
arrivò a casa alle quattro del pomeriggio, per fortuna sua
madre non era in casa, altrimenti si sarebbe dovuto sorbire anche il
suo solito interrogatorio su dove fosse stato e con chi.
Appoggiò lo zaino a terra e salì lentamente le
scale, con la cartelletta blu in mano, pronto a tentare di eliminare
Mio dalla sua vita, sebbene consapevole che sarebbe stato impossibile.
Aprì la porta di camera sua, spossato e stanco, si
sdraiò sul letto dopo aver sbattuto con forza la cartelletta
e tutte le frasi, poesie, fotografie che aveva raccolto nel tempo per
la ragazza che amava, nel cestino.
Si
addormentò all’istante e inaspettatamente
dormì di un sonno profondo e senza sogni.
Si
risvegliò attorno alle sette e trovò sul display
del suo cellulare un messaggio da sua madre che gli comunicava che non
avrebbe rincasato quella notte. Taro ripensò a Mio, decise
improvvisamente che la vita era una e non poteva rovinarsela per una
ragazza a sedici anni. Si alzò dal letto, si
rivestì e corse giù per le scale, fuori,
intenzionato ad andare al primo pub e bere. Mentre camminava con
l’aria gelida della sera che gli pungeva il viso e le mani
scoperte pensò fra sé che era proprio vero che si
beve per dimenticare, e si vergognò.
Ciò non lo
fece però tornare indietro e alla vista della prima insegna
luminosa prese a correre e si infilò nel locale, ansioso di
riscaldarsi. La musica era alta e gli pulsava nelle tempie, ragazze
poco vestite ballavano su un palco con un grande palo al centro e sette
uomini ubriachi stavano lì sotto ad ammirare il panorama
delle loro mutandine luccicanti. Non era certo un locale affidabile, ma
Taro non se ne preoccupò e si diresse rapidamente al
bancone, ordinando al cameriere una birra media. Quest’ultimo
lo guardò con aria diffidente e sospettosa, ma non gli
chiese l’età. Gli servì la sua birra
per poi rivolgersi a una signorina che ordinò per lei un
superalcolico e un’altra birra per Taro, sedendosi vicino a
lui e accavallando maliziosamente le gambe. Il ragazzo non ci fece
nemmeno caso, ma accettò di buon grado la birra. Le bevve
entrambe nel giro di cinque minuti e, perfettamente sobrio, decise di
chiedere qualcosa di un po’ più forte.
Ordinò al barista un cocktail con una dose di Vodka doppia,
mentre la signorina si toglieva la giacca, lasciando scoperti ventre e
collo. Si sistemò vistosamente il seno prosperoso e si
avvicinò alla sedia di Taro, sfiorando il suo polpaccio con
il tacco a spillo. Taro non voleva avere nulla a che fare con lei e
cercò di metterlo in chiaro ma la donna gli mise un indice
sulla bocca e afferrò il bicchiere del cocktail di Taro,
portandoglielo alle labbra. Taro, ubbidiente, bevve. Il bruciore lungo
la gola si era fatto un poco più forte e ordinò
altri due alcolici. La donna accanto a lui glieli fece bere entrambi
mentre si passava eloquentemente la lingua sulle labbra. A Taro
cominciava a girare la testa, ma fingendo fermezza bevve e bevve
ancora, fino a tarda sera. Attorno alle undici non capiva
più nulla di ciò che gli accadeva attorno,
un’ora dopo era svenuto nel retro del pub.
***
Ryoko aspettava dalle
otto e mezzo di quella sera fuori da casa di Taro, aveva citofonato
più volte, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Era ormai
mezzanotte passata, non era possibile che non fosse ancora rincasato,
il giorno dopo era un giorno scolastico. La pressione
cominciò a salire assieme alla preoccupazione e senza
accorgersene stava già camminando nei dintorni guardandosi
ansiosamente in giro, sperando di vedere Taro da qualche parte. Fu
attratta dalla stessa insegna luminosa che aveva catturato
l’attenzione del giovane e entrò nel pub,
tappandosi il naso per l’odore acre di alcool. Chiese al
barista di un ragazzo e fornì la descrizione di Taro. Il
barista, indifferente, indicò la porta che dava sul retro.
Ryoko chiese se poteva accedervi e non ottenendo risposta fece il giro
del bancone e afferrò la maniglia, domandandosi in che stato
avrebbe visto Taro. Aprì e lo trovò svenuto, con
la zip dei pantaloni abbassata e un preservativo usato al suo fianco.
- T... -
Biascicò portando le mani alla bocca - TARO! -
Il ragazzo si mosse
impercettibilmente e mugolò qualcosa di poco consistente.
- Santo cielo, chi ti
ha ridotto così?! - Urlò inorridita avvicinandosi
a lui e inginocchiandosi accanto al ragazzo, senza osare toccarlo.
Sembrava quasi in catalessi, ed emanava un orrido puzzo di acido.
- Mmh... -
- Taro, riprenditi! -
Scongiurò Ryoko sollevandogli la testa e scuotendola.
Lacrime incoerenti si stavano già formando ai lati dei suoi
occhi azzurri. Le respinse con rabbia, decisa più che mai a
non abbandonarsi al pianto una seconda volta.
Taro aprì
leggermente la bocca e si liberò un puzzo di alcool
così maleodorante e prepotente che le fece girare la testa.
Capì che doveva aver bevuto e senza pensarci gli
ficcò due dita in gola per provocargli il vomito
liberatorio, che non tardò ad arrivare.
Il ragazzo
rigettò su di sé e sul braccio sinistro di Ryoko,
sollevando il busto in uno spasmo innaturale e spalancando gli occhi
come fosse posseduto; riacquistò in brevissimo tempo un
quarto della sua lucidità e portò le mani alla
bocca respingendo bruscamente quella della ragazza, che la
ritirò con una smorfia.
Le budella di Taro si
contersero e si capovolsero e sembravano intenzionate a fuggire dalla
sua bocca, e persino la sua anima sembrava disgustata di appartenergli
e voleva prendere il volo verso il cielo. Quest'orrenda sensazione di
abbandono e rifiutò perdurò per circa un quarto
d'ora, prima di arrestarsi completamente.
Stremato, si
lasciò cadere sul pavimento, ignorando ogni cosa all'infuori
di sé.
Ryoko lo osservava,
ed era stupidamente felice. Avrebbe voluto piangere di gioia, ma anche
picchiarlo per quel che aveva fatto. Inoltre, una piccola parte lei
sapeva per quale motivo probabilmente aveva agito in quel modo e non
poteva perdonarglielo.
- Come... come ti
senti? -Chiese dopo un po', imbarazzata.
Solo in quel momento
Taro si rese veramente conto di non essere solo. Metà delle
sue facoltà mentali erano ritornate al loro posto, ma le
altre stavano ancora vagando nel subconscio più profondo. Si
voltò verso di lei vedendola per la prima volta, o almeno fu
quello che credette.
- M-male... -
Borbottò pulendosi la bocca con il dorso della mano.
- Eh beh, certo, non
deve essere piacevole vomitare dopo una... sbronza. -
I suoi occhi,
più veloci di lui, corsero al preservativo, ma finsero di
non vederlo.
- Già...
ehm, ci conosciamo per caso? - Domandò con tono perplesso
tentando di rimettersi in piedi.
- No aspetta! Non
alzarti da solo, ti aiuto io! - Si offrì, e lui
mugolò un sì poco convinto.
Zoppicarono verso
l'uscita di quella stanzetta, e aprì la porta. Quando si
ritrovarono di nuovo immersi nella musica del locale, il barista si
voltò verso di loro senza dire una parola né
modificare la sua impertubabile espressione. Quasi immediatamente
spostò altrove la sua attenzione.
- Ma dove stiamo
andando? - Protestò Taro - Io voglio restare qui a
divertirmi! -
- Divertirti! -
Esclamò Ryoko di rimando accelerando il passo - E questo tu
lo chiamo divertirsi? -
Il rumore che
producevano le grossolane risate degli ubriachi e i malevoli sussurri
delle donne di facili costumi, uniti alla musica assordante del luogo,
suscitavano in lei un moto di nervosismo che a stento teneva a freno.
Era sempre
più difficile proseguire, perché il ragazzo
opponeva sempre maggiore resistenza e qualche donna che passava di
là tentava di attirarlo con sguardo ammaliante.
- Fottetevi, ludire
puttane - Sibilò fra i denti, e con un ultimo scatto finale
raggiunse l'uscita del pub e la richiuse alle loro spalle, esausta.
Spazientita, si
allontano bruscamente da Taro che senza supporto cadde a terra
barcollando.
- Ehi, stronza -
Lamentò con voce rauca - Mi hai fatto cadere! -
- Bah! - Disse lei, e
sputò per terra. Si sentiva frustrata, puzzava di vomito e
moriva di freddo. Voleva andare a casa ma prima avrebbe dovuto
riaccompagnare il ragazzo a casa.
E non voleva.
Avrebbe tanto
desiderato poterlo lasciare lì in balia degli eventi, ma non
ne aveva il coraggio. E poi pensò a Mio.
Non c'entrava nulla
in quella situazione, se ne rendeva conto. Ma non riusciva comunque a
farsene una ragione.
- Ehi, stronza, dico
a te! -
- Che ironia; Ryoko
ama Taro, Taro ama Mio, e Mio chi ama? - Esclamò quasi come
fosse una canzoncina da imparare a memoria, una filastrocca per bambini
sentita e risentita - ... e nessuno sa chi Mio ama, chi ama Mio, chi
Mio ama -
In quelle parole
c'era un che di troppo duro perché Taro non se ne
accorgesse. E poi qualcosa nel suo cervello gli fece notare che era
preso in causa, e si sentì in dovere di approfondire la
questione. Con uno sforzo notevole, si alzò da terra e si
mosse verso Ryoko, che continuava a canticchiare quella nenia
malinconica e sarcastica.
- Tu -
Indicò tremante con tutta la decisione che le circonstanze
gli consentivano - come ti chiami? -
- Non sai neppure chi
sono? - Esclamò ridendo - che pena che mi fai... -
- R... - Le parole
gli uscivano smorzate, quasi le sputava - Ryoko -
- Bravo - Disse
leggermente stupita - Sono proprio io -
- Lo sos...
sospettavo - Deglutì un conato di vomito improvviso e
proseguì - Sai, forse oggi ti ho vista. In cortile, dico. -
Lei ebbe un tuffo al
cuore ma si mantenne impassibile. Solo i suoi occhi erano
più attenti.
- Eri dietro... un
muro - Rifletté - Che ci facevi dietro... dietro un muro? -
- Niente. Mi trovavo
lì per caso, come tutti. -
- Però...
tu mi stavi aspettando, vero? -
A quell'affermazione,
Ryoko divenne rossa e negò con tutta se stessa, scuotendo il
capo furiosa.
- Nono, ti sbagli! Io
non stavo aspettando proprio nessuno! Io ero lì per caso! -
- Sai, Ryoko... -
Proseguì Taro avvicinandosi a lei - a me dispiace proprio
tanto, per oggi intendo -
- E perché
ti scusi con me? Forse dovresti farlo con un'altra persona -
Tagliò corto arretrando di un passo.
- Sono stato molto
stupido questa sera. E, e anche questa mattina, sono stato stupido.
Sono anni che sono stupido, forse mi sono ammalato. Tu che ne pensi,
Ryoko? -
Per un momento, si
sentì smarrita. Ritornò con il cuore a parecchie
ore prima, quando sotto casa di lui citofonava imperterrita, con il
viso accigliato ma preoccupato, quasi intimorito. Ripensò
alle sue preoccupazioni quando non l'aveva trovato e alla paura quando
lo aveva fatto, in quel lurido stanzino, sbronzo e con un preservativo
accanto. Chissà dov'era la puttana che lo aveva incastrato,
si chiese.
E
chissà anche perché sono così acida
quando tutto quello che vorrei è amarlo.
- Siamo tutti un po'
stupidi a volte - Rispose e fece spallucce, senza saper che altro dire.
- Mi... -
Cominciò, quasi con un sospiro.
Lei fu certa che
stesse per dire Mio.
- Mi... dispiace,
tanto - Ammise invece il ragazzo grattandosi il capo - Io non ho visto
niente, io non... ho capito. Niente. -
Ryoko
sgranò gli occhi incredula. Non poteva essere vero, anche
lei doveva essere sbronza. Tutto il mondo non stava bene e stava
girando a rovescio, perché lui si stava scusando con lei ed
era quello che segretamente avrebbe desiderato da parte sua, e non
poteva credere che stesse accadendo davvero perché il suo
era stato un desiderio egoistico. E invece...
Non disse niente. Le
mancava qualunque forma di espressione. Solo il suo cuore pulsava nella
notte gelida di Tokyo.
- Perdonami... Ryoko.
- Disse infine, prima le che sue gambe cedessero e crollasse sopra di
lei, profondamente addormentato.
Spalancò
gli occhi e arrossì, così forte che il sangue se
uscì quasi dalle orecchie, e sorrise così
stupidamente che quasi scoppiò a ridere. E poi, senza dire
una parola, se lo mise in spalla e lo accompagnò a casa,
pensando nel frattempo alla giornata che sarebbe venuta e alle scuse
che avrebbe porto a Mio.
Non sappiamo
quando sarà il prossimo capitolo, probabilmente quando
riceveremo commenti e apprezzamenti a sufficienza xD
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